386.
Argomento della domanda
Siccome Cristo Signore ha detto: Non chiunque mi dice: Signore, Signore,
entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è
nei cieli, questi entrerà nel regno dei cieli (Mt 7,21), tutti
quelli che vogliono arrivare al celeste regno dovranno domandare a Dio
che la sua volontà sia fatta. Perciò, questa domanda è posta subito dopo
la domanda del regno dei cieli. Per illuminare i fedeli sulla necessità
della domanda stessa e sull'abbondanza dei doni salutari che ci fa
ottenere, i Parroci spiegheranno a quanta miseria e tormenti sia stato
soggetto il genere umano per il peccato del nostro progenitore.
387. L'uomo corrotto
dal peccato
non capisce il suo vero bene
Da principio Dio mise in tutte le creature il desiderio del
proprio bene, sicché ciascuna desiderasse e ricercasse per naturale
propensione il proprio fine, dal quale esse non deviano se non per un
impedimento estrinseco.
Cosi, fin dall'inizio, l'uomo ebbe per istinto di ricercare Dio,
principio e autore della sua felicità; e questo impulso è tanto più
nobile ed eccellente in quanto l'uomo è dotato di ragione e di giudizio.
Ma, mentre le creature prive di ragione conservavano questo ingenito
amore, e, create buone, fin dall'inizio e per natura, tali rimasero e
rimangono tuttora, solo il misero genere umano, invece, non si mantenne
sulla via assegnatagli. Cosi, non solo perse i beni della giustizia
originale, dei quali Dio aveva magnificamente abbellito le sue facoltà
naturali, ma, come se ciò non bastasse, oscuro in sé l'originario grande
amore della virtù. " Tutti hanno errato, tutti sono diventati inutili;
non ce n'è uno che faccia il bene, neanche uno " (Ps 52,4).
Poiché l'animo e la mente dell'uomo sono volti al male fin dalla
giovinezza (Gn 8,21), si capisce come nessuno sappia da sé
orientarsi alla salvezza, ma tutti siano propensi al male; e
innumerevoli siano i pravi desideri degli uomini, proclivi come sono
alle passioni dell'ira, dell'odio, della superbia, dell'ambizione, e ad
ogni specie di male. Sommersi in tanti mali, neppure ci accorgiamo (ed è
questa l'estrema nostra miseria) che molti di essi sono mali; terribile
prova questa della rovina degli uomini, i quali, resi ciechi dalle
passioni e dalla libidine, non vedono che ciò che essi credono bene, il
più delle volte è la cosa più velenosa. Anzi, essi si precipitano verso
questi mali come verso un bene desiderabile e degno d'essere ricercato,
mentre rifuggono dai veri beni, aborrendoli come cose dannose. Questo
modo di pensare, questo corrotto giudizio è stato maledetto da Dio,
quando disse: Guai a voi che il male dite bene, e il bene male; date per
buio la luce e per luce le tenebre; l'amaro per dolce e il dolce per
amaro (Is 5,20).
Per farci capire la nostra miseria, le sacre Scritture ci paragonano a
quelli che hanno perso il gusto, e rifuggendo perciò dai cibi sani,
ricercando quelli dannosi (cfr. Is 24,9 Jr 31,29 Ez 18,2). Ci
paragonano anche ai malati. Come questi, difatti, non possono adempiere
alle funzioni e agli impegni di un uomo sano e robusto, finché non siano
guariti dalla malattia, cosi noi non possiamo compiere le azioni grate a
Dio, se prima non abbiamo ottenuto il sostegno della grazia divina. Che
se in tale stato prendiamo a fare il bene, lieve sarà questo bene, e di
poco o nessun peso per conseguire la beatitudine celeste.
Ma è cosa troppo alta e superiore alle forze di noi uomini amare e
adorare Dio come si conviene. Per la nostra infermità noi strisciamo sul
suolo, né ci possiamo arrivare a Lui senza l'appoggio della grazia
divina. E pure di grande opportunità, ad esprimere la misera condizione
del genere umano, il paragone dei fanciulli, i quali, lasciati a sé
stessi, si precipitano inconsideratamente sulla prima cosa che vedono.
Siamo bambini imprudenti, e del tutto occupati in discorsi frivoli e in
azioni futili, se manchiamo del soccorso di Dio. E cosi che ci
rimprovera la Sapienza: Fino a quando, bambini, amerete le puerilità e,
stolti, desidererete ciò che riesce dannoso? (Pr 1,22).
