298.
Importanza del Decalogo
Sant'Agostino (cfr. II Super. Es ,9 Ex ,130) esalta apertamente il
Decalogo come sintesi e riassunto di tutte le leggi: Molte cose aveva
detto il Signore, eppure due sole tavole di pietra furono date a Mosè,
dette tavole della testimonianza futura nell'arca; perché tutto il resto
che il Signore aveva comandato si intende compreso nei dieci
comandamenti incisi nelle due tavole. Come del resto i medesimi dieci
comandamenti dipendono a loro volta dai due dell'amore di Dio e del
prossimo, in cui sta in sintesi tutta la Legge e tutto l'insegnamento
dei Profeti.
Essendo qui il nucleo di tutta la Legge, occorre che i Pastori attendano
giorno e notte a meditarlo, non soltanto per uniformarvi la propria
vita, ma anche per istruire nella disciplina del Signore il gregge loro
affidato. Sta scritto: Le labbra dei sacerdoti custodiranno la scienza,
e dalla loro parola sarà attinta la legge, poiché il sacerdote è
l'angelo del Signore degli eserciti (Ml 2,7). Sentenza che si
applica in modo particolare ai Pastori della nuova Alleanza che, essendo
più vicini a Dio, devono ascendere di splendore in splendore, in virtù
dello spirito del Signore (2Co 3,17). Avendoli Gesù Cristo
insigniti del nome di luminari (Mt 5,14), è loro stretto compito
fornire luce a coloro che giacciono nelle tenebre, costituirsi
istruttori degli ignoranti, educatori dei fanciulli (Rm 2,19). Di
più: essi che sono spirituali dovranno soccorrere chi sia irretito nel
peccato (Ga 6,1). Inoltre essi sono giudici nella confessione ed
emanano sentenze secondo la qualità e la gravita dei peccati. Perciò, se
non vogliono essere imputati di incapacità, e non vogliono frodare gli
altri, devono essere vigilantissimi nell'adempimento di tale compito ed
esperti nella interpretazione dei divini precetti, in base ai quali
hanno da giudicare ogni azione e omissione. Secondo l'ammonimento
dell'Apostolo, impartiscano la sana dottrina (2Th 4,3), immune
cioè da ogni errore; e curino le malattie dell'anima, i peccati, sicché
il loro popolo sia accetto a Dio, e dedito alle opere buone (Tt 2,14).
299. Esposizione
del Decalogo
In
queste esposizioni il Pastore proponga a sé e agli altri argomenti
capaci di indurre all'obbedienza alla Legge.
Ora, tra le ragioni che possono spingere gli spiriti degli uomini al
rispetto dei precetti della Legge, quella che riveste maggiore forza è
questa: Dio ne è l'autore. Sebbene si dica consegnata dagli angeli (Ga
3,19), nessuno può revocare in dubbio il fatto che Dio stesso ne è
l'autore. Ne danno ampia testimonianza non solamente le parole dello
stesso Legislatore che commenteremo fra poco, ma passi quasi
innumerevoli delle Scritture, che agevolmente occorreranno ai Pastori.
Del resto chi non sente una legge divina inserita nel cuore, in virtù
della quale sa distinguere il bene dal male, l'onesto dal turpe, il
giusto dall'ingiusto? E perché la forza regolatrice di questa legge
naturale non è diversa affatto da quella scritta, chi mai oserà negare
che come Dio è l'Autore della legge naturale, non lo sia anche della
legge scritta?
Si deve dunque insegnare che, consegnando la Legge a Mosè, Dio non
conferì una luce nuova, bensì rinnovo il fulgore di una luce che i
costumi perversi e una diuturna negligenza avevano miseramente oscurato.
