Santa Chiara d'Assisi - Scritti 

Il Testamento

Le lettere ad Agnese di Boemia

 

Il Testamento 

Nel nome del Signore. Amen.

Fra gli altri benefici, che dal nostro largitore Padre delle misericordie abbiamo ricevuto e ogni giorno riceviamo e per cui dobbiamo maggiormente ringraziare il glorioso Padre del Cristo, c'è la nostra vocazione, la quale quanto più perfetta e grande, tanto più gli dobbiamo. Donde l'Apostolo: Riconosci la tua vocazione. Il Figlio di Dio si è fatto per noi via, che con la parola e l'esempio ci ha mostrato e insegnato il nostro beatissimo Padre Francesco, vero suo amatore e imitatore.

Dobbiamo dunque considerare, sorelle dilette, gl'immensi benefici di Dio in noi accumulati, ma tra gli altri, quelli che per mezzo del suo servo diletto, il padre nostro beato Francesco, Dio si è degnato di operare in noi, non solo dopo la nostra conversione, ma anche mentre eravamo nella misera vanità del mondo. Infatti, quando lo stesso santo non aveva ancora né fratelli né compagni, quasi subito dopo la sua conversione, mentre edificava la chiesa di San Damiano, dove totalmente visitato dalla consolazione divina, fu spinto ad abbandonare del tutto il mondo, per grande letizia e illuminazione dello Spirito Santo profetò riguardo a noi, ciò che poi il Signore adempì.

Salendo infatti in quel tempo sopra il muro di detta chiesa, ad alcuni poveri, che sostavano là vicino, ad alta voce diceva in lingua francese: Venite e aiutatemi nell'opera del monastero di San Damiano, perché vi saranno ivi delle donne, con la vita famosa e la santa conversazione delle quali il nostro Padre celeste sarà glorificato in tutta la sua Chiesa.

In ciò dunque possiamo considerare la copiosa benignità di Dio in noi, che per la sua abbondante misericordia e carità si è degnato di dire queste cose per mezzo del suo santo, riguardo alla nostra vocazione ed elezione. E non soltanto riguardo a noi il nostro beatissimo padre Francesco profetò queste cose, ma anche riguardo alle altre, che sarebbero venute nella vocazione santa, nella quale il Signore ci ha chiamate.

Con quanta sollecitudine, dunque, con quando zelo di mente e di corpo dobbiamo osservare i comandamenti di Dio e del nostro Padre, per poter restituire, con l'aiuto di Dio, moltiplicato il talento! Il Signore stesso, infatti, ci ha poste come forma in esempio e specchio non solo per gli altri, ma anche per le nostre sorelle, quelle che il Signore chiamerà, affinché anch'esse siano di specchio e d'esempio a coloro che vivono nel mondo. Poiché dunque il Signore ci ha chiamate a cose tanto grandi, cosicché coloro che sono date come specchio ed esempio agli altri, possano rispecchiarsi in noi, siamo molto tenute a benedire e a lodare Dio e a corroborarci ancor di più per fare il bene nel Signore. Perciò, se vivremo secondo la forma predetta, lasceremo agli altri un nobile esempio e acquisteremo il premio della beatitudine eterna con una fatica brevissima.

Dopo che l'altissimo Padre celeste si fu degnato, per sua misericordia e per sua grazia, d'illuminare il mio cuore, perché secondo l'esempio e la dottrina del beatissimo padre nostro Francesco facessi penitenza, poco dopo la sua conversione, insieme con poche sorelle che il Signore mi aveva dato poco dopo la conversione mia, promisi a lui volontariamente obbedienza, come il Signore ci aveva conferito il lume della sua grazia per mezzo della sua vita mirabile e della sua mirabile dottrina. Il beato Francesco poi, considerando che, pur essendo fragili e deboli secondo il corpo, tuttavia non ricusavamo nessuna necessità, nessuna povertà, nessuna fatica, nessuna tribolazione o deprezzamento e disprezzo del mondo, ché anzi li consideravamo come grandi delizie, come frequentemente egli ci aveva esaminate secondo gli esempi dei santi e dei suoi frati, si rallegrò molto nel Signore; e mosso a pietà verso di noi, si obbligò con noi di avere da se stesso e per mezzo della sua religione, cura diligente e sollecitudine speciale per noi come per i suoi frati.

E così, per volontà di Dio e del nostro beatissimo padre Francesco, andammo alla chiesa di San Damiano per dimorarvi, dove il Signore in breve tempo, per sua misericordia e grazia ci moltiplicò, perché si adempisse ciò che il Signore aveva predetto per mezzo del suo santo. Infatti, prima, ci eravamo trattenute in altro luogo, benché per poco.

Poi scrisse per noi una forma di vita e massimamente perché perseverassimo sempre nella santa povertà. Né si accontentò, durante la sua vita, di esortarci con molti sermoni ed esempi all'amore della santissima povertà e alla sua osservanza, ma ci trasmise molti scritti, affinché dopo la sua morte non ci scostassimo per nulla da essa, come il Figlio di Dio, mentre visse nel mondo, non volle mai allontanarsi dalla medesima santa povertà. E il beatissimo padre nostro Francesco, avendo imitato le sue vestigia, la sua santa povertà, che scelse per sé e per i suoi frati, finché visse, non si scostò affatto da essa, con il suo esempio e la sua dottrina.

