410. Il pericolo
di ricadere nel peccato
dopo averne ottenuta la remissione
Proprio quando i figli di Dio hanno ottenuto la remissione
dei peccati e, accesi dallo zelo di consacrarsi al culto e alla
venerazione di Dio, desiderano il regno celeste, tributando alla potenza
divina tutti i doveri della devozione, e completamente dipendono dalla
sua volontà e dalla sua provvidenza, non v'è dubbio che proprio allora
più che mai il nemico del genere umano escogiti nuove arti contro di
loro. Egli impiega tutti i mezzi per vincerli, in modo che v'è veramente
da temere che essi, scosso e cambiato il proposito, ricadano ancora nei
vizi e diventino più cattivi di prima. Di essi a buon diritto si può
dire la frase del Principe degli apostoli: Oh, meglio sarebbe stato per
loro non conoscere la via della giustizia, anziché, conosciutala,
rivolgersi indietro dal santo comandamento loro tramandato (2 Pietr.
2,21).
Perciò da Cristo nostro Signore ci è stata prescritta questa domanda,
affinché ogni giorno ci raccomandiamo a Dio e imploriamo la sua paterna
attenzione e il suo appoggio, certissimi che, perduta la protezione
divina, resteremmo impigliati nelle reti del nostro scaltrissimo nemico.
Né soltanto in questa preghiera ci ha ordinato di chiedere a Dio che non
ci lasci indurre in tentazione, ma anche nel discorso che tenne davanti
agli Apostoli, già vicino alla morte, quando, avendo loro detto che essi
erano puri (Jn 13,13), li ammoni su questo loro dovere: Pregate,
per non cadere in tentazione (Mt 26,41).
Questo avvertimento, due volte ripetuto da Cristo Signore, impone grande
obbligo di diligenza ai Parroci, nell'incitare il popolo fedele all'uso
frequente di questa petizione, perché tutti, fra tanti pericoli
preparati ad ogni ora dal demonio agli uomini, chiedano assiduamente a
Dio, che solo può scongiurarli: Non ci indurre in tentazione.
Il popolo fedele capirà quanto esso abbia bisogno dell'aiuto di Dio,
purché si ricordi della propria debolezza e ignoranza, e ricordi il
detto di nostro Signore Gesù Cristo: Lo spirito veramente è pronto, ma
la carne è debole (Mt 26,41). Pensi quanto siano gravi ed
esiziali le cadute degli uomini, tentati dal demonio, se non sono
sostenuti dall'aiuto della destra di Dio.
Quale fu esempio della debolezza umana, più clamoroso di quello del
sacro coro degli Apostoli i quali, mentre poco prima erano animati da
grande coraggio, al primo spavento fuggono e abbandonano il Salvatore?
Ancora più noto è quello del Principe degli apostoli, che subito dopo
cosi grande professione di singolare e coraggioso amore per Cristo
Signore, avendo detto poco prima, pieno di fiducia nelle proprie forze:
Quand'anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò (Mt 26,35,2),
preso poi da paura per le parole di una donnicciuola, affermo con
giuramento di non conoscere il Signore (Mt 26,69). Purtroppo in
lui le forze non corrispondevano a tanto ardore di spirito. Ora, se gli
uomini più santi peccarono per la debolezza della natura umana nella
quale avevano confidato, che cosa non si dovrà temere per coloro che
sono tanto lontani dalla loro santità?
Per questo, i Parroci espongano al popolo le battaglie e i pericoli nei
quali continuamente incorriamo, per tutto il tempo che l'anima si trova
in questo corpo mortale: da ogni parte ci assalgono la carne, il mondo e
Satana. Chi è che non abbia sperimentato, a suo danno, quanto possano in
noi l'ira e le passioni? Chi non s'è sentito pungere dai loro stimoli, e
non senta i loro aculei? Chi non si sente ardere del loro fuoco anche se
soffocato? E tanto ne sono vari i colpi, e cosi divisi gli assalti, che
molto difficile riesce non ricevere qualche grave ferita. Oltre a questi
nemici che risiedono e vivono in noi, ve ne sono altri acerrimi, dei
quali sta scritto: Non contro la carne e il sangue abbiamo da
combattere, ma contro i principi e le potenze, contro i rettori di
queste tenebre del mondo, contro gli spiriti maligni dell'aria (Ep
6,12).