Questo perché il popolo cristiano non creda di essere esonerato dal
vincolo di queste leggi, perché la Legge di Mosè è stata abrogata. E
certissimo infatti che dobbiamo obbedire a questi comandamenti, non
perché sono stati imposti per mezzo di Mosè, ma perché scolpiti
nell'anima di ciascuno, e da nostro Signore spiegati e ratificati. Ad
ogni modo gioverà moltissimo e rivestirà una singolare virtù
dimostrativa la considerazione che Dio, sulla sapienza e giustizia del
quale non è lecito sollevare dubbi e alla cui infinita e vigorosa
potenza non possiamo sottrarci, emano la Legge. Perciò, comandando per
mezzo dei profeti di rispettare la Legge, Dio dichiarava apertamente chi
era, e nell'esordio stesso del Decalogo leggiamo: Io sono il Signore Dio
tuo (Ex 20,2). Altrove: Se io sono il Signore, dove è il timore a
me dovuto? (Ml 1,6). Cotesto pensiero non solamente stimolerà le
anime fedeli al rispetto dei precetti divini, ma anche ad azioni di
grazie, per avere Iddio manifestata la sua volontà che è la via alla
nostra salvezza.
Ripetute volte la sacra Scrittura, esaltando questo straordinario
beneficio, ammonisce il popolo di riconoscere la propria dignità e la
benevolenza del Signore. Nel Deuteronomio è scritto: Qui sta la vostra
saggezza e la vostra prudenza di fronte ai popoli, che udendo questi
comandamenti, esclameranno: Ecco un popolo saggio e prudente, ecco una
grande nazione (Dt 4,6). E nei Salmi: Non si comporto cosi con
nessun altro popolo e non rivelo ad altri i suoi voleri (Ps 117,10).
Se il Parroco additerà inoltre, sulla fede della Scrittura, il modo col
quale la Legge fu consegnata, i fedeli comprenderanno anche più
agevolmente con quanta pia devozione debba essere rispettata una legge
ricevuta da Dio. Tre giorni prima infatti, per comando di Dio, tutti
dovettero lavare le proprie vesti, astenersi dai rapporti coniugali, per
meglio predisporsi a ricevere la Legge; il terzo giorno tutti si
radunarono, ma, pervenuti al monte da cui il Signore voleva impartire
loro le leggi per mezzo di Mosè, al solo Mosè fu concesso di salirvi. E
allora Dio vi discese con grande maestà, fra tuoni, lampi, fuoco, dense
nuvole, e cominciò a parlare a Mosè, consegnandogli le leggi (Ex XIX,10).
Per una sola ragione la divina sapienza volle tutto ciò: mostrarci che
la legge del Signore va accolta con animo casto ed umile; e che,
trasgredendo i comandamenti, noi andiamo incontro a severe pene della
giustizia divina.
Il Parroco mostrerà del resto come i precetti della Legge non implichino
serie difficoltà; e lo potrà fare adducendo anche questa sola ragione di
sant'Agostino: Chi, di grazia, vorrà definire impossibile per l'uomo
l'amare, l'amare un Creatore benefico, un Padre amantissimo, e, in linea
subordinata, la carne propria nei propri fratelli? Orbene, chi ama ha
adempito la legge (Dei costumi della Chiesa, 25). E già l'apostolo
Giovanni assicurava apertamente che i comandamenti di Dio non sono
onerosi (1Jn 5,3); infatti secondo la frase di san Bernardo, non
si sarebbe potuto chiedere all'uomo nulla di più giusto, di più
dignitoso e di più fruttifero (Del dovere di amare Iddio, e. I).
Per questo, ammirando l'infinita bontà di Dio, S. Agostino esclama: Che
cosa è mai l'uomo, che tu vuoi esserne amato, e minacci gravi pene a chi
non voglia farlo, come se già non fosse pena immensa il non amarti? (Conf.
