PAOLO VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
UNITAMENTE AI PADRI DEL SACRO CONCILIO
A PERPETUA MEMORIA
DECRETO SULL’ECUMENISMO
UNITATIS REDINTEGRATIO
PROEMIO
1. Promuovere il ristabilimento dell'unità fra tutti i cristiani è
uno dei principali intenti del sacro Concilio ecumenico Vaticano II. Da
Cristo Signore la Chiesa è stata fondata una e unica, eppure molte
comunioni cristiane propongono se stesse agli uomini come la vera
eredità di Gesù Cristo. Tutti invero asseriscono di essere discepoli del
Signore, ma hanno opinioni diverse e camminano per vie diverse, come se
Cristo stesso fosse diviso (1). Tale divisione non solo si oppone
apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e
danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni
creatura.
Ora, il Signore dei secoli, il quale con sapienza e pazienza persegue
il disegno della sua grazia verso di noi peccatori, in questi ultimi
tempi ha incominciato a effondere con maggiore abbondanza nei cristiani
tra loro separati l'interiore ravvedimento e il desiderio dell'unione.
Moltissimi uomini in ogni dove sono stati toccati da questa grazia, e
tra i nostri fratelli separati è sorto anche per grazia dello Spirito
Santo un movimento che si allarga di giorno in giorno per il
ristabilimento dell'unità di tutti i cristiani. A questo movimento per
l'unità, che è chiamato nuovamente ecumenico, partecipano quelli che
invocano la Trinità e confessano Gesù come Signore e Salvatore, e non
solo presi a uno a uno, ma anche riuniti in comunità, nelle quali hanno
ascoltato il Vangelo e che essi chiamano la Chiesa loro e la Chiesa di
Dio. Quasi tutti però, anche se in modo diverso, aspirano a una Chiesa
di Dio una e visibile, che sia veramente universale e mandata al mondo
intero, perché questo si converta al Vangelo e così si salvi per la
gloria di Dio.
Perciò questo sacro Concilio, considerando con gioia tutti questi
fatti, dopo avere già esposta la dottrina sulla Chiesa, mosso dal
desiderio di ristabilire l'unità fra tutti i discepoli di Cristo,
intende ora proporre a tutti i cattolici gli aiuti, gli orientamenti, e
i modi, con i quali possano essi stessi rispondere a questa vocazione e
a questa grazia divina.
CAPITOLO I
PRINCIPI CATTOLICI SULL'ECUMENISMO
Unità e unicità della Chiesa
2. In questo si è mostrato l'amore di Dio per noi, che l'unigenito
Figlio di Dio è stato mandato dal Padre nel mondo affinché, fatto uomo,
con la redenzione rigenerasse il genere umano e lo radunasse in unità
(2). Ed egli, prima di offrirsi vittima immacolata sull'altare della
croce, pregò il Padre per i credenti, dicendo: « che tutti siano una
sola cosa, come tu, o Padre, sei in me ed io in te; anch'essi siano uno
in noi, cosicché il mondo creda che tu mi hai mandato » (Gv
17,21), e istituì nella sua Chiesa il mirabile sacramento
dell'eucaristia, dal quale l'unità della Chiesa è significata ed
attuata. Diede ai suoi discepoli il nuovo comandamento del mutuo amore
(3) e promise lo Spirito consolatore (4), il quale restasse con loro per
sempre, Signore e vivificatore.
Innalzato poi sulla croce e glorificato, il Signore Gesù effuse lo
Spirito promesso, per mezzo del quale chiamò e riunì nell'unità della
fede, della speranza e della carità il popolo della Nuova Alleanza, che
è la Chiesa, come insegna l'Apostolo: « Un solo corpo e un solo Spirito,
come anche con la vostra vocazione siete stati chiamati a una sola
speranza. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo » (Ef
4,4-5). Poiché « quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete
rivestiti di Cristo... Tutti voi siete uno in Cristo Gesù » (Gal
3,27-28). Lo Spirito Santo che abita nei credenti e riempie e regge
tutta la Chiesa, produce questa meravigliosa comunione dei fedeli e li
unisce tutti così intimamente in Cristo, da essere il principio
dell'unità della Chiesa. Egli realizza la diversità di grazie e di
ministeri (5), e arricchisce di funzioni diverse la Chiesa di Gesù
Cristo « per rendere atti i santi a compiere il loro ministero, affinché
sia edificato il corpo di Cristo» (Ef 4,12).
Per stabilire dovunque fino alla fine dei secoli questa sua Chiesa
santa, Cristo affidò al collegio dei dodici l'ufficio di insegnare,
governare e santificare (6). Tra di loro scelse Pietro, sopra il quale,
dopo la sua confessione di fede, decise di edificare la sua Chiesa; a
lui promise le chiavi del regno dei cieli (7) e, dopo la sua professione
di amore, affidò tutte le sue pecore perché le confermasse nella fede
(8) e le pascesse in perfetta unità (9), mentre egli rimaneva la pietra
angolare (10) e il pastore delle anime nostre in eterno (11).
Gesù Cristo vuole che il suo popolo, per mezzo della fedele
predicazione del Vangelo, dell'amministrazione dei sacramenti e del
governo amorevole da parte degli apostoli e dei loro successori, cioè i
vescovi con a capo il successore di Pietro, sotto l'azione dello Spirito
Santo, cresca e perfezioni la sua comunione nell'unità: nella
confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino
e nella fraterna concordia della famiglia di Dio. Così la Chiesa, unico
gregge di Dio, quale segno elevato alla vista delle nazioni (12),
mettendo a servizio di tutto il genere umano il Vangelo della pace (13),
compie nella speranza il suo pellegrinaggio verso la meta che è la
patria celeste (14).
Questo è il sacro mistero dell'unità della Chiesa, in Cristo e per
mezzo di Cristo, mentre lo Spirito Santo opera la varietà dei ministeri.
Il supremo modello e principio di questo mistero è l'unità nella Trinità
delle Persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo.
Relazioni dei fratelli separati con la Chiesa cattolica
3. In questa Chiesa di Dio una e unica sono sorte fino dai primissimi
tempi alcune scissioni (15), condannate con gravi parole dall'Apostolo
(16) ma nei secoli posteriori sono nate dissensioni più ampie, e
comunità considerevoli si staccarono dalla piena comunione della Chiesa
cattolica, talora per colpa di uomini di entrambe le parti. Quelli poi
che ora nascono e sono istruiti nella fede di Cristo in tali comunità,
non possono essere accusati di peccato di separazione, e la Chiesa
cattolica li circonda di fraterno rispetto e di amore. Coloro infatti
che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il battesimo, sono
costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa
cattolica. Sicuramente, le divergenze che in vari modi esistono tra loro
e la Chiesa cattolica, sia nel campo della dottrina e talora anche della
disciplina, sia circa la struttura della Chiesa, costituiscono non pochi
impedimenti, e talvolta gravi, alla piena comunione ecclesiale. Al
superamento di essi tende appunto il movimento ecumenico. Nondimeno,
giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo (17) e
perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della
Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel
Signore (18).
Inoltre, tra gli elementi o beni dal complesso dei quali la stessa
Chiesa è edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi ed eccellenti,
possono trovarsi fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica: la
parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la
carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili.