411. Potenza dei
demoni
Si
aggiungono infatti alle lotte intime gli assalti esterni, gli urti dei
demoni che ci assalgono apertamente, oppure penetrano nell'anima
inavvertitamente, sicché a mala pena ci possiamo guardare da essi. E
principi li chiama l'Apostolo, per l'eccellenza della loro natura,
eccellendo essi per natura sugli uomini e su tutte le cose create che
cadono sotto i sensi; li chiama potenze, perché superano gli uomini
oltreché per la loro natura, anche per la forza; li nomina anche rettori
delle tenebre del mondo, poiché essi reggono non il mondo della luce,
cioè i buoni e i pii, ma il mondo oscuro e tenebroso, ossia quelli che,
resi ciechi dalla sordidezza di una vita piena di disordini e di
delitti, e dalle tenebre, amano lasciarsi guidare dall'angelo delle
tenebre.
Infine l'Apostolo chiama i demoni geni del male, poiché c'è il male
dello spirito come c'è quello della carne. La cattiveria, o malizia
carnale, attizza il desiderio alla lussuria, e ai piaceri dei sensi.
Malizia spirituale, invece, sono i cattivi desideri, le cupidigie prave
che hanno attinenza con la parte superiore dell'anima: e riescono tanto
più vergognose delle altre, quanto la mente e la ragione sono più nobili
ed alte. E poiché la malizia di Satana mira in modo speciale a privarci
della celeste eredità, l'Apostolo aggiunge: nell'aria. Da ciò si può
arguire che grandi sono le forze dei nemici, invitto l'animo, feroce e
infinito l'odio loro verso di noi; eternamente essi ci fanno guerra,
sicché nessuna pace può darsi con loro, e nessuna tregua.
Quanta audacia abbiano, lo dice nel Profeta la voce stessa di Satana: Io
salirò al cielo (Is 19,13). Egli ha assalito i progenitori nel
paradiso, aggredito i profeti, cercato di afferrare gli Apostoli, per
vagliarli come il grano, come dice il Signore nel Vangelo (Lc 22,31);
e non ebbe ritegno nemmeno dinanzi a Cristo Signore.
La sua insaziabile cupidità e l'immensa sua ingegnosità sono espresse da
san Pietro con le parole:Il diavolo, vostro avversario, vi gira intorno
quale leone ruggente, cercando chi divorare (1P 5,8).
Né Satana è solo a tentare gli uomini; ma a volte i demoni riuniti fanno
impeto contro ciascuno di noi, come confesso il demonio a Cristo
Signore, che lo interrogava sul suo nome, rispondendo:Il mio nome è
legione. Era cioè una moltitudine di demoni che lacerava quel
disgraziato. Di un altro troviamo scritto: Prende con sé altri sette
spiriti peggiori di lui, e rientrano in lui (Mt 12,45).
Vi sono molti però che, non sentendo gli urti e gli assalti dei demoni,
credono che tutto ciò non sia vero. Non fa meraviglia che essi non siano
assaliti dai demoni, ai quali si sono dati da sé: non ci sono in loro la
pietà, la carità, nessuna virtù insomma degna di un cristiano. Ormai si
trovano in potere completo del demonio, né è necessario che siano
assaliti da qualche tentazione, quando già nel loro animo egli ha preso
dimora con il loro consenso. Ma quelli che si sono consacrati a Dio e
sulla terra menano una vita degna di quella celeste, essi più di tutti
sono presi di mira dagli assalti di Satana che li odia con la massima
ferocia, e ad essi ogni momento tende insidie.