Io, dunque, Chiara, ancella, benché indegna, del Cristo e delle sorelle povere del monastero di San Damiano, e pianticella del santo padre, considerando con le mie altre sorelle la nostra così alta professione e il comando di un tale padre, e anche la fragilità delle altre, che noi temevamo in noi stesse dopo il trapasso del nostro santo padre Francesco, che era la nostra colonna, la nostra unica consolazione dopo Dio e il nostro appoggio, ancora e ancora ci siamo volontariamente obbligate alla nostra santissima madonna povertà, cosicché dopo la mia morte le sorelle, che sono e che verranno, non possano in alcun modo scostarsi da essa.

E come io fui sempre zelante e sollecita nell'osservare e nel fare osservare dalle altre la santa povertà che abbiamo promesso al Signore e al nostro padre il beato Francesco, così quelle che mi succederanno nell'ufficio siano tenute sino alla fine a osservare con l'aiuto di Dio e a far osservare la santa povertà. Anzi, per maggiore precauzione, fui sollecita a far corroborare la nostra professione della santissima povertà, che abbiamo promessa al Signore e al nostro beatissimo padre, con dei privilegi del signor papa Innocenzo, al tempo del quale noi cominciammo, e dei suoi successori, affinché in nessun momento ci scostiamo in alcun modo da essa.

Perciò, piegate le ginocchia e inclinato l'uno e l'altro uomo, raccomando tutte le mie sorelle che sono e che verranno, alla santa madre Chiesa Romana, al sommo pontefice e in particolare al signor cardinale che è stato deputato alla religione dei Frati Minori e a noi, affinché per amore di quel Dio, che povero fu posato nel presepe, povero visse nel mondo
e nudo rimase sul patibolo, faccia che sempre il suo piccolo gregge, che il Signor Padre ha generato nella sua santa Chiesa per mezzo della parola e dell'esempio del nostro beatissimo padre san Francesco per seguire la povertà e l'umiltà del suo Figlio diletto e della gloriosa Vergine, sua madre. osservi la santa povertà che abbiamo promesso a Dio e al nostro beatissimo padre san Francesco, e che si degni sempre di incoraggiarle e conservarle.

E come il Signore ci diede il nostro beatissimo padre Francesco come fondatore, piantatore e nostro aiuto nel servizio del Cristo e in ciò che abbiamo promesso al Signore e al nostro beato padre, il quale pure, mentre visse, fu sollecito con la parola e l'opera a coltivare accuratamente e favorire sempre noi, pianticella sua, così io raccomando e lascio le mie sorelle, che sono e che verranno, al successore del beatissimo padre nostro Francesco e a tutta la religione, affinché ci siano sempre di aiuto nel progredire in meglio per servire Dio e soprattutto per osservare meglio la santissima povertà.

Se poi accadesse che in qualche tempo le dette sorelle lasciassero il detto luogo e si trasferissero in un altro siano tenute, dopo la mia morte, dovunque siano, a osservare la predetta forma di povertà, che abbiamo promesso a Dio e al nostro beatissimo padre Francesco.

Tuttavia, colei che sarà nell'ufficio delle sorelle, come pure le altre, sia sollecita e previdente, affinché riguardo al luogo suddetto, non acquistino o non ricevano di terra, se non tanto quanto lo esige l'estrema necessità per un orto da coltivare a ortaggi. E se da qualche parte per l'onestà e il ritiro del monastero, occorresse aver più terra fuori della cinta dell'orto, non permettano che sia acquistata e nemmeno che ne ricevano di più di quanto non lo esiga l'estrema necessità. E quella terra non venga affatto lavorata, né seminata, ma rimanga sempre come sodaglia incolta.

Ammonisco ed esorto nel Signore Gesù Cristo tutte le mie sorelle, che sono e che verranno, perché attendano con ardore a imitare la via della santa semplicità, umiltà, povertà e anche l'onestà della santa conversazione, come fin dall'inizio della nostra conversione siamo state ammaestrate accuratamente dal Cristo e dal nostro beatissimo padre il beato Francesco. Dalle quali sparse l'odore della buona fama, tanto a quelli che sono lontani quanto a quelli che sono vicini, lo stesso Padre delle misericordie non per i nostri meriti, ma per la sola misericordia e grazia di largitore. E amandovi le une le altre della carità del Cristo, dimostrate fuori per mezzo delle opere, l'amore che avete dentro, cosicché, provocate da tale esempio, le sorelle crescano sempre nell'amore di Dio e nella mutua carità.

Prego anche colei che sarà nell'ufficio delle sorelle, perché attenda con ardore a precedere le altre piuttosto nelle virtù e nei santi costumi che nell'ufficio, in tal maniera che le sue sorelle, provocate dal suo esempio, non obbediscano tanto per l'ufficio quanto per amore. Sia anche previdente e discreta riguardo alle sue sorelle, come una buona madre verso le sue figlie, e specialmente si adoperi con zelo a provvedere loro secondo la necessità di ciascuna, con le elemosine che il Signore darà. Sia anche tanto benigna e affabile, che possano manifestare le loro necessità con sicurezza e ricorrere a lei in ogni ora con confidenza, come crederanno meglio, tanto per sé che per le loro sorelle.

Le sorelle poi che sono suddite si ricordino di avere rinnegato, per Dio, le proprie volontà. Perciò voglio che obbediscano alla loro madre, di loro spontanea volontà, come hanno promesso al Signore, cosicché la loro madre, vedendo la carità, l'umiltà, e l'unità che hanno reciprocamente, porti più lievemente l'onere che per causa dell'ufficio sopporta, e per la loro santa conversazione, ciò che è molesto e amaro le si muti in dolcezza.

