32.
Utilità
dell'articolo
Quanto mirabile e ricco vantaggio si sia riversato su tutto il genere
umano dalla fede e dalla confessione di questo articolo, lo mostrano da
una parte la testimonianza di san Giovanni: Chi professerà che Gesù è
Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio (1Jn 4,15);
dall'altra quell'attestato di beatitudine, elargito da nostro Signore al
Principe degli apostoli: Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non
te l'ha rivelato la carne e il sangue, ma il Padre mio che è nei cieli (Mt
16,17). Qui sta il fondamento più saldo della nostra salvezza e
redenzione. Ma per intenderne appieno le ripercussioni benefiche,
occorre insistere specialmente sulla perdita di quel felicissimo stato,
in cui Dio aveva collocato i primi rappresentanti del genere umano. Curi
perciò il Parroco che i fedeli vengano a conoscere la causa delle nostre
misere condizioni.
33.
La caduta dell'uomo
Adamo manco all'obbedienza verso Dio col trasgredirne il comando:
mangerai i frutti di qualsiasi albero del paradiso, ma non toccherai
quelli dell'albero della scienza del bene e del male, poiché il giorno
che li toccherai ne morrai (Gn 2,16-17). Cadde perciò in tanta
disgrazia, da perdere senz'altro la santità e la giustizia in cui era
stato posto, e da subire tutti quegli altri malanni, che il concilio
Tridentino spiego ampiamente (Sess. 5, can. 1,2; Sess. 6, can. 1).
Ricorderanno i Pastori che il peccato e la sua pena non sono rimasti
circoscritti al solo Adamo; ma da lui, seme e causa, si sono
naturalmente propagati a tutta la posterità.
34.
Necessità della fede nel Redentore
Risollevare il genere umano precipitato dall'altissimo grado di dignità,
ricondurlo al suo primiero stato, non era impresa proporzionata alle
forze degli uomini o degli angeli. L'unico rimedio possibile alla rovina
e ai mali era che l'infinita virtù del Figlio di Dio, assunta la
fragilità della nostra carne, cancellasse l'infinita malizia del peccato
e a Dio ci riconciliasse a prezzo del suo sangue.
Credere e professare il mistero della redenzione è e fu sempre per gli
uomini necessario al conseguimento della salvezza; per questo Dio
l'annuncio fin dall'inizio. Cosi nell'atto stesso di condanna, scagliato
sull'uman genere subito dopo il peccato, fu indicata la speranza della
redenzione nelle parole con cui preannunzio al demonio la sconfitta, a
cui l'avrebbe costretto con la liberazione degli uomini: Porro
inimicizia fra te e la donna, tra il tuo e il suo seme; essa ti
schiaccerà il capo e tu insidierai al suo tallone (Jr 3,15). Più
tardi confermo ripetute volte la medesima promessa, manifestando il
proprio disegno in una maniera più esplicita, soprattutto a coloro, cui
volle dar prova di singolare benevolenza. Tale mistero fu spesso
accennato, fra gli altri, al patriarca Abramo, e in modo apertissimo
quando egli, docile ai comandi di Dio, stette per immolare l'unico suo
figlio, Isacco. Disse infatti: Poiché hai fatto ciò, non risparmiando il
tuo unigenito, ti benedirò e moltiplicherò la tua progenie come le
stelle del cielo e l'arena innumerevole sulla sponda del mare. Possederà
essa le porte dei tuoi nemici; nel seme tuo saranno benedette tutte le
genti della terra, perché obbedisti alla mia voce (Gn 22,16-18).
Dalle quali parole era naturale ricavare che dalla progenie di Abramo
sarebbe uscito Colui, che doveva donare la salvezza a tutti gli
affrancati dal giogo immane di Satana. Ora il liberatore non poteva
essere altri che il Figlio di Dio, uscito dalla progenie di Abramo,
secondo la carne.