Tutte queste cose, le quali provengono da Cristo e a lui conducono,
appartengono a buon diritto all'unica Chiesa di Cristo.
Anche non poche azioni sacre della religione cristiana vengono
compiute dai fratelli da noi separati, e queste in vari modi, secondo la
diversa condizione di ciascuna Chiesa o comunità, possono senza dubbio
produrre realmente la vita della grazia, e si devono dire atte ad aprire
accesso alla comunione della salvezza.
Perciò queste Chiese (19) e comunità separate, quantunque crediamo
abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non son affatto
spoglie di significato e di valore. Lo Spirito di Cristo infatti non
ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, la cui forza
deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata
affidata alla Chiesa cattolica.
Tuttavia i fratelli da noi separati, sia essi individualmente, sia le
loro comunità e Chiese, non godono di quella unità, che Gesù Cristo ha
voluto elargire a tutti quelli che ha rigenerato e vivificato insieme
per formare un solo corpo in vista di una vita nuova, unità attestata
dalle sacre Scritture e dalla veneranda tradizione della Chiesa. Infatti
solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è il mezzo generale
della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza.
In realtà noi crediamo che al solo Collegio apostolico con a capo Pietro
il Signore ha affidato tutti i tesori della Nuova Alleanza, al fine di
costituire l'unico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che
siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo
appartengono al popolo di Dio. Il quale popolo, quantunque rimanga
esposto al peccato nei suoi membri finché dura la sua terrestre
peregrinazione, cresce tuttavia in Cristo ed è soavemente condotto da
Dio secondo i suoi arcani disegni, fino a che raggiunga gioioso tutta la
pienezza della gloria eterna nella celeste Gerusalemme.
L'ecumenismo
4. Siccome oggi, sotto il soffio della grazia dello Spirito Santo, in
più parti del mondo con la preghiera, la parola e l'azione si fanno
molti sforzi per avvicinarsi a quella pienezza di unità che Gesù Cristo
vuole, questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché,
riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all'opera
ecumenica.
Per « movimento ecumenico » si intendono le attività e le iniziative
suscitate e ordinate a promuovere l'unità dei cristiani, secondo le
varie necessità della Chiesa e secondo le circostanze. Così, in primo
luogo, ogni sforzo per eliminare parole, giudizi e opere che non
rispecchiano con giustizia e verità la condizione dei fratelli separati
e perciò rendono più difficili le mutue relazioni con essi. Poi, in
riunioni che si tengono con intento e spirito religioso tra cristiani di
diverse Chiese o comunità, il « dialogo » condotto da esponenti
debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina
della propria comunione e ne presenta con chiarezza le caratteristiche.
Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più vera e
una stima più giusta della dottrina e della vita di ogni comunione.
Inoltre quelle comunioni vengono a collaborare più largamente in
qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene
comune, e possono anche, all'occasione, riunirsi per pregare insieme.
Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la
Chiesa e, com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento
e di riforma.
Tutte queste cose, quando con prudenza e costanza sono compiute dai
fedeli della Chiesa cattolica sotto la vigilanza dei pastori,
contribuiscono a promuovere la giustizia e la verità, la concordia e la
collaborazione, la carità fraterna e l'unione. Per questa via a poco a
poco, superati gli ostacoli frapposti alla perfetta comunione
ecclesiale, tutti i cristiani, nell'unica celebrazione dell'eucaristia,
si troveranno riuniti in quella unità dell'unica Chiesa che Cristo fin
dall'inizio donò alla sua Chiesa, e che crediamo sussistere, senza
possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica, e speriamo che
crescerà ogni giorno più fino alla fine dei secoli.
È chiaro che l'opera di preparazione e di riconciliazione delle
singole persone che desiderano la piena comunione cattolica, si
distingue, per sua natura, dall'iniziativa ecumenica; non c'è però tra
esse alcuna opposizione, poiché l'una e l'altra procedono dalla mirabile
disposizione di Dio.
I fedeli cattolici nell'azione ecumenica si mostreranno senza
esitazione pieni di sollecitudine per i loro fratelli separati, pregando
per loro, parlando con loro delle cose della Chiesa, facendo i primi
passi verso di loro. E innanzi tutto devono essi stessi con sincerità e
diligenza considerare ciò che deve essere rinnovato e realizzato nella
stessa famiglia cattolica, affinché la sua vita renda una testimonianza
più fedele e più chiara della dottrina e delle istituzioni tramandate da
Cristo per mezzo degli apostoli.
Infatti, benché la Chiesa cattolica sia stata arricchita di tutta la
verità rivelata da Dio e di tutti i mezzi della grazia, tuttavia i suoi
membri non se ne servono per vivere con tutto il dovuto fervore. Ne
risulta che il volto della Chiesa rifulge meno davanti ai fratelli da
noi separati e al mondo intero, e la crescita del regno di Dio ne è
ritardata. Perciò tutti i cattolici devono tendere alla perfezione
cristiana (20) e sforzarsi, ognuno secondo la sua condizione, perché la
Chiesa, portando nel suo corpo l'umiltà e la mortificazione di Gesù
(21), vada di giorno in giorno purificandosi e rinnovandosi, fino a che
Cristo se la faccia comparire innanzi risplendente di gloria, senza
macchia né ruga (22).
Nella Chiesa tutti, secondo il compito assegnato ad ognuno sia nelle
varie forme della vita spirituale e della disciplina, sia nella
diversità dei riti liturgici, anzi, anche nella elaborazione teologica
della verità rivelata, pur custodendo l'unità nelle cose necessarie,
serbino la debita libertà; in ogni cosa poi pratichino la carità. Poiché
agendo così manifesteranno ogni giorno meglio la vera cattolicità e
insieme l'apostolicità della Chiesa.
D'altra parte è necessario che i cattolici con gioia riconoscano e
stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio,
che si trovano presso i fratelli da noi separati. Riconoscere le
ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita degli altri, i quali
rendono testimonianza a Cristo talora sino all'effusione del sangue, è
cosa giusta e salutare: perché Dio è sempre mirabile e deve essere
ammirato nelle sue opere.
Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo
viene compiuto nei fratelli separati, può pure contribuire alla nostra
edificazione. Tutto ciò che è veramente cristiano, non è mai contrario
ai beni della fede ad esso collegati, anzi può sempre far sì che lo
stesso mistero di Cristo e della Chiesa sia raggiunto più perfettamente.
Tuttavia le divisioni dei cristiani impediscono che la Chiesa
realizzi la pienezza della cattolicità a lei propria in quei figli che
le sono certo uniti col battesimo, ma sono separati dalla sua piena
comunione. Inoltre le diventa più difficile esprimere sotto ogni aspetto
la pienezza della cattolicità nella realtà della vita.
Questo santo Concilio costata con gioia che la partecipazione dei
fedeli all'azione ecumenica cresce ogni giorno, e la raccomanda ai
vescovi d'ogni parte della terra, perché sia promossa solertemente e sia
da loro diretta con prudenza.
