333.
Spiegazione del comandamento
Se
il vincolo tra marito e moglie è il più stretto che esista, e nulla può
essere loro più dolce che il sentirsi vicendevolmente stretti da un
affetto speciale, nulla, al contrario, può capitare a uno di essi di più
amaro che sentire il legittimo amore del coniuge rivolgersi altrove.
Ragionevolmente, perciò, alla legge, che garantisce la vita umana
dall'omicidio, segue quella che vieta la fornicazione o l'adulterio,
affinché nessuno tenti di contaminare o spezzare quella santa e
veneranda unione matrimoniale, da cui suole scaturire cosi ardente fuoco
di carità.
Toccando questo argomento, il Parroco usi la più prudente cautela e con
sagge parole alluda a cose che esigono più la moderazione che
l'abbondanza dell'eloquio. E da temersi infatti che, diffondendosi
troppo a spiegare i modi con cui gli uomini possono trasgredire questo
comandamento, finisca col dire frasi capaci di eccitare la sensualità,
anziché reprimerla.
Ad ogni modo il precetto racchiude molti elementi che non possono essere
trascurati, e il Parroco li spiegherà a suo tempo. Esso ha due parti:
una che vieta apertamente l'adulterio; l'altra, più generale, che impone
la castità dell'anima e del corpo.
334.
L'adulterio
Per
iniziare l'insegnamento da quello che è vietato, diremo subito che
adulterio è violazione del legittimo letto, proprio o altrui. Se un
marito ha rapporti carnali con donna non coniugata, viola il proprio
vincolo matrimoniale; se un individuo non coniugato ha rapporti con
donna maritata, è contaminato, dal delitto di adulterio, il vincolo
altrui.
Sant'Ambrogio e sant'Agostino confermano che con tale divieto
dell'adulterio è proibito ogni atto disonesto e impudico. Ciò risulta
direttamente dalla Scrittura del vecchio come del nuovo Testamento. Nei
libri mosaici vediamo puniti altri generi di libidine carnale, oltre
l'adulterio. Leggiamo nella Genesi la sentenza pronunciata da Giuda
contro la nuora (Gn 38,24); nel Deuteronomio è formulato questo
precetto: tra le figlie d'Israele nessuna sia cortigiana (Dt 23,17).
Tobia cosi esorta il figliuolo: Guardati, figlio mio, da ogni atto
impudico (Tb 4,13). E l'Ecclesiastico dice: Vergognatevi di
guardare la donna peccatrice (Si 41,25). Nel Vangelo Gesù Cristo
dichiara che dal cuore emanano gli adulteri e le azioni disoneste che
macchiano l'uomo (Mt 15,19). L'apostolo Paolo bolla di frequente,
con parole roventi, questo vizio: Dio vuole la vostra santificazione;
vuole che vi asteniate dalle impurità (1Th 4,3). E altrove:
Evitate ogni fornicazione (1Co 6,18); Non vi mescolate agli
impudichi (1Co 5,9); In mezzo a voi, non siano neppur nominate
l'incontinenza, l'impurità di ogni genere e l'avarizia (Ep 5,3);
Disonesti ed adulteri, effeminati e pederasti, non possederanno il regno
di Dio (1Co 6,9).
L'adulterio è stato espressamente menzionato nel divieto, perché alla
sconcezza che riveste in comune con tutte le altre forme di
incontinenza, accoppia un peccato di ingiustizia verso il prossimo e la
società civile. Inoltre è indubitato che chi non si tiene lontano dalle
forme ordinarie dell'impudicizia, facilmente incapperà nel crimine di
adulterio. Cosi è agevole comprendere come nel divieto dell'adulterio
sia inclusa la proibizione di ogni genere di impurità contaminante il
corpo. Del resto che questo comandamento investa ogni intima libidine
dell'animo, appare dalla natura stessa della legge, che è spirituale, e
dalle esplicite parole di nostro Signore: Udiste che fu detto agli
antichi: Non fare adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna
per fine disonesto, in cuor suo ha già commesso adulterio su lei (Mt
5,27).
A ciò che riteniamo debba essere insegnato pubblicamente ai fedeli, si
aggiungano i decreti del concilio di Trento contro gli adùlteri e coloro
che mantengono prostitute e concubine (Sess. 24, e. 8), tralasciando di
parlare dei vari e multiformi generi di libidine sessuale, intorno ai
quali il Parroco ammonirà i singoli fedeli, qualora le circostanze di
tempo e di persona lo richiedano.
Considerazioni
per conservare la castità
335. Siano pure spiegate le prescrizioni che hanno forza di
precetto. I fedeli devono essere ammaestrati ed esortati a rispettare
con ogni cura la pudicizia e la continenza, a conservarsi mondi da ogni
contaminazione della carne e dello spirito, attuando la santificazione
nel timore di Dio (2Co 7,1). Si dica loro che, sebbene la virtù
della castità debba maggiormente brillare in quella categoria di persone
che coltiva il magnifico e pressoché divino proposito della verginità,
pure essa conviene anche a coloro che menano vita celibataria o,
congiunti in matrimonio, si mantengono mondi dalla libidine vietata.
