402.
In questa
domanda
si manifesta la somma carità di Dio
verso di noi
Sono molte le cose che indicano l'infinita potenza di Dio, unita a
pari saggezza e bontà, tanto che, da qualunque parte si volga lo sguardo
e il pensiero, si presentano subito prove indubitabili della sua immensa
potenza e misericordia. Però nulla certamente serve meglio a porre in
luce il sommo suo amore e la meravigliosa sua carità verso di noi,
dell'ineffabile mistero della passione di Gesù Cristo. Da essa
scaturisce quella fonte perenne, destinata a lavarci dalle sozzure dei
peccati, nella quale imploriamo, come Dio stesso ci ispira e ci
largisce, di essere immersi e purificati, quando gli chiediamo: Rimetti
a noi i nostri debiti.
Questa domanda racchiude in sé la somma dei beni, di cui, per Gesù
Cristo, fu colmato il genere umano, come insegna Isaia: Le iniquità
della casa di Giacobbe saranno rimesse; e di questo frutto essa godrà:
il suo peccato sarà cancellato (Is 27,9). Lo prova anche David,
quando chiama beati quelli che hanno potuto ottenere il salutare frutto
del perdono: Beati coloro di cui sono state perdonate le iniquità (Ps
31,1). Per tutto ciò, dunque, i Pastori prendano in esame ed
espongano il valore di questa dottrina, tanto importante per farci
conseguire la beatitudine celeste.
Entriamo ora a considerare un altro ordine di domande poiché fin qui
abbiamo domandato a Dio non solo i beni eterni spirituali, ma anche
quelli della vita terrena, che sono caduchi; ora invece preghiamo che
allontani da noi i mali dell'anima e del corpo, di questa come
dell'eterna vita.
403.
Disposizioni
necessarie
Siccome per ottenere ciò che domandiamo si richiede una retta maniera di
domandare, ci sembra bene dire in quali disposizioni d'animo devono
essere quelli, che vogliono chiederlo a Dio. I Parroci, perciò,
insegneranno ai fedeli che chi voglia fare questa preghiera, deve
innanzi tutto riconoscere il proprio peccato; quindi esserne turbato e
addolorato; infine persuadersi che è volontà di Dio perdonare ai
peccatori che si pentono e si accingono a ciò che abbiamo detto. Infatti
dal duro ricordo e dal riconoscimento dei propri peccati non deve
seguire quella disperazione di ottenere il perdono che tormento l'anima
di Caino (Gn 4,3) e di Giuda (Mt 27,4), i quali stimarono
Dio soltanto vendicatore inesorabile, e non mite e misericordioso com'è.
In questa preghiera l'animo deve essere tale che, riconoscendo con
dolore i nostri peccati, cerchiamo rifugio in Dio, come presso un padre,
e non come presso un giudice, e da lui imploriamo che agisca verso di
noi non secondo giustizia, ma secondo la sua misericordia.
Facilmente saremo portati a riconoscere i nostri peccati, se presteremo
ascolto a quanto Dio medesimo dice e insegna nelle sacre Scritture. Si
legge in David: Tutti hanno traviato, tutti sono diventati inetti: non
v'è chi faccia il bene, nemmeno uno (Ps 13,3 e Ps 52,4); e
Salomone: Non c'è sulla terra uomo giusto che faccia il bene e non
pecchi (Si 7,21). A ciò si devono riferire queste altre parole:
Chi può dire: Mondo è il mio cuore, e sono puro da peccato? (Pr 20,9).
Egualmente scrisse san Giovanni, per distogliere gli uomini
dall'orgoglio: Se diremo di non aver peccati, inganniamo noi stessi, e
la verità non è in noi (1Jn 1,8). E Geremia: Tu hai detto: Sono
senza peccato ed innocente: si allontani perciò l'ira tua da me. Ebbene,
ecco, io contenderò in giudizio con te, perché hai detto: Non ho peccato
(Jr 2,35).
Tutte queste parole, che già Cristo Signore aveva posto sulle loro
labbra, egli stesso le conferma prescrivendoci la preghiera con la quale
ordina di confessare i nostri peccati. L'autorità del concilio
Milevitano proibisce di interpretarla diversamente: Se qualcuno dice che
le parole dell'orazione Domenicale: Rimetti i nostri debiti, siano dette
dai santi per umiltà e non per convinzione, sia scomunicato. Chi potrà,
infatti, tollerare che uno, mentre prega, mentisca, e non davanti agli
uomini, ma davanti a Dio, domandando con le labbra di essere perdonato,
quando nel suo cuore egli dicesse di non avere commesso i peccati di cui
chiede perdono? (Can. 8).
