319.
Natura ed estensione del comandamento
Sebbene dal punto di vista della dignità e della nobiltà del loro
oggetto i precedenti comandamenti siano superiori, quelli che ora
incontriamo sono cosi necessari da meritare giustamente di essere
trattati subito dopo. Se i primi mirano direttamente al nostro ultimo
fine che è Dio, gli altri ci formano all'amore del prossimo, e, sebbene
con giro più ampio, ci riconducono anch'essi a Dio, per amore del quale
circondiamo di carità il nostro prossimo. Per questo Gesù Cristo definì
simili i due precetti dell'amore di Dio e del prossimo (Mt 22,39 Mc
12,31).
E arduo esprimere a parole le ripercussioni benefiche di questa carità
del prossimo, che produce frutti abbondanti e squisiti, oltre ad essere
segno della pronta obbedienza al primo fondamentale precetto. Dice san
Giovanni: Chi non ama il proprio fratello che egli vede sensibilmente,
come potrà amare Dio che non vede (1Jn 4 1Jn 20)? Analogamente,
se non rispettiamo e non amiamo i genitori, cui dobbiamo secondo Dio
tanto ossequio, e ci sono sempre al fianco, quale tributo di onore
saremo mai capaci di sciogliere a Dio, sommo e ottimo padre, che sfugge
a ogni sensibile percezione? Si capisce dunque la stretta affinità dei
due precetti.
L'ambito di questo comandamento è vastissimo. Oltre a coloro che ci
generarono, sono parecchi coloro che dobbiamo rispettare come i
genitori, a causa della loro autorità, della loro dignità, per i
vantaggi che ci arrecano, o l'eminente officio che occupano. Il precetto
inoltre facilita il compito dei genitori e, in genere, di tutti i
superiori, chiamati a far si che quanti vivono sotto il loro potere si
uniformino alla Legge divina. Tutti costoro troveranno la loro missione
più agevole, se sarà universalmente e praticamente compreso che, per
volere di Dio, si deve tributare il più profondo rispetto ai propri
genitori. E, per ottenere tale intento, è necessario conoscere la
differenza che sussiste fra i precetti della prima e quelli della
seconda tavola.
320.
Differenza dei tre primi precetti dagli altri
Perciò il Parroco spieghi al popolo queste verità, ricordando anzi tutto
che i precetti del Decalogo furono incisi su due tavole. Nella prima,
come apprendiamo dai Santi Padri, erano contenuti i tre già esposti; gli
altri erano scolpiti nella seconda tavola. Tale distribuzione ci fu
opportunamente proposta affinché l'ordine stesso materiale servisse a
distinguere la natura dei precetti. Tutto ciò infatti che nella sacra
Scrittura è comandato o vietato da una legge divina, rientra in uno dei
due generi di azioni: secondo che vi è incluso l'amore verso Dio o
l'amore verso il prossimo. I primi tre comandamenti suesposti inculcano
l'amore verso Dio; gli altri sette abbracciano i rapporti sociali fra
gli uomini.
Si capisce quindi perfettamente la ragione per cui viene fatta la
distinzione, e cosi alcuni comandamenti sono riportati alla prima
tavola, gli altri alla seconda. L'argomento soggiacente ai tre primi
precetti, di cui abbiamo già parlato, è Dio, vale a dire il sommo bene:
per gli altri è il bene del prossimo. Quelli mirano al supremo amore,
questi a un amore più vicino; quelli riguardano il fine ultimo, questi i
mezzi per raggiungerlo.
Inoltre l'amore di Dio poggia su Dio stesso; Dio infatti deve essere
amato in grado sommo, per se stesso, non già a causa di altri. Invece
l'amore del prossimo scaturisce dall'amore di Dio, e ad esso va
rapportato come ad una regola fissa. Amiamo infatti i genitori,
obbediamo ai padroni, rispettiamo i superiori, specialmente perché Dio
li creo e volle che fossero costituiti in autorità, perché colla loro
opera egli regge e tutela l'umana collettività. Dio impone di prestare
ossequio a tali persone; e noi lo prestiamo perché esse ricevono da Dio
l'investitura della loro dignità: sicché la deferenza verso i genitori,
deve rivolgersi più a Dio che agli uomini.