Poco più tardi, perché il ricordo della promessa fosse conservato, il
Signore strinse il medesimo patto con Giacobbe, nipote di Abramo. Nel
sogno gli apparve infatti una scala poggiata sulla terra e toccante con
l'apice i cieli; e sulla scala vide gli angeli di Dio scendere e salire,
come narra la Scrittura. E udì il Signore, dal sommo della scala,
dirgli: Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, il Dio di
Isacco; darò la terra, su cui dormi, a te e alla tua posterità, numerosa
come la polvere della terra. Ti propagherai a oriente e a occidente, a
settentrione e a mezzogiorno; saranno benedette in te e nella tua
semenza tutte le tribù della terra (Gn 28,12-14).
Dio non ristette poi dal rinnovare la promessa, suscitando il senso
dell'attesa tra i discendenti di Abramo e tra molti altri ancora. Anzi,
bene organizzatasi la società e la religione dei giudei, essa divenne
anche più nota in mezzo al popolo. Molte furono le figure e molte le
profezie delle grandi cose buone che il salvatore e redentore nostro
Cristo ci avrebbe arrecato. In particolare i profeti, il cui spirito era
illuminato da luce celeste, apertamente, quasi vi fossero presenti,
preannunziarono al popolo la nascita del Figlio di Dio, le opere
ammirabili che, fatto uomo, avrebbe compiuto, la sua dottrina, i
costumi, la sua vita, la morte, la risurrezione e tutti gli altri suoi
misteri. Sicché, se prescindiamo dalla diversità, che è tra futuro e
passato, vediamo che nessuna divergenza sussiste tra le predizioni dei
profeti e la predicazione degli apostoli, tra la fede dei vecchi
patriarchi e la nostra. Spieghiamo ora tutte le parti di questo
articolo.
35. Il nome di Gesù, imposto per divino comando,
è ben appropriato al Redentore
IN GESÚ CRISTO. Gesù, che significa salvatore, è il nome
proprio di colui che è Dio e uomo. Non gli fu imposto a caso, o per
volontà e decisione umana, bensì per decisione e comando di Dio. Infatti
l'Angelo annuncio alla madre di lui, Maria: Ecco, concepirai nel seno e
partorirai un figlio, al quale porrai nome Gesù (Lc 1,31). E più
tardi non solo comando a Giuseppe, sposo della Vergine, di chiamare il
bambino con quel nome, ma ne addusse anche la ragione, dicendo:
Giuseppe, figlio di David, non esitare a prender Maria in tua consorte;
poiché quel ch'è nato in lei, è da Spirito santo. Partorirà un
figliuolo, cui porrai nome Gesù; perché egli libererà il suo popolo dai
suoi peccati (Mt 1,20-21).
Molti personaggi veramente portano nella sacra Scrittura questo nome:
per es. il figlio di Nave, che successe a Mosè e, cosa a questo negata,
introdusse nella terra promessa il popolo liberato da lui dall'Egitto; e
il figlio del gran sacerdote Iosedech. Ma con quanta maggiore verità non
troviamo noi che esso conviene al nostro Salvatore. Egli infatti conferì
la luce, la libertà, la salvezza, non ad un popolo, ma all'umanità di
tutti i tempi; umanità non già oppressa dalla fame, o dal dominio
egiziano, o babilonese, bensì sperduta nell'ombra della morte, gemente
nei durissimi ceppi del peccato e del diavolo; guadagno per lei il
diritto ereditario al regno celeste e la riconcilio con Dio Padre.
In quei personaggi dobbiamo scorgere raffigurato Cristo Signore, dal
quale il genere umano fu ricolmato dei doni mentovati. Tutti i nomi del
resto, che furono preannunciati come riferiti, per disposizione divina,
al Figlio di Dio, si riassumono in quest'unico nome di Gesù; poiché
mentre essi esprimono, ciascuno sotto un parziale punto di vista, la
salvezza che Egli ci doveva impartire, questo abbraccia l'efficacia e la
ragione della universale salvezza umana.
