Proemio
1.
La musica sacra ha formato oggetto di considerazione da parte del
Concilio Vaticano II, per gli aspetti che hanno relazione con la riforma
liturgica. Il Concilio, infatti, ne ha messo in rilievo i compiti nel
culto divino, fissando in proposito vari princìpi e varie norme nella
Costituzione sulla sacra Liturgia, e dedicandole un intero capitolo
nella medesima Costituzione.
2.
Le decisioni del Concilio hanno già avuto una prima applicazione nella
riforma liturgica da poco iniziata. Ma le nuove norme circa
l’ordinamento dei riti e la partecipazione attiva dei fedeli hanno
suscitato alcune difficoltà riguardanti la musica sacra e il suo compito
ministeriale. È quindi sembrato utile risolvere tali difficoltà anche
per mettere meglio in luce alcuni principi posti dalla Costituzione
sulla sacra Liturgia.
3.
Pertanto il «Consilium» per l’applicazione della Costituzione sulla
sacra Liturgia, per incarico del Sommo Pontefice, ha accuratamente
esaminato tali questioni ed ha preparato la presente Istruzione, che non
si propone di raccogliere tutta la legislazione sulla musica sacra, ma
soltanto di fissare le norme principali che sembrano più necessarie in
questo momento. Essa viene quasi a continuare e completare la precedente
Istruzione di questa Sacra Congregazione, ugualmente preparata dal «Consilium»,
riguardante la esatta applicazione della Costituzione sulla sacra
Liturgia, ed emanata il 26 settembre 1964.
4.
È lecito sperare che i pastori d’anime, i musicisti e i fedeli,
accogliendo volentieri e mettendo in
pratica queste norme, uniranno, in piena concordia, i loro sforzi per
raggiungere il vero fine della musica sacra «che è la gloria di Dio e la
santificazione dei fedeli» (1).
a)
Musica sacra è quella che, composta per la celebrazione del culto
divino, è dotata di santità e bontà di forme (2).
b)
Sotto la denominazione di Musica sacra si comprende, in questo
documento: il canto gregoriano, la polifonia sacra antica e moderna nei
suoi diversi generi, la musica sacra per organo e altri strumenti
legittimamente ammessi nella Liturgia, e il canto popolare sacro, cioè
liturgico e religioso (3).
I. Alcune norme generali
5.
L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando è celebrata in
canto, con i ministri di ogni grado che svolgono il proprio ufficio, e
con la partecipazione del popolo (4). In questa forma di celebrazione,
infatti, la preghiera acquista un’espressione più gioiosa, il mistero
della sacra Liturgia e la sua natura gerarchica e comunitaria vengono
manifestati più chiaramente, l’unità dei cuori è resa più profonda
dall’unità delle voci, gli animi si innalzano più facilmente alle cose
celesti per mezzo dello splendore delle cose sacre, e tutta la
celebrazione prefigura più chiaramente la liturgia che si svolge nella
Gerusalemme celeste.
Perciò i pastori di anime si
sforzino in ogni modo di realizzare questa forma di celebrazione; anzi,
sappiano convenientemente applicare, anche alle celebrazioni senza
canto, cui il popolo partecipa, la distribuzione degli uffici e delle
parti, propria dell’azione liturgica celebrata in canto, curando
soprattutto che vi siano i ministri necessari e idonei e sia favorita la
partecipazione attiva dei fedeli. La preparazione pratica di ogni
celebrazione liturgica si faccia d’accordo tra tutti coloro che devono
curare la parte rituale o pastorale o del canto, sotto la guida del
rettore della chiesa.
6.
L’ordinamento autentico della celebrazione liturgica presuppone
anzitutto la debita divisione ed esecuzione degli uffici, per cui
«ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio, si
limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e
le norme liturgiche, è di sua competenza» (5) richiede inoltre che si
rispetti il senso e la natura propria di ciascuna parte e di ciascun
canto. Per questo è necessario in particolare che le parti, che di per
sé richiedono il canto, siano di fatto cantate, usando tuttavia il
genere e la forma richiesti dalla loro natura.
7.
Tra la forma solenne più completa delle celebrazioni liturgiche, nella
quale tutto ciò che richiede il canto viene di fatto cantato, e la forma
più semplice, nella quale non si usa il canto, si possono avere diversi
gradi, a seconda della maggiore o minore ampiezza che si attribuisce al
canto. Tuttavia nello scegliere le parti da cantarsi si cominci da
quelle che per loro natura sono di maggiore importanza: prima di tutto
quelle spettanti al sacerdote e ai ministri, cui deve rispondere il
popolo, o che devono essere cantate dal sacerdote insieme con il popolo;
si aggiungano poi gradualmente quelle che sono proprie dei soli fedeli o
della sola «schola cantorum».
8.
Ogni volta che, per una celebrazione liturgica in canto, si può fare una
scelta di persone, è bene dar la preferenza a coloro che sono più capaci
nel canto; e ciò soprattutto quando si tratta di azioni liturgiche più
solenni, di celebrazioni che comportano un canto più difficile o che
vengono trasmesse per radio o per televisione (6).
Se poi questa scelta non è possibile, e il sacerdote o il ministro non è
capace di eseguire convenientemente le parti di canto, questi può
recitare ad alta voce, declamando, l’una o l’altra delle parti più
difficili a lui spettanti; ma ciò non deve favorire solo la comodità del
sacerdote o del ministro.
9.
Nello scegliere il genere di musica sacra, sia per la «schola cantorum»
che per i fedeli, si tenga conto delle possibilità di coloro che devono
cantare. La Chiesa non esclude dalle azioni liturgiche nessun genere di
musica sacra, purché corrisponda allo spirito dell’azione liturgica e
alla natura delle singole parti (7), e non impedisca una giusta
partecipazione dei fedeli (8).
10.
Perché i fedeli partecipino attivamente alla liturgia più volentieri e
con maggior frutto, conviene che le forme di celebrazione e i gradi di
partecipazione siano opportunamente variati, per quanto è possibile,
secondo la solennità dei giorni e delle assemblee.
11.
Si tenga presente che la vera solennità di un’azione liturgica dipende
non tanto dalla forma più ricca del canto e dall’apparato più fastoso
delle cerimonie, quanto piuttosto dal modo degno e religioso della
celebrazione, che tiene conto dell’integrità dell’azione liturgica,
dell’esecuzione cioè di tutte le sue parti, secondo la loro natura. La
forma più ricca del canto e l’apparato più fastoso delle cerimonie sono
sì qualche volta desiderabili, quando cioè vi sia la possibilità di fare
ciò nel modo dovuto; sarebbero tuttavia contrari alla vera solennità
dell’azione liturgica, se portassero ad ometterne qualche elemento, a
mutarla o a compierla in modo indebito.
12.
Alla sola Sede Apostolica compete di stabilire, secondo le norme
tradizionali, ma specialmente secondo la Costituzione sulla sacra
Liturgia, i princìpi generali più importanti, che sono come il
fondamento della musica sacra. Tale diritto spetta, entro i limiti
stabiliti, anche alle Conferenze Episcopali, legittimamente costituite,
e al Vescovo (9).
II. I partecipanti alle
celebrazioni liturgiche
13.
Le azioni liturgiche sono celebrazioni della Chiesa, cioè del popolo
santo radunato e ordinato sotto la guida del Vescovo o del sacerdote
(10). In esse hanno un posto particolare, per il sacro ordine ricevuto,
il sacerdote e i suoi ministri; e, per l’ufficio che svolgono, i
ministranti, il lettore, il commentatore e i membri della «schola
cantorum» (11).
14.
Il sacerdote presiede la santa assemblea in persona di Cristo. Le
preghiere che egli canta o dice ad alta voce, poiché proferite in nome
di tutto il popolo santo e di tutti gli astanti (12), devono essere da
tutti ascoltate religiosamente.
15.
I fedeli adempiono il loro ufficio liturgico per mezzo di quella piena,
consapevole e attiva partecipazione che è richiesta dalla natura stessa
della Liturgia e alla quale il popolo cristiano ha diritto e dovere in
forza del battesimo (13).