E perché stretti sono la via e il sentiero, e angusta la porta per la quale si va e si entra nella vita, pochi sono anche coloro che camminano e entrano per essa. E se ci sono alcuni che per qualche tempo vi camminano, pochissimi sono quelli che in essa perseverano. Ma sono beati coloro ai quali è dato di camminare per essa e perseverare fino alla fine.

Badiamo dunque che, se siamo entrate nella via del Signore, che per colpa nostra e ignoranza, non abbiamo da scostarcene in nessuna maniera in nessun tempo, affinché non abbiamo da recare ingiuria a tanto Signore e alla sua Vergine madre e al padre nostro beato Francesco, alla Chiesa trionfante e anche militante. E' scritto infatti: Maledetti coloro che si scostano dai tuoi comandamenti.

Perciò piego le mie ginocchia al Padre del Signore nostro Gesù Cristo, affinché, con l'appoggio dei meriti della gloriosa Vergine santa Maria madre sua e del nostro beatissimo padre Francesco e di tutti i santi, il Signore stesso, che ha dato un buon principio, dia la crescita e dia anche la perseveranza finale.

Amen.


Questo scritto, perché meglio debba essere osservato, lo lascio a voi, carissime e dilette sorelle mie, presenti e venture, in segno della benedizione del Signore e del beatissimo padre nostro Francesco e della benedizione mia, vostra madre e ancella.
 


 
Le Lettere ad Agnese di Boemia
 

Introduzione Lettere
alla Prima Lettera Prima Lettera
alla Seconda Lettera Seconda Lettera
alla Terza Lettera Terza Lettera
alla Quarta Lettera Quarta Lettera

 

 

Introduzione

 

Agnese di Boemia era una delle donne più importanti di Europa. Figlia del re Otokar I de Boemia e di Costanza di Ungheria, da parte di madre era cugina di S. Elisabetta di Ungheria.

L'amicizia tra questa figlia della più alta nobiltà di stirpe regale e la più modesta figlia di Favarone di Offreduccio cavaliere di Assisi rappresenta una delle pagine più belle della storia del movimento religioso femminile del XIII secolo. Le due donne non si incontrarono mai. I loro contatti si limitarono allo scambio epistolare, che probabilmente fu più intenso di quanto le quattro lettere conservate testimonino. Eppure, malgrado questa rarefazione di rapporti, non vi è alcun dubbio che la loro amicizia fu determinante non solo per Agnese, ma anche per la stessa Chiara.  

 

(Inizio Lettere Agnese)              La Prima Lettera

 

Quando Chiara le scrisse la prima lettera (1234), Agnese era nel momento di svolta della sua vita. Essendo infatti stata allevata nella prospettiva di vantaggiose alleanze matrimoniali per la casa di Boemia, Agnese si era trovata, non molti anni prima, al centro di una contesa matrimoniale tra il re d'Inghilterra Enrico III e lo stesso imperatore Federico II. Le alterne vicende della politica europea però e soprattutto la morte del padre nel 1230 fecero fallire tutti questi progetti. In questi anni Agnese non era rimasta strumento passivo nella mano del padre e poi del fratello Venceslao, ma aveva mostrato doti e determinazione non comuni. La sua scelta religiosa trovò pieno compimento con l'incontro con i frati minori, alla loro prima missione in Boemia. Agnese si preoccupò della loro sistemazione, provvedendo alla realizzazione di un ospedale e poi di un convento, vicino al nuovo monastero destinato ad accogliere una comunità di damianite. Le prime cinque monache seguaci di Chiara arrivarono a Praga nel 1233, ma non da Assisi, bensì da Trento, probabilmente perché la vicinanza geografica e linguistica consentiva un più facile inserimento in Boemia. Nel novembre dello stesso anno fecero ingresso nel nuovo monastero le prime sette novizie boeme. Agnese invece aspettò ancora sei mesi, fino alla Pentecoste del 1234, giorno in cui, in una cerimonia tra le più solenni, alla presenza di sette vescovi e di tutta la famiglia reale, prese l'abito di S. Chiara.

Di tutti questi episodi ci sono ampi riferimenti nella prima lettera di Chiara ad Agnese, che deve essere stata scritta poco prima o poco dopo. E' un primo contatto: Chiara infatti usa il "voi" (mentre nelle lettere successive userà un più familiare "tu"). E' allo stesso tempo una lettera molto rispettosa - come si conviene ad una missiva indirizzata ad una donna, che, seppure più giovane, è ei rango sociale tanto elevato - ma anche molto esplicita nel presentare l'ideale di povertà proprio delle comunità di damianite. Ben 16 sui 35 versetti che costituiscono la lettera, infatti, contengono un bell'inno alla povertà, in cui tra l'altro Chiara mette in mostra una non banale sensibilità letteraria. Naturalmente non va trascurato il fatto che, con tutta probabilità, Chiara dettava i suoi testi e che quindi uno o più copisti parteciparono alla redazione definitiva. I contenuti di questo "inno alla povertà", come del resto l'insieme delle lettere, sono così tipicamente clariani, che nessuno oggi mette in discussione il fatto che Chiara ne sia la sostanziale autrice.  

