12.
Significato dell'articolo
Ecco il senso racchiuso in queste parole: ritengo con certezza e
riconosco senza ombra di dubbio che v'è un Dio Padre, cioè la prima
Persona della Trinità, il quale nella onnipotente sua virtù trasse dal
nulla il cielo, la terra e quanto è contenuto nell'ambito del cielo e
della terra; egli regge e governa tutto il creato. Né solamente credo
col cuore in lui e lo confesso con le labbra, ma aspiro a lui col
fervore e l'amore più intensi, come al sommo e perfettissimo bene.
Questa, in breve, una prima dilucidazione dell'articolo. Ma poiché quasi
ogni suo vocabolo nasconde sublimi misteri, occorre che il Parroco vi
consacri attentissima considerazione, affinché il popolo fedele ascenda,
pavido e tremante, a contemplare la gloria della maestà divina entro i
limiti stabiliti da Dio.
13.
Valore e significato della parola "Credo" nel dominio della fede cristiana
IO CREDO. Qui il verbo credere non significa reputare, stimare, opinare;
bensì, secondo l'insegnamento della sacra Scrittura, significa il
sicurissimo assenso, in virtù del quale l'intelligenza aderisce, con
fermezza e tenacia, a Dio che rivela i propri misteri. Perciò, chi crede
(nel senso qui inteso) possiede indubbia e nettissima convinzione di
qualcosa. Né si pensi che la conoscenza insita nella fede sia meno
sicura, per il fatto che le realtà proposteci a credere sono invisibili;
perché se la luce divina che ce le fa percepire non le fa raggiare
nell'evidenza, non permette tuttavia che ne dubitiamo.
Il medesimo Dio che comando alla luce di scaturire dalle tenebre, quello
stesso rifulse nei nostri cuori (2Co 4,6), perché il Vangelo non
fosse velato per noi, come lo è per coloro che periscono (IB 4,3).
Ne consegue che chi possiede simile celeste conoscenza data dalla fede,
è immune da ogni vana curiosità di ricerca. Infatti Dio comandandoci di
credere, non ci volle intenti a scrutare i divini giudizi, il loro
piano, la loro causa; ma impose quella fede inalterabile, che da
all'anima il riposo nella conoscenza della verità eterna. Ora, se
l'Apostolo proclama che Dio solo è veritiero, mentre tutti gli uomini
mentiscono (Rm 3,4), e se noi normalmente reputiamo segno di impudente
arroganza non prestar credito a un uomo che, fornito di saggezza e
gravita, ci comunichi qualcosa, e pretendere che comprovi con ragioni e
testimoni il suo asserto, di quale temeraria stoltezza non si renderà
reo chi, ascoltando la parola di Dio, oserà chiedere le ragioni della
celeste salutare dottrina? Perciò la fede deve bandire non solo ogni
parvenza di dubbio, ma anche ogni velleità di dimostrazione.
14.
Necessità dell'atto esterno di fede
Il Parroco non mancherà inoltre di insegnare a colui che
dice: Io credo, come, oltre all'esprimere cosi l'assenso intimo del
proprio spirito, in cui si compendia l'atto interno della fede, deve con
la massima sollecitudine manifestare pubblicamente, con esplicita
professione di fede, quanto porta chiuso nel cuore. Nei fedeli deve
aleggiare quello spirito, che spingeva il Profeta ad esclamare: Ho
creduto, e per questo ho parlato (Ps 115,1). Essi devono imitare
gli apostoli che rispondevano alle autorità del popolo: Non possiamo
tacere quanto abbiamo visto e udito (Ac 4,20); memori della bella
frase di san Paolo: Io non arrossisco del Vangelo, che è la virtù di Dio
per la salvezza di tutti i credenti (Rm 1,16); e di quell'altra,
in cui è la diretta conferma della sentenza qui illustrata: Crediamo col
cuore per essere giustificati; confessiamo con le labbra per essere
salvati (Rm 10,10).
15.