Questa partecipazione:
a)
deve essere prima di tutto interna: e per essa i fedeli conformano la
loro mente alle parole che pronunziano o ascoltano, e cooperano con la
grazia divina (14);
b)
deve però essere anche esterna: e con questa manifestano la
partecipazione interna attraverso i gesti e l’atteggiamento del corpo,
le acclamazioni, le risposte e il canto (15);
Si educhino inoltre i fedeli a saper innalzare la loro mente a Dio
attraverso la partecipazione interiore, mentre ascoltano ciò che i
ministri o la «schola» cantano.
16.
Non c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di una
assemblea che, tutta, esprime con il canto la sua pietà e la sua fede.
Pertanto la partecipazione attiva di tutto il popolo, che si manifesta
con il canto, si promuova con ogni cura, seguendo questo ordine:
a)
Comprenda prima di tutto le acclamazioni, le risposte ai saluti del
sacerdote e dei ministri e alle preghiere litaniche; inoltre le antifone
e i salmi, i versetti intercalari o ritornelli, gli inni e i cantici
(16).
b)
Con una adatta catechesi e con esercitazioni pratiche si conduca
gradatamente il popolo ad una sempre più ampia, anzi fino alla piena
partecipazione a tutto ciò che gli spetta.
c)
Si potrà tuttavia affidare alla sola «schola» alcuni canti del popolo,
specialmente se i fedeli non sono ancora sufficientemente istruiti, o
quando si usano composizioni musicali a più voci, purché il popolo non
sia escluso dalle altre parti che gli spettano. Ma non è da approvarsi
l’uso di affidare per intero alla sola «schola cantorum» tutte le parti
cantate del «Proprio» e dell’«Ordinario», escludendo completamente il
popolo dalla partecipazione nel canto.
17.
Si osservi anche, a tempo debito, il sacro silenzio: (17) per esso,
infatti, i fedeli non sono ridotti a partecipare all’azione liturgica
come estranei e muti spettatori, ma si inseriscono più intimamente nel
mistero che si celebra, in forza delle disposizioni interne, che
derivano dalla Parola di Dio che si ascolta, dai canti e dalle preghiere
che si pronunziano, e dall’unione spirituale con il sacerdote che
proferisce le parti a lui spettanti.
18.
Tra i fedeli siano istruiti con speciale cura nel canto sacro i membri
delle associazioni religiose di laici, affinché contribuiscano più
efficacemente a sostenere e promuovere la partecipazione dei fedeli
(18). La formazione di tutti i fedeli al canto sia promossa con zelo e
pazienza, insieme alla formazione liturgica, secondo l’età, la
condizione, il genere di vita e il grado di cultura religiosa dei fedeli
stessi, iniziando già dai primi anni di istruzione nelle scuole
elementari (19).
19.
È degno di particolare attenzione, per il servizio liturgico che svolge,
il «coro» o «cappella musicale» o «schola cantorum».
A seguito delle norme conciliari
riguardanti la riforma liturgica, il suo compito è divenuto di ancor
maggiore rilievo e importanza: deve infatti curare l’esecuzione esatta
delle parti sue proprie, secondo i vari generi di canto, e favorire la
partecipazione attiva dei fedeli nel canto.
Pertanto:
a)
un «coro» o una «cappella musicale» o una «schola cantorum» si abbia e
si promuova con cura, specialmente nelle cattedrali e nelle altre chiese
maggiori, nei seminari e negli studentati religiosi;
b)
«scholae», benché modeste, è opportuno siano istituite anche presso le
chiese minori.
20.
Le cappelle musicali già esistenti presso basiliche, cattedrali,
monasteri e altre chiese maggiori, e che nel corso dei secoli si sono
acquistate grandi meriti, custodendo e sviluppando un patrimonio
musicale di inestimabile valore, si conservino, con propri regolamenti,
riveduti e approvati dall’Ordinario, per una celebrazione delle azioni
sacre in una forma più sontuosa.
Tuttavia i maestri di quelle «scholae»
e i rettori delle chiese si curino che i fedeli possano sempre
associarsi al canto, almeno nell’esecuzione delle parti più facili che
loro spettano.
21.
Si provveda, specialmente dove non si abbia la possibilità di istituire
neppure una «schola» modesta, che ci siano almeno uno o due cantori,
convenientemente istruiti, che propongano almeno dei canti semplici per
la partecipazione del popolo e guidino e sostengano opportunamente i
fedeli nell’esecuzione di quanto loro spetta. È bene che ci sia un tale
cantore anche nelle chiese che hanno una «schola», per quelle
celebrazioni alle quali la «schola» non può partecipare, e che tuttavia
devono svolgersi con una certa solennità, e perciò con il canto.
22.
La «schola cantorum», secondo le legittime consuetudini dei vari paesi e
le diverse situazioni concrete, può esser composta sia di uomini e
ragazzi, sia di soli uomini o di soli ragazzi, sia di uomini e donne, ed
anche, dove il caso veramente lo richieda, di sole donne.
23.
La «schola cantorum», tenendo conto della disposizione di ogni chiesa,
sia collocata in modo che:
a)
chiaramente appaia la sua natura: che essa cioè fa parte dell’assemblea
dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio;
b)
sia facilitata l’esecuzione del suo ministero liturgico (20);
c)
sia assicurata a ciascuno dei suoi membri la comodità di partecipare
alla Messa nel modo più pieno, cioè attraverso la partecipazione
sacramentale.
Quando poi la «schola cantorum»
comprenda anche donne, sia posta fuori del presbiterio.
24.
Oltre alla formazione musicale, si dia ai membri della «schola cantorum»
anche un’adeguata formazione liturgica e spirituale, in modo che dalla
esatta esecuzione del loro ufficio liturgico, derivi non soltanto il
decoro dell’azione sacra e l’edificazione dei fedeli, ma anche un vero
bene spirituale per gli stessi cantori.
25.
Ad assicurare più facilmente questa formazione tecnica e spirituale,
prestino la loro opera le associazioni diocesane, nazionali ed
internazionali di musica sacra, e specialmente quelle approvate e più
volte raccomandate dalla Sede Apostolica.
26.
Il sacerdote celebrante, i ministri sacri o i ministranti, il lettore, i
membri della «schola cantorum» e il commentatore proferiscano le parti
loro assegnate in modo ben intelligibile, così da rendere più facile e
quasi naturale la risposta dei fedeli, quando è richiesta dal rito. È
bene che il sacerdote e i ministri di ogni grado uniscano la propria
voce alla voce di tutta l’assemblea nelle parti spettanti al popolo
(21).
III. Il canto nella celebrazione
della Messa
27.
Nella celebrazione dell’Eucaristia, con la partecipazione del popolo,
specialmente nelle domeniche e nei giorni festivi, si preferisca, per
quanto è possibile, la forma della Messa in canto anche più volte nello
stesso giorno.
28.
Rimane in vigore la distinzione tra Messa solenne, Messa cantata e Messa
letta, stabilita dalla
Istruzione del 1958 (n. 3), secondo la
tradizione e le vigenti leggi liturgiche. Tuttavia, per motivi
pastorali, vengono proposti per la Messa cantata dei gradi di
partecipazione, in modo che risulti più facile, secondo le possibilità
di ogni assemblea liturgica, rendere più solenne con il canto la
celebrazione della Messa. L’uso di questi gradi sarà così regolato: il
primo potrà essere usato anche da solo; il secondo e il terzo,
integralmente o parzialmente, solo insieme al primo. Perciò si curi di
condurre sempre i fedeli alla partecipazione piena al canto.
29.
Il primo grado comprende:
a) nei riti d’ingresso:
— il saluto del sacerdote celebrante
con la risposta dei fedeli;
— l’orazione;
b) nella liturgia della parola:
— le acclamazioni al Vangelo;
c) nella liturgia eucaristica:
— l’orazione sulle offerte;
— il prefazio, con il dialogo e il
Sanctus;
— la dossologia finale del Canone;
— il Pater noster con la
precedente ammonizione e l’embolismo:
— il Pax Domini;
— l’orazione dopo la comunione;
— le formule di congedo.
30.
Il secondo grado comprende:
a)
il Kyrie, il Gloria e l’Agnus Dei;
b)
il Credo;
c)
l’orazione dei fedeli.
31.
