347.
Necessità di una
frequente spiegazione
di questo comandamento
Quanto sia non solo utile, ma anche necessaria un'assidua spiegazione di
questo comandamento e un'assidua esortazione a questo dovere, lo ricorda
san Giacomo con queste parole: Se uno non sbaglia nel discorrere, è uomo
perfetto; e ancora: La lingua è un piccolo membro, eppur capace di
grandi effetti. Ecco qual grande selva incendia un cosi piccolo fuoco!
(Gc 3,2,5), con quel che segue, sempre a questo proposito.
Siamo
ammoniti cosi di due cose: primo, che molto ampiamente è diffuso questo
vizio della lingua, il che è confermato anche dalla sentenza del
Profeta: Ogni uomo è mendace (Ps
115,11); di
modo che questo è quasi il solo peccato, che sembra estendersi a tutti
gli uomini; secondo, che da esso derivano mali innumerevoli, poiché
spesso per colpa d'un maldicente si perdono la ricchezza, la fama, la
vita, la salvezza eterna, tanto di colui che è offeso, perché non può
sopportare pazientemente le ingiurie e cerca di vendicarle con animo
inconsiderato, come di colui che offende, perché, per un inconsulto
pudore o spaventato dalla falsa opinione della stima pubblica, non può
indursi a dare soddisfazione all'offeso.
Perciò bisognerà ammonire i fedeli di ringraziare quanto più possono
Iddio di questo salutare comandamento che ordina di non dire falsa
testimonianza: comandamento che non solo ci si vieta di offendere gli
altri, ma con la sua osservanza impedisce anche che siamo offesi dagli
altri.
348. Le
due parti del comandamento
Nella spiegazione di
questo comandamento dobbiamo procedere con lo stesso metodo e per la
stessa via che usammo per gli altri, distinguendo cioè in esso due
leggi: una che proibisce di dire falsa testimonianza; l'altra che
comanda di pesare le nostre parole e le nostre azioni con la verità,
eliminando ogni simulazione e menzogna. L'Apostolo ammoni gli Efesini di
questo dovere con le parole: Operando la verità nella carità, cresciamo
in lui (cioè in Cristo) in ogni cosa (Ep
4,15).
La prima parte di questo comandamento col nome di falsa testimonianza
indica egualmente ciò che si dice in bene o in male di qualcuno, sia in
giudizio, sia fuori: tuttavia proibisce specialmente la falsa
testimonianza resa in giudizio da chi ha giurato. Infatti il testimonio
giura nel nome di Dio, perché il discorso di chi fa tale testimonianza,
interponendovi il nome divino, ha moltissima credibilità e importanza.
Essendo questa falsa testimonianza pericolosa, è proibita in modo
speciale. Infatti neppure il giudice può respingere testimoni che
giurino, se non siano esclusi da legittimi motivi o sia manifesta la
loro malvagità e perversità, sopratutto dal momento che la Legge divina
comanda che per bocca di due o tre testimoni si stabilisca ogni cosa (Dt
19,15 Mt 18,16).
Ma perché i fedeli intendano chiaramente il comandamento, sarà loro
spiegato che cosa s'intende con la parola prossimo, contro il quale non
è in nessun modo lecito di dir falsa testimonianza. Come è esposto dalla
dottrina di Cristo N. S. (Lc
10,29), è
prossimo chiunque ha bisogno dell'opera nostra, sia egli parente o
estraneo, concittadino o forestiero, amico o nemico; non è infatti
permesso credere lecita la falsa testimonianza contro i nemici, che pure
dobbiamo amare per comando di Dio Signor nostro.
Anzi, poiché ognuno in certo modo è prossimo a se stesso, non è lecito
dire falsa testimonianza contro se stessi; coloro che cosi fanno,
imprimendosi da sé stessi una nota d'ignominia e di turpitudine,
offendono sé e la Chiesa, di cui sono membri, a quel modo stesso che i
suicidi nuocciono alla collettività dei propri concittadini. Infatti sta
scritto in sant'Agostino: A chi non consideri bene, potrebbe sembrare
che non sia proibito essere falso testimonio contro se stesso, giacché
nel comandamento fu aggiunto: contro il prossimo tuo. Ma nessuno,
dicendo falsa testimonianza contro se stesso, creda di essere immune da
questa colpa, poiché chi ama il prossimo deve prendere questa norma
dall'amore di se stesso.