 

(Inizio Lettere Agnese)         La Seconda Lettera

 

Pochi mesi dopo la sua entrata in monastero Agnese aveva ottenuto dal papa Gregorio IX ( l'antico cardinale Ugolino dei Conti di Segni, protettore dell'Ordine ed amico personale di Francesco e di Chiara) una bolla con la quale la Sede Apostolica si assumeva la proprietà dell'Ospedale e del monastero da lei fondato. Era il primo passo della giovane principessa verso una vita di assoluta povertà. In seguito, per meglio uniformarsi allo spirito di San Damiano, Agnese chiese al papa di poter seguire anche a Praga la forma di vita che Francesco aveva composto per Chiara e per le sue compagne. Gregorio IX si rifiutò, specificando che, a suo avviso, il santo, con spirito materno, aveva dato a Chiara la piccola forma di vita (formula vita) come latte da bere, ma che ora Agnese e le sue sorores avrebbero dovuto seguire la Regola di Benedetto con l'aggiunta delle Costituzioni da lui stesso preparate quando ancora era cardinale. Forse per venire incontro al desiderio di Agnese di legarsi intimamente alle consuetudini di San Damiano però il papa, in quella stessa occasione, concedeva anche al monastero di Praga una sorta di Privilegium paupertatis.

La seconda delle lettere conservate va collocata nel tempo intermedio tra la richiesta di Agnese (della quale probabilmente Chiara era a conoscenza) e la risposta del pontefice, in ogni caso dunque prima del 1238.

Tutto il contenuto, a cominciare dal saluto iniziale in cui Chiara augura "salutem et semper in summa vivere paupertate", è centrato sul tema della povertà, cui sono dedicati ben 24 versetti sui 26 complessivi. Il passaggio più controverso è quello riferito ad Elia, verso il quale Chiara mostra di avere grande rispetto e considerazione. Che Chiara, della quale sono noti i rapporti di amicizia con Leone e gli altri socci di Francesco, possa esser stata in buona relazione anche con Elia appare strano a chi legga la storia dei primi decenni francescani alla luce della successiva contrapposizione tra Spirituali e Comunità. Ma questa profonda amicizia di Chiara con Elia non appare forse come un indizio di un qual certo legame tra i membri della prima generazione francescana, che furono accolti nell'Ordine da Francesco stesso? Tale legame fu forse più forte di quanto non appaia oggi nelle fonti e Chiara sembra aver avuto, in sebi a questa prima generazione francescana, un ruolo non secondario.  

 

(Inizio Lettere Agnese)                  La Terza Lettera  

 

Anche la terza lettera deve essere stata scritta più o meno nello stesso periodo della seconda. Questa volta pero Chiara risponde ad un preciso quesito di Agnese riguardo al digiuno e lo fa sotto l'autorità di uno scritto che Francesco stesso avrebbe lasciato per le sorores di San Damiano (che purtroppo è andato perduto). Emerge dalla lettera il desiderio grande di Agnese di conformarsi in tutto alle consuetudini di vita di Chiara e delle sue sorores e, al tempo stesso, la gioia di quest'ultima nel percepire tale determinazione di Agnese, al punto che non esita a dire: "per usare propriamente le parole dell'Apostolo stesso, ti considero adiutrice di Dio stesso e colei che solleva le membra cadenti del suo corpo ineffabile". Qui il riferimento è a 1 Cor. 3,9 e Rm. 16,3 laddove Paolo attribuisce il titolo di "collaboratore di Dio" allo stesso ministero apostolico. Il ragionamento di Chiara appare quanto mai forte: Agnese, rinunciando a vanità e superbia ed abbracciando umiltà e povertà può essere considerata al pari degli apostoli. E' forse la prima volta, nella storia della Chiesa, che un tale titolo viene applicato al femminile.  

(Inizio Lettere Agnese)                 La Quarta Lettera  

 

L'ultima lettera ad Agnese si riferisce invece agli ultimi tempi della vita di Chiara. Tra la prima e l'ultima sono passati dunque circa vent'anni, durante i quali l'amicizia tra le due donne, così lontane eppure così vicine, si è andata rafforzando. Non sempre la corrispondenza è stata serrata come avrebbero desiderato le due protagoniste, e di questo Chiara si scusa nell'inizio della lettera, dicendo: "non credere in alcun modo che l'incendio della carità verso di te arda meno soavemente nelle viscere di tua madre. Questo è l'impedimento: la mancanza di messaggeri e i manifesti pericoli delle strade".

Quest'ultima missiva è quasi un testamento spirituale: sono predominanti i temi del martirio e delle nozze mistiche, che ricevono una luce particolare dalla circostanza che Chiara sente prossima la sua morte e quindi il suo incontro con il Signore. E' per questo stesso motivo che questa lettera è anche lo scritto di Chiara con il più alto numero di citazioni del Cantico dei Cantici. La conclusione segna forse l'apice del sentimento affettuoso di Chiara verso Agnese: "O figlia benedetta, poiché la dilezione che ho verso di te in alcun modo si potrebbe esprimere più pienamente con lingua carnale, ciò che ti ho scritto incompiutamente, ti prego di accoglierlo benignamente e devotamente, badando in esso almeno all'affetto materno, del cui ardore di carità ogni giorno ardo per te e per le figlie tue, alle quali raccomanda molto me e le mie figlie in Cristo".

Agnese di Boemia, che è stata proclamata santa il 12 nov. 1989, ha conosciuto solo negli ultimi anni l'attenzione che meritava da parte degli studiosi.

 

Le Lettere

  

  (Inizio Lettere Agnese)  

  PRIMA LETTERA

 alla Beata Agnese di Praga

(Prima dell'11 giugno 1234)  

 

(1) Alla venerabile e santissima vergine, donna Agnese, figlia dell'eccellentissimo e illustrissimo re di Boemia, (2) Chiara, serva indegna di Gesù Cristo e inutile ancella delle donne incluse del monastero di San Damiano, sua suddita in tutto e ancella , ogni raccomandazione di sé, con riverenza speciale, per ottenere la gloria dell'eterna felicità.