La storia sacra è piena di esempi di uomini santi, d'animo risoluto,
eppure pervertiti da lui con la violenza o con l'inganno. Adamo, David,
Salomone, e altri che sarebbe difficile enumerare, hanno sperimentato la
violenza degli assalti dei demoni e la loro scaltrezza, alle quali non
si può resistere col solo accorgimento, o le forze umane. Chi si crederà
dunque abbastanza sicuro, fidando sulle sole sue forze? Chiediamo a Dio
con devozione e puro sentimento che non ci lasci tentare al disopra del
nostro potere, e nella tentazione ci conceda il modo di uscirne con
profitto (1Co 10,13).
Però se alcuni fedeli temono, per debolezza d'animo, o per ignoranza, la
forza dei demoni, si rassicurino e s'inducano, quando siano agitati
dalle onde della tentazione, a rifugiarsi nel porto della preghiera.
Satana con tutta la sua potenza e il suo pertinace odio capitale per il
genere umano, non può tentarci o travagliarci, né quanto né fino a
quando vorrebbe, perché tutto il suo potere dipende dal volere e dalla
permissione di Dio. Notissimo è l'esempio di Giobbe che Satana mai
avrebbe potuto toccare, se Dio non gli avesse detto: Ecco tutto il suo
avere è nelle tue mani (Jb 1,11). Ma se il Signore non avesse
aggiunto: Soltanto su di lui non stendere la tua mano (ivi), con un solo
colpo del diavolo Giobbe i figli e le sue ricchezze, tutto sarebbe
rovinato. E tanto è legata la forza dei demoni, che essi non avrebbero
potuto invadere neppure quei porci, di cui parlano gli evangelisti,
senza il permesso di Dio (Mt 8,31 Mc 5,11 Lc 8,32).
412. Che cosa sia la
tentazione
Per
capire il vero significato di questa domanda, bisogna determinare che
cosa sia la tentazione, e che cosa voglia dire essere indotti in
tentazione.
Si dice tentare il fare un esperimento sopra colui che è tentato, in
modo che, cavando da lui ciò che desideriamo, otteniamo la verità; modo
di tentare che Dio non usa, perché che cosa non sa Dio? Tutto, infatti,
è nudo e scoperto agli occhi di lui (He 4,13). 5'è poi un altro
modo di tentare, quando andando più oltre, si cerca di esercitare
qualche cosa in bene o in male: in bene, quando si mette alla prova la
virtù di uno per poterlo poi, esaminata e constatata la sua virtù,
elevare con ricompense ed onori, e mettere cosi l'esempio di lui dinanzi
agli occhi degli altri perché lo imitino, incitando tutti a renderne
lode al Signore. E questo l'unico modo di tentare che convenga a Dio.
Esempio di esso si trova nel Deuteronomio:Il Signore Iddio vi mette alla
prova per chiarire se lo amiate o no (13,3). Cosi si dice che Dio mette
in tentazione i suoi fedeli, quando li preme con miseria, malattie, o
altre specie di calamità, per mettere in luce la loro pazienza e
additare agli altri il dovere del cristiano. In questo modo leggiamo che
fu tentato Abramo quando gli fu richiesto di' immolare il figlio; ed
egli, avendo ubbidito, resto ai posteri modello di sottomissione e di
pazienza singolare (Gn 22). Sempre in quest'ordine di idee è
detto di Tobia: Poiché eri accetto a Dio, fu necessario che la
tentazione ti mettesse alla prova (Tb 12,13).
In male, invece, sono tentati gli uomini, quando vengono spinti al
peccato o alla morte; e questa è opera del demonio che tenta gli uomini
per traviarli e farli cadere: perciò è detto tentatore nella sacra
Scrittura (Mt 4,3). In queste tentazioni ora egli eccita gli
stimoli interni, servendosi dei sentimenti e dei movimenti dell'animo
come di mezzi; ora, invece, assale dall'esterno, adoperando i beni per
insuperbirci e i mali per abbatterci; a volte ha come emissari e quasi
spie uomini perduti, in prima linea gli eretici che, seduti sulla
cattedra di pestilenza, diffondono i germi mortiferi delle cattive
dottrine. Cosi spingono al male gli uomini che, essendo già di loro
proclivi al male, sono poi sempre vacillanti e pronti a cadere, mancando
loro il potere di distinguere e di scegliere tra virtù e vizio.