Il terzo grado comprende:
a)
i canti processionali d’ingresso e di comunione;
b)
il canto interlezionale dopo la lettura o l’epistola;
c)
l’Alleluia prima del vangelo;
d)
il canto dell’offertorio;
e)
le letture della sacra Scrittura, a meno che non si reputi più opportuno
proclamarle senza canto.
32.
L’uso legittimamente vigente in alcuni luoghi, qua e là confermato con
indulto, di sostituire con altri testi i canti d’ingresso, d’offertorio
e di comunione che si trovano nel Graduale, può essere conservato, a
giudizio della competente autorità territoriale, purché tali canti
convengano con il particolare momento della Messa, con la festa e il
tempo liturgico. La stessa autorità territoriale deve approvare il testo
di questi canti.
33.
È bene che l’assemblea partecipi, per quanto è possibile, ai canti del
«Proprio»; specialmente con ritornelli facili o forme musicali
convenienti.
Fra i canti del «Proprio» riveste
particolare importanza il canto interlezionale in forma di graduale o di
salmo responsoriale. Esso, per sua natura, fa parte della liturgia della
parola; si deve perciò eseguire mentre tutti stanno seduti e in ascolto
e anzi, per quanto è possibile, con la partecipazione dell’assemblea.
34.
I canti che costituiscono l’Ordinario della Messa, se sono cantati su
composizioni musicali a più voci, possono essere eseguiti dalla «schola»
nel modo tradizionale, cioè o «a cappella» o con accompagnamento,
purché, tuttavia, il popolo non sia totalmente escluso dalla
partecipazione al canto.
Negli altri casi, i canti
dell’Ordinario della Messa possono essere distribuiti tra la «schola» e
il popolo, o anche tra due cori del popolo stesso, in modo cioè che la
divisione sia fatta a versetti alternati, o in altro modo più
conveniente, che tenga conto di sezioni più ampie del testo.
In questi casi, tuttavia, si tenga
presente:
— Il Credo, essendo la
formula di professione di fede, è preferibile che venga cantato da
tutti, o in un modo che permetta una adeguata partecipazione dei fedeli.
— Il Sanctus, quale
acclamazione finale del prefazio, è preferibile che sia cantato,
ordinariamente da tutta l’assemblea, insieme al sacerdote.
— L’Agnus Dei può essere
ripetuto quante volte è necessario, specialmente nella celebrazione,
durante la frazione del Pane. E bene che il popolo partecipi a questo
canto, almeno con l’invocazione finale.
35.
È conveniente che il Pater noster sia cantato dal popolo insieme
al sacerdote (22). Se è cantato in latino, si usino le melodie approvate
già esistenti; se si canta in lingua volgare, le melodie devono essere
approvate dalla competente autorità territoriale.
36.
Nulla impedisce che nelle Messe lette si canti qualche parte del
«Proprio» o dell’«Ordinario». Anzi talvolta si possono usare anche altri
canti all’inizio, all’offertorio, alla comunione e alla fine della
Messa: non è però sufficiente che siano canti «eucaristici», ma devono
convenire con quel particolare momento della Messa, con la festa o con
il tempo liturgico.
IV. Il canto dell’Ufficio divino
37.
La celebrazione in canto dell’Ufficio divino è la forma che maggiormente
si addice alla natura di questa preghiera ed è segno di una più completa
solennità e di una più profonda unione dei cuori nel celebrare la lode
di Dio. Secondo il desiderio espresso dalla Costituzione sulla sacra
Liturgia, questa forma è caldamente raccomandata a coloro che celebrano
l’Ufficio divino in coro o in comune (23).
È bene che essi cantino almeno
qualche parte dell’Ufficio divino e in particolare le Ore principali,
cioè le Lodi e i Vespri, soprattutto la domenica e i giorni festivi.
Anche altri chierici che per ragione
di studio fanno vita in comune, o vengono a trovarsi insieme in
occasione di esercizi spirituali o di altri convegni, santifichino
opportunamente i loro incontri con la celebrazione in canto di alcune
parti dell’Ufficio divino.
38.
Nella celebrazione in canto dell’Ufficio divino, fermi restando il
diritto vigente per coloro che sono obbligati al coro e ogni indulto
particolare, può ammettersi il principio della solennizzazione
progressiva: si possono cioè cantare quelle parti che per loro natura
sono più direttamente destinate al canto, come i dialoghi, gli inni, i
versetti, i cantici, e recitare le altre.
39.
Si invitino i fedeli, e si educhino con una conveniente catechesi, a
celebrare in comune, la domenica e i giorni festivi, alcune parti
dell’Ufficio divino, specialmente i Vespri o altre Ore, secondo la
consuetudine dei luoghi e delle varie comunità. Generalmente
s’indirizzino i fedeli, e in particolare i più istruiti, ad usare nelle
loro preghiere i salmi, compresi nel loro senso cristiano, cosicché
siano a poco a poco iniziati ad usare e gustare maggiormente la
preghiera pubblica della Chiesa.
40.
Questa iniziazione sarà assicurata in modo particolare ai membri degli
Istituti che professano i consigli evangelici, affinché da essa
attingano ricchezze più abbondanti per alimentare la loro vita
spirituale. Ed è bene che essi celebrino anche in canto, per quanto è
possibile, le Ore principali, per partecipare più intensamente alla
preghiera pubblica della Chiesa.
41.
A norma della Costituzione sulla sacra Liturgia, secondo la secolare
tradizione del rito latino, per i chierici sia conservata nell’Ufficio
divino, celebrato in coro, la lingua latina (24).
Ma poiché la stessa Costituzione sulla sacra Liturgia prevede l’uso
della lingua volgare nell’Ufficio divino, sia per i fedeli che per le
monache e i membri, non chierici, degli Istituti che professano i
consigli evangelici (25), si curi la preparazione delle melodie da
usarsi nel canto dell’Ufficio divino in lingua volgare.
V. La musica sacra nella
celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali, in particolari azioni
sacre dell’anno liturgico, nelle sacre celebrazioni della parola di Dio
e nei pii e sacri esercizi
42.
Secondo il principio enunciato dal Concilio, che cioè «ogni volta i riti
comportano, secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione
comunitaria caratterizzata dalla presenza e dalla partecipazione attiva
dei fedeli, questa sia da preferirsi alla celebrazione individuale e
quasi privata» (26), ne consegue necessariamente l’importanza da
attribuire al canto, come mezzo quanto mai adatto a manifestare
l’aspetto «ecclesiale» della celebrazione.
43.
Alcune celebrazioni dei Sacramenti e dei Sacramentali che hanno
particolare importanza nella vita dell’intera comunità parrocchiale,
come la Cresima, le Sacre Ordinazioni, il Matrimonio, la Consacrazione
di una chiesa o di un altare, le esequie, ecc., per quanto è possibile,
si svolgano in canto, in modo che anche la solennità del rito
contribuisca ad una maggiore efficacia pastorale. Si abbia però molta
cura nell’evitare che, sotto le apparenze della solennità, si introduca
nelle celebrazioni alcunché di puramente profano o di meno conveniente
al culto divino: ciò si applica specialmente alla celebrazione dei
matrimoni.
44.
Si rendano più solenni con il canto anche quelle celebrazioni cui la
liturgia assegna, nel corso dell’anno liturgico, uno speciale rilievo.
Ma in modo del tutto particolare si
dia la dovuta solennità ai riti sacri della Settimana santa, i quali,
attraverso la celebrazione del mistero pasquale, conducono i fedeli al
centro stesso dell’anno liturgico e di tutta la liturgia.
45.
Anche per la liturgia dei Sacramenti e dei Sacramentali e per le altre
principali azioni sacre dell’anno liturgico si preparino le opportune
melodie, per promuovere in forma più solenne la loro celebrazione anche
nella lingua volgare, secondo le norme fissate dall’autorità competente
e le possibilità di ciascuna assemblea.
46.
Grande è l’efficacia della musica sacra nell’alimentare la pietà dei
fedeli anche nelle sacre celebrazioni della parola di Dio e nei pii e
sacri esercizi.