Conoscenza di Dio per mezzo della fede
IN DIO. Già di qui c'è dato di apprezzare la dignità e
l'eccellenza della sapienza cristiana e con ciò il debito contratto
verso la divina bontà, potendo noi rapidamente salire, quasi attraverso
i gradini della fede, alla conoscenza della più nobile e desiderabile
realtà. Qui appunto risiede una delle grandi differenze tra la filosofia
cristiana e la sapienza di questo mondo. Mentre questa, guidata
semplicemente dal lume di natura, muovendo adagio adagio dagli effetti e
da tutto ciò che è percepito dai sensi, riesce solo dopo diuturni sforzi
a contemplare a mala pena le realtà invisibili di Dio, a riconoscerlo e
comprenderlo quale prima Causa e Autore di tutto il creato; quella
invece affina talmente la penetrazione dello spirito umano, che esso può
innalzarsi al cielo senza fatica. Illuminato dallo splendore divino,
scorge dapprima l'eterna fonte stessa della luce e poi quanto giace al
disotto di essa.
Perciò a noi è dato di constatare con la più intensa letizia spirituale
come veramente, secondo la parola del Principe degli Apostoli, siamo
chiamati dal fondo delle tenebre a una luce mirabile (1P 2,9), e
possiamo trasalire di ineffabile gioia nella nostra fede (1P 1,8).
A ragione dunque i fedeli proclamano innanzi tutto di credere in Dio, la
maestà del quale, con Geremia, definiamo incomprensibile (Jr 32,19).
Egli dimora, come dice l'Apostolo, in uno splendore inaccessibile, che
nessuno vide, o può vedere (1Tm 6,16). Parlando a Mosè, disse Dio
stesso: Nessuno mi vedrà e sopravviverà (Ex 33,20). Infatti, per
arrivare a Dio, vertice del sublime, l'intelligenza nostra deve essere
del tutto astratta dai sensi; il che non è concesso alle facoltà
naturali in questa vita.
16.
La conoscenza razionale di Dio
Tuttavia Dio, secondo la sentenza dell'Apostolo, non manco di
dare di sé testimonianza, beneficandoci, inviando dal cielo le piogge e
le stagioni fruttifere, ricolmando di nutrimento e di gioia le creature
umane (Ac 14,16). Cosi ai sapienti fu evitato di concepire
intorno a Dio nozioni indegne, e di eliminare dal suo concetto ogni
elemento corporeo, materiale, composito. Essi inoltre collocarono in Dio
la pienezza di tutti i beni, la fonte perenne e inesauribile di bontà e
di misericordia, da cui rifluisce su tutte le realtà e nature create
ogni bene e ogni perfezione. Lo chiamarono sapiente, autore e tutore
della verità, giusto, benefico: con tutti quei nomi, insomma, in cui è
espressa la suprema ed assoluta perfezione; sostennero poi che la sua
immensa ed infinita virtù riempie ogni luogo e raggiunge ogni estremo.
Tutto ciò traspare molto più nettamente dalle divine Scritture, come
mostrano, per esempio, i passi seguenti: Dio è spirito (Jn 4,24);
Siate perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto (Mt 5,48);
Tutto è nudo e scoperto ai suoi occhi (He 4,13); O profondità dei tesori
della sapienza e della scienza divina! (Rm 11,33); Dio è
veritiero (Rm 3,4); Io sono la via, la verità, la vita (Jn
14,6); La tua destra è ricolma di giustizia (Ps 47,11); Tu
apri la tua mano, ed empi di benedizione ogni essere che respira (Ps
144,16); Dove mi rifugerò per evitare il tuo spirito e il tuo volto?
Se salgo al cielo, ivi tu sei: se scenderò nell'inferno, sei presente;
se all'alba prenderò le mie ali, e mi lancerò verso i confini del mare,
tu sei li (Ps 138,7-9);Il Signore dice: non riempio io forse il
cielo e la terra? (Jr 23,24).