413.
Essere indotti
in tentazione
significa soccombere alla tentazione
Diciamo di essere indotti in tentazione, quando cediamo alla medesima.
Ora noi possiamo esservi indotti cosi in due modi: primo, quando,
rimossi dal nostro stato, precipitiamo nel male, verso il quale qualcuno
ci ha spinto col tentarci. Ma nessuno è in questo modo indotto in
tentazione da Dio, perché per nessuno Dio è causa di peccato, odiando
egli tutti quelli che commettono iniquità (Saliti. 5,7). E quanto dice
san Giacomo: Nessuno, tentato che sia, dica di essere tentato da Dio;
poiché Dio non è tentatore al male (I,13); secondo, possiamo essere
tentati, nel senso che uno, sebbene non tenti egli stesso né si adoperi
a farci tentare, tuttavia lo permette, mentre potrebbe impedire sia la
tentazione che il prevalere di essa. Ebbene, Dio lascia che cosi siano
tentati i buoni e i pii, senza privarli però della sua grazia.
Talvolta anzi, quando i nostri peccati lo richiedono, con giusta e
impenetrabile sentenza, Dio ci abbandona a noi stessi, e noi cadiamo. Si
dice anche che ci induce in tentazione quando ci serviamo dei suoi
benefici, che dovevano servire alla nostra salvezza, per operare il
male, e consumiamo le sostanze del padre, come il figlio prodigo, in una
vita lussuriosa, secondando le nostre basse passioni (Lc 15,12).
Allora possiamo ripetere le parole dell'Apostolo: Trovai che il
comandamento datomi per la vita, mi ha condotto alla morte (Rm 7,10).
Giunge qui opportuno l'esempio di Gerusalemme, la quale, come dice
Ezechiele, sebbene arricchita da Dio di ogni genere d'ornamenti, tanto
da farle dire per bocca dello stesso profeta: Eri perfetta nella mia
dignità, di cui ti avevo rivestito (Ez 16,14), tuttavia, pur
essendo ricolma di doni celesti, fu cosi lontana dal ringraziare il
beneficentissimo Dio dei beni suddetti, e dal servirsi di essi per
conseguire la beatitudine celeste in vista della quale li aveva
ricevuti, che, con somma ingratitudine verso il padre Iddio, avendo
rigettato ogni speranza e pensiero dei frutti celesti, si diede
perdutamente all'esclusivo godimento dei beni presenti, come Ezechiele
la rimprovera lungamente in quel medesimo capitolo. Questa è
l'ingratitudine di coloro che, pur avendo ottenuto da Dio abbondante
materia per fare del bene, si danno, permettendolo Dio, a una vita
viziosa.
E' necessario però badare alle parole usate dalla sacra Scrittura per
esprimere questa permissione di Dio, parole le quali, prese nel loro
significato proprio, significherebbero un'azione diretta da parte di Dio
medesimo. Cosi nell'Esodo si legge: Io indurerò il cuore del Faraone
(4,21; 7,3); in Isaia: Acceca il cuore di questo popolo (6,10); e nella
lettera ai Romani l'Apostolo scrive: Dio li ha abbandonati alle loro
infami passioni, ai loro reprobi sensi (I,26,28). Tutti luoghi questi,
ed altri simili, nei quali non si deve credere affatto che l'azione
venga da Dio, ma intendere invece che Dio l'ha permessa.
414.
Noi non
chiediamo di essere immuni da tentazione
Chiarito questo, non riuscirà difficile conoscere qual'é l'oggetto di
questa preghiera. Anzitutto, noi chiediamo non di non essere tentati
affatto. Infatti, la vita dell'uomo sulla terra è tentazione (Jb 7,1).