Nelle sacre celebrazioni della
parola di Dio (27) si prenderà come esempio la liturgia della Parola
della Messa (28); nei pii e sacri esercizi saranno di grande utilità
specialmente i salmi, le opere di musica sacra tratte dal repertorio
antico e moderno, i canti religiosi popolari e il suono dell’organo e di
altri strumenti più caratteristici. Inoltre in questi pii e sacri
esercizi e specialmente nelle sacre celebrazioni della Parola di Dio, si
possono benissimo ammettere anche alcune opere musicali le quali, benché
non abbiano più posto nella liturgia, possono tuttavia nutrire lo
spirito religioso e favorire la meditazione dei misteri sacri (29).
VI. Quale lingua usare nelle
azioni liturgiche celebrate in canto, e come conservare il patrimonio di
musica sacra
47.
A norma della Costituzione sulla sacra Liturgia, «l’uso della lingua
latina, salvo diritti particolari, venga conservato nei riti latini»
(30). Dato però che «non di rado l’uso della lingua volgare può riuscire
di grande utilità per il popolo» (31), «spetta alla competente autorità
ecclesiastica territoriale, decidere circa l’adozione e la misura della
lingua volgare. Tali decisioni devono essere approvate o ratificate
dalla Sede Apostolica» (32).
Perciò, nel pieno rispetto di queste
norme, si sceglierà la forma di partecipazione che meglio risponde alle
possibilità di ciascuna assemblea.
Curino i pastori d’anime che, oltre
che in lingua volgare, «i fedeli sappiano recitare e cantare insieme,
anche in lingua latina, le parti che loro spettano dell’Ordinario della
Messa» (33).
48.
Là dove è stato introdotto l’uso della lingua volgare nella celebrazione
della Messa, gli Ordinari del luogo giudichino dell’opportunità di
conservare una o più Messe in lingua latina, specialmente in canto, in
alcune chiese, soprattutto delle grandi città, ove più numerosi vengono
a trovarsi fedeli di diverse lingue.
49.
Circa l’uso della lingua latina o volgare nelle sacre celebrazioni nei
seminari, si osservino le norme date dalla Sacra Congregazione dei
Seminari e delle Università degli Studi sulla formazione liturgica dei
chierici.
I membri degli istituti che
professano i consigli evangelici osservino su questo punto quanto è
stato stabilito nella Lettera Apostolica Sacrificium Laudis del
15 agosto 1966, e nella Istruzione sulla lingua da usarsi nell’Ufficio
divino e nella Messa conventuale o di comunità presso i religiosi,
emanata da questa Sacra Congregazione dei Riti il 23 novembre 1965.
50.
Nelle azioni liturgiche in canto celebrate in lingua latina:
a)
Al canto gregoriano, come canto proprio della liturgia romana, si
riservi, a parità di condizioni, il primo posto (34). Le melodie
esistenti nelle edizioni tipiche si usino nel modo più opportuno.
b)
«Conviene inoltre che si prepari un’edizione che contenga melodie più
semplici, ad uso delle chiese minori» (35).
c)
Le composizioni musicali di altro genere, a una o più voci, appartenenti
al patrimonio tradizionale, o contemporanee, siano tenute in onore, si
incrementino e si eseguano secondo la possibilità (36).
51.
Inoltre, tenendo presenti le condizioni dell’ambiente, l’utilità
pastorale dei fedeli e la natura di ogni lingua, vedano i pastori di
anime se — oltre che nelle azioni liturgiche celebrate in latino — parti
del patrimonio di musica sacra, composta nei secoli precedenti per testi
in lingua latina, possano usarsi anche nelle celebrazioni fatte in
lingua volgare. Niente infatti impedisce che in una stessa celebrazione
si cantino alcune parti in un’altra lingua.
52.
Per conservare il patrimonio della musica sacra e per favorire
debitamente le nuove forme del canto sacro, «si curi molto la formazione
e la pratica musicale nei seminari, nei noviziati dei religiosi e delle
religiose e nei loro studentati, come pure negli istituti e scuole
cattoliche in genere», specialmente presso gli Istituti superiori creati
a questo scopo (37). Si incrementi prima di tutto lo studio e l’uso del
canto gregoriano che, per le sue caratteristiche, è una base importante
nella educazione alla musica sacra.
53.
Le nuove composizioni di musica sacra si conformino fedelmente ai
principi e alle norme esposte. Perciò «abbiano le caratteristiche della
vera musica sacra; e possano essere cantate non solo dalle maggiori "Scholae
Cantorum", ma convengano anche alle "Scholae" minori, e favoriscano la
partecipazione attiva di tutta l’assemblea dei fedeli» (38).
Per quanto riguarda il repertorio tradizionale, prima di tutto si
mettano in luce quelle parti che rispondono alle esigenze della sacra
Liturgia rinnovata; gli esperti in materia considerino inoltre
attentamente se anche altre parti possono adattarsi alle stesse
esigenze; quanto infine assolutamente non risponde alla natura
dell’azione liturgica o alla sua conveniente celebrazione pastorale, si
trasferisca opportunamente ai pii esercizi e, più ancora, alle sacre
celebrazioni della Parola di Dio (39).
VII. La preparazione delle
melodie per i testi in lingua volgare
54.
Nel tradurre in volgare le parti che dovranno essere musicate, e
specialmente i salmi, gli esperti abbiano cura che nel testo volgare
siano opportunamente congiunte e la fedeltà al testo latino e
l’adattabilità al canto: in questo lavoro, tengano conto della natura e
delle leggi di ciascuna lingua e dell’indole e delle caratteristiche di
ogni popolo. Tutto questo complesso di dati, insieme alle leggi della
musica sacra, abbiano ben presente anche i musicisti nel preparare le
nuove melodie.
L’autorità territoriale competente provveda perciò che nella commissione
incaricata di preparare le traduzioni in lingua volgare ci siano esperti
per le suddette discipline e per la lingua latina e volgare: tutti
costoro lavorino in piena collaborazione fin dall’inizio.
55.
Spetta all’autorità territoriale competente stabilire se un testo in
lingua volgare, tramandato dal passato, e legato a una melodia, possa
essere usato anche quando non concordi completamente con la versione dei
testi liturgici legittimamente approvata.
56.
Tra le melodie da prepararsi per i testi in volgare, hanno particolare
importanza quelle proprie del sacerdote celebrante e dei ministri, sia
che le debbano cantare da soli o insieme all’assemblea o in dialogo con
essa. Nel comporle, i musicisti vedano se le melodie tradizionali della
liturgia latina, usate a questo scopo, possano suggerire delle melodie
anche per i testi in lingua volgare.
57.
Le nuove melodie per il sacerdote e i ministri devono essere approvate
dalla Autorità territoriale competente (40).
58.
Le Conferenze Episcopali interessate facciano in modo che ci sia
un’unica traduzione per ogni lingua parlata in più regioni. E pure
conveniente che ci siano, per quanto è possibile, una o più melodie
comuni per le parti che spettano al sacerdote celebrante e ai ministri e
per le risposte e le acclamazioni del popolo; e ciò per favorire la
partecipazione comune dei fedeli di una stessa lingua.
59.
I compositori si accingano alla nuova opera con l’impegno di continuare
quella tradizione musicale che ha donato alla Chiesa un vero patrimonio
per il culto divino. Studino le opere del passato, i loro generi e le
loro caratteristiche, ma considerino attentamente anche le nuove leggi e
le nuove esigenze della sacra Liturgia, così che «le nuove forme
risultino come uno sviluppo organico di quelle già esistenti» (41), e le
nuove opere formino una nuova parte del patrimonio musicale della
Chiesa, non indegne di stare a fianco del patrimonio del passato.
60.
Le nuove melodie per i testi in lingua volgare hanno certamente bisogno
di un periodo di esperienza per poter raggiungere sufficiente maturità e
perfezione. Tuttavia si deve evitare che, anche soltanto con il pretesto
di compiere degli esperimenti, si facciano nelle chiese tentativi che
disdicano alla santità del luogo, alla dignità dell’azione liturgica e
alla pietà dei fedeli.
61.