17. La
conoscenza di Dio mediante la fede
è superiore alla conoscenza razionale
Sono grandi in verità ed insigni queste nozioni, che circa la
natura di Dio, in armonia con l'autorità della sacra Scrittura, i
filosofi trassero dalla contemplazione del creato. Eppure anche qui
scopriremo la necessità di una dottrina rivelata, se riflettiamo che la
fede, come abbiamo detto, non solo fa si che le verità scoperte dai
sapienti dopo paziente studio brillino d'un tratto e senza sforzo anche
agli ignoranti, ma che la loro conoscenza, conseguita attraverso la
pedagogia della fede, penetri nei nostri intelletti in modo
infinitamente più sicuro e immune da errori, di quel che si
verificherebbe, se l'avessero raggiunte mediante i ragionamenti della
scienza umana.
Però quanto non è da reputarsi più nobile quella conoscenza della
divinità, che non è indistintamente data a tutti dallo spettacolo della
natura, ma particolarmente fu irraggiata nei credenti dal lume della
fede. Orbene, questa è condensata in quegli articoli del Simbolo, che ci
manifestano l'unità dell'essenza divina e la distinzione delle tre
Persone; e ci additano Dio come ultimo fine dell'uomo, da cui dobbiamo
attenderci la celestiale ed eterna beatitudine, come apprendemmo da san
Paolo: Dio è
rimuneratore di chi lo cerca (He 11,6). Di qual valore sia tutto
ciò e come trascenda i beni, ai quali la conoscenza avrebbe potuto
aspirare da sola (1Co 2,9), già molto prima dell'Apostolo lo
aveva spiegato Isaia: Dall'origine dei secoli, al di fuori di te, o
Signore, non fu inteso da orecchio o percepito da occhio umano, quanto
tu hai preparato a coloro che ti amano (Is 64,4).
18. Unità di
Dio
Da quanto abbiamo esposto risulta che dobbiamo anche
confessare l'esistenza di un solo Dio, non di più dèi. Attribuendo
infatti a Dio la suprema bontà e perfezione, è inconcepibile che
l'infinito e l'assoluto si riscontrino in più d'un soggetto. E se a uno
poi manca qualcosa per toccare la perfezione assoluta, con ciò stesso è
imperfetto, né può convenirgli la natura divina. Molti passi scritturali
confermano simili deduzioni. E scritto infatti: Ascolta, Israele:Il
Signore Dio nostro è Dio unico (Dt 6,4). Ed è comando di Dio: Non
avrai altro Dio, fuori che me (Ex 20,3). Dio inoltre spesso
ammonisce per mezzo del profeta: Io sono il primo e l'ultimo; nessun Dio
fuori di me (Is 41,4 Is 44,6). E apertamente assicura l'Apostolo:
Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo (Ep 4,5).
Né ci
sorprenda il fatto che talora la sacra Scrittura attribuisce
l'appellativo Dio anche a nature create. Chiamando infatti talora dèi i
profeti e i giudici, non rispecchia i preconcetti dei gentili, che
empiamente e stoltamente si raffigurarono molteplici divinità; ma,
secondo il parlare usuale, vollero esprimere qualche esimia loro virtù,
o qualche speciale funzione ad essi da Dio affidata. In conclusione la
fede cristiana crede e professa un Dio solo, nella natura, nella
sostanza, nell'essenza, come il Simbolo del concilio Niceno, per
rassodare tale verità, ha spiegato. Né basta: elevandosi più in alto, la
fede intende l'unità in modo tale da venerare l'unità nella trinità e la
trinità nell'unità. Di questo mistero, che segue appunto nel Simbolo,
dobbiamo ora trattare.
19.
Dio, Padre di tutte le cose per creazione,
Padre in modo peculiare dei cristiani per adozione
Padre. Poiché il vocabolo di Padre è attribuito a Dio per molteplici
ragioni, dovremo innanzi tutto spiegare quale sia il significato più
proprio di questa parola. Già alcuni di coloro le cui tenebre non erano
state dissipate dal sole della fede, avevano compreso essere Dio la
sostanza eterna, da cui il mondo aveva ricevuto l'essere e dalla cui
provvidenza è governato e conservato nella sua ordinata disposizione.
Presa dunque la similitudine dalle realtà umane, poiché chi propaga
l'essere in una famiglia e ne vigila le sorti col consiglio e
l'autorità, è chiamato padre, furono indotti a chiamare Padre quel Dio,
che riconoscevano artefice e moderatore di tutte le cose.