Del resto questa è utile al genere umano, poiché nella prova noi veniamo
a una vera conoscenza di noi stessi e delle nostre forze, per cui ci
umiliamo sotto la potente mano di Dio (1P 5,6); e, combattendo
virilmente, aspettiamo l'incorruttibile corona di gloria (ivi,4). Poiché
anche il lottatore dello stadio non è incoronato se non ha lottato a
dovere (2Th 2,5). San Giacomo afferma: Beato l'uomo che sopporta
la tentazione, poiché dopo essere stato messo alla prova, riceverà la
corona della vita che Dio ha promesso a quelli che lo amano (I,12). Che
se qualche volta siamo troppo tormentati dalle tentazioni dei nostri
nemici, di grande sollievo sarà il pensare che nostro difensore è un
Sommo Sacerdote, il quale a tutti può compatire, essendo stato tentato
lui stesso in ogni cosa (He 4,15).
Ma che cosa dunque chiediamo con queste parole? Chiediamo di non essere
privati dell'aiuto divino, cosi da acconsentire alla tentazione per
inganno, o da cederle per viltà; chiediamo che la grazia di Dio ci
soccorra, si da rianimare e rinfrancare contro il male le nostre forze
fiaccate. Per cui da una parte dobbiamo sempre implorare il soccorso di
Dio in qualunque tentazione, dall'altra, nei casi singoli di afflizione,
occorre cercar rifugio nella preghiera.
Cosi leggiamo che fece sempre David per qualsiasi genere di tentazione.
Contro la menzogna egli cosi pregava: Non ritirare affatto dalla mia
bocca la parola della verità (Ps 98,43); e contro l'avarizia:
Inchina il mio cuore ai tuoi insegnamenti, e non ad avarizia (ivi,36);
contro le vanità della vita e le lusinghe del desiderio: Storna il mio
sguardo, che non veda la vanità (ivi,37). Noi dunque domandiamo di non
informare la nostra vita ai bassi desideri, di non stancarci nel
resistere alle tentazioni, di non abbandonare la via del Signore, di
conservare animo eguale e costante nella fortuna favorevole o avversa, e
che Dio mai ci lasci privi della sua tutela. Chiediamo quindi che ci
faccia schiacciare Satana sotto i nostri piedi.
415. Necessità della
fiducia in Dio
Ai
Parroci rimane ora il compito di esortare il popolo fedele a meditare le
cose che in questa domanda meritano maggiore attenzione.
Ottimo argomento sarà la grande infermità dell'uomo, compresa la quale,
impariamo a diffidare delle nostre forze; cosicché, riponendo nella
misericordia divina ogni nostra speranza di salvezza, conserveremo forte
il nostro animo anche nei più grandi pericoli. Soprattutto se pensiamo a
quanti Dio salvo dalle fauci di Satana, per aver mantenuto questa
speranza e fermezza d'animo. Non fu lui a liberare dal massimo pericolo
Giuseppe, alle prese con le brame ardenti d'una donna impudica e a
innalzarlo agli onori? (Gn 39,7). Non fu lui a conservare
incolume Susanna, assediata dai ministri di Satana, e già sul punto di
venir giustiziata per nefande accuse? (Da 13). Né v'è da
meravigliarsi:Il suo cuore infatti, nutriva fiducia in Dio (ivi,35).
Grande è l'onore e la gloria di Giobbe il quale trionfo del mondo, della
carne e di Satana. Molti sono gli esempi del genere, con i quali il
Parroco può confortare il popolo pio alla speranza e alla fiducia.
Pensino anche i fedeli quale capo essi abbiano nelle tentazioni dei
nemici: il Signore Gesù Cristo, il quale in questa lotta ha riportato la
vittoria. Egli ha vinto il demonio. Egli è colui che, affrontando il
forte armato fu più forte di lui, lo vinse, ne porto via tutta
l'armatura, e ne divise le spoglie (Lc 11,22). Per la sua
vittoria, riportata sul mondo, è detto in san Giovanni: Abbiate fiducia,
io ho vinto il mondo (16,33); e nell'Apocalisse è chiamato il leone
vincente, che riusci vincitore per vincere ancora (5,5; 6,2); e in
questa sua vittoria si fonda la capacità da lui data ai suoi fedeli di
vincere. La Lettera dell'Apostolo agli Ebrei è piena del racconto di
vittorie di uomini santi, i quali per mezzo della fede vinsero regni,
chiusero la bocca ai leoni, ecc. (11).