I,5). Che se alcuno accampa a sua scusa l'infermità della natura che gli
impedisce di amare Dio, gli si mostri come lo stesso Dio, il quale
chiede amore, instilla nei cuori la capacità di amare, per mezzo dello
Spirito santo, che dal Padre celeste viene concesso a chi lo invoca (Lc
11,13). E giusta quindi la formula di preghiera di sant'Agostino:
Concedi quel che comandi e comanda quello che vuoi (Conf. 10,29). E
poiché l'aiuto di Dio è a nostra disposizione, specialmente dopo la
morte di nostro Signore Gesù Cristo, per merito della quale il sovrano
di questo mondo è stato debellato, non c'è ragione di spaventarsi delle
difficoltà dei precetti, poiché nulla è arduo a chi ama.
Del resto per esserne persuasi gioverà sopra tutto riflettere sulla
necessità di obbedire alla Legge, non essendo mancato ai nostri tempi
chi, empiamente e con massimo proprio danno, ha osato sostenere, che,
facile o difficile, la Legge non è necessaria alla salvezza '. Il
Parroco confuterà con le testimonianze bibliche questa insana ed empia
opinione; riferendosi specialmente all'Apostolo, della cui autorità si
cerca di abusare per sostenerla. Che cosa dice in sostanza l'Apostolo?
Che non il prepuzio o la circoncisione valgono qualcosa, ma solamente il
rispetto dei precetti di Dio (1Co 7,9). E ripetendo altrove la
medesima sentenza, aggiunge che in Gesù Cristo conta solamente la nuova
creatura (Ga 6,15), intendendo chiaramente di chiamare cosi
colui, che si uniforma ai comandamenti divini. Chi infatti li conosce e
li rispetta, ama Dio, come il Signore stesso dichiara in san Giovanni:
Chi mi ama, osserverà le mie parole (Jn 14,21). Che se l'uomo può
essere giustificato, e da malvagio divenire buono, anche prima di
praticare nelle azioni esterne le singole prescrizioni della Legge; non
può pero, chi abbia già l'uso della ragione, trasformarsi da peccatore
in giusto, se non sia disposto a osservare tutti i comandamenti di Dio.
300.
Frutti del
Decalogo.
Infine, per non dimenticare nulla di ciò che può indurre il popolo
fedele all'osservanza della Legge, il Parroco mostri quanto ricchi e
dolci frutti essa produca. E lo potrà fare facilmente, ricordando quanto
è scritto nel Salmo decimottavo, consacrato a cantare le lodi della
Legge divina, fra cui massima appare la capacità di dare risalto alla
gloria e alla maestà di Dio, molto più di quanto non possano fare i
corpi celesti, con il loro splendore e il loro ordine. Questi infatti,
strappando l'ammirazione alle genti più barbare, le portano a
riconoscere la gloria, la saggezza e la potenza dell'Artefice primo
d'ogni cosa. Cosi la Legge divina volge le anime a Dio (Ps 18,8);
cosicché, scoprendo i suoi sentieri e la sua santa volontà attraverso la
Legge, a Lui dirigiamo i nostri passi. E poiché sono veramente sapienti
solo coloro che temono Dio, Dio ha dato alla Legge la capacità di
infondere sapienza ai piccoli. In verità coloro che osservano la Legge
di Dio, sono in possesso di autentici godimenti, della conoscenza dei
misteri divini, e di intense gioie e ricompense, in questa vita come
nella futura.
Del resto la Legge deve essere rispettata non solo per il nostro
vantaggio, ma anche per l'onore di Dio, il quale manifesto in essa la
sua volontà al genere umano. E se tutte le creature vi sottostanno, non
è ancora più giusto che la rispetti l'uomo? Né va dimenticata la
singolarissima clemenza e bontà di Dio verso di noi. Avrebbe potuto
costringerci, senza la prospettiva di alcun premio, a servire alla sua
gloria. Eppure volle armonizzare questa col nostro vantaggio, affinché
la nostra utilità tornasse anche a onore di Dio. Particolare cotesto
importantissimo, che il Parroco ricorderà con le parole del Profeta: Nel
custodire i tuoi precetti, o Signore, generosa è la mercede (Ps 18,12).