CAPITOLO II
ESERCIZIO DELL'ECUMENISMO
L'unione deve interessare a tutti
5. La cura di ristabilire l'unione riguarda tutta la Chiesa, sia i
fedeli che i pastori, e tocca ognuno secondo le proprie possibilità,
tanto nella vita cristiana di ogni giorno quanto negli studi teologici e
storici. Tale cura manifesta già in qualche modo il legame fraterno che
esiste fra tutti i cristiani e conduce alla piena e perfetta unità,
conforme al disegno della bontà di Dio.
La riforma della Chiesa
6. Siccome ogni rinnovamento della Chiesa (23) I consiste
essenzialmente in una fedeltà più grande alla sua vocazione, esso è
senza dubbio la ragione del movimento verso l'unità. La Chiesa
peregrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma di cui, in
quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno. Se dunque alcune
cose, sia nei costumi che nella disciplina ecclesiastica ed anche nel
modo di enunziare la dottrina - che bisogna distinguere con cura dal
deposito vero e proprio della fede--sono state osservate meno
accuratamente, a seguito delle circostanze, siano opportunamente rimesse
nel giusto e debito ordine. Questo rinnovamento ha quindi una importanza
ecumenica singolare. I vari modi poi attraverso i quali tale
rinnovazione della vita della Chiesa già è in atto - come sono il
movimento biblico e liturgico, la predicazione della parola di Dio e la
catechesi, l'apostolato dei laici, le nuove forme di vita religiosa, la
spiritualità del matrimonio, la dottrina e l'attività della Chiesa in
campo sociale--vanno considerati come garanzie e auspici che felicemente
preannunziano i futuri progressi dell'ecumenismo.
La conversione del cuore
7. Non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione. Infatti
il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento dell'animo (24),
dall'abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità. Perciò
dobbiamo implorare dallo Spirito divino la grazia di una sincera
abnegazione, dell'umiltà e della dolcezza nel servizio e della fraterna
generosità di animo verso gli altri. « Vi scongiuro dunque - dice
l'Apostolo delle genti - io, che sono incatenato nel Signore, di
camminare in modo degno della vocazione a cui siete stati chiamati, con
ogni umiltà e dolcezza, con longanimità, sopportandovi l'un l'altro con
amore, attenti a conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo
della pace» (Ef 4,1-3). Questa esortazione riguarda soprattutto
quelli che sono stati innalzati al sacro ordine per continuare la
missione di Cristo, il quale « non è venuto tra di noi per essere
servito, ma per servire » (Mt 20,28).
Anche delle colpe contro l'unità vale la testimonianza di san
Giovanni: « Se diciamo di non aver peccato, noi facciamo di Dio un
mentitore, e la sua parola non è in noi» (1 Gv 1,10). Perciò con
umile preghiera chiediamo perdono a Dio e ai fratelli separati, come
pure noi rimettiamo ai nostri debitori.
Si ricordino tutti i fedeli, che tanto meglio promuoveranno, anzi
vivranno in pratica l'unione dei cristiani, quanto più si studieranno di
condurre una vita più conforme al Vangelo. Quanto infatti più stretta
sarà la loro comunione col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo,
tanto più intima e facile potranno rendere la fraternità reciproca.
L'unione nella preghiera
8. Questa conversione del cuore e questa santità di vita, insieme con
le preghiere private e pubbliche per l'unità dei cristiani, devono
essere considerate come l'anima di tutto il movimento ecumenico e si
possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale.
È infatti consuetudine per i cattolici di recitare insieme la
preghiera per l'unità della Chiesa, con la quale ardentemente alla
vigilia della sua morte lo stesso Salvatore pregò il Padre: « che tutti
siano una cosa sola» (Gv 17,21).
In alcune speciali circostanze, come sono le preghiere che vengono
indette « per l'unità » e nelle riunioni ecumeniche, è lecito, anzi
desiderabile, che i cattolici si associno nella preghiera con i fratelli
separati. Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto
efficace per impetrare la grazia dell'unità e costituiscono una
manifestazione autentica dei vincoli con i quali i cattolici rimangono
uniti con i fratelli separati: « Poiché dove sono due o tre adunati nel
nome mio, ci sono io in mezzo a loro » (Mt 18,20).
Tuttavia, non è permesso considerare la « communicatio in sacris »
come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento
dell'unità dei cristiani. Questa « communicatio » è regolata soprattutto
da due principi: esprimere l'unità della Chiesa; far partecipare ai
mezzi della grazia. Essa è, per lo più, impedita dal punto di vista
dell'espressione dell'unità; la necessità di partecipare la grazia
talvolta la raccomanda. Circa il modo concreto di agire, avuto riguardo
a tutte le circostanze di tempo, di luogo, di persone, decida
prudentemente l'autorità episcopale del luogo, a meno che non sia
altrimenti stabilito dalla conferenza episcopale a norma dei propri
statuti, o dalla santa Sede.
La reciproca conoscenza
9. Bisogna conoscere l'animo dei fratelli separati. A questo scopo è
necessario lo studio, e bisogna condurlo con lealtà e benevolenza. I
cattolici debitamente preparati devono acquistare una migliore
conoscenza della dottrina e della storia, della vita spirituale e
liturgica, della psicologia religiosa e della cultura propria dei
fratelli. A questo scopo molto giovano le riunioni miste, con la
partecipazione di entrambe le parti, per dibattere specialmente
questioni teologiche, dove ognuno tratti da pari a pari, a condizione
che quelli che vi partecipano, sotto la vigilanza dei vescovi, siano
veramente competenti. Da questo dialogo apparirà più chiaramente anche
la vera posizione della Chiesa cattolica. In questo modo si verrà a
conoscere meglio il pensiero dei fratelli separati e a loro verrà
esposta con maggiore precisione la nostra fede.
La formazione ecumenica
10. L'insegnamento della sacra teologia e delle altre discipline,
specialmente storiche, deve essere impartito anche sotto l'aspetto
ecumenico, perché abbia sempre meglio a corrispondere alla verità dei
fatti. È molto importante che i futuri pastori e i sacerdoti conoscano
bene la teologia accuratamente elaborata in questo modo, e non in
maniera polemica, soprattutto per quanto riguarda le relazioni dei
fratelli separati con la Chiesa cattolica. È infatti dalla formazione
dei sacerdoti che dipende soprattutto l'istituzione e la formazione
spirituale dei fedeli e dei religiosi. Anche i cattolici che attendono
alle opere missionarie in terre in cui lavorano altri cristiani devono
conoscere, specialmente oggi, le questioni e i frutti che nel loro
apostolato nascono dall'ecumenismo.
Modi di esprimere e di esporre la dottrina della fede
11. Il modo e il metodo di enunziare la fede cattolica non deve in
alcun modo essere di ostacolo al dialogo con i fratelli. Bisogna
assolutamente esporre con chiarezza tutta intera la dottrina. Niente è
più alieno dall'ecumenismo che quel falso irenismo, che altera la
purezza della dottrina cattolica e ne oscura il senso genuino e preciso.