L’adattamento della musica sacra nelle regioni che hanno una propria
tradizione musicale, specialmente nelle Missioni (42), esige una
particolare preparazione da parte dei periti: si tratta infatti di saper
fondere opportunamente il senso del sacro con lo spirito, le tradizioni
e le espressioni caratteristiche di quei popoli. Coloro che si dedicano
a quest’opera devono avere una sufficiente cognizione sia della liturgia
e della tradizione musicale della Chiesa, che della lingua, del canto
popolare e delle espressioni caratteristiche dei popoli in favore dei
quali prestano la loro opera.
VIII. La musica sacra strumentale
62.
Gli strumenti musicali possono essere di grande utilità nelle sacre
celebrazioni, sia che accompagnino il canto sia che si suonino soli.
«Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne,
strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere
una notevole grandiosa solennità alle cerimonie della Chiesa e di
elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti.
Altri strumenti, poi, si possono
ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della
competente autorità ecclesiastica territoriale, purché siano adatti
all’uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del
luogo sacro e favoriscano veramente l’edificazione dei fedeli»(43).
63.
Nel permettere l’uso degli strumenti musicali e nella loro utilizzazione
si deve tener conto dell’indole e delle tradizioni dei singoli popoli.
Tuttavia gli strumenti che, secondo il giudizio e l’uso comune, sono
propri della musica profana, siano tenuti completamente al di fuori di
ogni azione liturgica e dai pii e sacri esercizi (44). Tutti gli
strumenti musicali, ammessi al culto divino, si usino in modo da
rispondere alle esigenze dell’azione sacra e servire al decoro del culto
divino e alla edificazione dei fedeli.
64.
L’uso di strumenti musicali per accompagnare il canto, può sostenere le
voci, facilitare la partecipazione e rendere più profonda
dell’assemblea. Tuttavia il loro suono non deve coprire le voci,
rendendo difficile la comprensione del testo; anzi gli strumenti
musicali tacciano quando il sacerdote celebrante o un ministro,
nell’esercizio del loro ufficio, proferiscono ad alta voce un testo loro
proprio.
65.
Nelle Messe cantate o lette si può usare l’organo, o altro strumento
legittimamente permesso per accompagnare il canto della «schola cantorum»
e dei fedeli; gli stessi strumenti musicali, soli, possono suonarsi
all’inizio, prima che il sacerdote si rechi all’altare, all'offertorio,
alla comunione e al termine della Messa.
La stessa norma vale, fatte le
debite applicazioni, anche per le altre azioni sacre.
66.
Il suono, da solo, di questi stessi strumenti musicali non è consentito
in Avvento, in Quaresima, durante il Triduo sacro, nelle Messe e negli
Uffici dei defunti.
67.
È indispensabile che gli organisti e gli altri musicisti, oltre a
possedere un’adeguata perizia nell’usare il loro strumento, conoscano e
penetrino intimamente lo spirito della sacra liturgia in modo che, anche
dovendo improvvisare, assicurino il decoro della sacra celebrazione,
secondo la vera natura delle sue varie parti, e favoriscano la
partecipazione dei fedeli (45).
IX. Le Commissioni per la musica
sacra
68.
Le Commissioni diocesane di musica sacra sono di valido aiuto nel
promuovere in diocesi la musica sacra in accordo con l’azione liturgica
pastorale.
Devono perciò esistere, per quanto è
possibile, in ogni diocesi, e operare in stretta collaborazione con la
Commissione liturgica. Anzi sarà spesso opportuno che delle due
commissioni se ne formi una sola, composta di esperti nell’una e
nell’altra disciplina; ciò aiuterà a conseguire più facilmente il
risultato voluto. Si raccomanda anche vivamente che più diocesi insieme
costituiscano un'unica Commissione, se ciò sembrerà più utile, per
creare maggiore uniformità in una stessa regione e collocare più
fruttuosamente le forze disponibili.
69.
La Commissione liturgica, che si consiglia di istituire presso la
Conferenza episcopale (46), si interessi anche della musica sacra;
includa perciò tra i suoi membri degli esperti di musica sacra. È bene
che questa commissione si tenga in relazione non solo con le Commissioni
diocesane, ma anche con le altre associazioni musicali esistenti nella
regione. Lo stesso vale anche per l’Istituto pastorale liturgico di cui
si tratta nell’art. 44 della Costituzione.
* * *
Questa Istruzione è stata approvata dal Santo Padre Paolo VI,
nell’udienza concessa a Sua Eminenza il Cardinale Arcadio M. Larraona,
Prefetto di questa Sacra Congregazione, il 9 febbraio 1967. Il Santo
Padre l’ha pure confermata con la sua autorità, ed ha ordinato che fosse
pubblicata, fissandone l’entrata in vigore per il giorno 14 maggio 1967,
domenica di Pentecoste. Nonostante qualsiasi disposizione in contrario.
Roma, 5 marzo 1967, domenica «Laetare»,
quarta di Quaresima.
GIACOMO Card. LERCARO,
Arcivescovo di Bologna, Presidente del «Consilium» per l’attuazione
della Costituzione sulla sacra Liturgia
ARCADIO M. Card. LARRAONA,
Prefetto della S. C. R.
Ferdinando Antonelli,
Arciv. tit. di Idicra, segretario della S. C. R.
_____________
(1) SC 113.
(2) Cfr. S. Pio X, Motu proprio
Tra le sollecitudini, 22 nov. 1903, n. 2 (ASS 36 [1903-1904] 332).
(3) Cfr. S. Congr. dei Riti, Istr.
sulla musica sacra e la sacra Liturgia, 3 set. 1958, n. 4 (AAS 50
[1958] 633).
(4) Cfr. SC 128.
(5) Cfr. SC 28.
(6) S. Congr. dei Riti, Istr.
sulla musica sacra e la sacra Liturgia, n. 95 (AAS 50 [1958]
65-66-57).
(7) Cfr. SC 116.
(8) Cfr. SC 28.
(9) Cfr. SC 22.
(10) Cfr. SC 26 e 41-42, LG 28.
(11) Cfr. SC29.
(12) Cfr. SC 33
(13) Cfr. SC 14.
(14) Cfr. SC 11.
(15) Cfr. SC 31.
(16) Cfr. SC 30
(17) Cfr. SC 30.
(18) Cfr. Int. Oec. 19 e 59.
(19) Cfr. SC 19; S. Congr. dei Riti,
Istr. sulla musica sacra e la sacra Liturgia, nn. 106, 108 (AAS
50 [1958] 660).
(20) Cfr. Int. Oec 97.
(21) Cfr. Int. Oec 48b.
(22) Cfr. Int. Oec. 48 g.
(23) Cfr. SC 99.
(24) Cfr. SC 101 § 1; Int Oec. 85.
(25) Cfr. SC 101 §§ 2 e 3.
(26) Cfr. SC 27.
(27) Cfr. Int. Oec. 37-39.
(28) Cfr. Int. Oec. 37.
(29) Cfr. più avanti, n. 53.
(30) SC 36 § 1.
(31) SC 36 § 2.
(32) SC 36 § 3.
(33) SC 54; Int Oec. 59.
(34) Cfr. SC 116.
(35) SC 117.
(36) Cfr. SC 116.
(37) SC 115.
(38) SC 121.
(39) Cfr. sopra, n. 46.
(40) Cfr. Int. Oec. 42.
(41) SC 23.
(42) Cfr. SC 119.
(43) SC 120.
(44) Cfr. S. Congr. dei Riti,
Istr. sulla musica sacra e la sacra Liturgia, 70 (AAS 50 [1958]
652).
(45) Cfr. sopra, nn. 24-25.
(46) Cfr. SC 44.
|
1.
Mosso dal vivo desiderio "di
mantenere e di promuovere il decoro della Casa di Dio", il Nostro
Predecessore san Pio X emanava, cento anni fa, il
Motu proprio Tra le sollecitudini,
che aveva come
oggetto il rinnovamento della musica sacra nelle funzioni del culto. Con
esso egli intendeva offrire alla Chiesa concrete indicazioni in quel
vitale settore della Liturgia, presentandole "quasi a codice giuridico
della musica sacra" (1). Anche tale intervento rientrava nel programma
del suo pontificato, che egli aveva sintetizzato nel motto "Instaurare
omnia in Cristo".
La ricorrenza centenaria del documento Ci
offre l'occasione di richiamare l'importante funzione della musica
sacra, che san Pio X presenta sia come mezzo di elevazione dello spirito
a Dio, sia come prezioso aiuto per i fedeli nella "partecipazione attiva
ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa"
(2).