Esso non abbraccia solamente benedizioni riguardanti la felicità
terrena, come la prosperità delle città e la fecondità dei campi (Dt
28,3), ma anche una mercede copiosa in cielo (Mt 5,12), una
misura buona, pigiata, scossa e traboccante (Lc 6,38), meritata
con le opere buone, compiute mediante l'aiuto della divina misericordia.
301.
Istituzione del Decalogo
Sebbene questa Legge sia stata consegnata dal Signore sul monte agli
Israeliti, tuttavia, essendo per virtù di natura impressa molto tempo
prima nell'animo di tutti, e Dio avendo sempre voluto che tutti gli
uomini vi si uniformassero, sarà bene spiegare con cura le parole con le
quali da Mosè, strumento ed interprete, fu annunciata agli Ebrei,
ricordando la storia Iraelitica che è tutta piena di misteri.
Esporrà dapprima come fra tutte le nazioni della terra Dio ne prescelse
una, originata da Abramo, che egli volle pellegrino nella terra di
Canaan. Di questa aveva promesso a lui il possesso; eppure tanto lui che
la sua posterità andò vagando per più di quattrocento anni prima di
potervi entrare ad abitarla. Mai pero lasciò di proteggerli durante il
lungo vagare. Passarono infatti da popolo a popolo e da un regno
all'altro; mai pero tollero che si recasse loro ingiuria; al contrario
rintuzzo i re nemici.
Prima che essi scendessero in Egitto, mando innanzi a loro un uomo, che
con la sua preveggenza doveva salvare dalla fame tanto essi che gli
Egiziani.
In Egitto li circondo di una tale affettuosa tutela, che, nonostante
l'ostilità e la perenne minaccia del Faraone, poterono moltiplicarsi in
maniera mirabile. E quando le afflizioni toccarono il culmine, e
cominciarono ad essere trattati durissimamente come schiavi, Dio suscito
Mosè quale condottiero, capace di trarli a salvezza con mano energica.
Precisamente questa liberazione è ricordata dal Signore sull'inizio
della Legge, con le parole: "Io sono il Signore Dio tuo, che ti trassi
fuori dalla terra d'Egitto, dalla casa della schiavitù".
Il Parroco porrà bene in luce questa circostanza: Dio prescelse una sola
fra tutte le nazioni, per essere il suo popolo eletto, da cui farsi
conoscere e venerare in modo speciale, non già perché superasse le altre
in numero o virtù, come del resto il Signore stesso ricorda agli Ebrei,
ma solo perché a Dio piacque di sostenere e arricchire una razza modesta
e bisognosa, affinché la sua potenza e la sua bontà ne avessero maggior
gloria e fama nell'universo. Appunto per quella loro condizione, si
strinse con essi, li predilesse, non sdegnando neppure di esser detto
loro Dio, affinché gli altri popoli fossero stimolati ad emulazione; e,
constatando la felice condizione degli Israeliti, tutti gli uomini si
convertissero al culto del vero Dio. Anche san Paolo afferma di aver
voluto provocare ad emulazione la propria gente, prospettando la
beatitudine e la vera conoscenza di Dio, che egli impartiva ai pagani.
Mostrerà poi ai fedeli come Dio permise che gli antichi ebrei
peregrinassero a lungo, e che i loro posteri fossero premuti e vessati
in durissima schiavitù, perché noi constatassimo che solo chi è
pellegrino sulla terra e osteggiato dal mondo può divenire amico di Dio;
sicché per essere accolti più agevolmente nella dimestichezza di Dio,
occorre non aver nulla in comune col mondo. Inoltre, perché
comprendessimo, una volta passati al vero culto di Dio, quanto più
felici siano coloro che servono Dio, anziché il mondo. Ci ammonisce
appunto Dio nella Scrittura: Servano pure ad essi, perché conoscano
l'abisso che separa il mio servizio dal servizio dei re della terra (2
Par. 12,8).