Anche le sacre Scritture ricorsero al medesimo appellativo, quando,
parlando di Dio, vollero mostrare come a Dio si dovessero attribuire la
creazione, il potere e la mirabile provvidenza nell'universo. Vi
leggiamo infatti: Non è lo stesso Padre tuo che ti ha posseduto, ti ha
fatto, ti ha creato? (Dt 32,6). E altrove: Non è forse uno solo
il Padre di tutti noi? Uno solo il nostro Creatore? (Ml 2,10).
Ben più spesso e quasi con peculiare proprietà, soprattutto nei libri
del nuovo Testamento, Dio è chiamato Padre dei cristiani, poiché questi
non ricevettero, nel timore, lo spirito di schiavitù, bensì lo spirito
di adozione, quali figli di Dio, che li autorizza a invocare: Abbà,
Padre (Rm 8,15). Il Padre infatti ci uso tale amore, che in
verità possiamo essere nominati e in realtà siamo figli di Dio (1Jn
3,1). Se poi figli, anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Gesù
Cristo, primogenito tra innumerevoli fratelli (Rm 8,17-29), che
non arrossisce nel chiamarci tali (He 2,11). Sicché a buon
diritto i fedeli professano la loro fede in Dio loro padre, sia che si
consideri la relazione generica nascente dalla creazione e dalla
provvidenza, sia che si tenga conto del singolare vincolo della
spirituale adozione.
20. Il
valore del nome Padre nella Divinità
Oltre le nozioni testé spiegate, il Parroco mostrerà a quali
più sublimi misteri l'intelletto debba innalzarsi, nell'ascoltare
l'appellativo di Padre. Gli oracoli divini infatti cominciano, col
vocabolo di Padre, a farci intravedere quanto si nasconde più
misteriosamente in quella luce inaccessibile, che è dimora di Dio e che
la ragione e l'intelletto dell'uomo mai avrebbero potuto da sé, non dico
raggiungere, ma neppure sospettare. Poiché quel nome dimostra che
nell'unica essenza divina dobbiamo riconoscere non già una sola Persona,
bensì una distinzione di Persone.
Tre di fatto sono le Persone nell'unica Divinità: quella del Padre, da
nessuno generato; del Figlio, generato dal Padre anteriormente a tutti i
secoli; dello Spirito santo, pur dalla eternità procedente dal Padre e
dal Figliuolo. Nell'unica sostanza divina il Padre è la prima Persona,
che, col suo Figlio unigenito e con lo Spirito santo, forma un solo Dio,
un solo Signore, non già nella singolarità di un'unica Persona, bensì
nella trinità di un'unica sostanza.
21. Le tre
Persone divine
sono distinte per le loro rispettive proprietà
Non essendo permesso concepire tra queste tre Persone alcuna
differenza o ineguaglianza, dovranno intendersi distinte solamente in
virtù delle loro proprietà; per cui il Padre è non generato, il Figlio è
generato dal Padre, lo Spirito santo procede da entrambi. E professeremo
fra le tre Persone una tale identità di essenza e di sostanza, che nella
confessione completa di un Dio vero ed eterno, riterremo dover adorare,
piamente e santa mente, nelle Persone la proprietà, nell'essenza
l'unità, nella trinità l'uguaglianza. Sicché quando diciamo che la
Persona del Padre è la prima, non bisogna pensare che nella Trinità
sussista una differenza come se una fosse anteriore o posteriore,
maggiore o minore.
Lo spirito dei fedeli sia immune da una tale empietà: la religione
Cristiana proclama nelle tre Persone l'identica eternità e la stessa
maestà di gloria. Noi affermiamo senza esitazione che il Padre è
veramente la prima Persona, perché è principio senza principio; e poiché
ciò che la contrassegna è la proprietà di Padre, ad essa sola conviene
l'aver generato dall'eternità il Figlio. Infatti pronunciamo insieme in
questo articolo i nomi di Dio e di Padre, per ricordare costantemente
che Dio è stato sempre Padre.