Allo stesso tempo la fede cattolica va spiegata con maggior
profondità ed esattezza, con un modo di esposizione e un linguaggio che
possano essere compresi anche dai fratelli separati. Inoltre nel dialogo
ecumenico i teologi cattolici, fedeli alla dottrina della Chiesa,
nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono
procedere con amore della verità, con carità e umiltà. Nel mettere a
confronto le dottrine si ricordino che esiste un ordine o « gerarchia »
nelle verità della dottrina cattolica, in ragione del loro rapporto
differente col fondamento della fede cristiana. Così si preparerà la via
nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno
spinti verso una più profonda cognizione e più chiara manifestazione
delle insondabili ricchezze di Cristo (25).
La cooperazione con i fratelli separati
12. Tutti i cristiani professino davanti a tutti i popoli la fede in
Dio uno e trino, nel Figlio di Dio incarnato, Redentore e Signore
nostro, e con comune sforzo nella mutua stima rendano testimonianza
della speranza nostra, che non inganna. Siccome in questi tempi si
stabilisce su vasta scala la cooperazione nel campo sociale, tutti gli
uomini sono chiamati a questa comune opera, ma a maggior ragione quelli
che credono in Dio e, in primissimo luogo, tutti i cristiani, a causa
del nome di Cristo di cui sono insigniti. La cooperazione di tutti i
cristiani esprime vivamente l'unione già esistente tra di loro, e pone
in più piena luce il volto di Cristo servo. Questa cooperazione, già
attuata in non poche nazioni, va ogni giorno più perfezionata--
specialmente nelle nazioni dove è in atto una evoluzione sociale o
tecnica--sia facendo stimare rettamente la dignità della persona umana,
sia lavorando a promuovere il bene della pace, sia applicando
socialmente il Vangelo, sia facendo progredire con spirito cristiano le
scienze e le arti, come pure usando rimedi d'ogni genere per venire
incontro alle miserie de. nostro tempo, quali sono la fame e le
calamità, l'analfabetismo e l'indigenza, la mancanza di abitazioni e
l'ineguale distribuzione della ricchezza. Da questa cooperazione i
credenti in Cristo possono facilmente imparare come ci si possa meglio
conoscere e maggiormente stimare gli uni e gli altri, e come si appiani
la via verso l'unità dei cristiani.
CAPITOLO III
CHIESE E COMUNITÀ ECCLESIALI SEPARATE
DALLA SEDE APOSTOLICA ROMANA
Le varie divisioni
13. Noi rivolgiamo ora il nostro pensiero alle due principali
categorie di scissioni che hanno intaccato l'inconsutile tunica di
Cristo.
Le prime di esse avvennero in Oriente, sia per la contestazione delle
forme dogmatiche dei Concili di Efeso e di Calcedonia, sia, più tardi,
per la rottura della comunione ecclesiastica tra i patriarchi orientali
e la sede romana.
Le altre sono sorte, dopo più di quattro secoli, in Occidente, a
causa di quegli eventi che comunemente sono conosciuti con il nome di
Riforma. Da allora parecchie Comunioni sia nazionali che confessionali,
si separarono dalla Sede romana. Tra quelle nelle quali continuano a
sussistere in parte le tradizioni e le strutture cattoliche, occupa un
posto speciale la Comunione anglicana. Tuttavia queste varie divisioni
differiscono molto tra di loro non solo per ragione dell'origine, del
luogo e del tempo, ma soprattutto per la natura e gravità delle
questioni spettanti la fede e la struttura ecclesiastica. Perciò questo
santo Concilio, il quale né misconosce le diverse condizioni delle
diverse Comunioni cristiane, né trascura i legami ancora esistenti tra
loro nonostante la divisione, per una prudente azione ecumenica decide
di proporre le seguenti considerazioni.
I. Speciale considerazione delle Chiese orientali
Carattere e storia propria degli orientali
14. Le Chiese d'Oriente e d'Occidente hanno seguito per molti secoli
una propria via, unite però dalla fraterna comunione nella fede e nella
vita sacramentale, sotto la direzione della Sede romana di comune
consenso accettata, qualora fra loro fossero sorti dissensi circa la
fede o la disciplina. È cosa gradita per il sacro Concilio richiamare
alla mente di tutti, tra le altre cose di grande importanza, che in
Oriente prosperano molte Chiese particolari o locali, tra le quali
tengono il primo posto le Chiese patriarcali, e come non poche di queste
si gloriano d'essere state fondate dagli stessi apostoli. Perciò presso
gli orientali grande fu ed è ancora la preoccupazione e la cura di
conservare, in una comunione di fede e di carità, quelle fraterne
relazioni che, come tra sorelle, devono esistere tra le Chiese locali.
Non si deve parimenti dimenticare che le Chiese d'Oriente hanno fin
dall'origine un tesoro dal quale la Chiesa d'Occidente ha attinto molti
elementi nel campo della liturgia, della tradizione spirituale e
dell'ordine giuridico. Né si deve sottovalutare il fatto che i dogmi
fondamentali della fede cristiana sulla Trinità e sul Verbo di Dio
incarnato da Maria vergine, sono stati definiti in Concili ecumenici
celebrati in Oriente e come, per conservare questa fede, quelle Chiese
hanno molto sofferto e soffrono ancora. L'eredità tramandata dagli
apostoli è stata accettata in forme e modi diversi e, fin dai primordi
stessi della Chiesa, qua e là variamente sviluppata, anche per le
diversità di carattere e di condizioni di vita. Tutte queste cose, oltre
alle cause esterne e anche per mancanza di mutua comprensione e carità,
diedero ansa alle separazioni.
Perciò il santo Concilio esorta tutti, ma specialmente quelli che
intendono lavorare al ristabilimento della desiderata piena comunione
tra le Chiese orientali e la Chiesa cattolica, a tenere in debita
considerazione questa speciale condizione della nascita e della crescita
delle Chiese d'Oriente, e la natura delle relazioni vigenti fra esse e
la Sede di Roma prima della separazione, e a formarsi un equo giudizio
su tutte queste cose. Questa regola, ben osservata, contribuirà
moltissimo al dialogo che si vuole stabilire.
Tradizione liturgica e spirituale degli orientali
15. È pure noto a tutti con quanto amore i cristiani d'Oriente
celebrino la sacra liturgia, specialmente quella eucaristica, fonte
della vita della Chiesa e pegno della gloria futura; in essa i fedeli,
uniti al vescovo, hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo
incarnato, morto e glorificato, nell'effusione dello Spirito Santo, ed
entrano in comunione con la santissima Trinità, fatti «partecipi della
natura divina » (2 Pt 1,4). Perciò con la celebrazione
dell'eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è
edificata e cresce (26), e con la concelebrazione si manifesta la
comunione tra di esse.
In questo culto liturgico gli orientali magnificano con splendidi
inni Maria sempre vergine, solennemente proclamata santissima madre di
Dio dal Concilio ecumenico Efesino, perché Cristo conforme alla sacra
Scrittura fosse riconosciuto, in senso vero e proprio, Figlio di Dio e
figlio dell'uomo; similmente tributano grandi omaggi a molti santi, fra
i quali vi sono Padri della Chiesa universale.
Siccome poi quelle Chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti
- e soprattutto, in virtù della successione apostolica, il sacerdozio e
l'eucaristia - che li uniscono ancora a noi con strettissimi vincoli,
una certa « communicatio in sacris », presentandosi opportune
circostanze e con l'approvazione dell'autorità ecclesiastica, non solo è
possibile, ma anche consigliabile.