La speciale attenzione che è doveroso
riservare alla musica sacra, ricorda il santo Pontefice, deriva dal
fatto che essa, "come parte integrante della solenne Liturgia, ne
partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione
ed edificazione dei fedeli" (3). Interpretando ed esprimendo il senso
profondo del sacro testo a cui è intimamente legata, essa è capace di
"aggiungere maggiore efficacia al testo medesimo, affinché i fedeli
(...) meglio si dispongano ad accogliere in sé i frutti della grazia,
che sono propri della celebrazione dei sacrosanti misteri" (4).
2.
Questa impostazione è stata ripresa dal Concilio Ecumenico Vaticano II
nel capitolo VI della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla
sacra Liturgia, dove si richiama con chiarezza la funzione ecclesiale
della musica sacra: "La tradizione musicale di tutta la Chiesa
costituisce un patrimonio di inestimabile valore, che eccelle tra le
altre espressioni dell'arte, specialmente per il fatto che il canto
sacro, unito alle parole, è parte necessaria e integrale della liturgia
solenne" (5). Il Concilio ricorda, inoltre, che "il canto sacro è stato
lodato sia dalla Sacra Scrittura, sia dai Padri, sia dai Romani
Pontefici che recentemente, a cominciare da san Pio X, hanno
sottolineato con insistenza il compito ministeriale della musica sacra
nel servizio divino" (6).
Continuando, infatti, l'antica tradizione
biblica, a cui lo stesso Signore e gli Apostoli si sono attenuti (cfr.
Mt. 26, 30; Ef. 5, 19; Col. 3, 16), la Chiesa lungo tutta la sua storia
ha favorito il canto nelle celebrazioni liturgiche, fornendo secondo la
creatività di ogni cultura stupendi esempi di commento melodico dei
testi sacri nei riti tanto dell'Occidente quanto dell'Oriente.
Costante, poi, è stata l'attenzione dei Nostri
Predecessori a questo delicato settore, per il quale hanno richiamato i
princìpi fondamentali che devono animare la produzione di musica sacra,
specie se destinata alla Liturgia. Oltre al Papa san Pio X, sono da
ricordare, tra gli altri, i Papi Benedetto XIV con l'Enciclica Annus
qui (19 febbraio 1749), Pio XII con le Encicliche
Mediator Dei (20 novembre 1947) e
Musicae sacrae disciplina
(25 dicembre 1955), ed infine Paolo
VI con i luminosi pronunciamenti che ha disseminato in molteplici
interventi.
I Padri del Concilio Vaticano II non hanno
mancato di ribadire tali princìpi, in vista di una loro applicazione
alle mutate condizioni dei tempi. Lo hanno fatto in uno specifico
capitolo, il sesto, della Costituzione Sacrosanctum Concilium.
Papa Paolo VI provvide poi alla traduzione in norme concrete di quei
princìpi, soprattutto per mezzo dell'Istruzione
Musicam Sacram, emanata, con la sua approvazione, il 5 marzo
1967 dall'allora Sacra Congregazione dei Riti. A quei principi di
ispirazione conciliare occorre costantemente rifarsi per promuovere, in
conformità alle esigenze della riforma liturgica, uno sviluppo che sia,
anche in questo campo, all'altezza della tradizione liturgico-musicale
della Chiesa. Il testo della Costituzione Sacrosanctum Concilium
in cui si afferma che la Chiesa "approva ed ammette nel culto divino
tutte le forme della vera arte, dotate delle dovute qualità" (7), trova
gli adeguati criteri di applicazione nei nn. 50-53 dell'Istruzione
Musicam sacram ora menzionata (8).
3.
In
varie occasioni anche Noi abbiamo richiamato la preziosa funzione e la
grande importanza della musica e del canto per una partecipazione più
attiva e intensa alle celebrazioni liturgiche (9), ed abbiamo
sottolineato la necessità di "purificare il culto da sbavature di stile,
da forme trasandate di espressione, da musiche e testi sciatti e poco
consoni alla grandezza dell'atto che si celebra" (10), per assicurare
dignità e bontà di forme alla musica liturgica.
In tale prospettiva, alla luce del magistero
di san Pio X e degli altri Nostri Predecessori e tenendo conto in
particolare dei pronunciamenti del Concilio Vaticano II, desideriamo
riproporre alcuni princìpi fondamentali per questo importante settore
della vita della Chiesa, nell'intento di far sì che la musica liturgica
risponda sempre più alla sua specifica funzione.
4.
Sulla
scia degli insegnamenti di san Pio X e del Concilio Vaticano II, occorre
innanzitutto sottolineare che la musica destinata ai sacri riti deve
avere come punto di riferimento la santità: essa di fatto, "sarà
tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all'azione liturgica"
(11). Proprio per questo, "non indistintamente tutto ciò che sta fuori
dal tempio (profanum) è atto a superarne la soglia", affermava
saggiamente il Nostro venerato Predecessore Paolo VI, commentando un
decreto del Concilio di Trento (12) e precisava che "se non possiede ad
un tempo il senso della preghiera, della dignità e della bellezza, la
musica - strumentale e vocale - si preclude da sé l'ingresso nella sfera
del sacro e del religioso" (13). D'altra parte la stessa categoria di
"musica sacra" oggi ha subito un allargamento di significato tale da
includere repertori i quali non possono entrare nella celebrazione senza
violare lo spirito e le norme della Liturgia stessa.
La riforma operata da san Pio X mirava
specificamente a purificare la musica di chiesa dalla contaminazione
della musica profana teatrale, che in molti Paesi aveva inquinato il
repertorio e la prassi musicale liturgica. Anche ai tempi nostri è da
considerare attentamente, come abbiamo messo in evidenza nell'Enciclica
Ecclesia de Eucharistia, che non tutte le espressioni delle arti
figurative e della musica sono capaci "di esprimere adeguatamente il
Mistero colto nella pienezza di fede della Chiesa" (14). Di conseguenza,
non tutte le forme musicali possono essere ritenute adatte per le
celebrazioni liturgiche.
5.
Un
altro principio enunciato da san Pio X nel Motu proprio Tra le
sollecitudini, principio peraltro intimamente connesso con il
precedente, è quello della bontà delle forme. Non vi può essere
musica destinata alla celebrazione dei sacri riti che non sia prima
"vera arte", capace di avere quell'efficacia "che la Chiesa intende
ottenere accogliendo nella sua liturgia l'arte dei suoni" (15).
E tuttavia tale qualità da sola non basta. La
musica liturgica deve infatti rispondere a suoi specifici requisiti: la
piena aderenza ai testi che presenta, la consonanza con il tempo e il
momento liturgico a cui è destinata, l'adeguata corrispondenza ai gesti
che il rito propone. I vari momenti liturgici esigono, infatti, una
propria espressione musicale, atta di volta in volta a far emergere la
natura propria di un determinato rito, ora proclamando le meraviglie di
Dio, ora manifestando sentimenti di lode, di supplica o anche di
mestizia per l'esperienza dell'umano dolore, un'esperienza tuttavia che
la fede apre alla prospettiva della speranza cristiana.
6.
Canto
e musica richiesti dalla riforma liturgica ‑ è bene sottolinearlo ‑
devono rispondere anche a legittime esigenze di adattamento e di
inculturazione. È chiaro, tuttavia, che ogni innovazione in questa
delicata materia deve rispettare peculiari criteri, quali la ricerca di
espressioni musicali che rispondano al necessario coinvolgimento
dell'intera assemblea nella celebrazione e che evitino, allo stesso
tempo, qualsiasi cedimento alla leggerezza e alla superficialità. Sono
altresì da evitare, in linea di massima, quelle forme di
"inculturazione" di segno elitario, che introducono nella Liturgia
composizioni antiche o contemporanee che sono forse di valore artistico,
ma che indulgono ad un linguaggio ai più incomprensibile.