Ma, nella necessità di riconoscere i nostri peccati, non basta
ricordarli con leggerezza; è necessario invece che il ricordo sia
acerbo, punga il cuore, stimoli l'animo e produca il dolore. Perciò i
Parroci svolgeranno ampiamente e con cura questo punto, affinché i
fedeli non solo si ricordino dei loro misfatti e delle loro colpe, ma si
ricordino di essi con dolore e rimorso, in modo che, sentendosene
profondamente angustiati, ricorrano a Dio Padre, e chiedano a lui di
strappare gli aculei del peccato che li dilaniano.
Né soltanto si studieranno i Parroci di far loro vedere la turpitudine
dei peccati, ma anche l'indegnità e sordidezza di noi uomini che, mentre
non siamo che putrida carne e bassezza, osiamo offendere la maestà
incomprensibile, l'eccellenza indicibile di Dio, e ciò in modo
incredibile, essendo da lui creati, redenti e colmati di innumerevoli e
grandissimi benefici. E perché? Per andare, staccandoci da Dio padre
nostro e sommo bene, a venderci al demonio in schiavitù miserabile, per
la vergognosa mercede del peccato. Poiché è indescrivibile la crudeltà
del dominio del diavolo negli animi di quelli che, sottrattisi al soave
giogo di Dio e spezzato l'amabile legame della carità col quale il
nostro spirito è tenuto stretto a Dio nostro padre, si sono dati al suo
acerrimo nemico, chiamato nei Libri sacri: principe, o rettore di questo
mondo (Jn 12,31 Jn 14,30 Jn 16,11), principe delle tenebre (Ep
6,12) e re di tutti i figli della superbia (Jb 41,25).
Ben si adattano queste parole di Isaia a coloro che sono sottoposti alla
tirannia del demonio: O Signore nostro Dio, altri padroni ci hanno
posseduti all'infuori di te (Is 26,13).
Se la rottura del patto della carità ci commuove poco, ci commuovano le
calamità e i dolori nei quali incorriamo per il peccato. Esso viola la
santità dell'anima, sposa di Cristo; profana il tempio del Signore, per
cui dice l'Apostolo, contro quelli che lo fanno: Se qualcuno viola il
tempio di Dio, Dio lo distruggerà (1Co 3,17). Innumerevoli sono i
mali che il peccato fa' cadere sull'uomo, quasi peste universale che
David cosi ha espresso: Non c'è sanità nella mia carne, davanti alla tua
collera; non v'è pace per le mie ossa, in presenza dei miei peccati (Ps
37,4). Confessando che nessuna parte di sé era rimasta intatta dalla
peste del peccato, riconosceva veramente l'entità di questa piaga,
poiché il veleno del peccato era penetrato nelle ossa, cioè aveva
infettato la ragione e la volontà, che pure sono le parti più ferme
della nostra anima. E le sacre Scritture indicano quanto sia estesa
questa peste, quando chiamano i peccatori zoppi, sordi, muti, ciechi,
paralitici in tutte le membra.
Ma, oltre al dolore che sentiva per la scelleratezza dei suoi peccati,
più ancora era oppresso David per l'ira di Dio che capiva rivolta contro
di lui per il suo peccato. Poiché c'è guerra tra gli scellerati e Dio,
incredibilmente ingiuriato dai loro delitti. Dice infatti l'Apostolo:
L'ira e lo sdegno, la tribolazione e l'angoscia, saranno nell'anima di
ciascun uomo che fa il male (Rm 2,8); perché anche se l'azione
del peccato passa, non passa la macchia e il reato; l'ira di Dio sempre
lo persegue come l'ombra segue il corpo.
Ma quando David fu ferito da questo aculeo, fu eccitato a chieder
perdono dei delitti commessi. L'esempio del suo dolore, e lo spirito di
questo insegnamento i Parroci li attingeranno dal suo cinquantesimo
salmo, per esporli ai fedeli uditori, e istruirli, cosi, coll'esempio
del Profeta, al sentimento del dolore, cioè alla vera penitenza e alla
speranza del perdono.