In Oriente si trovano pure le ricchezze di quelle tradizioni
spirituali che sono espresse specialmente dal monachismo. Ivi infatti
fin dai gloriosi tempi dei santi Padri fiorì quella spiritualità
monastica che si estese poi all'Occidente, e dalla quale, come da sua
fonte, trasse origine la regola monastica dei latini e in seguito
ricevette di tanto in tanto nuovo vigore. Perciò caldamente si
raccomanda che i cattolici con maggior frequenza accedano a queste
ricchezze de Padri orientali, che elevano tutto l'uomo alla
contemplazione delle cose divine.
Tutti sappiano che il conoscere, venerare, conservare e sostenere il
ricchissimo patrimonio liturgico e spirituale degli orientali è di somma
importanza per la fedele custodia dell'integra tradizione cristiana per
la riconciliazione dei cristiani d'Oriente e d'occidente.
Disciplina degli orientali
16. Inoltre fin dai primi tempi le Chiese d'Oriente seguivano
discipline proprie, sancite dai santi Padri e dai Concili, anche
ecumenici. Una certa diversità di usi e consuetudini, come abbiamo sopra
ricordato, non si oppone minimamente all'unità della Chiesa, anzi ne
accresce la bellezza e costituisce un aiuto prezioso al compimento della
sua missione perciò il sacro Concilio, onde togliere ogni dubbio
dichiara che le Chiese d'Oriente, memori della necessaria unità di tutta
la Chiesa, hanno potestà di regolarsi secondo le proprie discipline,
come più consone al carattere dei loro fedeli e più adatte a pro muovere
il bene delle anime. La perfetta osservanza di questo principio
tradizionale, invero non sempre rispettata, appartiene a quelle cose che
sono assolutamente richieste come previa condizione al ristabilimento
dell'unità.
Carattere proprio degli orientali nell'esporre i misteri
17. Ciò che sopra è stato detto circa la legittima diversità deve
essere applicato anche alla diversa enunziazione delle dottrine
teologiche. Effettivamente nell'indagare la verità rivelata in Oriente e
in Occidente furono usati metodi e cammini diversi per giungere alla
conoscenza e alla confessione delle cose divine. Non fa quindi
meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta
percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall'uno che non
dall'altro, cosicché si può dire che quelle varie formule teologiche non
di rado si completino, piuttosto che opporsi. Per ciò che riguarda le
tradizioni teologiche autentiche degli orientali, bisogna riconoscere
che esse sono eccellentemente radicate nella sacra Scrittura, sono
coltivate ed espresse dalla vita liturgica, sono nutrite dalla viva
tradizione apostolica, dagli scritti dei Padri e dagli scrittori
ascetici orientali, e tendono a una retta impostazione della vita, anzi
alla piena contemplazione della verità cristiana.
Questo sacro Concilio, ringraziando Dio che molti orientali figli
della Chiesa cattolica, i quali custodiscono questo patrimonio e
desiderano viverlo con maggior purezza e pienezza, vivano già in piena
comunione con i fratelli che seguono la tradizione occidentale, dichiara
che tutto questo patrimonio spirituale e liturgico, disciplinare e
teologico, nelle diverse sue tradizioni, appartiene alla piena
cattolicità e apostolicità della Chiesa.
Conclusione
18. Considerate bene tutte queste cose, questo sacro Concilio inculca
di nuovo ciò che è stato dichiarato dai precedenti sacri Concili e dai
romani Pontefici, che cioè, per ristabilire o conservare la comunione e
l'unità bisogna « non imporre altro peso fuorché le cose necessarie »
(At 15,28). Desidera pure ardentemente che d'ora in poi, nelle varie
istituzioni e forme della vita della Chiesa, tutti gli sforzi tendano
passo passo al conseguimento di essa, specialmente con la preghiera e il
dialogo fraterno circa la dottrina e le più urgenti necessità pastorali
del nostro tempo. Raccomanda parimenti ai pastori e ai fedeli della
Chiesa cattolica di stabilire delle relazioni con quelli che non vivono
più in Oriente, ma lontani dalla patria. Così crescerà la fraterna
collaborazione con loro in spirito di carità, bandendo ogni sentimento
di litigiosa rivalità. Se questa opera sarà promossa con tutto l'animo,
il sacro Concilio spera che, tolta la parete che divide la Chiesa
occidentale dall'orientale, si avrà finalmente una sola dimora
solidamente fondata sulla pietra angolare, Cristo Gesù, il quale di
entrambe farà una cosa sola (27).
II. Chiese e Comunità ecclesiali separate in Occidente
Condizione di queste comunità
19. Le Chiese e Comunità ecclesiali che, o in quel gravissimo
sconvolgimento incominciato in Occidente già alla fine del medioevo, o
in tempi posteriori si sono separate dalla Sede apostolica romana sono
unite alla Chiesa cattolica da una speciale affinità e stretta
relazione, dovute al lungo periodo di vita che il popolo cristiano nei
secoli passati trascorse nella comunione ecclesiastica.
Ma siccome queste Chiese e Comunità ecclesiali per la loro diversità
di origine, di dottrina e di vita spirituale, differiscono non poco
anche tra di loro, e non solo da noi, è assai difficile descriverle con
precisione, e noi non abbiamo qui l'intenzione di farlo.
Sebbene il movimento ecumenico e il desiderio di pace con la Chiesa
cattolica non sia ancora invalso dovunque, nutriamo speranza che a poco
a poco cresca in tutti il sentimento ecumenico e la mutua stima.
Bisogna però riconoscere che tra queste Chiese e Comunità e la Chiesa
cattolica vi sono importanti divergenze, non solo di carattere storico,
sociologico, psicologico e culturale, ma soprattutto
nell'interpretazione della verità rivelata. Per poter più facilmente,
nonostante queste differenze, riprendere il dialogo ecumenico, vogliamo
qui mettere in risalto alcuni elementi, che possono e devono essere la
base e il punto di partenza di questo dialogo.
La fede in Cristo
20. Il nostro pensiero si rivolge prima di tutto a quei cristiani che
apertamente confessano Gesù Cristo come Dio e Signore e unico mediatore
tra Dio e gli uomini, per la gloria di un solo Dio, Padre e Figlio e
Spirito Santo. Sappiamo che vi sono invero non lievi discordanze dalla
dottrina della Chiesa cattolica anche intorno a Cristo Verbo di Dio
incarnato e all'opera della redenzione, e perciò intorno al mistero e al
ministero della Chiesa e alla funzione di Maria nell'opera della
salvezza. Ci rallegriamo tuttavia vedendo i fratelli separati tendere a
Cristo come a fonte e centro della comunione ecclesiale. Presi dal
desiderio dell'unione con Cristo, essi sono spinti a cercare sempre di
più l'unità ed anche a rendere dovunque testimonianza della loro fede
presso le genti.
Studio della sacra Scrittura
21. L'amore e la venerazione--quasi il culto-- delle sacre Scritture
conducono i nostri fratelli al costante e diligente studio del libro
sacro. Il Vangelo infatti « è la forza di Dio per la salvezza di ogni
credente, del Giudeo prima, e poi del Gentile » (Rm 1,16).