In questo senso san Pio X indicava - usando il
termine universalità - un ulteriore requisito della musica
destinata al culto: "... pur concedendosi ad ogni nazione - egli
annotava - di ammettere nelle composizioni chiesastiche quelle forme
particolari che costituiscono in certo modo il carattere specifico della
musica loro propria, queste però devono essere in tal maniera
subordinate ai caratteri generali della musica sacra, che nessuno di
altra nazione nell'udirle debba provarne impressione non buona" (16). In
altri termini, il sacro ambito della celebrazione liturgica non deve mai
diventare laboratorio di sperimentazioni o di pratiche compositive ed
esecutive introdotte senza un'attenta verifica.
7.
Tra
le espressioni musicali che maggiormente rispondono alle qualità
richieste dalla nozione di musica sacra, specie di quella liturgica, un
posto particolare occupa il canto gregoriano. Il Concilio
Vaticano II lo riconosce come "canto proprio della liturgia romana" (17)
a cui occorre riservare a parità di condizioni il primo posto nelle
azioni liturgiche in canto celebrate in lingua latina (18). San Pio X
rilevava come la Chiesa lo ha "ereditato dagli antichi padri", lo ha
"custodito gelosamente lungo i secoli nei suoi codici liturgici" e
tuttora lo "propone ai fedeli" come suo, considerandolo "come il supremo
modello della musica sacra" (19). Il canto gregoriano pertanto continua
ad essere anche oggi elemento di unità nella liturgia romana.
Come già san Pio X, anche il Concilio Vaticano
II riconosce che "gli altri generi di musica sacra, e specialmente la
polifonia, non vanno esclusi affatto dalla celebrazione dei divini
uffici" (20). Occorre, pertanto, vagliare con attenta cura i nuovi
linguaggi musicali, per esperire la possibilità di esprimere anche con
essi le inesauribili ricchezze del Mistero riproposto nella Liturgia e
favorire così la partecipazione attiva dei fedeli alle celebrazioni
(21).
8.
L'importanza di conservare e di incrementare il secolare patrimonio
della Chiesa induce a prendere in particolare considerazione una
specifica esortazione della Costituzione Sacrosanctum Concilium:
"Si promuovano con impegno le scholae cantorum specialmente
presso le chiese cattedrali" (22). A sua volta l'Istruzione Musicam
sacram precisa il compito ministeriale della schola: "È degno di
particolare attenzione, per il servizio liturgico che svolge, il coro o
cappella musicale o schola cantorum. In seguito alle norme
conciliari riguardanti la riforma liturgica, il suo compito è divenuto
di ancor maggiore rilievo e importanza: deve, infatti, attendere
all'esecuzione esatta delle parti sue proprie, secondo i vari generi di
canti, e favorire la partecipazione attiva dei fedeli nel canto.
Pertanto (...) si abbia e si promuova con cura specialmente nelle
cattedrali e altre chiese maggiori, nei seminari e negli studentati
religiosi, un coro o una cappella musicale o una schola cantorum"
(23). Il compito della schola non è venuto meno: essa infatti
svolge nell'assemblea il ruolo di guida e di sostegno e, in certi
momenti della Liturgia, ha un proprio ruolo specifico.
Dal buon coordinamento di tutti - il sacerdote
celebrante e il diacono, gli accoliti, i ministranti, i lettori, il
salmista, la schola cantorum, i musicisti, il cantore,
l'assemblea - scaturisce quel giusto clima spirituale che rende il
momento liturgico veramente intenso, partecipato e fruttuoso. L'aspetto
musicale delle celebrazioni liturgiche, quindi, non può essere lasciato
né all'improvvisazione, né all'arbitrio dei singoli, ma deve essere
affidato ad una bene concertata direzione nel rispetto delle norme e
delle competenze, quale significativo frutto di un'adeguata formazione
liturgica.
9.
Anche
in questo campo, pertanto, si evidenzia l'urgenza di promuovere una
solida formazione sia dei pastori che dei fedeli laici. San Pio X
insisteva particolarmente sulla formazione musicale dei chierici. Un
richiamo in tal senso è stato ribadito anche dal Concilio Vaticano II:
"Si curino la formazione e la pratica musicale nei seminari, nei
noviziati dei religiosi e delle religiose e negli studentati, come pure
negli altri istituti e scuole cattoliche" (24). L'indicazione attende di
essere pienamente realizzata. Riteniamo pertanto opportuno richiamarla,
affinché i futuri pastori possano acquisire una adeguata sensibilità
anche in questo campo.
In tale opera formativa un ruolo speciale
viene svolto dalle scuole di musica sacra, che san Pio X esortava a
sostenere e a promuovere (25), e che il Concilio Vaticano II raccomanda
di costituire ove possibile (26). Frutto concreto della riforma di san
Pio X fu l'erezione in Roma, nel 1911, otto anni dopo il Motu proprio,
della "Pontificia Scuola Superiore di Musica Sacra", divenuta in seguito
"Pontificio Istituto di Musica Sacra". Accanto a questa istituzione
accademica ormai quasi centenaria, che ha reso e rende un qualificato
servizio alla Chiesa, vi sono tante altre Scuole istituite nelle Chiese
particolari, che meritano di essere sostenute e potenziate per una
sempre migliore conoscenza ed esecuzione di buona musica liturgica.
10.
Avendo la Chiesa sempre riconosciuto e favorito il progresso delle arti,
non deve stupire che, oltre al canto gregoriano e alla polifonia, essa
ammetta nelle celebrazioni anche la musica più moderna, purché
rispettosa sia dello spirito liturgico che dei veri valori dell'arte. È
perciò consentito alle Chiese nelle varie Nazioni di valorizzare, nelle
composizioni finalizzate al culto, "quelle forme particolari che
costituiscono in certo modo il carattere specifico della musica loro
propria" (27). Nella linea del Nostro santo Predecessore e di quanto
stabilito più di recente dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium
(28), anche Noi, nell'Enciclica Ecclesia de Eucharistia, abbiamo
inteso fare spazio ai nuovi apporti musicali menzionando, accanto alle
ispirate melodie gregoriane, "i tanti e spesso grandi autori che si sono
cimentati con i testi liturgici della Santa Messa" (29).
11.
Il
secolo scorso, con il rinnovamento operato dal Concilio Vaticano II, ha
conosciuto uno speciale sviluppo del canto popolare religioso, del quale
la Sacrosanctum Concilium dice: "Si promuova con impegno il canto
popolare religioso, in modo che nei pii e sacri esercizi, come pure
nelle stesse azioni liturgiche, (...) possano risuonare le voci dei
fedeli" (30). Tale canto si presenta particolarmente adatto alla
partecipazione dei fedeli non solo alle pratiche devozionali, "secondo
le norme e le disposizioni delle rubriche" (31), ma anche alla stessa
Liturgia. Il canto popolare, infatti, costituisce "un vincolo di unità e
un'espressione gioiosa della comunità orante, promuove la proclamazione
dell'unica fede e dona alle grandi assemblee liturgiche una
incomparabile e raccolta solennità" (32).
12.
A
riguardo delle composizioni musicali liturgiche facciamo Nostra la
"legge generale", che san Pio X formulava in questi termini: "Tanto una
composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più
nell'andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia
gregoriana, e tanto meno è degna del tempio, quanto più da quel supremo
modello si riconosce difforme" (33). Non si tratta evidentemente di
copiare il canto gregoriano, ma piuttosto di far sì che le nuove
composizioni siano pervase dallo stesso spirito che suscitò e via via
modellò quel canto. Solo un artista profondamente compreso del sensus
Ecclesiae può tentare di percepire e tradurre in melodia la verità
del Mistero che si celebra nella Liturgia (34). In questa prospettiva,
nella Lettera agli Artisti scrivevamo: "Quante composizioni sacre
sono state elaborate nel corso dei secoli da persone profondamente
imbevute del senso del mistero! Innumerevoli credenti hanno alimentato
la loro fede alle melodie sbocciate dal cuore di altri credenti e
divenute parte della Liturgia o almeno aiuto validissimo al suo decoroso
svolgimento. Nel canto la fede si sperimenta come esuberanza di gioia,
di amore, di fiduciosa attesa dell'intervento salvifico di Dio" (35).
È dunque necessaria una rinnovata e più
approfondita considerazione dei princìpi che devono essere alla base
della formazione e della diffusione di un repertorio di qualità. Solo
così si potrà consentire all'espressione musicale di servire in maniera
appropriata al suo fine ultimo che "è la gloria di Dio e la
santificazione dei fedeli" (36).