36.
Gesù Cristo, re, sacerdote, profeta
Al nome di Gesù è stato accoppiato quello di Cristo, che significa Unto;
ed è titolo di onore e di ministero, riservato pero non a uno solo, ma a
diversi uffici. Perché gli antichi padri chiamavano cristi i sacerdoti e
i re, che Dio aveva comandato di ungere, in vista della dignità del loro
ufficio. In realtà i sacerdoti sono coloro che raccomandano a Dio, con
l'assidua preghiera, il popolo, offrono a Dio sacrifici, implorano per
la gente. Ai re poi è affidato il governo dei popoli; ad essi spetta
sopra tutto tutelare il prestigio delle leggi e la vita degli innocenti,
vendicare l'audacia dei perversi. Ora poiché tali funzioni sembrano
rispecchiare sulla terra la maestà di Dio, era naturale che i candidati
all'ufficio sacerdotale o regale fossero unti con unguento. Fu anche
antica consuetudine ungere i profeti, interpreti di Dio immortale,
araldi fra gli uomini dei celesti segreti, esortatori efficaci alla
correzione dei costumi, per mezzo di precetti e di previsioni.
Venendo al mondo, il nostro Salvatore Gesù Cristo assunse l'ufficio
della triplice personalità di profeta, di sacerdote, e di re; per questo
è stato chiamato Cristo ed è stato unto, allo scopo di assolvere il
molteplice compito, non per le mani di alcun mortale, ma per virtù del
Padre celeste: non con unguento terreno, ma con olio spirituale.
Nella sua santissima anima infatti fu versata una pienezza di doni dello
Spirito santo, più ricca e generosa di quella che alcuna natura creata
possa ospitare. Lo aveva mirabilmente annunziato il Profeta,
rivolgendosi direttamente al Redentore: Tu hai amato la giustizia e
odiato l'iniquità; perciò il Signore, tuo Dio, ti ha consacrato con olio
di letizia sopra i tuoi compagni (Ps 44,8). E anche più
esplicitamente l'aveva mostrato Isaia: Lo Spirito del Signore è sopra di
Me, avendomi unto e mandato a evangelizzare i mansueti (Is 61,1).
Gesù Cristo fu dunque il profeta e il maestro per eccellenza, poiché ci
fece manifesta la volontà di Dio, e dal suo insegnamento il mondo intero
attinse la conoscenza del Padre celeste. Tale qualifica gli conviene
tanto più propriamente, in quanto tutti coloro che meritarono il nome di
profeti furono suoi discepoli, inviati col precipuo scopo di annunciare
lui, il Profeta, che sarebbe venuto per la salvezza di tutti.
Parimente Cristo fu sacerdote, non di quell'ordine sacerdotale cui
appartennero nell'antica legge i sacerdoti della tribù di Levi; ma di
quello cantato da David con le parole: Tu sei sacerdote in eterno,
secondo l'ordine di Melchisedech (Ps 109,4); concetto
accuratamente spiegato dall'Apostolo nella lettera agli Ebrei. Infine in
Cristo riconosciamo un re, non solo in quanto Dio, ma anche in quanto
uomo e partecipe della nostra natura, avendo di lui dichiarato l'Angelo:
Regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo regno non conoscerà
tramonto (Lc 1,33). Il regno di Cristo pero è spirituale ed
eterno: iniziato sulla terra, si corona in cielo. Egli esercita
mirabilmente le prerogative regali nella Chiesa, governandola,
proteggendola dall'impeto e dalle imboscate dei nemici, imponendole
leggi, e non solo elargendole santità e giustizia, ma dandole capacità e
forza sufficiente per perseverare. Sebbene nei confini di tal regno
siano promiscuamente compresi buoni e cattivi, e quindi tutti gli uomini
a rigore vi appartengano, tuttavia coloro che, uniformandosi ai suoi
precetti, conducono vita integra e pura, sperimentano sopra ogni altro
l'esimia bontà e beneficenza del nostro Re. Tale regno non tocco a Gesù
Cristo, per essere rampollo di illustri sovrani, in virtù di un diritto
ereditario, o comunque umano: egli fu re perché nella sua umanità Dio
concentro quanto la natura umana può possedere di potenza, di grandezza,
di dignità. Con ciò stesso Dio gli conferì il regno del mondo intero, e
tutto nel di del giudizio sarà pienamente e perfettamente sottoposto a
lui, come già del resto si comincia a vedere nella vita presente.