Ricorderà inoltre che Dio anticipo più di quattrocento anni le sue
promesse, affinché il popolo, si alimentasse costantemente di fede e di
speranza, poiché Dio vuole che i suoi fedeli dipendano sempre da lui e
collochino nella sua bontà tutta la loro fiducia, come diremo nella
spiegazione del primo comandamento.
Infine indicherà il tempo e il luogo in cui il popolo di Israele
ricevette questa Legge da Dio. Fu precisamente dopo l'uscita dall'Egitto
e l'arrivo nel deserto, quando la memoria grata del recente beneficio e
l'asprezza paurosa del luogo dove si trovava, lo rendevano
particolarmente atto ad accoglierla. Infatti gli uomini si sentono in
modo particolare vincolati a coloro di cui hanno sperimentato i
benefici, e sogliono ricorrere all'aiuto di Dio quando si sentono
abbandonati da ogni speranza umana. Da ciò è facile arguire che i fedeli
saranno tanto più inclinati ad accogliere la celeste dottrina, quanto
più si terranno lontani dalle gioie del mondo e dalle soddisfazioni
carnali, secondo le parole del Profeta: A chi impartirà la scienza e a
chi dischiuderà l'udito? A chi ha abbandonato il latte e si è staccato
dalle mammelle (Is 28,9).
Compia il Parroco ogni sforzo perché il gregge fedele porti ognora
scolpite in cuore le parole: Io sono il Signore Dio tuo. Per esse
intenderà come il suo legislatore è lo stesso Creatore, da cui riceve
l'esistenza e la conservazione. A buon diritto cosi potrà esclamare:
Egli è il Signore Dio nostro: noi il popolo del suo pascolo, il gregge
che egli conduce (Ps 94,7). La ripetizione frequente e ardente di
queste parole avrà la capacità di rendere i fedeli più pronti al
rispetto della Legge, più disposti a star lontani dal peccato.
Per quanto riguarda le parole che seguono: Io t i trassi dalla terra
d'Egitto, dalla casa della schiavitù, sebbene sembrino attagliarsi
solamente agli Ebrei affrancati dal giogo egiziano, in verità, se si
badi al significato spirituale della salvezza universale, appariranno
molto più applicabili ai Cristiani. Essi sono strappati non già dalla
schiavitù egiziana, bensi dal dominio del peccato, sottratti da Dio alla
potenza delle tenebre e trasferiti nel regno del Figlio del suo amore.
Intravedendo l'entità di tale beneficio, Geremia annunciava: Ecco,
arrivano giorni, dice il Signore, nei quali non si dirà più: Vive il
Signore che trasse fuori i figli d'Israele dalla terra d'Egitto, bensì:
Vive il Signore che trasse i figliuoli d'Israele dalla terra boreale e
da tutte le terre per cui li cacciai: io li raccoglierò nella terra,
donata già ai loro padri. Ecco: invierò numerosi pescatori, dice il
Signore, e li pescheranno, ecc. (Jr 16,14).
Il Padre misericordioso, mediante il Figlio suo, raduno i figli
dispersi, affinché, non più schiavi della colpa ma della giustizia, lo
serviamo nella santità e nel bene, apertamente, per tutti i giorni della
nostra vita. Perciò i fedeli sapranno opporre come uno scudo a tutte le
tentazioni la parola dell'Apostolo: Morti al peccato, come potremo
ancora vivere in esso? (Rm 6,2). Poiché non apparteniamo più a
noi stessi, ma a colui che è morto per noi ed è risorto. Egli è il
Signore nostro Dio che ci compro col suo sangue; come potremo peccare
contro il Signore nostro Dio, e nuovamente crocifiggerlo? Realmente
liberi, di quella libertà che ci è conferita da Gesù Cristo, come
avevamo usato male le nostre membra quali strumenti di male, usiamole
ormai quali strumenti di bene sulle vie della santità.
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