A proposito della riverenza dovuta ai superiori, in san Matteo si legge:
Chi accoglie voi, accoglie me (Mt 10,40). E l'Apostolo nella
lettera agli Efesini istruendo i servi ammonisce: O servi, obbedite ai
vostri padroni secondo la carne, temendo e tremando, nella semplicità
del vostro cuore, come obbedireste a Gesù Cristo, non adempiendo il
vostro dovere per essere visti e bramosi di piacere agli uomini, ma come
servi di Gesù Cristo (Ep 6,5).
Occorre inoltre riflettere che non c'è onore, venerazione, o culto
prestato a Dio, che possano dirsi degni, potendo l'amore di Dio essere
intensificato all'infinito. E necessario perciò che il nostro amore di
Dio divenga di giorno in giorno più ardente. Per suo stesso comando
dobbiamo amarlo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le
nostre forze. L'amore invece con cui abbracciamo il prossimo, ha limiti
ben definiti, poiché Dio comanda di amare i nostri fratelli come noi
stessi (Mt 22,37 Lc 10,27). Chi travalichi questi confini in modo
da amare di un uguale amore Dio e il prossimo, commette in realtà
gravissima colpa.
Dice perciò il Signore: Se uno viene da me, e non odia il padre, la
madre la moglie, i figliuoli, i fratelli, le sorelle, e perfino la sua
vita, non può essere mio discepolo (Lc 14,26). Col medesimo
spirito è stato pure ingiunto: Lascia che i morti seppelliscano i loro
morti (Lc 9,60). Cosi disse Gesù a un tale che mostro desiderio
di volere prima sotterrare il proprio padre e poi seguire il Signore.
Più esplicita spiegazione di questa differenza è in san Matteo: Chi ama
suo padre o sua madre più di me, non è degno di me (Mt 10,37).
Eppure non può cadere dubbio sul dovere di amare e rispettare
profondamente i propri genitori. Ma perché sussista la vera pietà,
occorre che il più eminente onore e culto sia tributato a Dio, padre e
causa di tutto. Di modo che i genitori mortali devono essere amati in
maniera tale che tutta l'intrinseca forza dell'amore sia rivolta al
Padre celeste ed eterno; e qualora i comandi paterni siano in contrasto
con i comandamenti di Dio, i figli antepongano senza esitazione la
volontà divina al volere dei genitori, memori del motto divino: Occorre
obbedire a Dio prima che agli uomini (Ac 5,29).
321. Il significato della parola "onorare"
Proseguendo, il Parroco spiegherà le parole del comandamento
e innanzi tutto il significato del vocabolo onorare. Esso significa
nutrire verso qualcuno un elevato concetto e fare il massimo conto di
tutto ciò che gli appartiene. In tale onore sono conglobati l'amore,
l'ossequio, l'obbedienza, la riverenza. A ragion veduta, nella formula
del comandamento è inserita la parola onore, anziché quella di amore o
di timore, sebbene i genitori debbano pure essere vivamente amati e
temuti. Chi ama, infatti, non sempre ossequia e obbedisce; e chi teme,
non sempre ama; invece quando si onora qualcuno schiettamente, lo si ama
e lo si rispetta.
Premesso ciò, il Parroco tratterà dei genitori, mostrando chi siano
coloro che vanno sotto questo nome. Sebbene la legge alluda
prevalentemente a quei genitori da cui abbiamo tratto la vita, tuttavia
l'appellativo spetta anche ad altri, contemplati parimente dalla Legge,
com'è facile arguire da molti passi scritturali.
Oltre ai nostri genitori, compaiono nelle sacre Scritture altre
categorie di padri, a ciascuno dei quali è dovuto il debito onore.
Innanzi tutto sono chiamati padri i Reggitori, i Pastori, i Sacerdoti
della Chiesa, come risulta dall'Apostolo, che scrive ai Corinzi: Non vi
dico ciò per mortificarvi, ma vi ammonisco quali figli diletti. Anche se
avete avuto diecimila pedagoghi in Gesù Cristo, non avete avuto molti
padri. Io solo vi ho generato in Gesù Cristo, mediante il vangelo (1Co
4,14). E nell'Ecclesiastico sta scritto: Sciogliamo lodi ai
personaggi gloriosi, ai nostri padri nella loro generazione (Si 44,1).