37. Gesù Cristo è Figlio di Dio per generazione ineffabile
Suo UNICO FIGLIOLO. Queste parole propongono alla fede e
alla meditazione dei cristiani misteri anche più alti intorno a Gesù; e
precisamente che egli è Figlio di Dio e vero Dio, uguale al Padre, che
lo genero fin dall'eternità. Inoltre riconosciamo cosi che egli è la
seconda Persona della Trinità, del tutto uguale alle altre due. Non si puo infatti immaginare qualcosa di vario e di dissimile nelle Persone
divine, avendo in tutte ammesso la stessa essenza, volontà e potenza.
Questo articolo di fede risulta da molti tratti biblici, ma soprattutto
dal celeberrimo testo di san Giovanni: In principio era il Verbo, e il
Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Jn 1,1).
Sentendo che Gesù è Figlio di Dio, non dobbiamo ricorrere col pensiero
ad una origine, che implichi qualche elemento terreno o mortale. Noi non
possiamo cogliere con la ragione e compiutamente comprendere l'atto
mediante il quale, da tutta l'eternità, il Padre genero il Figlio; pero
lo dobbiamo credere con fermezza e venerare col più intimo ossequio del
cuore, esclamando, stupiti avanti al mirabile mistero, col Profeta: Chi
spiegherà la sua generazione? (Is 56,8). Dobbiamo dunque ritenere
che il Figlio possiede la medesima natura, potenza e sapienza del Padre,
come confessiamo più apertamente nel simbolo Niceno: In Gesù Cristo suo
unico Figliuolo, nato dal Padre prima di tutti i secoli; Dio da Dio,
luce da luce, vero Dio da vero Dio; generato, non fatto, consostanziale
al Padre; per mezzo di lui tutto è stato fatto.
38.
Duplice natività e filiazione di Gesù Cristo
Tra le diverse similitudini presentate per adombrare la maniera e la
natura della generazione eterna, la più felice è quella ricavata dalla
genesi del pensiero umano. San Giovanni appunto lo chiama Verbo il
Figlio di Dio. Infatti, come la nostra mente, intuendo in certo modo se
stessa, foggia un'immagine di sé, che i teologi chiamano verbo, cosi Dio
(per quanto è dato paragonare con le realtà umane le divine),
comprendendo sé, genera il Verbo eterno. Ma vai meglio arrestarsi a
contemplare quel che la fede propone; cioè credere e professare che Gesù
Cristo è insieme vero Dio e vero uomo; generato, come Dio, prima
dell'alba dei secoli, dal Padre; come uomo, nato nel tempo da Maria
vergine e madre.
39. Gesù
Cristo unica Persona e unico Figlio del Padre
Pur riconoscendo la sua duplice generazione, crediamo unico il
Figlio, perché è un'unica persona, in cui convergono la natura divina e
l'umana. Sotto l'aspetto della generazione divina non ha fratelli o
coeredi, perché Figlio unico del Padre; mentre noi uomini siamo opera e
formazione delle sue mani. Sotto l'aspetto invece dell'origine umana,
egli non solo chiama molti col nome di fratelli, ma anche li tratta come
tali, affinché con lui raggiungano la gloria dell'eredità paterna. Son
coloro che ricevettero con fede Gesù Cristo Signore, e manifestano in
pratica, con le opere di carità, la fede oralmente professata. In questo
senso egli fu chiamato dall'Apostolo: Primogenito fra una moltitudine di
fratelli (Rm 8,29).