Quanta utilità presenti questo insegnamento, per imparare a sentir
rimorso dei nostri peccati, lo dichiara in Geremia Dio medesimo, quando,
esortando alla penitenza Israele, lo ammoniva di capire tutta
l'importanza dei mali, conseguenza del peccato: Vedi, diceva, quanto è
dannoso e doloroso l'avere abbandonato il Signore tuo Dio, e non avere
più il timore di me, dice il Signore degli eserciti (Jr 2,19).
Cuore duro, di pietra, cuore di diamante, sono chiamati dai profeti
Isaia (LXVI,12), Ezechiele (Ez 36,26), Zaccaria (Za 7,12)
quelli che mancano del senso e del rimorso delle loro colpe; poiché
essi, come la pietra, non sono tocchi da nessun dolore, e nessun senso
nutrono della vita e della resipiscenza salutare.
Ma per far si che il popolo, atterrito dalla gravita dei suoi peccati,
non disperi di impetrare perdono, i Parroci dovranno richiamarlo alla
speranza, ricordando che Cristo Signore diede facoltà alla Chiesa di
rimettere i peccati, come si dichiara nel rispettivo articolo del
Simbolo. D'altra parte egli ci dimostra con questa preghiera quanto
siano grandi la misericordia di Dio e la sua liberalità verso il genere
umano; perché se Dio non fosse sempre pronto a condonare i peccati ai
penitenti, non avrebbe mai prescritto questa formula di preghiera:
Rimetti a noi i nostri debiti. Perciò dobbiamo tener sempre presente
nell'animo che Colui il quale ci ha ordinato di invocare la sua paterna
misericordia con questa preghiera, è dispostissimo anche ad
accordarcela. Questa petizione, infatti, implica la seguente dottrina:
cioè che Dio è disposto a perdonare volentieri quelli che veramente si
pentono. E contro Dio, infatti, che noi pecchiamo, sottraendoci alla sua
obbedienza, turbando, per quanto dipende da noi, l'ordine della sua
sapienza, offendendolo a fatti e a parole.
Ma egli è anche Padre sommamente benefico, e potendoci condonare
qualunque colpa, dichiara non solo di volerlo fare, ma anche spinge lui
stesso gli uomini a chiedergli perdono, e insegna loro con quali parole
lo debbano fare.
Perciò nessuno potrà dubitare che, col suo aiuto, sia in nostro potere
di conciliarci la sua grazia. E poiché questa prova della volontà
divina, propensa al perdono, solleva la nostra fede, alimenta la
speranza, infiamma la carità, vale la pena di illustrare questo passo
con alcune testimonianze divine ed esempi di uomini, ai quali quando si
pentirono Dio concesse il perdono di delitti anche gravissimi. Ma poiché
abbiamo svolto questo tema, quando l'argomento lo richiedeva, nel
proemio a questa preghiera e nella parte del Simbolo che tratta della
remissione dei peccati, i Parroci attingano di là tutte le ragioni e gli
esempi idonei all'illustrazione di questo punto; altri ne attingeranno
alla fonte della sacra Scrittura.
404. Sotto il nome di "debiti" s'intendono i peccati
Essi seguiranno anche qui la norma da noi raccomandata per
le altre domande, sicché i fedeli capiscano che cosa voglia dire la
parola "debiti", affinché non abbiano a chiedere, ingannati dall'ambiguo
senso, cose diverse da ciò che devono.
Occorre intanto sapere che noi non chiediamo che ci venga rimesso il
debito d'amore che dobbiamo professare a Dio con tutto il cuore, con
tutta l'anima e la mente, il cui assolvimento è necessario alla
salvezza. Sotto il nome di debito si comprendono l'obbedienza, il culto,
la venerazione e qualsiasi altro dovere; però noi non domandiamo la
remissione di questo dovere, ma solo di essere liberati dai nostri
peccati. Cosi interpreto la parola san Luca (11,4), usando il termine
peccati al posto di debiti. I quali peccati sono debiti perché col
commetterli diventiamo rei davanti a Dio, e sottoposti al debito di una
pena, che scontiamo soddisfacendo o soffrendo. Di questo genere di
debito parlo Cristo Signore per bocca del Profeta: Ciò che non ho rubato
devo restituire (Ps 58,5); dalle quali parole si desume che non
solo siamo debitori, ma anche incapaci di pagare, non potendo in nessun
modo il peccatore soddisfare da se stesso.