Son detti, in secondo luogo, padri coloro che sono rivestiti di comando,
di autorità giudiziaria, di potere, e governano quindi lo Stato. Naaman,
per esempio, è chiamato padre dai servi (2R 5,13).
Inoltre diamo il nome di padri a coloro, la cui tutela, cura, e saggia
probità costituiscono garanzia per altri. Tali appaiono i tutori, i
curatori, i pedagoghi, i maestri. Cosi i figli dei profeti chiamavano
padri Elia ed Eliseo (2R 2,12 2R 13,14).
Infine,
nominiamo padri i vecchi e gli avanzati in età,
a cui pure dobbiamo riverente ossequio.
Nelle sue
ammonizioni il Parroco insista molto sul dovere di onorare i padri di
ogni genere, ma soprattutto coloro che ci han dato la vita. Ad essi
allude particolarmente la Legge divina, essendo essi per dir cosi,
un'immagine del Dio immortale, e offrendoci il segno della nostra
origine. Ne ricevemmo la vita; se ne servi Dio per infonderci lo spirito
immortale; ci trassero ai sacramenti, ci educarono alla religione, alla
cultura, alla vita civile, alla integrità santa dei costumi.
Il Parroco spiegherà in seguito come il termine madre sia qui
giustamente menzionato, perché siano da noi apprezzati i benefici e i
titoli di merito della madre nostra, ricordando la trepidante cura con
cui ci porto nel grembo, e il travaglio penoso con cui ci diede alla
luce e ci educo.
322.
Amore verso i genitori
Il
nostro contegno verso i genitori deve essere tale che l'onore loro
tributato appaia scaturito dall'amore e dall'intimo sentimento
dell'animo. Tutto ciò per stretto dovere di reciprocità, poiché essi
nutrono tali sentimenti verso di noi che non rifuggono da nessuna
fatica, disagio, e rischio per il nostro bene; e nulla arreca loro più
letizia dell'affetto intimo dei figli diletti. Giuseppe, costituito in
Egitto in posizione affine a quella del re per dignità e potere, accolse
con ogni manifestazione di ossequio il padre venuto in Egitto (Gn XLVI,29);
e Salomone si fece incontro alla madre che sopraggiungeva, ossequiandola
e collocandola alla sua destra nel trono reale (3 Re, 2,19).
Vi sono altre maniere di manifestare il rispetto dovuto ai genitori. Li
onoriamo infatti anche quando imploriamo da Dio che conceda loro
prosperità in ogni evento, li faccia rispettati e accetti fra gli
uomini, e li renda degni del suo compiacimento e di quello di tutta la
corte celeste.
Similmente prestiamo ossequio ai genitori, subordinando il nostro parere
alla loro volontà e al loro giudizio. Ce ne ammonisce Salomone: Presta
ascolto, figlio mio, all'autorità di tuo padre e non dimenticare i
precetti della madre tua; si aggiungerà cosi grazia al tuo capo, e una
collana al tuo collo (Pr 1,8). Fanno eco le esortazioni di san
Paolo: O figli, obbedite nel Signore ai vostri genitori, com'è giusto (Ep
6,1). E altrove: Figli, obbedite sempre ai vostri genitori, come
piace al Signore (Col 3,20). Confermano gli esempi dei santi:
Isacco, tratto legato al sacrificio, obbedisce umilmente senza
protestare (Gn 12,9); i Recabiti, per non trasgredire il
consiglio paterno, si astennero per sempre dal vino (Jr 35,6).
Onoriamo pure i nostri genitori imitandone le buone azioni e i retti
costumi: equivale a esprimere loro il più alto senso di ossequio,
cercare di imitarli quanto più è possibile. E li onoriamo ancora, non
solo ricercandone, ma attuandone i consigli.