L'Apostolo ci esorta: Non vi fate bambini nell'intelligenza (1Co
14,20). Ma noi cadiamo in cecità ed in errori maggiori di quelli
della fanciullezza. Mentre a questa non manca che la saggezza umana,
alla quale potrà col tempo pervenire, noi invece, senza la guida e
l'appoggio di Dio, non possiamo aspirare alla saggezza divina,
necessaria a conseguire la salvezza; e se non è presente la mano di Dio
su noi, allora rigettiamo i veri beni, e ci precipitiamo in una morte
volontaria.
388. Necessità di
prescrivere una regola di vita cristiana
Se
qualcuno, dissipata col divino aiuto la caligine dell'animo, riconosce
le miserie umane, e sente senza stupirsi la forza della concupiscenza, e
riconosce quanto ripugnano allo spirito le passioni dei sensi, e ancora
guarda la propensione nostra al male, come potrà non desiderare con
ardente desiderio un rimedio a tanto male, dal quale per vizio di natura
noi siamo oppressi? E come non ricercherà la legge salutare alla quale
volgere e conformare la sua vita di cristiano? Questo, appunto, noi
chiediamo, quando imploriamo da Dio: Sia fatta la tua volontà. Essendo
noi caduti in quelle miserie per aver rigettato il dovere
dell'obbedienza e trascurata la volontà divina, un solo rimedio Dio ci
offre a tanto male: quello di vivere in quella volontà di Dio che nel
peccato abbiamo disprezzato, e nel conformare tutti i nostri pensieri e
atti a quella legge. Per questo chiediamo supplichevoli a Dio che sia
fatta la sua volontà.
Ma questo lo devono chiedere con ardore anche coloro, nell'animo dei
quali Dio già regna, e quelli che, illuminati dai raggi della luce
divina, per il beneficio di questa grazia, ubbidiscono già alla sua
volontà. Pur avendo la grazia, essi sono ancora combattuti dalle
passioni, per la tendenza al male, radicata nei sensi degli uomini.
Infatti, anche in tale condizione privilegiata, noi siamo sulla terra di
grande pericolo a noi stessi, per la facilità con cui siamo sedotti e
trascinati dalla voluttà, sempre attiva nelle nostre membra, e possiamo
essere traviati ancora dalla via della salute (Jc 1,14). Da
questo pericolo Cristo Signore ci ha messo in guardia: Vegliate e
pregate per non cadere in tentazione; lo spirito veramente è pronto, ma
la carne è debole (Mt 26,41).
Non è in potere dell'uomo, neppure in quello giustificato dalla grazia
di Dio, il vincere gli appetiti carnali in maniera tale che non si
risveglino più; la grazia di Dio sana lo spirito in coloro che ha reso
giusti, ma non la carne, della quale l'Apostolo ha detto: So che il bene
non è in me, cioè nella mia carne (Rm 7,18). Quando, infatti, il
primo uomo ebbe perduta la giustizia originale, freno agli appetiti,
pochissimo poté poi la ragione contenerli, in modo che non tendano a ciò
che ripugna alla ragione stessa.
Scrive l'Apostolo che nella parte carnale ha sede il secato, cioè il
fomite del peccato, per farci capire come peccato si trova in noi non
temporaneamente, come un ospite, ma è fisso nel nostro corpo per tutto
il tempo della vita, come in perpetuo suo domicilio. Combattuti
pertanto, senza tregua, da nemici domestici e interni, facilmente
intendiamo la necessità di cercare rifugio nell'aiuto li Dio, perché sia
fatta in noi la sua volontà.
389. Con l'espressione "volontà divina"
intendiamo i precetti divini
Si deve ora far conoscere ai fedeli quale sia la portata di
questa richiesta.
Omettendo le molte questioni sulla volontà di Dio, che solo i Dottori
Scolastici sogliono utilmente e diffusamente discutere, diremo che qui
la volontà è quella che si suole chiamare volontà significata: quello
cioè che Dio ci ha ordinato o suggerito di fare o d'evitare. Sotto il
nome di volontà divina si comprendono qui tutti i precetti necessari a
conseguire la beatitudine celeste, sia che riguardino più
particolarmente la fede, sia che riguardino i costumi; e nello stesso
tempo tutto ciò che da sé, o mediante la sua Chiesa, Cristo Signore ha
ordinato o proibito di fare. Non siate imprudenti, ma cercate di sapere
quale sia la volontà di Dio (Ep 5,17), scrive l'Apostolo,
parlando di questa volontà.