Ma, dal momento che è proibito di danneggiare il prossimo con falsa
testimonianza, nessuno però creda che sia lecito il contrario, cioè
procurare, spergiurando, qualche utilità o vantaggio a chi ci sia
congiunto per natura, o per religione. Nessuno infatti deve dire
menzogne o cose vane, e tanto meno fare uno spergiuro. Perciò
sant'Agostino, scrivendo sulla menzogna a Crescenzio, ammonisce, secondo
la sentenza dell'Apostolo, che la bugia è da annoverarsi tra le false
testimonianze, quand'anche si dica per falsa lode di qualcuno. Infatti,
spiegando quel passo paolino che dice: Noi saremmo falsi testimoni di
Dio, giacché abbiamo testimoniato di Dio, questo: che egli risuscito
Cristo, che invece non sarebbe risuscitato, se fosse vero che i morti
non risorgono, (1Co
15,15), egli
osserva: L'Apostolo chiama falsa testimonianza il mentire intorno a
Cristo e a tutto ciò che si riferisce a sua lode.
Spessissimo poi accade che chi favorisce l'uno, osteggi l'altro; e la
causa dell'errore si attribuisce certamente al giudice, che talvolta,
indotto da falsi testimoni, stabilisce ed è costretto a giudicare contro
il diritto, con vera ingiustizia. Accade anche che chi ha vinto in
giudizio una causa per la falsa testimonianza di qualcuno e se la passa
impunemente, esultando dell'iniqua vittoria, si avvezzi a corrompere e a
usar falsi testimoni, per opera dei quali spera di poter giungere a quel
che brama. Ora questo fatto è, prima, una cosa gravissima per il
testimone stesso che viene riconosciuto falso e spergiuro da colui
stesso che, col suo giuramento, ha soccorso e aiutato; poi, giacché
l'inganno gli riesce come desidera, egli prende ogni giorno maggior
pratica e abitudine all'empietà e all'audacia. Come dunque sono proibite
le menzogne, le bugie e gli spergiuri dei testimoni, cosi tutte queste
colpe sono proibite negli accusatori, negli accusati, nei patrocinatori,
sostenitori, procuratori e avvocati; e infine in tutti quelli che
costituiscono i tribunali.
In ultimo, Dio proibisce, non solo in giudizio, ma anche fuori, ogni
testimonianza che possa recare ad altri incommodo o danno. Sta scritto,
infatti, nel Levitico, dove si ripetono questi comandamenti: Non farete
furto; non mentirete, né alcuno ingannerà il suo prossimo (XIX,11). Cosi
nessuno può dubitare che ogni menzogna, proibita con questo
comandamento, sia condannata da Dio; e questo molto apertamente lo
testimonia David cosi: Distruggerai tutti quelli che dicono menzogna (Ps
5,7).
349.
Altri peccati proibiti con questo comandamento
E proibita da questo
comandamento non solo la falsa testimonianza, ma anche la detestabile
mania e abitudine di denigrare gli altri. E incredibile quante sciagure
gravi, pericolose e cattive, derivino da questa peste. Il vizio di
parlare con maldicenza e con offesa degli altri occultamente, spesso è
rimproverato dalle divine Scritture: Con il maldicente, dice David, non
mi sedevo a mensa (Satm. C,5); e san Giacomo: Non vogliate denigrarvi a
vicenda, o fratelli (Gc 4,11).
Né abbondano soltanto i richiami della sacra Scrittura, ma anche gli
esempi dai quali è dimostrata la gravita della colpa. Aman accese tanto
Assuero contro i Giudei con la falsa accusa di delitti, che questi
comando d'uccidere tutti gli uomini di quel popolo (Est
13). E piena
la Storia sacra di simili esempi, col ricordo dei quali i sacerdoti
cercheranno di tener lontani i fedeli da una colpa tanto malvagia.
Affinché si capisca la gravita di questo peccato con cui si denigrano
gli altri, bisogna ricordare che non soltanto coll'usare la calunnia, ma
anche con l'accrescere e amplificare le colpe, si lede la stima di cui
gode un uomo. E quando uno commette occultamente un'azione, che, se
risaputa, sarebbe nociva alla sua fama, chi la divulga dove, quando, o a
chi non sarebbe necessario, a buon diritto è detto denigratore e
maldicente. Fra tutte le denigrazioni, nessuna è più grave di quella di
denigrare la dottrina cattolica e i suoi difensori. Cade in codesta
colpa chi colma di lodi gli autori di malvagie dottrine e di errori.