Li onoriamo anche provvedendo tutto ciò che il loro mantenimento e il
benessere esigono. Lo prova la testimonianza esplicita di G. Cristo,
che, rimproverando ai Farisei la loro empietà, esclama: E perché anche
voi trasgredite il comando di Dio in grazia della vostra tradizione? Dio
infatti ha detto: Onora il padre e la madre; e: Chi maledirà il padre o
la madre, sia punito di morte. Voi altri invece dite: Chiunque dica al
padre o alla madre: Sia offerta di sacrificio quello con cui potrei
aiutarti, non è più obbligato a onorare il padre o la madre; e cosi con
la vostra tradizione avete annientato il comandamento di Dio (Mt 15,3).
Che se dobbiamo assolvere il nostro obbligo di rispetto verso i genitori
in ogni momento, il dovere si fa più urgente in occasione delle loro
gravi infermità. Cureremo allora che non tralascino nulla di quanto
spetta alla confessione dei peccati e agli altri sacramenti necessari al
Cristiano, mentre la morte si approssima. E faremo di tutto perché
possano vedere di frequente persone pie e religiose, capaci di
sostenerne e corroborarne col consiglio la debolezza, o di indirizzarne
i buoni sentimenti verso la speranza dell'immortalità. Sottratto cosi lo
spirito a ogni preoccupazione umana, tutto lo rivolgano a Dio, e in
mezzo al corteggio beatissimo della fede, della speranza e della carità,
muniti di tutti i conforti religiosi, non riterranno ormai temibile la
morte, dal momento che è necessaria, ma anzi desiderabile, in quanto
schiude l'adito all'eternità.
Infine può rendersi onore ai genitori anche dopo che sono trapassati,
curandone i funerali, preparandone le esequie, dando loro conveniente
sepoltura, provvedendo alla celebrazione degli anniversari, adempiendone
regolarmente la volontà testamentaria.
323.
L'onore ai prelati e ai principi
Meritano la nostra riverenza, oltre ai nostri genitori, anche gli altri
che portano il nome di padri. Tali sono i Vescovi, i Sacerdoti, i Re, i
principi, i magistrati, i tutori, i curatori, i maestri, i pedagoghi, i
vecchi, e altri. Tutto costoro sono degni di ricevere, sebbene in varia
misura, qualche tributo del nostro affetto, della nostra obbedienza e
delle nostre sostanze.
Sta scritto a proposito dei Vescovi e degli altri Pastori: I Sacerdoti
che adempiono degnamente il loro ministero, siano ritenuti meritevoli di
un duplice onore, specialmente coloro che si distinguono nel ministero
della parola e nella dottrina (1Tm 5,17). Quante prove di
attaccamento non diedero i Galati all'Apostolo? Egli ne da loro
testimonianza palmare, ispirata a benevolenza: Riconosco che, se fosse
stato possibile, voi vi sareste strappati gli occhi per darmeli (Ga
4,15).
Ai Sacerdoti devono essere fornite le risorse necessarie al
sostentamento della vita. Onde l'Apostolo chiede: Chi ha mai portato le
armi a proprie spese? (1Co 9,7). E nell'Ecclesiastico è detto:
Rispetta i Sacerdoti. Da ad essi la parte loro, come t'è stato
comandato: le primizie e (la vittima) d'espiazione (7,31). Anche
l'Apostolo insegna che si deve loro obbedire: Siate sottomessi ai vostri
superiori ed eseguitene i comandi. Essi vigilano, essendo tenuti a
rendere ragione delle anime vostre (He 13,17). Anzi, da nostro
Signore Gesù Cristo è stato esplicitamente dichiarato che dobbiamo
sottostare ai Pastori, anche se malvagi: Sulla cattedra di Mosè si
assisero gli scribi e i farisei. Osservate e fate pertanto ciò che vi
diranno; ma non fate secondo le opere loro: che dicono e non fanno (Mt
23,2).
Lo stesso dicasi a proposito dei Re, dei principi, dei magistrati, di
tutto coloro insomma al cui potere siamo soggetti. L'Apostolo, nella
lettera ai Romani, spiega ampiamente quale genere di rispetto, di
ossequio e di sudditanza debba essere loro prestato (Rm 13,1);
inculca anche di pregare per loro (1Tm 2,2). San Pietro
raccomanda: Siate sottomessi ad ogni creatura umana, in vista di Dio:
cosi al Re, quale sovrano, come ai subalterni, quali suoi delegati (1P
2,13). In verità l'ossequio che tributiamo loro va riferito a Dio.