22. Non
occorre istituire intorno alla Trinità
troppo sottile ricerca
Siccome in nessun altro campo vi è tanto pericolo
nell'indagine e tanta possibilità di errori gravissimi, come nel
presentare e spiegare questa sublime e difficilissima verità, il Parroco
insegnerà doversi scrupolosamente ritenere i vocaboli propri di essenza
e di persona, con i quali viene formulato il mistero, ricordando ai
fedeli come l'unità è nell'essenza, la distinzione nelle Persone. Dopo
ciò, non è affatto necessario inoltrarsi in analisi più minute, memori
della sentenza biblica: Chi vuole scandagliare la maestà, sarà
sopraffatto dalla gloria (Pr 25,27). Deve apparire sufficiente il
fatto che quanto per fede riteniamo certo e indiscusso, lo apprendemmo
da Dio, gli oracoli del quale vogliono l'assenso, se non si è
irreparabilmente folli e miserabili. Egli ha detto infatti: Andate ad
istruire tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito santo (Mt 28,19). E altrove: Tre sono i testimoni
nel cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito santo; e i tre costituiscono
una sola sostanza (1Jn 5,7). Tuttavia colui il quale crede per
divina grazia a tali verità, preghi assiduamente e scongiuri Dio Padre,
che dal nulla trasse l'universo, tutto disponendo dolcemente (Sg 8,1),
che ci concesse la capacità di divenire figli di Dio (Jn 1,12) e
all'umana intelligenza discopri il mistero trinitario. Preghi, dico,
affinché accolto un giorno nei tabernacoli eterni (Lc 16,9), sia
degno di scorgere questa meravigliosa fecondità di Dio Padre, che,
intuendo e comprendendo se stesso, genera un Figlio, pari e uguale a se
stesso; di contemplare come l'identico Amore di carità dei Due, che è lo
Spirito santo, procedente dal Padre e dal Figliuolo, stringe
reciprocamente, con eterno e indissolubile vincolo, il Genitore e il
Generato; come infine si attui cosi, nella divina Trinità, l'unità di
essenza e la perfetta distinzione delle tre Persone.
23.
L'onnipotenza di Dio
ONNIPOTENTE. Le sacre Scritture sogliono spiegare con molti
nomi la perfezione sovrana e l'infinita grandezza di Dio, per mostrare
con quale rispetto e pietà debba venerarsi l'adorabile maestà sua. Ma il
Pastore insegnerà innanzi tutto che l'onnipotenza è il qualificativo
preferito. Dio stesso dice di sé: Io, Dio onnipotente (Gn 17,1).
E Giacobbe, inviando i figli a Giuseppe, li accomiata con l'augurio:Il
mio Dio onnipotente ve lo renda placabile (Gn 43,14)
Nell'Apocalisse in fine è scritto: Dio, Signore onnipotente, che è, che
era, e che verrà (Ap 1,8); e ancora:Il gran giorno si chiama il
giorno di Dio onnipotente (Ap 16,14). Talora 11 medesimo concetto
è espresso con più parole, come appare dai passi seguenti: Niente è
impossibile avanti a Dio (Lc 1,37); La mano di Dio è forse
impotente? (Nb 11,23);Il potere ti spetta, quando tu voglia (Sg
12,18); e simili. E evidente che le varie espressioni adombrano il
medesimo contenuto: l'onnipotenza.
Questo attributo sta a significare che nulla possono l'intelligenza e la
fantasia raffigurarsi, che Dio non possa compiere. Egli ha la virtù di
compiere non solamente effetti che, per quanto grandissimi, rientrano in
qualche modo nell'ambito della nostra comprensione: come ridurre il
tutto nel nulla o di produrre all'istante molteplici mondi, ma anche
gesta infinitamente più grandiose, Superiori a ogni immaginazione dello
spirito umano. Pur tutto potendo, Dio non puo però mentire, ingannare,
essere ingannato, peccare, perire, ignorare qualcosa; tutti attributi di
esseri, le cui operazioni sono imperfette. Appunto perché l'operazione
di Dio è sempre perfettissima, diciamo che non può compiere quelle
azioni, le quali sono indizio di debolezza, non già di una somma e
infinita potenza operativa, quale egli possiede. In conclusione noi
crediamo Dio onnipotente, rimuovendo da lui con ogni cura tutto ciò che
sia difforme e contrario alla perfezione suprema della sua essenza.