Quando dunque preghiamo: Sia fatta la tua volontà, chiediamo al Padre
celeste che ci conceda la forza di obbedire ai suoi divini comandamenti,
e di servirlo con santità e giustizia, per tutti i nostri giorni (Lc
1,74). E cosi possiamo agire secondo i suoi desideri e la sua
volontà, compiere i doveri che ci vengono raccomandati nelle sacre
Scritture, e, sotto la sua guida e il suo impulso, operare quanto si
conviene a coloro i quali, non da volere di carne, ma da Dio sono nati (Jn
1,12), seguendo l'esempio di Cristo nostro Signore, il quale fu
obbediente fino alla morte, e alla morte di croce (Ph 2,18).
Quindi siamo disposti a patire qualunque tormento, piuttosto che
allontanarci minimamente dalla via segnataci dalla sua volontà.
Nessuno avrà zelo e amore più ardente di colui al quale sarà stato
concesso di capire la sublime dignità di chi obbedisce a Dio. Costui
sente quanto sia vero che servire Dio e obbedire a lui vuoi dire
regnare. Chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli mi è
fratello, sorella e madre (Mt 12,50), ha detto il Signore; cioè:
a lui sono unito con i vincoli più stretti dell'amore e della
benevolenza.
Non vi è forse uno tra i santi che non abbia chiesto a Dio, con infinito
ardore, il ricco dono espresso in questa preghiera; e tutti lo hanno
fatto con parole bellissime e spesso varie. David specialmente chiede
quel dono, in più modi e con parole sublimi e soavissime, quando dice:
Mi diriga Dio ad osservare le sue leggi! (Ps 118,5); Conducimi
per il sentiero dei tuoi comandamenti! (ivi,35); e spesso: Guida i miei
passi con la tua parola, e non abbia presa sul mio animo nessuna
ingiustizia (ivi,33); tutte parole che si risolvono in queste: Dammi
intelligenza, perché impari i tuoi comandamenti; insegnami i tuoi
giudizi; dammi intelletto per capire i tuoi comandamenti (ivi,73). In
molti altri luoghi tratta questo stesso tema; luoghi che si devono
indicare e diligentemente spiegare ai fedeli, cosicché tutti capiscano
la grande efficacia e la grande abbondanza di beni salutari, contenuti
in questa prima parte della preghiera.
In secondo luogo, quando preghiamo: Sia fatta la tua volontà, noi
detestiamo le opere della carne, delle quali l'Apostolo scrive: Sono
note le opere della carne, come la fornicazione, la sordidezza,
l'inverecondia, la lussuria, ecc. (Ga 5,19); Se vivrete secondo
la carne, voi morrete (Rm 8,12). Preghiamo quindi Dio che non ci
lasci compiere ciò che i sensi, la cupidigia, o la nostra debolezza in
genere ci indurrebbero a fare; ma che invece egli guidi la nostra
volontà secondo la sua.
Sono lontani da questa sua volontà i gaudenti, tutti occupati nel
pensiero e nella ricerca dei godimenti terreni. Questa gente è portata
dalla libidine a precipitarsi su ciò che desidera; e tanta è la felicità
da essa riposta nell'oggetto della sua prava bramosia, da giudicare
beato chi ottenga sempre quel che desidera. Noi invece domanderemo a Dio
di non curare la carne nelle sue concupiscenze (Rm 13,14), ma di
fare la sua volontà. Però non arriviamo facilmente a pregare Iddio di
non soddisfare le nostre passioni; questa risoluzione incontra difatti
grande difficoltà; perché, quando lo chiediamo, sembriamo in un certo
modo odiare noi stessi; senza dir poi che questo stesso ci viene
attribuito a stoltezza da coloro che non vivono che per il loro corpo.