Perciò dobbiamo cercare rifugio nella misericordia divina; e siccome ad
essa corrisponde una eguale giustizia, di cui Dio è rigido
amministratore, dobbiamo fare uso della preghiera e dell'aiuto della
passione del Signore nostro Gesù Cristo. Senza di questa nessuno mai
ottenne il perdono dei peccati, mentre da essa è sempre scaturita, come
da fonte, tutta l'efficacia e il valore della soddisfazione. Infatti il
prezzo pagato da Cristo Signore sulla croce, e trasferito in noi in
virtù dei sacramenti ricevuti realmente o col desiderio, è di tanto
peso, da impetrare per noi e operare in noi ciò che chiediamo in questa
preghiera, ossia la remissione dei peccati.
E qui non preghiamo soltanto per ottenere perdono dei lievi e facili
errori, ma anche dei peccati più gravi e funesti. Però la nostra
preghiera avrà peso sulla gravita dei nostri delitti soltanto attraverso
il sacramento della Penitenza, ricevuto di fatto oppure col desiderio,
come già abbiamo spiegato.
405. Sono chiamati
"nostri" i debiti,
perché commessi volontariamente
Ma noi chiamiamo "nostri" i debiti per ben altra ragione che
quella per la quale dicemmo nostro il pane. E nostro quel pane, perché
dato a noi in dono da Dio; ma i peccati sono nostri, in quanto la loro
colpa risiede in noi e sono fatti per volontà nostra; né essi avrebbero
natura di peccato, se non fossero volontari. Noi dunque riconoscendo e
confessando la colpa, imploriamo la necessaria clemenza di Dio. Né ci
serviamo di scusa alcuna, e non ne attribuiamo la responsabilità ad
altri, come fecero i progenitori, Adamo ed Eva (Gn 3,12); ma noi
stessi ci chiameremo colpevoli, facendo nostra la preghiera del Profeta,
se vogliamo essere saggi: Non piegare il mio cuore a pensieri cattivi,
sicché non cerchi scuse ai miei peccati (Saliti. CXL,4).
406. Domandiamo che vengano rimessi "a noi",
perché dobbiamo essere solleciti della salute di tutti
Né diciamo rimetti a me, ma "a noi", perché la fraterna
convivenza e carità tra tutti gli uomini esigono, da ciascuno di noi,
sollecitudine della salute del prossimo, cosicché quando preghiamo per
noi, preghiamo anche per gli altri. Quest'abitudine, tramandataci da
Cristo Signore, e dalla Chiesa di Dio ricevuta e costantemente
conservata, fu in ispecial modo osservata dagli Apostoli e fecero si che
la diffondessero anche gli altri. Preclaro esempio di preghiera per la
salute del prossimo, fatta con desiderio e zelo ardente, ci offre
nell'antico e nel nuovo Testamento, l'esempio dei santi Mosè e Paolo; il
primo pregava Dio con queste parole: Rimetti loro questo fallo; oppure,
se non lo fai, cancella me dal tuo libro (Ex 32,31); l'altro
diceva: Desidero di essere io stesso fatto anatema da Cristo per i miei
fratelli (Rm 9,3).
407. La particella "come"
ha valore di similitudine e di condizione
"Come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Questa
particella: come, si può intendere in due modi; infatti ha forza di
similitudine, quando chiediamo a Dio che, allo stesso modo che per
doniamo le ingiurie e le contumelie a coloro che ci hanno offesi, cosi
egli condoni a noi i nostri peccati. Denota pure condizione; nel quale
senso l'interpreta Cristo Signore in quel detto: Se perdonate agli
uomini le loro mancanze, perdonerà a voi il Padre celeste i vostri
peccati; ma se non perdonate agli uomini, nemmeno il Padre vostro
perdonerà a voi le vostre mancanze (Mt 6,14).
Tanto nell'uno che nell'altro significato risalta per noi la necessità
di perdonare; se vogliamo che Dio ci conceda il perdono dei nostri
peccati, è necessario che noi cominciamo col perdonare coloro dai quali
ricevemmo offesa. Anzi Dio tanto esige da noi di dimenticare i torti e
di sentire mutua carità, da rigettare e disprezzare i doni e i sacrifici
di coloro che non si sono riconciliati col perdono.