(3) Udendo l'onestissima fama della vostra santa conversazione e della vostra santa vita, che non solo fino a me è giunta, ma è stata splendidamente divulgata in quasi tutta la terra, godo molto nel Signore ed esulto; (4) di questo, non solo io personalmente, posso esultare, ma tutti coloro che fanno e desiderano di fare il servizio di Gesù Cristo.

(5) Di qui viene che, mentre avreste potuto godere, più degli altri, delle pompe, degli onori e della dignità del secolo, potendo con gloria eccellente sposare legittimamente l'illustre imperatore, come sarebbe stato conveniente alla vostre e alla sua eccellenza, (6) rigettando tutto ciò, avete scelto, con tutta l'anima e con tutto lo slancio del cuore, piuttosto la santissima povertà e la penuria del corpo, (7) prendendo uno sposo di più nobile origine, il Signore Gesù Cristo, che custodirà la vostra verginità sempre immacolata e intatta.

(8) Amandolo, siete casta, toccandolo, diventerete più monda,
accogliendolo in voi, siete vergine;

(9) la sua potenza è più forte, la generosità più elevata, il suo aspetto più bello, l'amore più soave e ogni grazia più fine.

(10) Già siete stretta dagli amplessi di lui, che il vostro petto ha ornato di pietre preziose e alle vostre orecchie ha messo perle inestimabili,

(11) e vi ha tutta avvolta di primaverili e corrusche gemme e vi ha incoronata con una corona d'oro espressa con il segno della santità.

(12) Quindi, sorella carissima, o piuttosto signora straordinariamente degna di ogni venerazione, perché siete sposa e madre e sorella del mio Signore Gesù Cristo, (13) insignita dello smagliante stendardo dell'inviolabile verginità e della santissima povertà, siate corroborata nel santo servizio, incominciato con ardente desiderio, del povero Crocifisso, (14) che per noi tutti sopportò la passione della croce, strappandoci al potere del principe delle tenebre, nel quale per la trasgressione del primo parente eravamo tenuti legati, e riconciliandoci con Dio Padre Onnipotente.

(15) O beata povertà, a quelle che l'amano e l'abbracciano le ricchezze eterne!

(16) O santa povertà, a loro che l'hanno e la desiderano è promesso da Dio il regno dei cieli e l'eterna gloria e la vita beata senza alcun dubbio è concessa!

(17) O pia povertà, che il Signore Gesù Cristo, il quale reggeva e regge il cielo e la terra, e disse anche e le cose furono fatte, si è degnato al di sopra di tutto abbracciare!

(18) Le volpi infatti hanno tane, ha detto, e gli uccelli del cielo nidi, ma il Figlio dell'uomo, cioè Cristo, non ha dove posare il capo, ma piegato il capo rese lo spirito.

(19) Se dunque un tanto e tale Signore venendo in un utero verginale, volle apparire nel mondo disprezzato, indigente e povero, (20) affinché gli uomini, che erano poverissimi e indigenti, soffrendo l'estrema indigenza di nutrimento celeste, in lui diventassero ricchi possedendo i regni celesti, (21) esultate molto e rallegratevi, ripiena d'immensa gioia e di letizia spirituale, (22) poiché, essendovi piaciuto di più il disprezzo del mondo che gli onori, la povertà più che le ricchezze temporali e nascondere tesori piuttosto in cielo che in terra, (23) là dove né la ruggine li consuma né la tignola li distrugge e i ladri né saccheggiano né rubano, la vostra ricompensa è copiosissima nei cieli, (24) e quasi degnamente avete meritato di essere chiamata sorella, sposa e madre del Figlio del Padre Altissimo e della gloriosa Vergine.

(25) Credo infatti fermamente che abbiate appreso che il regno dei cieli non è promesso e donato dal Signore che ai poveri, perché, quando si ama una cosa temporale, si perde il frutto della carità; (26) ché non si può servire a Dio e a mammona, perché o si ama l'uno o si odia l'altro e o si serve l'uno e si disprezza l'altro; (27) e uno vestito non può lottare con uno nudo, perché chi ha donde essere tenuto cade a terra più presto; (28) e rimanere glorioso nel secolo e regnarvi con Cristo, giacché un cammello potrà passare per la cruna di un ago, prima che un ricco ascenda ai regni celesti. (29) Perciò gettaste le vesti, cioè le ricchezze temporali, per essere in grado assolutamente di non soccombere di fronte al lottatore, per poter entrare per la via stretta e la porta angusta nei regni celesti.

(30) Quale grande e lodevole scambio: abbandonare le cose temporali per le eterne, meritare i beni celesti per i terrestri, ricevere il centuplo per uno e possedere la vita beata.

(31) Perciò ho pensato che bisognava supplicare la eccellenza e la santità vostra con umili preghiere, nelle viscere di Cristo, per quanto posso, in modo tale che vi lasciate fortificare nel suo santo servizio, (32) crescendo di bene in meglio, di virtù in virtù, affinché colui che servite con tutto il desiderio del vostro spirito, si degni di elargire i premi desiderati.