24.
Necessità e utilità della fede nella onnipotenza di Dio
Il Parroco mostrerà con quanta sapienza sia stato proposto
nel Simbolo alla nostra fede quest'unico attributo di Dio, tralasciati
gli altri che gli convengono. In realtà, proclamando Dio onnipotente,
implicitamente veniamo a riconoscerlo onnisciente, dominatore e signore
dell'universo. Inoltre, se riteniamo per certo che egli può fare tutto,
ne segue che riconosceremo in lui tutte quelle altre perfezioni,
mancando le quali ci riuscirebbe incomprensibile l'esercizio della
onnipotenza. Infine nulla meglio della persuasione che Dio tutto può
fare, potrebbe corroborare in noi i sentimenti di fede e di speranza. La
ragione, guadagnata la nozione dell'onnipotenza divina, aderirà senza
ombra di esitazione a qualunque cosa sia necessario credere, per quanto
insigne e mirabile, per quanto superiore alle leggi e all'ordine di
natura. Anzi riterrà tanto più agevolmente doversi prestare fede, quanto
più sublimi sono le manifestazioni degli oracoli divini. Cosi, sul
terreno delle sante speranze, l'animo sarà sbigottito dalla grandezza
della meta agognata; ma trarrà coraggio e fiducia dal pensiero
frequente, che nulla è impossibile all'onnipotenza di Dio.
Di questa fede dovremo in particolare modo premunirci quando ci
accingiamo a compiere qualcosa di notevole per il vantaggio del
prossimo, o quando con le preghiere desideriamo impetrare qualcosa da
Dio. Per il primo caso lo stesso Signore ci ammaestro quando,
rimproverando agli apostoli la loro incredulità, esclamo: Se avrete fede
quanto un granello di senapa, direte a questo monte: passa di là; e
passerà, e niente vi sarà impossibile (Mt 17,19). Per il secondo,
abbiamo la testimonianza di san Giacomo: Chi chiede, chieda con fede,
senza esitare; chi esita, è simile all'onda del mare, spinta in ogni
lato dal vento; e non s'illuda di ottenere qualcosa da Dio.
Tale fede del resto ci procura parecchi altri importanti vantaggi: ci
educa innanzi tutto alla modestia e all'umiltà dello spirito, come
suggerisce il Principe degli Apostoli: Umiliatevi sotto la potente mano
di Dio (1P 5,6). In secondo luogo ci insegna a non tremare,
poiché null'altro v'è da temere se non Dio solo, che tiene in suo potere
noi e tutte le nostre cose. Ammonisce infatti il Salvatore: Io vi
additerò chi dobbiate temere: temete Colui che, dopo avervi tolta la
vita, ha potere di mandarvi all'inferno (Lc 12,5). Infine ci
aiuta a riconoscere e a celebrare i benefici immensi che Dio ci ha
elargito; poiché chi riconosce Dio onnipotente, non può avere
ingratitudine si nera da non gridare spessissimo: Grandi cose ha fatto
per me Colui che è potente (Lc 1,49).
25.
L'onnipotenza è principalmente attribuita al Padre
Dal fatto che in questo articolo chiamiamo onnipotente il
Padre, nessuno sia tratto erroneamente a pensare che tale attributo a
lui convenga, senza essere parimente comune al Figlio e allo Spirito
santo. Poiché come diciamo Dio il Padre, Dio il Figlio, Dio lo Spirito
santo, pur non riconoscendo tre dèi, bensì un solo Dio, cosi pure
confessiamo l'onnipotenza del Padre, del Figlio e dello Spirito, senza
riconoscere tre onnipotenti, ma un solo Onnipotente. Tuttavia al Padre
più particolarmente riserviamo tal nome, perché fonte di qualsiasi
origine; come in particolare si attribuisce al Figlio, eterno Verbo del
Padre, la sapienza, e allo Spirito santo, Amore di entrambi, la bontà;
quantunque questi e simili attributi appartengano, secondo la regola
della fede cattolica, solidalmente a tutte e tre le Persone.