Con piacere, però, noi incorreremo nella fama di stolti, per la causa di
Cristo, il quale ha detto: Chi vuoi venire dietro a me, rinneghi se
stesso (Mt 16,24 Lc 9,23); tanto più che noi sappiamo essere
preferibile desiderare ciò che è giusto e onesto, che possedere ciò che
è contrario alla ragione, alla virtù e alle leggi di Dio. D'altra parte
è certo che chi non potè conseguire ciò che desidero con retta
intenzione, si trovi in posizione migliore di colui che raggiunse la
cosa desiderata sconsideratamente, spinto dai sensi. Inoltre noi non
solo chiediamo a Dio che ci impedisca di conseguire ciò che abbiamo
desiderato, se il desiderio viene da depravazione, ma anche gli diciamo
che non ci conceda quello che, quantunque sia da noi creduto buono, pure
ci viene ispirato dal demonio sotto le spoglie d'angelo di luce.
Rettissimo e pieno di pietà dovette sembrare lo zelo dell'Apostolo
quando tento di trattenere il Signore dall'affrontare la morte; eppure
il Signore lo rimprovero acerbamente, poiché egli ragionava secondo il
sentimento umano, non secondo lo spirito divino (Mt 16,22). E chi
può sembrare spinto da maggiore amore verso Dio dei santi Giacomo e
Giovanni, quando incolleriti con quei Samaritani, che non avevano voluto
dare ospitalità al maestro, chiesero a lui di fare discendere dal cielo
il fuoco, per consumare quegli scortesi inumani? Eppure furono sgridati
da Cristo Signore: Non sapete di quale spirito siete; il Figlio
dell'uomo non è venuto a perdere le anime, ma a salvarle (Lc 9,54).
Né soltanto quando il nostro desiderio è pravo, o sembra tale, dobbiamo
pregare Dio che la sua volontà sia fatta, ma anche quando esso
effettivamente non è cattivo; come per esempio quando la volontà segue
il primo impulso della natura e desidera ciò che è atto a conservarci in
vita, rigettando ciò che pare contrario alla vita medesima. Quando siamo
ridotti a dover domandare qualche cosa di simile, diciamo con tutta
l'anima: Sia fatta la tua volontà; imitando cosi Colui dal quale abbiamo
ricevuto la salvezza e la norma della salvezza. Egli, oppresso
naturalmente per i tormenti e per la morte che l'aspettavano, conformo
alla volontà del Padre la sua volontà, nell'orrore dell'estremo
martirio, dicendo: Si faccia non la mia volontà, ma la tua (Lc 22,42).
Sbalordisce la depravazione del genere umano: anche chi ha fatto
violenza alle passioni, e ha sottomesso la sua alla divina volontà, non
può evitare il peccato, se Dio non lo aiuta proteggendolo dal male, e
indirizzandolo al bene. Per tutto ciò, dobbiamo ricorrere a questa
preghiera, con la quale chiediamo a Dio che completi in noi l'opera da
lui iniziata, si da comprimere i ribelli moti del senso e sottomettere
definitivamente alla ragione i nostri desideri, conformandoci
interamente alla sua volontà. E cosi preghiamo ancora che tutto il mondo
accetti la volontà di Dio; e che il mistero divino, celato ai secoli e
alle generazioni, sia reso noto e divulgato fra tutte le genti (Col
1,26).
390. Con la formula "come in cielo"
noi domandiamo un'obbedienza resa
perfetta dalla carità
Noi domandiamo, inoltre, la norma e il modo di questa
obbedienza; che cioè essa sia conforme a quella norma, che nel cielo
osservano gli Angeli e il coro delle anime beate: come essi
spontaneamente e con grandissimo diletto obbediscono alla Divinità, cosi
pure noi ci uniformiamo alla sua volontà molto volentieri e nel modo che
a lui piace. Ora Dio vuole, nelle azioni e nei desideri con i quali a
lui tendiamo, un amore sommo e ardentissimo; cosicché, anche se ci
applichiamo al suo servizio nella speranza di ottenere premi celesti,
pure ricordiamo sempre che abbiamo tale speranza proprio perché alla
divina maestà è piaciuto di infondercela. Sia dunque tutta la nostra
speranza basata sull'amore di Dio che al nostro amore fisso, come
ricompensa, la felicità eterna. C'è qualcuno infatti che serve anche
amorevolmente, ma soltanto per mercede, dalla quale dipende il suo
amore. Ma ce ne sono altri che, mossi unicamente da pietà e da carità,
non mirano, in ciò che fanno che nella bontà e alla virtù di Dio, tanto
da stimarsi felici di poterlo servire, con questo solo pensiero e con
questa ammirazione. Ebbene, le parole: Come in cielo cosi in terra, sono
aggiunte per questo. Per farci intendere che dobbiamo essere sempre
obbedienti a Dio, come lo sono i beati, le lodi dei quali, per la loro
perfetta sottomissione, David ha cosi celebrato nei Salmi.: Benedite il
Signore voi tutti suoi eserciti, voi suoi ministri, che fate la sua
volontà (Ps 102,21). Se qualcuno però, seguendo san Cipriano,
intenda con le parole: in cielo i buoni e i pii, e con l'espressione in
terra, i cattivi e gli empi, noi approveremo il suo pensiero, indicando
nel cielo, lo spirito, e nella terra, la carne; in modo da chiedere
nella preghiera che tutti e tutte le cose obbediscano alla volontà di
Dio, in tutto.