Le molte sentenze dei Padri, con cui siamo ammaestrati a dominare le
passioni sensuali e a frenare l'istinto passionale, saranno dal Parroco
accuratamente esposte al popolo, con una trattazione diligente e
costante. Parte di esse riguarda il pensiero, parte l'azione.
Il rimedio che fa leva sull'intelligenza tende a farci comprendere
quanto grandi siano la turpitudine e il pericolo di questo peccato. In
base a simile apprezzamento, più viva arderà in noi l'avversione per
esso. Si tratta di un peccato che è un vero flagello, a causa di esso
sugli uomini incombe l'ultima rovina: l'espulsione dal regno di Dio e lo
sterminio.
Questo può sembrare comune a ogni genere di peccato; ma qui abbiamo di
caratteristico che i fornicatori, secondo la frase dell'Apostolo,
peccano contro il proprio corpo: Fuggite l'impudicizia; qualunque
peccato l'uomo commetta, si svolge fuori del corpo, ma il fornicatore
pecca sul proprio corpo (1Co 6,18); vale a dire lo tratta
ignominiosamente, violandone la santità. A quei di Tessalonica lo stesso
san Paolo diceva: Dio vuole la vostra santificazione; che vi asteniate
da atti impuri; che ciascuno di voi sappia mantenere il vaso del suo
corpo in santità e dignità, non nella irrequietezza del desiderio, come
i pagani che ignorano Dio (1Th 4,5).
E cosa ben più ripugnante, se è un cristiano colui che si unisce
turpemente a una meretrice; perché rende membra di meretrice le membra
di Gesù Cristo, come appunto dice san Paolo: Non sapete che i vostri
corpi sono membra di Gesù Cristo? Sottraendo le membra a Gesù Cristo, le
faro membra della meretrice? Non sia mai. Ignorate forse che aderendo
alla meretrice, ne risulta un solo corpo? (1Co 6,15).
Inoltre il Cristiano, sempre secondo san Paolo, è tempio dello Spirito
santo (1Co 6,19); violarlo significa espellerne lo Spirito santo
stesso.
Tuttavia particolare malvagità è racchiusa nel delitto di adulterio.
Infatti, come vuole l'Apostolo, i coniugi sono cosi vincolati da una
scambievole sudditanza che nessuno dei due possiede illimitata potestà
sul proprio corpo, ma sono cosi schiavi l'uno dell'altro che il marito
deve uniformarsi alla volontà della moglie e la moglie a quella del
marito (1Co 7,4). Ne consegue che chi dei due separa il proprio
corpo, soggetto all'altrui diritto, da colui al quale è vincolato, si
rende reo di specialissima iniquità.
E poiché l'orrore dell'infamia è per gli uomini un valido stimolo a fare
quanto è prescritto e a fuggire quanto è vietato, il Parroco insisterà
nel mostrare come l'adulterio imprima sugli individui un profondo segno
di infamia. E scritto nella sacra Scrittura: L'adùltero, a causa della
sua fragilità di cuore, perderà l'anima sua; condensa su di sé la
vergogna e l'abbominio; la sua turpitudine non sarà mai cancellata (Pr
6,32).
La gravita di questa colpa può essere facilmente ricavata dalla severità
della punizione stabilita. Nella legge fissata da Dio nel vecchio
Testamento gli adulteri venivano lapidati (Lv 20,10 Dt 22,22).
Anzi talora per la concupiscenza sfrenata di uno solo, non il reo
semplicemente, ma l'intera città fu condannata alla distruzione; tale fu
la sorte dei Sichemiti (Gn 34,25). Del resto numerosi appaiono
nella sacra Scrittura gli esempi dell'ira divina, che il Parroco potrà
evocare, per allontanare gli uomini dalla riprovevole libidine: la sorte
di Sodoma e delle città confinanti (Gn XIX,24); il supplizio degli
Israeliti che avevano fornicato nel deserto con le figlie di Moab (Num.
25); la distruzione dei Beniamiti (Giud. 20).
Se v'è qualcuno che sfugge alla morte, non si sottrae pero a dolori
intollerabili, a tormenti punitivi, che piombano inesorabili. Accecato
com'è nella mente (ed è già questa pena gravissima), non tiene più conto
di Dio, della fama, della dignità, dei figli, e della stessa vita. Resta
cosi depravato e inutilizzato, da non poterglisi affidare nulla di
importante, o assegnarlo come idoneo ad alcun ufficio. Possiamo scorgere
esempi di questo in David come in Salomone. Il primo, resosi reo di
adulterio, subitamente cambio natura e da mitissimo divenne feroce, si
da mandare alla morte l'ottimo Uria (2S 2S 11); l'altro, perduto
nei piaceri delle donne, si allontano talmente dalla vera religione di
Dio, da seguire divinità straniere (3 Re, 11). Secondo la parola di
Osea, questo peccato travia il cuore dell'uomo (Os 4,11) e ne
acceca la mente.