Invocando lo Spirito Santo, cercano nella stessa sacra Scrittura Dio
come colui che parla a loro in Cristo, preannunziato dai profeti, Verbo
di Dio per noi incarnato. In esse contemplano la vita di Cristo e quanto
il divino Maestro ha insegnato e compiuto per la salvezza degli uomini,
specialmente i misteri della sua morte e resurrezione.
Ma quando i cristiani da noi separati affermano la divina autorità
dei libri sacri, la pensano diversamente da noi - e in modo invero
diverso gli uni dagli altri - circa il rapporto tra la sacra Scrittura e
la Chiesa. Secondo la fede cattolica, infatti, il magistero autentico ha
un posto speciale nell'esporre e predicare la parola di Dio scritta.
Cionondimeno nel dialogo la sacra Scrittura costituisce uno strumento
eccellente nella potente mano di Dio per il raggiungimento di quella
unità, che il Salvatore offre a tutti gli uomini.
La vita sacramentale
22. Col sacramento del battesimo, quando secondo l'istituzione del
Signore è debitamente conferito e ricevuto con le disposizioni interiori
richieste, l'uomo e veramente incorporato a Cristo crocifisso e
glorificato e viene rigenerato per partecipare alla vita divina, secondo
le parole dell'Apostolo: « Sepolti insieme con lui nel battesimo, nel
battesimo insieme con lui siete risorti, mediante la fede nella potenza
di Dio, che lo ha ridestato da morte (Col 2,12) (28).
Il battesimo quindi costituisce il vincolo sacramentale dell'unità
che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati.
Tuttavia il battesimo, di per sé, è soltanto l'inizio e l'esordio, che
tende interamente all'acquisto della pienezza della vita in Cristo.
Pertanto esso è ordinato all'integra professione della fede,
all'integrale incorporazione nell'istituzione della salvezza, quale
Cristo l'ha voluta, e infine alla piena inserzione nella comunità
eucaristica.
Le comunità ecclesiali da noi separate, quantunque manchi loro la
piena unità con noi derivante dal battesimo, e quantunque crediamo che
esse, specialmente per la mancanza del sacramento dell'ordine, non hanno
conservata la genuina ed integra sostanza del mistero eucaristico,
tuttavia, mentre nella santa Cena fanno memoria della morte e della
resurrezione del Signore, professano che nella comunione di Cristo è
significata la vita e aspettano la sua venuta gloriosa. Bisogna quindi
che la dottrina circa la Cena del Signore, gli altri sacramenti, il
culto e i ministeri della Chiesa costituiscano oggetto del dialogo.
La vita in Cristo
23. La vita cristiana di questi fratelli è alimentata dalla fede in
Cristo e beneficia della grazia del battesimo e dell'ascolto della
parola di Dio. Si manifesta poi nella preghiera privata, nella
meditazione della Bibbia, nella vita della famiglia cristiana, nel culto
della comunità riunita a lodare Dio. Del resto il loro culto mostra
talora importanti elementi della comune liturgia antica.
La fede con cui si crede a Cristo produce i frutti della lode e del
ringraziamento per i benefici ricevuti da Dio; a ciò si aggiunge un vivo
sentimento della giustizia e una sincera carità verso il prossimo. E
questa fede operosa ha pure creato non poche istituzioni per sollevare
la miseria spirituale e corporale per l'educazione della gioventù, per
rendere più umane le condizioni sociali della vita, per stabilire
ovunque una pace stabile.
Anche se in campo morale molti cristiani non intendono sempre il
Vangelo alla stessa maniera dei cattolici, né ammettono le stesse
soluzioni dei problemi più difficili dell'odierna società, tuttavia
vogliono come noi aderire alla parola di Cristo quale sorgente della
virtù cristiana e obbedire al precetto dell'Apostolo: « Qualsiasi cosa
facciate, o in parole o in opere, fate tutto nel nome del Signore Gesù,
rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di lui » (Col 3,17). Di qui
può prendere inizio il dialogo ecumenico intorno alla applicazione
morale del Vangelo.
Conclusione
24. Così dopo avere brevemente esposto le condizioni di esercizio
dell'azione ecumenica e i principi con i quali regolarla, volgiamo
fiduciosi gli occhi al futuro. Questo sacro Concilio esorta i fedeli ad
astenersi da qualsiasi leggerezza o zelo imprudente, che potrebbero
nuocere al vero progresso dell'unità. Infatti la loro azione ecumenica
non può essere se non pienamente e sinceramente cattolica, cioè fedele
alla verità che abbiamo ricevuto dagli apostoli e dai Padri, e conforme
alla fede che la Chiesa cattolica ha sempre professato; nello stesso
tempo tende a quella pienezza con la quale il Signore vuole che cresca
il suo corpo nel corso dei secoli.
Questo santo Concilio desidera vivamente che le iniziative dei figli
della Chiesa cattolica procedano congiunte con quelle dei fratelli
separati, senza che sia posto alcun ostacolo alle vie della Provvidenza
e senza che si rechi pregiudizio ai futuri impulsi dello Spirito Santo.
Inoltre dichiara d'essere consapevole che questo santo proposito di
riconciliare tutti i cristiani nell'unità di una sola e unica Chiesa di
Cristo, supera le forze e le doti umane. Perciò ripone tutta la sua
speranza nell'orazione di Cristo per la Chiesa, nell'amore del Padre per
noi e nella potenza dello Spirito Santo. «La speranza non inganna,
poiché l'amore di Dio è largamente diffuso nei nostri cuori per mezzo
dello Spirito Santo che ci fu dato » (Rm 5,5).
Tutte e singole le cose
stabilite in questo Decreto sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E
Noi, in virtù della potest Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente
ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e
le stabiliamo; e quanto stato cos sinodalmente deciso, comandiamo che
sia promulgato a gloria di Dio.
Roma, presso San Pietro, 21 novembre 1964.
Io PAOLO Vescovo della Chiesa Cattolica
Seguono
le firme dei Padri.
Firme dei Padri
Io PAOLO Vescovo della Chiesa
Cattolica
† Ego IOANNES titulo S. Marci Presbyter Cardinalis URBANI, Patriarcha
Venetiarum.
Ego PAULUS titulo S. Mariae in Vallicella Presbyter Cardinalis
GIOBBE, S. R. E. Datarius.
Ego FERDINANDUS titulo S. Eustachii Presbyter Cardinalis CENTO.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Honuphrii in Ianiculo Presbyter Cardinalis
GARIBI Y RIVERA, Archiepiscopus Guadalajarensis.
Ego CAROLUS titulo S. Agnetis extra moenia Presbyter Cardinalis
CONFALONIERI.
† Ego PAULUS titulo Ss. Quirici et Iulittae Presbyter Cardinalis
RICHAUD, Archiepiscopus Burdigalensis.
† Ego IOSEPHUS M. titulo Ss. Viti, Modesti et Crescentiae Presbyter
Cardinalis BUENO Y MONREAL, Archiepiscopus Hispalensis.
† Ego FRANCISCUS titulo S. Eusebii Presbyter Cardinalis KÖNIG,
Archiepiscopus Vindobonensis.