Sappiamo bene che anche oggi non mancano
compositori capaci di offrire, in questo spirito, il loro indispensabile
apporto e la loro competente collaborazione per incrementare il
patrimonio della musica a servizio di una Liturgia sempre più
intensamente vissuta. Ad essi va l'espressione della Nostra fiducia,
unita all'esortazione più cordiale perché pongano ogni impegno
nell'accrescere il repertorio di composizioni che siano degne
dell'altezza dei misteri celebrati e, al tempo stesso, adatte alla
sensibilità odierna.
13.
Da
ultimo, vorremmo ancora ricordare ciò che san Pio X disponeva sul piano
operativo, al fine di favorire l'effettiva applicazione delle
indicazioni date nel Motu proprio. Rivolgendosi ai Vescovi, egli
prescriveva che istituissero nelle loro diocesi "una commissione
speciale di persone veramente competenti in cose di musica sacra" (37).
Là dove la disposizione pontificia fu messa in pratica i frutti non sono
mancati. Attualmente sono numerose le Commissioni nazionali, diocesane
ed interdiocesane, che offrono il loro prezioso apporto nella
preparazione dei repertori locali, cercando di operare un discernimento
che tenga conto della qualità dei testi e delle musiche. Auspichiamo che
i Vescovi continuino ad assecondare l'impegno di queste Commissioni,
favorendone l'efficacia nell'ambito pastorale (38).
Alla luce dell'esperienza maturata in questi
anni, per meglio assicurare l'adempimento dell'importante compito di
regolamentare e promuovere la sacra Liturgia, chiediamo alla
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti di
intensificare l'attenzione, secondo le sue finalità istituzionali (39),
al settore della musica sacra liturgica, avvalendosi delle competenze
delle diverse Commissioni ed Istituzioni specializzate in questo campo,
come anche dell'apporto del Pontificio Istituto di Musica Sacra. È
importante, infatti, che le composizioni musicali utilizzate nelle
celebrazioni liturgiche rispondano ai criteri opportunamente enunciati
da san Pio X e sapientemente sviluppati sia dal Concilio Vaticano II che
dal successivo Magistero della Chiesa. In tale prospettiva, confidiamo
che anche le Conferenze episcopali compiano accuratamente l'esame dei
testi destinati al canto liturgico (40), e prestino speciale attenzione
nel valutare e promuovere melodie che siano veramente adatte all'uso
sacro (41).
14.
Sempre sul piano pratico, il Motu proprio di cui ricorre il centesimo
anniversario affronta anche la questione degli strumenti musicali da
utilizzare nella Liturgia latina. Tra essi riconosce senza esitazione la
prevalenza dell'organo a canne, circa il cui uso stabilisce opportune
norme (42). Il Concilio Vaticano II ha recepito pienamente
l'orientamento del Nostro santo Predecessore stabilendo: "Nella Chiesa
latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento
tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere mirabile splendore
alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e
alle cose celesti" (43).
Si deve tuttavia prendere atto del fatto che
le composizioni attuali utilizzano spesso moduli musicali diversificati
che non mancano d'una loro dignità. Nella misura in cui sono di aiuto
alla preghiera della Chiesa, possono rivelarsi un arricchimento
prezioso. Occorre tuttavia vigilare perché gli strumenti siano adatti
all'uso sacro, convengano alla dignità del tempio, siano in grado di
sostenere il canto dei fedeli e ne favoriscano l'edificazione.
15.
Auspichiamo che la commemorazione centenaria del Motu proprio Tra le
sollecitudini, per intercessione del suo santo Autore, unitamente a
quella di santa Cecilia, patrona della musica sacra, sia di
incoraggiamento e stimolo per quanti si occupano di questo importante
aspetto delle celebrazioni liturgiche. I cultori della musica sacra,
dedicandosi con rinnovato slancio ad un settore di così vitale rilievo,
contribuiranno alla maturazione della vita spirituale del Popolo di Dio.
I fedeli, per parte loro, esprimendo in modo armonico e solenne la
propria fede col canto, ne sperimenteranno sempre più a fondo la
ricchezza e si conformeranno nell'impegno di tradurne gli impulsi nei
comportamenti della vita quotidiana. Si potrà così raggiungere, grazie
al concorde impegno di pastori d'anime, musicisti e fedeli, quello che
la Costituzione Sacrosanctum Concilium qualifica come vero "fine
della musica sacra", cioè "la gloria di Dio e la santificazione dei
fedeli" (44).
Sia anche in ciò di esempio e modello la
Vergine Maria, che seppe cantare in modo unico, nel Magnificat,
le meraviglie che Dio opera nella storia dell'uomo. Con questo auspicio
a tutti impartiamo con affetto la Nostra Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 novembre, memoria di Santa
Cecilia, dell'anno 2003, ventiseiesimo del Nostro Pontificato.
GIOVANNI PAOLO II
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(1) Pii X Pontificis Maximi Acta, vol.
I, p. 77.
(2) Ibid.
(3) Ibid., n. 1, p. 78.
(4) Ibid.
(5) N. 112.
(6) Ibid.
(7) Ibid.
(8) Cfr AAS 59 (1967), 314-316.
(9) Cfr, ad esempio, Discorso al Pontificio
Istituto di Musica Sacra nel 90° di fondazione (19 gennaio 2001), 1:
Insegnamenti XXIV/1 (2001), 194.
(10) Udienza generale del 26 febbraio 2003, 3:
L'Osservatore Romano, 27 febbraio 2003, p. 4.
(11) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra
Liturgia Sacrosanctum Concilium, 112.
(12) Discorso ai partecipanti all'assemblea
generale dell'Associazione Italiana Santa Cecilia (18 settembre 1968):
Insegnamenti VI (1968), 479.
(13) Ibid.
(14) N. 50: AAS 95 (2003), 467.
(15) N. 2, p. 78.
(16) Ibid., pp. 78-79.
(17)Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum
Concilium, 116.
(18) Cfr S. Congregazione dei Riti, Istr.
sulla musica nella sacra Liturgia Musicam sacram (5 marzo 1967),
50: AAS 59 (1967), 314.
(19) Motu proprio Tra le sollecitudini,
n. 3, p. 79.
(20) Cost. sulla sacra Liturgia
Sacrosanctum Concilium, 116.
(21) Cfr ibid., 30.
(22) Ibid., 114.
(23) N. 19: AAS 59 (1967), 306.
(24) Cost. sulla sacra Liturgia
Sacrosanctum Concilium, 115.
(25) Cfr Motu proprio Tra le sollecitudini,
n. 28, p. 86.
(26) Cfr Cost. sulla sacra Liturgia
Sacrosanctum Concilium, 115.
(27) Pio X, Motu proprio Tra le
sollecitudini, n. 2, p. 79.
(28) Cfr n. 119.
(29) N. 49: AAS 95 (2003), 466.
(30) N. 118.
(31) Ibid.
(32) Giovanni Paolo II, Discorso al Congresso
Internazionale di Musica Sacra (27 gennaio 2001), 4: Insegnamenti
XXIV/1 (2001), 239-240.
(33) Motu proprio Tra le sollecitudini,
n. 3, p. 79
(34) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla
sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 112.
(35) N. 12: Insegnamenti XXII/1 (1999),
718.
(36) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra
Liturgia Sacrosanctum Concilium, 112.
(37) Motu proprio Tra le sollecitudini,
n. 24, p. 85.
(38) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Vicesimus quintus annus (4 dicembre 1987), 20: AAS 81 (1989), 916.
(39) Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap.
Pastor Bonus (28 giugno 1988), 65: AAS 80 (1988), 877.
(40) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dies
Domini (31 maggio 1998), 50: AAS 90 (1998), 745; Congregazione per
il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istr. Liturgiam
authenticam (28 marzo 2001), 108: AAS 93 (2001), 719.
(41) Cfr Institutio generalis Missalis
Romani, editio typica III, 393.
(42) Cfr Motu proprio Tra le sollecitudini,
nn. 15-18, p. 84.
(43) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra
Liturgia Sacrosanctum Concilium, 120.
(44) Ibid., 112.
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