Anche la legge di natura richiede che ci mostriamo, verso gli altri,
quali desideriamo che essi siano con noi; e impudente oltre ogni dire
sarebbe colui che domandasse a Dio la remissione dei suoi peccati, e
conservasse poi l'animo suo ostile verso il prossimo. Perciò devono
essere sempre pronti al perdono coloro che hanno subito un'offesa. A ciò
li spinge fortemente questa preghiera, e l'ordine di Dio che troviamo in
san Luca: Se il tuo fratello pecca verso di te, riprendilo; e se è
pentito, perdonagli. Se avrà peccato contro di te sette volte al giorno,
e sette volte al giorno ritorna a te dicendo: Me ne pento, perdonagli (Lc
17,3). E nel Vangelo di san Matteo si legge: Amate i vostri nemici (Mt
5,44). L'Apostolo ancora, e, prima di lui, Salomone, ha scritto: Se
il tuo nemico ha fame, nutrilo; se ha sete, dagli da bere (Rm 12,20
Pr 25,21). Lo stesso si riscontra in san Marco evangelista: Quando
state pregando, se avete qualche cosa contro qualcuno, perdonate;
affinché il Padre vostro nei cieli vi perdoni anch'egli i vostri falli (Mc
11,25).
408. Motivi del
perdono
Ma
poiché nulla forse si compie con maggiore riluttanza, per difetto della
nostra depravata natura, che il perdono delle ingiurie, i Parroci
dovranno ricorrere a tutta la loro forza d'ingegno e d'animo, per
cambiare e piegare l'animo dei fedeli a questa mitezza e a questo amore
cosi necessari al cristiano. Indugino nel riferire i testi sacri, nei
quali si può udire Dio che ordina il perdono dei nemici.
Proclamino ancora questa verità assoluta e di grande efficacia
sull'animo dell'uomo: che essi sono figli di Dio, purché siano facili a
perdonare le ingiurie, e amino di cuore i loro nemici. Nell'amare i
nemici trasparisce la somiglianza nostra con Dio nostro Padre, il quale
si riconcilio col genere umano, a lui cosi nemico e molesto, redimendolo
dall'eterna morte con la morte del proprio Figlio. Serva anche di
esortazione e di precetto l'ordine del Signore nostro Gesù Cristo, che
noi non possiamo non osservare, senza gran disonore e danno: Pregate per
quelli che vi perseguitano e vi calunniano, affinché siate figli del
Padre vostro che è nei cieli (Mt 5,44).
Qui si richiede nel Parroco prudenza non comune, perché qualcuno,
conoscendo la difficoltà e nello stesso tempo la necessità del precetto,
non disperi della salute. Infatti vi sono di quelli che, comprendendo il
dovere di lasciar passare le ingiurie, dimenticandole di proposito, e di
amare quelli che li hanno offesi, desiderano adempiere a questo dovere,
e con tutte le loro forze vi si adoperano; ma sentono infine di non
avere la forza di dimenticare completamente le ingiurie patite, poiché
rimane nel loro animo qualche resto di avversione. Perciò sono
tormentati da grandi agitazioni di coscienza, nella paura di non
conformarsi all'ordine dato da Dio, per non aver deposta qualsiasi
inimicizia semplicemente e sinceramente. I Pastori, allora, spiegheranno
gli impulsi contrari della carne e dello spirito, e come quella sia
proclive alla vendetta, questo al perdono, e la lotta che dura perpetua
tra di essi. Dimostreranno che non si deve affatto temere per la propria
salute, a causa delle passioni della nostra natura corrotta che è in
contrasto e in rivolta contro la ragione, purché lo spirito persista nel
suo compito e nella volontà di perdonare le ingiurie e di amare il
prossimo.
Se poi ci sono di quelli che non riescono ancora a indurre il loro animo
ad amare i nemici dimenticandone le ingiurie ricevute, e perciò, temendo
di non conformarsi alla condizione richiesta in questa petizione, non
osano fare la preghiera domenicale, i Parroci addurranno queste due
ragioni, per liberarli da simile dannoso errore. Ognuno dei fedeli fa
queste preghiere a nome di tutta la Chiesa, nella quale bisogna pure che
ci siano alcuni i quali hanno condonato i debiti di cui abbiamo parlato.