336.
Rimedi per conservare la castità
Veniamo ai rimedi che riguardano l'azione da svolgere. Il primo consiste
nel fuggire con ogni cura l'ozio. Impoltronendo nell'ozio, come dice
Ezechiele (Ez 16,49), gli abitanti di Sodoma precipitarono nel
più vergognoso crimine di concupiscenza.
Sono poi da evitarsi con grande vigilanza gli eccessi nel mangiare e nel
bere. Li satollai, dice il Profeta, ed essi fornicarono (Gerem. 5,7). Il
ventre ripieno provoca la libidine, come accenno il Signore con le
parole: Badate, che i vostri cuori non si appesantiscano nella crapula e
nell'ebrietà (Lc 21,34), e l'Apostolo: Non vogliate ubriacarvi,
poiché il vino nasconde la lussuria (Ep 5,18).
Gli occhi sono i veicoli più pericolosi attraverso i quali l'animo suole
accendersi alla libidine. Per questo il Signore ha detto: Se il tuo
occhio destro ti scandalizza, cavalo e gettalo via da te (Mt 5,29).
E molte sono in proposito le sentenze dei profeti. Giobbe dice ad
esempio: Strinsi un patto con gli occhi miei, di neppure pensare a una
vergine (Jb 31,1). Sono copiosi, anzi innumerevoli gli esempi di
azioni perverse, provocate dalla vista. Pecco cosi David (2S 11,2);
pecco cosi il re di Sichem (Gn 34,2); cosi finirono col farsi
calunniatori di Susanna i vecchi, di cui parla Daniele (Da 13,8).
Spesso incentivo non indifferente alla libidine offre la moda ricercata,
che solletica l'occhio. Per questo ammonisce l'Ecclesiastico: Volta la
faccia dalla donna elegante (9,8). E poiché le donne sogliono badare
troppo al loro abbigliamento, non sarà male che il Parroco attenda di
frequente a premunirle in proposito, memore delle parole gravissime, che
l'apostolo Pietro ha dettato sull'argomento: La pettinatura delle donne
non sia appariscente, i monili e l'abbigliamento non siano ricercati (1P
3,3); e di quelle di san Paolo: Non badate ai capelli ben
attorcigliati, agli ori, alle pietre preziose, alle vesti sontuose (1Tm
2,9); molte infatti che si erano adornate con oro e gioielli,
smarrirono i veri ornamenti dell'anima e del corpo.
Insieme all'incentivo libidinoso che è dato dalla raffinata ricercatezza
delle vesti, occorre aggiungere quello che emana dai discorsi turpi e
osceni. L'oscenità delle parole, quasi fiaccola ardente, accende l'animo
dei giovani: Le perverse conversazioni, dice l'Apostolo, corrompono i
buoni costumi (1Co 15,33). E poiché il medesimo effetto
producono, in misura anche più notevole, i balli e i canti sdolcinati,
occorre tenersi lontani anche da questi.
Fra questi incitamenti alla voluttà vanno annoverati i libri osceni e
trattanti dell'amore sessuale, che devono evitarsi con non minore
severità delle figure rappresentanti qualcosa di turpe, la cui capacità
di spingere al male e di infiammare i sensi giovanili è straordinaria.
Il Parroco curi perciò soprattutto che siano osservate con il massimo
rispetto le costituzioni sapienti del concilio Tridentino in proposito (Sess.
25).
Se con attenta cura e vigile amore si eviterà quanto abbiamo ricordato,
sarà soppressa ogni occasione alla concupiscenza carnale; ma per la sua
virulenza valgono in modo eminente la Confessione e la Comunione
frequente; le assidue e umili preci a Dio, accompagnate da elemosine e
da digiuni. La castità è, in fondo, un dono che Dio non nega a chi
rettamente lo cerca (1Co 7,7), poiché Egli non consente che siamo
tentati sopra le nostre forze (1Co 10,13).
Dobbiamo infine mortificare il corpo e i suoi appetiti malsani, non
solamente con i digiuni, quelli specialmente prescritti dalla santa
Chiesa, ma anche con le vigilie, i pii pellegrinaggi e con macerazioni
di altro genere. In queste pratiche, infatti, si manifesta la virtù
della temperanza. Scriveva appunto san Paolo a quei di Corinto: Chi si
appresta a gareggiare nella palestra, segue un regime di grande
astinenza. Eppure essi ambiscono una semplice corona corruttibile,
mentre noi l'aspettiamo immortale. E poco appresso: Castigo il mio corpo
e lo tengo in soggezione, affinché, dopo aver predicato agli altri, io
stesso non divenga alla fine un reprobo (1Co 9,25). E altrove:
Non vogliate pascere la carne nei suoi immoderati desideri (Rm 13,14).
|