(33) Vi scongiuro anche nel Signore, come posso, di volere, nelle vostre sante preghiere, raccomandare me, vostra serva, anche se inutile, e le altre sorelle a voi devote, dimoranti con me in monastero. Con l'aiuto di esse e (preghiere), possiamo meritare la misericordia di Gesù Cristo, affinché meritiamo di godere insieme con voi l'eterna visione.

(34) State bene nel Signore e pregate per me.  

 

(Inizio Lettere Agnese)        

SECONDA LETTERA

alla Beata Agnese di Praga
(Tra il 1234 e il 1238),  

 

(1) Alla figlia del Re dei re, ancella del Signore dei signori, sposa degnissima di Gesù Cristo e perciò regina nobilissima donna Agnese, (2) Chiara, ancella inutile e indegna delle povere dame, salute e che viva sempre nella somma povertà.

(3) Rendo grazie al dispensatore della grazia, dal quale crediamo che emanino ogni dono ottimo e ogni donazione perfetta, perché ti ha ornata di tanti titoli di virtù e ti ha fatta brillare per le insegne di tanta perfezione, (4) affinché, divenuta imitatrice attenta del Padre perfetto, meriti di diventare tanto perfetta, che i suoi occhi non vedano in te nulla d'imperfetto.

(5) Questa è quella perfezione, per la quale il Re stesso ti associerà a sè nell'etereo talamo, dove siede glorioso su un trono di stelle, (6) perché disprezzando i fastigi del regno terremo e ritenendo poco degne le offerte di un matrimonio imperiale, (7) diventata emula della santissima povertà in spirito di grande umiltà e di ardentissima carità hai calcato le vestigia di colui, con il quale hai meritato di unirti in matrimonio.

(8) Ma sapendo che tu sei carica di virtù, tralasciando la prolissità delle parole, non voglio caricarti di parole superflue, (9) anche se a te nulla sembri superfluo di quelle dalle quali ti possa provenire qualche consolazione. (10) Ma poiché una sola cosa è necessaria, io questa sola attesto e ti avverto per amore di colui, al quale ti sei offerta come santa e gradevole ostia, (11) che memore del tuo proposito come una seconda Rachele, vedendo sempre il tuo principio, tu tenga ciò che tieni, faccia ciò che fai senza lasciar perdere.

(12) ma con rapida corsa, con passo leggero, senza intoppi ai piedi cosicché neanche i tuoi passi raccolgano la polvere,

(13) godendo sicura e alacre proceda cautamente per il sentiero della beatitudine;

(14) non fidandoti di nulla, non consentendo a nulla,
che ti volesse revocare da questo proposito,
che ti ponesse nella strada uno scandalo,
per non farti adempiere i tuoi voti all'Altissimo
in quella perfezione,
nella quale lo Spirito del Signore ti ha chiamata.

(15) Ma in questo, per camminare più sicuramente sulla via dei comandamenti del Signore, segui il consiglio del nostro venerabile padre, nostro fratello Elia, ministro generale; (16) preferiscilo ai consigli degli altri e considerarlo come il più caro dei doni.

(17) Che se qualcuno ti dicesse altra cosa, ti suggerisse altro, che possa impedire la tua perfezione, che paresse contrario alla vocazione divina,
benché tu debba venerarlo, non volerne seguire il consiglio, (18) ma vergine povera, abbraccia il Cristo povero.

(19) Vedi che si è fatto spregevole per te e seguilo, fatta tu stessa spregevole per lui in questo mondo. (20) Nobilissima regina, guarda, considera, contempla, desiderando di imitarlo, il tuo sposo, il più bello tra i figli degli uomini, fattosi per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprezzato, percosso e flagellato in tutto il corpo in molti modi, morente tra le angosce stesse della croce.

(21) Se soffrirai con lui, con lui regnerai, condolendoti, godrai con lui,
morendo con lui nella croce della tribolazione, con lui possiederai negli splendori dei santi le dimore celesti (22) e il tuo nome sarà notato nel libro della vita per divenire glorioso tra gli uomini.

(23) Perciò in eterno e nei secoli dei secoli, avrai parte alla gloria del regno celeste in cambio delle cose terrene e transitorie, ai beni eterni in cambio dei beni perituri e vivrai nei secoli dei secoli.

(24) Sta bene, carissima sorella e signora, per il Signore tuo sposo; (25) e pensa, nelle tue devote preghiere, di raccomandare me con le mie sorelle, noi che godiamo dei beni del Signore, che in te opera per sua grazia. (26) Raccomandaci anche molto alle tue sorelle.  

 

(Inizio Lettere Agnese)           

TERZA LETTERA

alla Beata Agnese di Praga
(Inizio 1238)  

 

(1) Alla signora per lei reverendissima nel Cristo e alla sorella da amare prima di tutte le mortali, Agnese, sorella dell'illustre re di Boemia, ma ora sorella e sposa del sommo Re dei cieli, (2) Chiara, umilissima e indegna ancella del Cristo e serva delle povere dame, gaudi della salvezza nell'autore della salvezza e tutto ciò che di meglio si può desiderare.

(3) Poiché dalla tua buona salute, dallo stato felice e dai prosperi successi arguisco che nella corsa intrapresa per ottenere la ricompensa celeste, sei piena di vigore, sono piena di tanto gaudio (4) e respiro tanta esultanza nel Signore, quanto conosco e considero che tu supplisci meravigliosamente in me e nelle altre sorelle il difetto nella imitazione delle vestigia di Gesù Cristo povero e umile.