† Ego IULIUS titulo S. Mariae Scalaris Presbyter Cardinalis DÖPFNER,
Archiepiscopus Monacensis et Frisingensis.
Ego PAULUS titulo S. Andreae Apostoli de Hortis Presbyter Cardinalis
MARELLA.
Ego GUSTAVUS titulo S. Hieronymi Illyricorum Presbyter Cardinalis
TESTA.
† Ego ALBERTUS titulo S. Caeciliae Presbyter Cardinalis MEYER,
Archiepiscopus Chicagiensis.
Ego ALOISIUS titulo S. Andreae de Valle Presbyter Cardinalis TRAGLIA.
† Ego PETRUS TATSUO titulo S. Antonii Patavini de Urbe Presbyter
Cardinalis DOI, Archiepiscopus Tokiensis.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Ioannis Baptistae Florentinorum Presbyter
Cardinalis LEFEBVRE, Archiepiscopus Bituricensis.
† Ego BERNARDUS titulo S. Ioachimi Presbyter Cardinalis ALFRINK,
Archiepiscopus Ultraiectensis.
† Ego LAUREANUS titulo S. Francisci Assisiensis ad Ripam Maiorem
Presbyter Cardinalis RUGAMBWA, Episcopus Bukobaënsis.
† Ego IOSEPHUS titulo Ssmi Redemptoris et S. Alfonsi in Exquiliis
Presbyter Cardinalis RITTER, Archiepiscopus S. Ludovici.
† Ego IOSEPHUS HUMBERTUS titulo Ss. Andreae et Gregorii ad Clivum
Scauri Presbyter Cardinalis QUINTERO, Archiepiscopus Caracensis.
† Ego IGNATIUS PETRUS XVI BATANIAN, Patriarcha Ciliciae Armenorum.
† Ego IOSEPHUS VIEIRA ALVERNAZ, Patriarcha Indiarum Orientalium.
† Ego IOSEPHUS SLIPYJ, Archiepiscopus Maior et Metropolita
Leopolitanus Ucrainorum.
† Ego IOANNES CAROLUS MCQUAID, Archiepiscopus Dublinensis, Primas
Hiberniae.
† Ego ANDREAS ROHRACHER, Archiepiscopus Salisburgensis, Primas
Germaniae.
† Ego DEMETRIUS MOSCATO, Archiepiscopus Primas Salernitanus et
Administrator Perpetuus Acernensis.
† Ego MAURITIUS ROY, Archiepiscopus Quebecensis, Primas Canadiae.
† Ego HUGO CAMOZZO, Archiepiscopus Pisanus, Primas Sardiniae et
Corsicae.
† Ego ALEXANDER TOKI , Archiepiscopus Antibarensis, Primas Serbiae.
† Ego MICHAEL DARIUS MIRANDA, Archiepiscopus Mexicanus, Primas
Mexici.
† Ego OCTAVIUS ANTONIUS BERAS, Archiepiscopus S. Dominici, Primas
Indiarum Occidentalium.
† Ego IOANNES CAROLUS HEENAN, Archiepiscopus Vestmonasteriensis,
Primas Angliae.
† Ego GUILLELMUS CONWAY, Archiepiscopus Armachanus, Primas totius
Hiberniae.
† Ego FRANCISCUS MARIA DA SILVA, Archiepiscopus Bracharensis, Primas
Hispaniarum.
† Ego PAULUS GOUYON, Archiepiscopus Rhedonensis, Primas Britanniae.
† Ego ANDREAS CESARANO, Archiepiscopus Sipontinus et Admin. Perp.
Vestanus.
Sequuntur ceterae subsignationes.
Ita est.
† Ego PERICLES FELICI
Archiepiscopus tit. Samosatensis
Ss. Concilii Secretarius Generalis
† Ego IOSEPHUS ROSSI
Episcopus tit. Palmyrenus
Ss. Concilii Notarius
† Ego FRANCISCUS HANNIBAL FERRETTI
Ss. Concilii Notarius
DAGLI ATTI DEL SS. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II
NOTIFICAZIONI
Fatte dall’Ecc.mo Segretario Generale del Ss. Concilio nella CXXIII
Congregazione Generale del 16 nov. 1964
stato chiesto quale debba essere la qualificazione teologica della
dottrina che esposta nello Schema sulla Chiesa e viene sottoposta alla
votazione.
Al quesito sulla valutazione dei Modi riguardanti il capitolo terzo
dello Schema sulla Chiesa la Commissione Dottrinale ha risposto in
questi termini:
"Come di per sé evidente, il testo del Concilio deve essere sempre
interpretato secondo le regole generali, a tutti note".
Con l’occasione, la Commissione Dottrinale rimanda alla sua
Dichiarazione del 6 marzo 1964, di cui qui trascriviamo il testo:
"Tenendo conto della procedura conciliare e della finalit pastorale
del presente Concilio, questo S. Sinodo definisce come vincolante per la
Chiesa soltanto quello che in materia di fede e di morale avr
apertamente dichiarato come tale.
"Le altre cose che il S. Sinodo propone, in quanto dottrina del
Supremo Magistero della Chiesa, tutti e ciascun fedele devono
accoglierle e aderirvi secondo la mente dello stesso S. Sinodo, quale si
deduce sia dalla materia trattata sia dal tenore dell’espressione
verbale, secondo le norme dell’interpretazione teologica".
Su mandato dell’Autorit Superiore viene poi trasmessa ai Padri una
nota esplicativa previa ai Modi circa il capitolo terzo dello Schema
sulla Chiesa; secondo la mente e il giudizio di questa nota dev’essere
spiegata e intesa la dottrina esposta nel detto capitolo terzo.
Nota esplicativa previa
"La Commissione ha stabilito di premettere all’esame dei Modi le
seguenti osservazioni generali.
1. Collegio non si intende in
senso strettamente giuridico, cio di un gruppo di uguali che
demandano il loro potere al loro presidente, ma di un gruppo
stabile, la cui struttura ed autorit devono essere dedotte dalla
Rivelazione. Perci nella Risposta al Modo, 12, dei Dodici [Apostoli]
si dice esplicitamente che il Signore li costitu "sotto forma di
collegio o gruppo stabile". Cf anche il Modo 53, c. - Per la stessa
ragione si usa anche spesso il termine Ordine o Corpo per il
Collegio dei Vescovi. Il parallelismo fra Pietro e gli altri
Apostoli da una parte e il Sommo Pontefice e i Vescovi dall’altra
non implica una trasmissione del potere straordinario degli Apostoli
ai loro successori, né, com’ ovvio, una uguaglianza tra il Capo e i
membri del Collegio, ma la sola proporzionalit fra la prima
relazione (Pietro - gli Apostoli) e l’altra (Papa - Vescovi). Per
questo la Commissione ha deciso di scrivere nel n. 22 non stessa ma
in modo analogo. Cf il Modo 57.
2.