391. Ringraziamento
contenuto in questa preghiera
Questa richiesta contiene anche un ringraziamento. Noi
veneriamo infatti la santissima volontà di Dio e pervasi da immensa
gioia esaltiamo con alte lodi e ringraziamenti tutte le sue opere,
perché siamo perfettamente convinti che ha fatto bene ogni cosa. Ma,
poiché sappiamo che Dio è onnipotente, necessariamente ne viene che
tutto sia stato creato per volontà sua; e poiché ancora affermiamo, ed è
la pura verità, che egli è il sommo Bene, confessiamo per ciò stesso che
nulla nelle sue opere è meno che buono, avendo egli comunicato la sua
bontà a tutte le cose. Che se non riusciremo in tutte a capire il
disegno di Dio, per tutte però, senza il minimo dubbio, o esitazione,
dobbiamo ripetere con l'Apostolo che le sue vie sono impenetrabili (Rm
11,33). Ma pure, essendosi Dio degnato di farci conoscere la sua
celeste luce, ci inchiniamo profondamente alla sua volontà, avendoci
egli strappati al potere delle tenebre, e trasferiti nel regno del suo
Figlio diletto (Col 1,13).
392. Cose da
meditarsi in questa preghiera
Per
spiegare quanto riguarda la pratica di questa preghiera, ritorniamo a
quello che ne dicemmo da principio; che cioè il popolo fedele nel
recitarla dev'essere profondamente umile, riconoscendo la naturale
inclinazione delle passioni a opporsi alla volontà divina, pensando
sempre come in questo suo dovere verso Dio egli viene sorpassato da
tutte le cose create, poiché di esse sta scritto: Tutte le cose ti
obbediscono (Ps 118,91). Pensi, inoltre, che noi siamo
estremamente deboli, mentre non solo non possiamo condurre a termine
un'opera grata a Dio, ma neanche incominciarla, se non siamo aiutati da
Dio medesimo (1Co 15,10).
Ma poiché nulla è più magnifico e più insigne che servire Iddio, e
comportarsi nella vita secondo la sua legge e i suoi precetti, che cosa
di più può desiderare il cristiano che percorrere le vie del Signore,
senza progettare, né intraprendere azione alcuna che sia contraria alla
volontà divina? Per prendere questa abitudine e conservarla con
fermezza, si cerchino nei Libri sacri gli esempi di coloro ai quali
tutto ando sempre in malora per non aver conformato i propri disegni
alla volontà di Dio.
Si ammoniscano, da ultimo, i fedeli ad abbandonarsi nella semplice e
assoluta volontà di Dio. Sopporti con animo sereno la propria condizione
chi si vede in posizione meno alta del suo merito; non abbandoni il suo
posto, anzi persista dove egli è stato chiamato e sottometta il giudizio
alla volontà di Dio, il quale sa provvederci meglio di quanto noi
possiamo desiderare. Se strettezze di mezzi, infermità fisica,
persecuzioni, o altri dispiaceri e affanni ci fanno soffrire, certamente
nulla avviene senza volere di Dio, il quale ha in sé l'ultima ragione
delle cose. Non dobbiamo perciò lasciarci abbattere dalle sventure; ma
sopportandole con animo invitto, dire sempre: Sia fatta la volontà del
Signore; e ripetere le parole di Giobbe: Come a Dio piacque è avvenuto:
sia benedetto il nome del Signore (Jb 1,21).
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