(5) Veramente posso godere, né alcuno potrebbe farmi aliena a tanto gaudio, (6) mentre, tenendo già ciò che sotto il cielo ho ardentemente desiderato, ti vedo, sostenuta da una meravigliosa prerogativa di sapienza proveniente dalla bocca stessa di Dio, soppiantare in una maniera terribile e inopinata le astuzie dello scaltro nemico, l'orgoglio che perde la natura umana, la vanità che rende stolti i cuori umani; (7) e ti vedo abbracciare con l'umiltà, la forza della fede e le braccia della povertà, il tesoro incomparabile nascosto nel campo del mondo e dei cuori umani, con il quale si compra colui dal quale tutto è stato fatto dal nulla; (8) e per usare propriamente le parole dell'Apostolo stesso, ti considero adiutrice di Dio stesso e colei che solleva le membra cadenti del suo corpo ineffabile.

(9) Chi direbbe dunque che non godo di tante mirabili gioie? (10) Godi dunque sempre nel Signore anche tu, carissima, (11) né ti inviluppino l'amarezza e la nebbia, o dilettissima signora in Cristo, gaudio degli angeli e corona delle sorelle;
(12) fissa la tua mente nello specchio dell'eternità, fisa la tua anima nello splendore della gloria,
(13) fissa il tuo cuore nella effigie della divina sostanza e attraverso la contemplazione trasforma tutta te stessa nell'immagine della sua divinità,
(14) per sperimentare anche tu ciò che provano gli amici gustando la nascosta dolcezza, che Dio stesso ha riservato fin dall'inizio ai suoi amanti. (15) E lasciati affatto da parte quelli che, nel mondo fallace e perturbabile irretiscono i loro ciechi amanti, ama totalmente colui, che per il tuo amore ha donato tutto se stesso, (16) la cui bellezza ammirano il sole e la luna, i cui premi e la loro preziosità e grandiosità non hanno fine; (17) voglio dire il Figlio dell'Altissimo, che la Vergine ha partorito e dopo il parto del quale è rimasta vergine. (18) Sta attaccata alla dolcissima madre sua, che ha generato un tale Figlio, che i cieli non potevano contenere, (19) e tuttavia ella ha raccolto nel piccolo chiuso del sacro utero e ha portato nel grembo di adolescente.

(20) Chi non aborrirebbe le insidie del nemico del genere umano, che per mezzo del fasto di momentanee e fallaci glorie spinge a ridurre a nulla ciò che è più grande del cielo? (21) Ora è chiaro che, per grazia di Dio, la più degna di tutte le creature, l'anima dell'uomo fedele, è più grande del cielo, (22) poiché i cieli, con le altre creature, non possono contenere il Creatore e solo l'anima fedele è sua dimora e suo seggio, e ciò soltanto grazie alla carità di cui mancano gli empi, (23) come dice la Verità: Chi ama me sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò, e verremo a lui e faremo dimora presso di lui.

(24) Come dunque la gloriosa Vergine delle vergini lo ha portato materialmente, (25) così anche tu, seguendo le sue vestigia, specialmente quelle della umiltà e della povertà, lo puoi sempre portare, senza alcun dubbio, spiritualmente in un corpo casto e verginale, (26) contenendo colui dal quale tu e ogni cosa siete contenute, possedendo ciò che anche paragonato con gli altri possessi transeunti di questo mondo possiederai più fortemente. (27) In ciò s'ingannano certi re e regine mondani, (28) le cui superbie, anche se ascendessero fino al cielo e il cui capo anche toccasse le nubi, alla fine saranno ridotti a un letamaio.

(29) A proposito delle cose per le quali tu mi hai già domandato di aprirmi a te, (30) cioè quali sarebbero le feste - come credo tu abbia fino a un certo punto calcolato - che il nostro gloriosissimo padre san Francesco ci avrebbe esortato di celebrare in modo speciale con una variazione di cibi, ho pensato che bisognava rispondere alla tua carità. (31) La tua prudenza avrà saputo che, eccettuate le deboli e le malate, per le quali ci ha esortato e comandato a usare ogni discrezione possibile riguardo a ogni cibo, (32) nessuna di noi sana e valida dovrebbe mangiare se non cibi quaresimali soltanto, tanto nei giorni feriali che in quelli festivi, digiunando ogni giorno, (33) eccettuate le domeniche e il Natale del Signore, nei quali dovremmo mangiare due volte al giorno. (34) E così pure il giovedì, in tempo ordinario, a volontà di ciascuna, cosicché chi non volesse non sarebbe tenuta a digiunare. (35) Tuttavia noi sane digiuniamo ogni giorno, eccetto la domenica e il Natale. (36) Per tutto il tempo di Pasqua però, come dice lo scritto del beato Francesco, e nelle festività di Santa Maria e dei santi apostoli nemmeno siamo tenute, salvo che queste feste non cadano di venerdì; (37) e come è stato detto sopra, sempre che siamo sane e valide, noi mangiamo cibi quaresimali.

(38) Ma siccome la nostra carne non è carne di bronzo, né la nostra forza è la forza della pietra, (39) ché anzi siamo fragili e proclive a ogni debolezza corporale, (40) carissima, io ti prego e ti domando nel Signore di ritrarti saggiamente e discretamente da una certa austerità nell'astinenza, indiscreta e impossibile, che ho saputo tu hai intrapreso, (41) affinché vivente confessi il Signore, e renda al Signore il tuo ossequio ragionevole e il tuo sacrificio sempre condito di sale.

(42) Sta bene nel Signore, come io mi auguro di stare bene e raccomanda sia me che le mie sorelle nelle tue sante orazioni.  