Uno diventa membro del
Collegio in virt della consacrazione episcopale e della comunione
gerarchica con il Capo del Collegio e con i membri. Cf n. 22, alla
fine. Nella consacrazione viene data la partecipazione ontologica ai
sacri uffici, come indubbiamente consta dalla Tradizione, anche
liturgica. Volutamente usata la parola uffici e non potest , perché
quest’ultimo vocabolo potrebbe essere inteso come potest libera
negli atti. Ma perché ci sia tale libera potest , deve intervenire
la determinazione canonica ossia giuridica da parte dell’autorit
gerarchica. Questa determinazione della potest pu consistere nella
concessione di un ufficio particolare o nell’assegnazione di
sudditi, e viene data secondo norme approvate dall’autorit suprema.
Siffatta norma ulteriore richiesta dalla natura della cosa, perché
si tratta di incarichi che devono essere esercitati da pi soggetti,
cooperanti gerarchicamente per volere di Cristo. evidente che questa
"comunione" nella vita della Chiesa stata applicata secondo le
contingenze dei tempi, prima che fosse come codificata nel diritto.
Perci detto
espressamente che si richiede la comunione gerarchica con il Capo
della Chiesa e con i suoi membri. Comunione un concetto che era
tenuto in grande onore nella Chiesa antica (come anche oggi
soprattutto in Oriente). Non va intesa per come un certo vago
affetto, ma come una realt organica, che esige una forma giuridica
ed insieme animata dalla carit : per questo la Commissione, con
consenso quasi unanime, ha deciso di scrivere "in comunione
gerarchica". Cf il Modo 40 ed anche quanto detto sulla missione
canonica, al n. 24.
I documenti degli
ultimi Sommi Pontefici circa la giurisdizione dei Vescovi vanno
interpretati in riferimento a questa necessaria determinazione dei
poteri.
3. Il Collegio, che non pu essere
senza il Capo, detto "soggetto di suprema e piena potest su tutta la
Chiesa". Il che si deve necessariamente ammettere, per non mettere
in pericolo la pienezza di potest del Romano Pontefice. Infatti il
Collegio presuppone sempre necessariamente il suo Capo, che nel
Collegio conserva intatta la sua funzione di Vicario di Cristo e
Pastore della Chiesa universale. In altre parole la distinzione non
tra il Romano Pontefice e i Vescovi presi collettivamente, ma tra il
Romano Pontefice da solo e il Romano Pontefice insieme ai Vescovi.
Siccome per il Sommo Pontefice Capo del Collegio, lui solo pu
compiere alcuni atti che non competono in nessun modo ai Vescovi,
per esempio convocare e dirigere il Collegio, approvare le norme
dello svolgimento, ecc. Cf Modo 81. Al giudizio del Sommo Pontefice,
a cui stata affidata la cura di tutto il gregge di Cristo, secondo
le necessit della Chiesa variabili nel corso dei tempi, spetta
determinare il modo in cui conviene che sia attuata questa cura, sia
in modo personale, sia in modo collegiale. Nell’ordinare,
promuovere, approvare l’esercizio collegiale il Romano Pontefice
procede a propria discrezione, mirando al bene della Chiesa.
4.
Il Sommo Pontefice, in quanto
Pastore Supremo della Chiesa, pu esercitare a piacimento la sua
potest in ogni tempo, com’ richiesto dal suo stesso ufficio. Invece
il Collegio, pur esistendo sempre, non per questo agisce in
permanenza con azione strettamente collegiale, come risulta dalla
Tradizione della Chiesa. In altri termini non sempre "in atto
pieno", anzi, non compie un atto strettamente collegiale se non ad
intervalli e se non consenziente il Capo. Si dice "consenziente il
Capo" perché non si pensi ad una dipendenza per cos dire da un
estraneo; il termine "consenziente" evoca viceversa la comunione tra
il Capo e i membri, ed implica la necessit di un atto che
propriamente compete al Capo. La cosa esplicitamente affermata nel
n. 22 § 2 ed ivi spiegata verso la fine. La forma negativa "se non"
comprende tutti i casi; donde evidente che le norme approvate dalla
suprema Autorit devono sempre essere osservate. Cf Modo 84.
Da tutto questo
risulta che si tratta di unione dei Vescovi con il loro Capo, e mai
di azione dei Vescovi indipendentemente dal Papa. Nel qual caso,
mancando l’azione del Capo, i Vescovi non possono agire come
Collegio, come appare dalla nozione di "Collegio". Questa comunione
gerarchica di tutti i Vescovi con il Sommo Pontefice certamente
importante nella Tradizione.
N.B. Senza la comunione gerarchica l’ufficio
sacramentale-ontologico, che va distinto dall’aspetto
canonico-giuridico, non pu essere esercitato. La Commissione
tuttavia ha ritenuto di non dover entrare in questioni di liceit e
di validit , che sono lasciate alla discussione dei teologi,
specialmente per ci che riguarda la potest che di fatto viene
esercitata presso gli Orientali separati, e della cui spiegazione ci
sono varie sentenze".
† Pericle Felici
Arcivescovo titolare di Samosata
Segretario Generale del Ss. Concilio
(1) Cf. 1 Cor 1,13.
(2) Cf. 1 Gv 4,9; Col 1,18-20; Gv 11,52.
(3) Cf. Gv 13,34.
(4) Cf. Gv 16,7.
(5) Cf. 1 Cor 12,4-11.
(6) Cf. Mt 28,18-20 da confr.con Gv 20,21-23.
(7) Cf. Mt 16,19 da confr. con Mt 18,18.
(8) Cf. Lc 22,32.
(9) Cf. Gv 21,15-17.
(10) Cf. Ef 2,20.
(11) Cf. 1 Pt 2,25; CONC. VAT. I, Cost. Pastor Aeternus:
Coll. Lac. 7, 482a [Dz 3050ss; Collantes 7.176ss].
(12) Cf. Is 11,10-12.
(13) Cf. Ef 2,17-18 da confr. con Mc 16,15.
(14) Cf. 1 Pt 1,3-9.
(15) Cf. 1 Cor 11,18-19; Gal 1,6-9; 1 Gv
2,18-19.
(16) Cf. 1 Cor 1,11ss; 11,22.
(17) Cf. CONC. DI FIRENZE, Sess. VIII, Decreto Exultate Deo:
MANSI 31, 1055A [Dz 1314; Collantes 9.044].
(18) Cf. S. AGOSTINO, In Ps. 32, Enarr. II, 29: PL 36,
299.
(19) Cf. CONC. LAT. IV, Costituzione IV: MANSI 22, 990; CONC. DI
LIONE II (1274), Professione di fede di Michele Paleologo: MANSI 24, 71E
[Dz 861; Collantes 7.146]; CONC. DI FIRENZE, Sess. VI (1439),
Definizione Laetentur caeli: MANSI 31, 1026E.
(20) Cf. Gc 1,4; Rm 12,1-2.
(21) Cf. 2 Cor 4,10; Fil 2,5-8.
(22) Cf. Ef 5,27.
(23) Cf. CONC. LAT. V, Sess. XII, Cost. Constituti: MANSI 32,
988BC.
(24) Cf. Ef 4,23.
(25) Cf. Ef 3,8.
(26) Cf. S. GIOVANNI CRISOSTOMO, In Ioannem Homilia
XLVI: PG 59, 260-262.
(27) Cf. CONC. DI FIRENZE, Sess. VI, Definizione Laetentur caeli:
MANSI 31, 1026E. |