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Il Sacerdote in Persona Christi rivive il Sacrificio

 

 

Egli, la vigilia della sua passione, prese il pane nelle sue mani sante e venerabili e con gli occhi alzati al cielo verso Te, Dio Padre suo onnipotente, rendendoti grazie, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli, dicendo: Prendete e mangiatene tutti,

 

PERCHÉ QUESTO È IL MIO CORPO.

 

1. La Consacrazione. Alle parole Qui pridie quam pateretur inizia la Consacrazione, con la quale si apre il cielo e il Figlio di Dio discende coi suoi Angeli sull’Altare. “Le parole della Consacrazione si dicono e recitativamente e formalmente o significativamente [assertivamente].

 

Il Sacerdote infatti, sia commemora quelle parole che Cristo aveva detto nell’ultima Cena, sia, intendendo applicarle alla materia presente e fare ciò che significano, esercita insieme un atto della sua potestà. Di qui è ciò che viene molto appropriatamente detto agire “in Persona Christi”, perché non solo fa uso di una potestà ricevuta da Cristo, ma anche la esercita rappresentando la sua Persona, e parlando con le sue parole, quasi fosse Cristo egli stesso”[1].

 

2. Per la Consacrazione si fa “l’oblazione della Vittima reale e sostanziale” e intrinseca al Sacrificio. “La Consacrazione è veramente sacrificativa, perché per essa, dalla forza delle parole, il Corpo e il Sangue sono separati; benché in verità per concomitanza ci sia lo stesso sotto entrambe le specie, questo però avviene secondo gli accidenti: infatti le parole, per quanto è da sé, separano il Corpo dal Sangue, e a somiglianza di una spada mistica dissolvono quel composito, e per questo sacramentalmente lo sacrificano, e lo pongono sull’Altare come Vittima uccisa e sacrificata”[2].

3. Alle parole proferite dal Sacerdote corrispondono le azioni. Il Sacerdote se necessario, asterge le prime dita di entrambe le mani sul corporale. (“O quanto debbono essere monde quelle mani!” Tommaso da Kempis). Dicendo: accepit panem prende l’ostia; eleva gli occhi a et elevatis oculis in cœlum[3]. “Con questa benedizione Cristo chiedeva la santificazione del pane e la trasformazione, prossima entro breve; donde, sebbene gli Evangelisti la nominino ora benedizione ora rendimento di grazie perché Cristo le ha congiunte (gratias agens benedixit [«rendendo grazie lo benedisse»]), in realtà sono diverse, tra loro e dalla Consacrazione. La benedizione infatti è rivolta al simbolo, l’azione di grazie a Dio”[4].

 

4. Fregit deditque [«lo spezzò e lo diede»], ovviamente dopo la Consacrazione… dicendo: Hoc est enim Corpus meum. Il Sacerdote inchinato con i gomiti sull’Altare, che significa la sua unione con Cristo, in profondo silenzio cioè a bassa voce, pronunzia quelle sacratissime parole: ed il Verbo incarnato dice: Eccomi. Ecco la Vittima del Calvario, il Corpo del Signore, che è presente grazie soltanto alla forza delle parole[5].

 

5. Subito il Sacerdote genuflesso adora il Dio nascosto, ed eleva l’Ostia perché sia adorata dal popolo. “Deve adorare questo Signore con tanta profonda venerazione da umiliare il suo cuore sino allo stesso abisso, quasi desiderando discendere nelle profondità della terra per la riverenza di tanta maestà. E memore che gli Angeli discendono dal cielo per stare qui innanzi al Signore nel Sacrificio [S. Gregorio e S. Giovanni Crisostomo], deve pensare in quel momento di essere circondato dall’esercito degli Angeli, ed insieme con essi adorare e lodare il Signore e Creatore comune a tutti”[6].


 

[1] Sylvius in III. S. Thom.

[2] Opinione più comune, di Lessio etc.

[3] Cfr. Marc 6,41.

[4] Sylvius in III. S. Thom.

[5]  L’Autore qui omette di dire, dandolo già per scontato, un particolare oggi non secondario, e cioè che il Sacerdote, dalla consacrazione dell’Ostia all’abluzione delle dita dopo la Comunione e la purificazione del calice, è obbligato a tenere congiunte le prime due dita di ambo le mani ed a prendere i vari oggetti (calice compreso) con le restanti dita. Ciò serve sia per evitare che i polpastrelli, che toccano il Sacratissimo Corpo del Signore, vengano a contatto con qualcos’altro, sia ad evitare che cadano minuscoli frammenti della Specie del Pane consacrato.

[6] L. de Ponte.