 

(Inizio Lettere Agnese)        

  QUARTA LETTERA

alla Beata Agnese di Praga
(tra il febbraio e i primi di agosto 1253)  

 

(1) Alla metà dell'anima sua e allo scrigno dell'amore singolare del suo cuore, all'illustre regina, alla sposa dell'Agnello Re eterno, a donna Agnese, madre sua carissima e figlia fra tutte le altre speciale, (2) Chiara, indegna serva di Cristo e ancella inutile delle sue ancelle che dimorano nel monastero di San Damiano di Assisi, (3) salute e che con trono di Dio e dell'Agnello e che segua l'Agnello dovunque andrà.

(4) O madre e figlia, sposa del Re di tutti i secoli, benché non ti abbia scritto frequentemente, come la tua e la mia anima ugualmente desiderano e in certo modo bramano, non meravigliarti (5) e non credere in alcun modo che l'incendio della carità verso di te arda meno soavemente nelle viscere di tua madre. (6) Questo èl'impedimento: la mancanza di messaggeri e i manifesti pericoli delle strade. (7) Ma ora, scrivendo alla tua carità godo ed esulto con te nel gaudio dello spirito, o sposa di Cristo, (8) perché come l'altra vergine santissima, santa Agnese, sei stata meravigliosamente fidanzata all'Agnello immacolato, che toglie i peccati del mondo, abbandonate tutte le vanità di questo mondo.

(9)Felice certo colei a cui è dato di godere di questo sacro banchetto,
per aderire con tutte le fibre del suo cuore a colui

(10) del quale tutte le beate armate dei cieli ammirano incessantemente la bellezza, (11) il cui amore appassionata, la cui contemplazione ristora,
la cui benignità sazia; (12) la cui soavità riempie, la cui memoria brilla soavemente, (13) al cui odore i morti rivivranno, la cui visione gloriosa renderà beati tutti i cittadini della celeste Gerusalemme; (14) poiché egli è lo splendore dell'eterna gloria, il candore della luce eterna e lo specchio senza macchia.

(15) Questo specchio, guardalo ogni giorno, o regina, sposa di Gesù Cristo, e di continuo scruta attentamente in lui il tuo volto, (16) cosicché interiormente ed esternamente tutta ti adorni, avvolta e cinta di vari colori, (17) adornata pure con i fiori e le vesti di tutte le virtù, come conviene, figlia e sposa carissima del sommo Re. (18) In questo specchio poi rigulge la beata povertà, la santa umiltà e l'ineffabile carità, come potrai contemplare in tutto lo specchio, con la grazia di Dio.

(19)Considera, dico, il principio di questo specchio, la povertà di colui che èstato posato in un presepe e avvolto in pannicelli. (20) O ammirabile umiltà, o stupenda povertà! (21) Il Re degli angeli, il Signore del Cielo e della terra posato nel presepe. (22) In mezzo allo specchio poi considera l'umiltà, almeno la beata povertà, gli innumerevoli disagi e le pene che ha sostenuto per la redenzione del genere umano. (23) Alla fine di questo stesso specchio contempla la carità ineffabile, per la quale ha voluto patire sull'albero della croce e morirvi con un genere di morte più turpe di ogni altro.

(24) Così lo stesso specchio, posto sul legno della croce, ammoniva egli stesso i passanti di ciò che là bisognava considerare, dicendo: (25) O voi tutti che passate per via, considerate e vedete se c'è un dolore pari al mio; (26) rispondiamo, dice, d'un solo spirito, a colui che grida e si lamenta d'una sola voce: Nella mia memoria mi ricorderò e la mia anima in me si struggerà.

(27) Possa tu dunque, o regina del celeste Re, accenderti sempre più fortemente di questo ardore di carità (28) Contemplando inoltre le indicibili sue delizie, ricchezze e onori perpetui (29) e sospirando per l'eccessivo desiderio e amore del cuore, proclami:

(30) Trascinami dietro a te, corriamo seguendo l'odore dei tuoi unguenti,
sposo celeste! (31) Correrò e non verrò meno, finché tu non m'introduca nella cella del vino, (32) finché la tua sinistra non sia sotto il mio capo
e la tua destra non mi abbracci felicemente, e tu mi baci con il più felice bacio della tua bocca. (33) Posta in questa contemplazione, abbi memoria della tua madre poverella, (34) sapendo che io ho inciso inseparabilmente la tua felice memoria nelle tavole del mio cuore, avendoti tra tutti come la più cara.

(35) Che più? Nella dilezione di te taccia la lingua carnale; o piuttosto parli la lingua dello spirito. (36) O figlia benedetta poiché la dilezione che ho verso di te, in alcun modo si potrebbe esprimere più pienamente con lingua carnale, (37) ciò che ti ho scritto incompiutamente, ti prego di accoglierlo benignamente e devotamente, badando in esso almeno all'affetto materno, del cui ardore di carità ogni giorno ardo per te e per le figlie tue, alle quali raccomanda molto ma e le mie figlie in Cristo. (38) Le medesime mie figlie, ma specialmente la prudentissima vergine Agnese, sorella nostra, per quanto possono, si raccomandano nel Signore a te e alle tue figlie.

(39) Sta bene, carissima figlia, insieme alle figlie tue fino al trono di gloria del grande Iddio e pregate per noi.

(40)  Con la presente per quanto posso, raccomando alla tua carità i latori della medesima, i carissimi fratelli nostri frate Amato, amato da Dio e dagli uomini e il frate Bonagura. Amen .

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