Da questi grandi fatti che leggiamo, dobbiamo ben comprendere quali
vittorie riportino ogni giorno gli uomini pieni di fede, di speranza e
di carità, nelle lotte contro i demoni, tanto interne che esterne. Esse
sono tante, e cosi insigni, che se tutte potessero cadere sotto il
nostro sguardo, diremmo che nel mondo non ci sono fatti più frequenti e
più gloriosi di esse. Della sconfitta di questi nostri nemici dice san
Giovanni: Scrivo per voi, giovani, perché siete forti e la parola di Dio
rimane in voi, e avete vinto il maligno (1Jn 2,14).
Si vince dunque Satana, non con l'ozio, col sonno, col vino, o con le
gozzoviglie e la libidine; ma con la preghiera, col lavoro, le veglie,
l'astinenza, la continenza e la castità. Sta scritto: Vegliate e
pregate, per non cadere in tentazione (Mt 26,41). Coloro che
queste armi adoperano in tale battaglia volgono in fuga gli avversari; e
il diavolo fugge da coloro che gli resistono (Gc 4,7).
Ma nelle vittorie ricordate dei santi, nessuno s'insuperbisca tanto da
confidare di poter con le sole sue forze sostenere le tentazioni e gli
assalti dei demoni; non sta in noi il potere di vincere; non sta nella
fragilità umana, ma ciò è proprio soltanto della potenza di Dio. Le
forze con le quali atterriamo i satelliti di Satana, ci sono date da Dio
che fa delle nostre braccia come un arco di bronzo (Ps 17,35);
per il suo beneficio l'arco dei forti è spezzato, e i deboli si cingono
di forza (1S 2,4); egli protegge la nostra salvezza (Ps 17,36),
e la sua destra ci sostiene (Ps 62,9); ammaestra le nostre mani
alla battaglia, le dita nostre alla guerra (Ps 143,1).
A Dio soltanto si devono rendere grazie, poiché solo per suo impulso e
per il suo appoggio possiamo vincere, come fece l'Apostolo là dove dice:
Grazie a Dio, che ha dato a noi la vittoria, per mezzo del Signore
nostro Gesù Cristo (1Co 15,57). E la celeste voce dell'Apocalisse
proclama lui solo autore della vittoria: E compiuta la salvezza, la
virtù, il regno del nostro Dio, e il potere di Cristo, poiché è stato
precipitato l'accusatore dei nostri fratelli, ed essi l'hanno vinto col
sangue dell'Agnello (12,10,11). Lo stesso libro attesta la vittoria di
Cristo sul mondo e sulla carne là dove dice: Essi combatteranno contro
l'Agnello, e l'Agnello li vincerà (Ap 17,14). Ciò basti sulla
causa e sul modo di vincere.
416.
Premi della
vittoria
Esposta tutta questa dottrina, i Parroci parleranno al popolo fedele
delle corone preparate da Dio e della grandezza eterna dei premi
destinati ai vincitori, attingendone le testimonianze dall'Apocalisse:
Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte (Ap 2,11). Il
vincitore sarà vestito di bianche vesti, e non cancellerò il suo nome
dal libro della vita; diro il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai
suoi Angeli (Ap 3,5). Poco più innanzi Dio stesso nostro Signore
cosi dice a Giovanni: Il vincitore lo faro colonna del tempio del mio
Dio, e non ne uscirà mai più (Ap 3,12). E ancora: Il vincitore lo
faro sedere con me nel mio trono, come anch'io ho vinto e mi sono seduto
col Padre mio nel suo trono (Ap 3,21). Avendo infine esposto la
gloria dei santi e gli eterni beni, di cui godono in cielo, aggiunge:
Chi sarà vittorioso erediterà questi beni (Ap 21,7).
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