40. Gesù Cristo è nostro Signore secondo le due nature
NOSTRO SIGNORE. Le sacre Scritture attribuiscono al Salvatore
molteplici qualità, di cui alcune chiaramente gli spettano come Dio,
altre come uomo, avendo Egli in sé, con la duplice natura, le proprietà
rispettive. Rettamente dunque dicevamo che Gesù Cristo, per la sua
natura divina, è onnipotente, eterno, immenso; mentre per la sua natura
umana, diciamo che ha patito, è morto, è risorto. Ma, oltre questi,
altri attributi convengono a entrambe le nature, come quando, in questo
articolo, lo diciamo nostro Signore; a buon diritto del resto, potendosi
riferire tale qualifica all'una e all'altra natura.
Infatti egli è Dio eterno come il Padre; cosi pure è Signore di tutte le
cose quanto il Padre. E come egli e il Padre non sono due distinti Dei,
ma assolutamente lo stesso Dio, cosi non sono due Signori distinti. Ma
anche come uomo, per molte ragioni è chiamato Signore nostro. Innanzi
tutto perché fu nostro Redentore e ci libero dai nostri peccati,
giustamente ricevette la potestà di essere vero nostro Signore e
meritarne il nome. Insegna infatti l'Apostolo: Si umilio, fattosi
ubbidiente fino alla morte e morte di croce; per cui Dio lo ha esaltato,
conferendogli un nome, che è sopra ogni altro, onde al nome di Gesù ogni
ginocchio si pieghi, in cielo, in terra, nell'inferno; e ogni lingua
proclami che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre (Ph
2,8-11). Egli stesso disse di sé dopo la risurrezione: Mi è stato
conferito ogni potere in cielo e sulla terra (Mt 28,18). Inoltre
è chiamato Signore per aver riunito in una sola Persona due nature, la
divina e l'umana. Per questa mirabile unione merito, anche senza morire
per noi, d'essere costituito quale Signore, sovrano di tutte le creature
in genere, e specialmente dei fedeli che gli obbediscono e lo servono
con intimo affetto.
41.
Quanto il cristiano debba a Gesù Cristo
Infine il Parroco esorterà il popolo fedele a riconoscere
quanto sia giusto che noi, sopra tutti gli uomini, - avendo tratto da
lui il nome di cristiani, e non potendo ignorare gli immensi benefici di
cui ci ha ricolmato, anche perché la sua bontà ce li fece conoscere per
fede - ci consacriamo per sempre come servi docili al Redentore e Signor
nostro. Promettemmo di farlo quando l'iniziazione battesimale ci schiuse
le porte della Chiesa. Dichiarammo allora di rinunciare a Satana e al
mondo, e di donarci tutti a Gesù Cristo. Se dunque per essere introdotti
nella milizia cristiana ci consacrammo a nostro Signore con si santa e
solenne promessa, di qual supplizio non saremo meritevoli, se dopo aver
passato la soglia della Chiesa, dopo aver conosciuto la volontà e la
legge di Dio, e aver usufruito della grazia dei sacramenti, vivessimo
secondo le prescrizioni e le massime del mondo e del diavolo, quasi che
nell'atto del battesimo, non a Cristo Signore e Redentore avessimo dato
il nostro nome, ma al mondo e a Satana? Ma in quale anima non accenderà
fuochi di amore la volontà di cosi grande Signore, tanto benigna e
propizia verso di noi, che, pur avendoci in suo completo potere, quali
servi riscattati col suo sangue, ci circonda di cosi profondo amore che
non ci chiama servi, ma amici e fratelli? (Jn 15,15). Questa,
senza dubbio, è la causa più giusta, e forse la maggiore, per
riconoscerlo, venerarlo, servirlo sempre come nostro Signore.
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