Infatti l'eminente grado della dignità esige rispetto dagli uomini,
perché implica un'analogia col potere divino. Rispettandolo, del resto,
veneriamo la provvidenza di Dio, che conferisce ai dignitari la funzione
pubblica, e di essi si serve come di delegati della propria potestà.
Qualora i magistrati si rivelino malvagi ed empi, noi non onoriamo i
loro vizi, ma l'autorità divina che è in essi. Potrà forse apparire cosa
incredibile, ma è pur vero che per quanto siano implacabilmente ostili a
noi, non possiamo trovare in questo fatto una ragione sufficiente per
negare ossequio a coloro che sono costituiti in autorità. Sappiamo dei
servizi prestati da David a Saul, sebbene a lui inimicissimo, onde
poteva esclamare: Mi mostrai pacifico verso coloro che odiavano la pace
(Ps 119,7). Qualora però comandino cosa malvagia e iniqua,
tralasceremo di prestar loro ascolto; perché allora non parlano più in
virtù di un potere legittimo, ma in base a un titolo ingiusto e a una
perversione dell'animo.
324. Premio
spettante a chi osserva questo comandamento
Spiegato minutamente tutto questo, il Parroco mostri quale
premio sia riservato a coloro che obbediscono a questo divino precetto.
Il suo frutto più notevole è che vivranno a lungo; poiché in verità sono
degni di godere quanto più a lungo è possibile di tale beneficio coloro
che ne conservano perenne memoria. Ora, chi onora i propri genitori
mostra gratitudine per la vita e l'educazione ricevuta; è giusto dunque
e conveniente che viva fino alla più tarda vecchiaia.
Si aggiunga quell'insigne spiegazione della divina promessa, la quale
garantisce non solo il godimento della vita eterna beata, ma anche di
questa vita terrena. Dice infatti san Paolo: La pietà giova a tutto,
comprendendo in sé la promessa della vita presente e della futura (1Tm
4,8). Né si tratta di un compenso tenue e spregevole; sebbene a
uomini ricolmi di santità, quali Giobbe, David, Paolo, la morte sia
apparsa desiderabile, e per uomini piombati nella miseria e nei dolori
il prolungamento della vita non rappresenti una gioia. Poiché la
clausola che delucida quelle parole: " La vita che il Signore ti donerà
", promette evidentemente non solo prolungamento dell'esistenza, ma
anche serenità e tranquilla incolumità di vita. Nel Deuteronomio infatti
alle parole: Affinché tu campi lungo tempo, sono aggiunte le altre:
Affinché tutto avvenga per te favorevolmente (Dt 5,16); parole
che sono poi ripetute dall'Apostolo (Ep 6,3).
Noi affermiamo che cotesti beni sono il sovrappiù, per coloro la cui
pietà viene ricompensata da Dio. Se cosi non fosse, la promessa divina
non sarebbe costantemente fedele, poiché talora è più breve l'esistenza
di coloro che dimostrano più profonda riverenza verso i loro genitori.
Ciò può accadere per molte ragioni. Può essere innanzi tutto
provvidenziale per essi uscir di vita prima di abbandonare il sentiero
della virtù e della rettitudine religiosa. Alcuni possono essere
sottratti al mondo, affinché il male non faccia deviare il loro
intelletto e la seduzione non affascini il loro spirito (Sg 4,10).
Altri possono essere strappati al corpo quando sia imminente uno
sconvolgimento generale delle cose, sicché sfuggano la sventura dei
tempi. Dice infatti il profeta: Dal volto del male è stato allontanato
il giusto (Is 57,1). In tal caso si evita il rischio della loro
virtù e della loro salvezza, quando la giustizia e il castigo sono
esercitati da Dio sui mortali; o si risparmia loro l'amarissimo lutto
del cuore di fronte alle disgrazie dei parenti e degli amici.
Sicché dovremmo molto temere quando
accade che i buoni muoiano innanzi tempo.
325.