26. Creatore del cielo e della terra.
CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA. Quanto ora diremo per
spiegare la creazione dell'universo, mostrerà come sia necessario
istruire in antecedenza i fedeli circa l'onnipotenza di Dio. Non avendo
infatti lasciato alcun dubbio sulla potenza sconfinata del Creatore, è
cosi agevolata la fede nel prodigio di si grande opera. Dio non ha
formato il mondo da una materia preesistente, ma lo creo dal nulla, non
costretto dalla violenza o dalla necessità, ma di propria spontanea
volontà. L'unica causa che lo spinse all'atto creativo fu il desiderio
di espandere la sua bontà sulle cose create. La natura di Dio infatti,
beatissima in sé, non ha bisogno di nulla, secondo le parole di David:
Io ho detto al Signore: tu sei il mio Dio, perché non hai bisogno de'
miei beni (Ps 15,2). Ma, come indotto dalla sua sola bontà, ha
compiuto tutto ciò che ha voluto, cosi, gettando le basi dell'universo,
non si è uniformato a un esemplare o a un disegno esistente fuori di
lui. Infatti se la sua intelligenza racchiude in sé stessa i prototipi
di tutte le cose, il sovrano Artefice, contemplandoli in sé, e quasi
imitandoli, creo all'inizio le realtà dell'universo, con la sapienza e
potenza infinita che gli sono proprie. Egli parlo, e le cose furono;
comando, e vennero create (Ps 32,9).
Nei termini poi cielo e terra occorre intendere tutto quanto essi
contengono. Ai cieli infatti, che il Profeta chiamo opera delle sue dita
(Ps 8,4), Dio aggiunse il luminoso ornamento del sole, della
luna, delle rimanenti stelle; e affinché servissero a distinguere le
stagioni, i giorni, gli anni, dispose il corso sicuro e costante dei
globi celesti, in modo che nulla appaia più mobile del loro orbitare
perpetuo, nulla più certo del loro movimento.
27.
Creazione degli angeli
Dio inoltre trasse dal nulla il mondo spirituale e gli angeli
innumerevoli, perché gli fossero ministri assidui, arricchendoli poi con
i doni della sua ineffabile grazia e del suo alto potere. Le parole
infatti della sacra Scrittura:Il diavolo non persevero nel vero (Jn
8,44), dimostrano nettamente come esso e gli altri angeli apostati
avevano dalla loro origine ricevuto la grazia. Dice in proposito
sant'Agostino: Dio creo gli angeli dotati di retta volontà, vale a dire
animati da un casto amore, che a lui li avvinceva, dando loro l'essere
ed elargendo insieme la grazia. Possiamo perciò ritenere che gli angeli
santi non furono mai sprovvisti di rettitudine nella volontà, cioè
dell'amor di Dio (Agost. La città di Dio, 12,9). Riguardo alla loro
scienza, abbiamo la dichiarazione dei Libri sacri: Ma tu, o re, mio
signore, sei sapiente, come è sapiente l'angelo di Dio, si che tutto
conosci sulla terra (2 Re, 14,20). Infine il santo re David attribuisce
loro la potenza, dichiarando potenti gli angeli per intima virtù ed
esecutori dell'ordine divino (Ps 102,20). Anzi le sacre Scritture
li chiamano spesso forze ed eserciti del Signore. Purtroppo, sebbene
tutti arricchiti di tali doni celesti, molti, avendo ripudiato Dio loro
padre e creatore, furono espulsi dalle sublimi sedi e chiusi nel carcere
oscurissimo della terra, dove pagano eternamente la pena della loro
superbia. Di essi parla san Pietro: Dio non ha risparmiato gli angeli
peccatori, ma li ha precipitati nell'inferno, abbandonandoli agli abissi
delle tenebre, dove li mantiene per il Giudizio (2P 2,4).
28.