C'è poi questo: con tale domanda chiediamo a Dio che ci conceda anche
tutto ciò che è necessario a farci trovare favorevole ascolto presso a
lui. Chiediamo infatti il perdono dei peccati, il dono della vera
penitenza, il dolore interno, la forza di aborrire i peccati, e di
poterli confessare al sacerdote in tutta sincerità e devozione.
Essendo necessario, pertanto, anche per noi perdonare a coloro che ci
avranno causato del danno o del male, quando preghiamo Dio che ci
perdoni, nello stesso tempo invochiamo da lui la forza di riconciliarci
con quelli che odiamo. Perciò si devono distogliere dalla loro opinione
quelli che sono turbati dall'inane e colpevole timore di irritare
maggiormente Dio con questa preghiera; e invece esortarli a farla
frequentemente, domandando a Dio padre che infonda loro la capacità di
perdonare a quelli che li hanno offesi, e di amare i nemici.
409. Perché la domanda sia fruttuosa, si richiedono nel peccatore
la contrizione dei peccati e il proposito di non più peccare
Perché questa domanda sia davvero fruttuosa, nel farla
dobbiamo tener fisso il pensiero a questo: noi supplichiamo e chiediamo
una grazia che non è accordata se non a colui che si pente. Pertanto
dobbiamo ispirarci a quella carità e devozione che si conviene ai
penitenti; e conviene loro appunto che, avendo i loro peccati quasi
davanti agli occhi, li espiino con le lacrime. A questo pensiero si deve
aggiungere la promessa di evitare le circostanze in cui prima ci era
avvenuto di peccare, e che ci darebbero nuovo modo di offendere il Dio
nostro padre. Questo pensiero aveva David, quando diceva:Il mio peccato
mi sta sempre davanti (Ps 50,5); e altrove: Bagnerò ogni notte il
mio letto, e irrigherò di lacrime il mio giaciglio (Ps 6,7).
Inoltre ognuno, nel pregare, abbia sempre presente l'ardentissimo zelo
di quanti, con preghiere, hanno ottenuto da Dio il perdono dei loro
peccati: l'esempio di quel pubblicano che, standosene lontano nel tempio
per il dolore e la vergogna, e cogli occhi fissi a terra, non faceva che
battersi il petto, dicendo: Dio, abbi misericordia di me peccatore (Lc
18,13); quello della donna peccatrice che, tenendosi dietro a Cristo
Signore gli bagnava i piedi con le lacrime, e, asciugatili coi propri
capelli, glieli baciava (Lc 7,38); e ancora l'esempio di Pietro
principe degli Apostoli, che, uscito fuori dell'atrio, pianse amaramente
(Mt 26,75).
Si tenga in mente che più gli uomini sono deboli e propensi alle
malattie dell'animo, cioè ai peccati, tanto più hanno bisogno di molte e
frequenti medicine; e medicine dell'anima sono la Penitenza e
l'Eucaristia che il popolo fedele deve usare molto spesso.
Viene poi l'elemosina che, come dicono le sacre Scritture, è medicina
adatta a sanare le ferite spirituali; perciò, quelli che desiderano fare
questa preghiera con vera pietà, pensino a fare il bene ai poveri.
L'angelo di Dio san Raffaele mostra in Tobia quanta forza essa abbia nel
lavare la macchia dei peccati: L'elemosina libera dalla morte, purga dai
peccati, e fa trovare misericordia e vita eterna (Job. 12,9). Lo attesta
anche Daniele quando cosi consiglia il re Nabucodonosor: Riscatta i tuoi
peccati con le elemosine, e le tue iniquità con atti di misericordia
verso i poveri (Da 4,24).
Ma la migliore delle elargizioni, anzi il modo migliore di usare
misericordia, sono dimenticare le offese, e la buona disposizione
d'animo verso chi ti avrà colpito nel patrimonio, nella fama, nel corpo
tuo o dei tuoi. Chiunque, insomma, desidera che Dio sia molto
misericordioso verso di lui, regali a Dio le proprie inimicizie, perdoni
ogni offesa, preghi con amore per i nemici, afferrando ogni occasione di
ben meritare verso di essi.
Ma qui rimandiamo i Parroci al luogo dove trattammo dell'omicidio e
sviluppammo questo argomento. Li esortiamo però a concludere su questa
domanda facendo notare che non c'è cosa più ingiusta di colui che,
essendo duro con gli altri uomini, al punto di non usare indulgenza per
nessuno, chiede che Dio sia mite e benigno verso di lui.
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