Castigo che
attende i trasgressori
D'altro canto, se su coloro che sono riconoscenti verso i propri
genitori piovono le ricompense di Dio, fierissimi castighi sono
riservati ai figli snaturati ed ingrati. Sta scritto: Chi avrà lanciato
imprecazioni a suo padre e a sua madre, morrà di morte violenta (Ex
21,17 Lv 20,9); Chi rattrista suo padre e scaccia sua madre, è un
essere obbrobrioso e disgraziato (Pr XIX,26); La lucerna di colui
che avrà bistrattato suo padre o sua madre si spegnerà nel più folto
delle tenebre (Pr 20,20); L'occhio di colui che sogghigna a suo
padre e irride al parto della madre sua, sia scavato dai corvi dei
torrenti e divorato dai figli dell'aquila (Pr 30,17). Leggiamo
nella sacra Scrittura che molti recarono offesa ai loro genitori, ma
leggiamo pure che l'ira di Dio infierì per trame vendetta; egli non
lasciò David invendicato, ma alla scelleratezza di Assalonne impose il
dovuto castigo, punendolo, a causa del suo peccato, con tre colpi di
lancia (2S 18,14). A proposito poi di chi rifiuta ossequio ai
Sacerdoti è scritto: Chi superbamente rifiuterà ossequio al precetto del
sacerdote in funzione, o alla sentenza del giudice, morrà (Dt 17,12).
326.
Doveri dei genitori verso i figli
La
Legge divina che ha sancito l'ossequio filiale e l'obbedienza verso i
genitori, ha pure stabilito i doveri e le mansioni proprie dei genitori.
Ad essi impone inculcare nei figliuoli le discipline sante e i costumi
integri, di suggerire loro i sani precetti del vivere, affinché,
religiosamente istruiti, onorino piamente e indefettibilmente Dio, come
leggiamo essere stato fatto dai genitori di Susanna (Da 13,3).
Perciò il Sacerdote ammonirà i genitori di mostrarsi ai figli quali
maestri di virtù, di equità, di continenza, di modestia e di pietà.
Dovranno in modo speciale evitare tre scogli su cui è più facile
incappare. Innanzi tutto si asterranno dal parlare e comandare ai
figliuoli con asprezza; lo dice l'Apostolo nella lettera ai Colossesi: O
padri, non vogliate provocare a sdegno i vostri figli, perché non si
avviliscano (Col 3,21). C'è pericolo che, temendo di tutto,
acquistino una natura fragile e pusillanime. Raccomanderà perciò che,
evitando l'eccessiva severità, preferiscano correggere anziché punire i
propri figliuoli. D'altra parte, qualora sia stata commessa una colpa e
siano quindi necessari la riprensione e il castigo, non siano stimolati
a transigere da eccessiva indulgenza. Spesso infatti accade che i figli
siano sciupati dalla esagerata mitezza dei genitori. Da cosi malsana
indulgenza allontani l'esempio di Eli, sommo sacerdote, il quale,
essendo stato troppo debole con la propria figliuolanza, incontro
l'estremo castigo (1S 4,18).
Infine badino bene i genitori a non vagheggiare, cosa orribile, intenti
volgari nella educazione e istruzione dei figli. Ci sono molti che
pensano ad una cosa sola: lasciare ai figli sostanze abbondanti, un
pingue e vistoso patrimonio, ed esortano i loro rampolli non già alla
religione, alla pietà, alla regola delle sante virtù, bensì all'avarizia
e all'aumento dei beni di famiglia. Costoro non si preoccupano della
buona fama e della salvezza dei figli, ma solo badano a che siano sempre
più ricchi. Si può immaginare un programma più turpe? Finiscono cosi col
lasciare ai figli non solo una eredità cospicua, ma anche un pesante
fardello di colpe e di nefandezze, che li fa essere non guide al cielo,
ma pessimi iniziatori all'eterno supplizio dell'inferno.
Il Parroco con sapienti consigli istruisca i genitori, stimolandoli a
imitare il virtuoso esempio di Tobia (Tb 4). Se avranno educato i
figli al culto divino e alla santità, ne riceveranno in cambio frutti
copiosi di amore, di rispetto e di ossequio.
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