Creazione dei viventi
Dio inoltre con la sua parola volle che la terra, ben fondata sulla sua
stabilità, avesse posto nella parte centrale del mondo; e fece si che le
montagne si innalzassero e le valli si aprissero nei punti designati (Ps
111,8-9). E perché l'acqua non la sommergesse, fisso il confine,
oltre il quale mai si spingesse l'inondazione. Quindi vi spiego sopra
una magnifica veste di alberi, di erbe, di fiori; e, come
antecedentemente aveva popolato l'acqua e l'aria di innumerevoli specie
di animali, cosi fece per la terra.
29.
Creazione dell'uomo
Infine Dio trasse dal fango l'uomo, organizzandolo corporalmente in modo
tale, da divenire suscettibile, non per forza di natura, ma per
beneficio divino, di immortalità e d'impassibilità. Creo poi la sua
anima a immagine e similitudine propria, dotandolo di libero arbitrio, e
temperando in lui gli istinti e gli appetiti in modo che mai potessero
sopraffare il dominio della ragione. Aggiunse il meraviglioso dono della
giustizia originale e volle che l'uomo comandasse a tutti gli animali.
Tutto ciò del resto potrà essere attinto agevolmente dai Parroci, per
l'istruzione dei fedeli, dalla storia sacra del Genesi.
Ecco cosi spiegato quel che deve intendersi nell'inciso relativo alla
creazione del cielo e della terra. Il Profeta aveva già tutto brevemente
riassunto con le parole: Tuoi sono, o Signore, i cieli e la terra; tu
hai fondato il globo terracqueo e quanto lo riempie (Ps 88,12).
Molto più sinteticamente si espressero i Padri del concilio Niceno,
introducendo nel Simbolo due soli vocaboli: le cose visibili e le
invisibili. Tutto ciò, infatti, che è compreso nell'universo, e
riconosciamo creato da Dio, o cade sotto la percezione dei nostri sensi
ed è detto visibile, o può essere percepito solamente dalla nostra
ragione e intelligenza, ed è chiamato invisibile.
30.
La divina Provvidenza
Non dobbiamo però concepire la nostra fede in Dio, creatore e
autore di tutte le cose, in modo da supporre che queste, compiutasi
l'opera creativa, possano sussistere indipendentemente dalla sua potenza
infinita. Come tutto, per assurgere alla esistenza, fu dovuto suscitare
dalla saggia e buona onnipotenza del Creatore, cosi tutto ripiomberebbe
istantaneamente nel nulla, se l'eterna sua provvidenza non assistesse il
creato e non lo conservasse con la medesima virtù, che gli diede
l'essere. Lo attesta la sacra Scrittura: Che cosa potrebbe sussistere,
se tu non lo volessi? e se non fosse ognora sorretto da te, che cosa
potrebbe conservarsi? (Sg 11,26).
Dio non solamente tutela e regge l'universo con la sua provvidenza, ma
spinge con intima efficacia al movimento e all'azione tutto ciò che si
muove e opera nel mondo, non già sopprimendo l'efficienza delle cause
seconde, bensì prevenendola. La sua efficacia misteriosa raggiunge le
singole realtà, e, secondo la parola della Sapienza, opera con potenza
da un'estremità all'altra (del mondo) e tutto governa soavemente (Sg
8,1). Annunciando agli Ateniesi quel Dio che essi adoravano senza
conoscerlo, l'Apostolo esclamava: Egli non è lontano da ciascuno di noi,
poiché in lui abbiamo la vita, il movimento e l'essere (Ac 17,27-28).
31.
L'atto
creativo è comune alla santissima Trinità
E basti per quanto riguarda la spiegazione del primo articolo.
Aggiungeremo tuttavia che l'opera della creazione è comune a tutte le
Persone della santa e indivisa Trinità. Poiché, mentre in questo
articolo del Simbolo degli apostoli confessiamo Dio Padre, creatore del
cielo e della terra, nelle sante Scritture leggiamo del Figlio: Tutto è
stato fatto per suo mezzo (Jn 1,3); e dello Spirito santo: Lo
Spirito del Signore aleggiava sulle acque (Gn 1,2); e altrove:
Nel Verbo del Signore i cieli sono stati resi stabili e dallo Spirito
della sua bocca è profluito ogni loro pregio (Ps 32,6).
|