Né sono separati dal numero ed esenti dalla colpa di costoro quelli che,
prestando orecchio ai detrattori e maldicenti, non riprendono i
calunniatori, ma volentieri li approvano. Infatti, se sia più
condannabile il calunniare o l'ascoltare un calunniatore, non si
saprebbe dire facilmente, come scrivono san Girolamo e san Bernardo; non
ci sarebbe infatti chi calunnia, se non ci fosse chi ascolta il
calunniatore.
Appartengono alla medesima razza quelli che, con le loro arti, separano
gli uomini e li spingono l'uno contro l'altro, e si dilettano molto di
suscitare discordie, in modo che, rompendo, con finti discorsi,
strettissime unioni e alleanze, inducono uomini amicissimi a perpetue
inimicizie e li spingono alle armi. Questa peste, il Signore l'ha in
abominio: Non sarai infamatore né sobillatore in mezzo al popolo (Lv
19). Tali
erano molti dei consiglieri di Saul, che cercavano di alienare il suo
favore da David e incitare il re contro di lui.
Commettono infine questo peccato gli uomini lusingatori e adulatori che,
con blandizie e lodi simulate, si insinuano nelle orecchie e nell'animo
di coloro di cui ricercano il favore, il denaro e gli onori, chiamando
male il bene e bene il male, come scrive il profeta (Is
5,20). David
ammonisce di tener lontani costoro e di cacciarli dalla nostra società
con queste parole:Il giusto mi rimprovererà nella sua misericordia e mi
sgriderà; ma l'olio del peccatore non ungerà il mio capo (Ps
140,5).
Quantunque, infatti, costoro non sparlino affatto del prossimo, tuttavia
gli nuocciono moltissimo, giacché essi, col lodare i suoi peccati, gli
offrono una ragione per perseverare nei vizi, finché vive.
Però in questo genere di vizi è peggiore l'adulazione usata per la
calamità e la rovina del prossimo. Cosi fece Saul, il quale, desiderando
gettare David in preda al furore e al ferro dei Filistei perché fosse
ucciso, lo blandiva con queste parole: Ecco la mia figlia maggiore
Merob, te la darò per moglie; sii soltanto guerriero valoroso e combatti
le guerre del Signore (1S
18,17). Cosi
fecero i Giudei quando, con insidioso discorso, parlarono con Cristo
Signore: Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via del
Signore secondo la verità (Mt
22,16 Mc 12,14).
Molto più pericoloso, poi, è il discorso che gli amici, gli affini e i
congiunti fanno talvolta per illudere quelli che, colpiti da malattia
mortale, sono ormai in punto di morte. Affermano che egli non è in
imminente pericolo;
Lo consigliano a stare lieto e allegro, e lo distolgono dalla confessione
dei suoi peccati; infine tengono lontano il suo animo da ogni cura e
pensiero dei supremi pericoli, nei quali soprattutto si trova.
Perciò bisogna fuggire ogni sorta di menzogne, ma specialmente quelle
dalle quali uno può ricevere grave danno. Colma d'empietà è la menzogna
quando si mentisce contro la religione o in cose di religione. Ma Dio si
offende gravemente anche con le ingiurie e le calunnie contenute nei
libelli chiamati infamanti, e per altri simili oltraggi. Inoltre, cadere
nella menzogna scherzosa o ufficiosa, quand'anche nessuno ne abbia danno
o vantaggio, è in generale cosa da non farsi, come ammonisce l'Apostolo:
Deponendo la menzogna, dite la verità (Ep
4,25).
Infatti, da ciò nasce una grande inclinazione a menzogne più frequenti e
più gravi. Dalle menzogne dette per scherzo gli uomini prendono
l'abitudine di mentire, in modo che vengon tenuti nella considerazione
pubblica come non veritieri; per cui han bisogno di giurare
continuamente affinché il loro discorso sia creduto.
Per finire, nella prima parte di questo comandamento è condannata la
simulazione; e non solo le parole dette con simulazione, ma anche le
azioni cosiffatte partecipano di questa colpa. Infatti, tanto le parole
che le azioni sono indizi e segni di quel che è nell'animo d'ognuno.
Perciò il Signore, redarguendo spesso i Farisei, li chiama ipocriti.
E ciò basti per la prima parte del
comandamento, che riguarda quanto esso proibisce.
350. Che
cosa comanda il Signore riguardo ai giudizi forensi
Ora esporremo che cosa
comandi il Signore nell'altra parte del comandamento. Il contenuto e
l'espressione del precetto mirano a questo: che i giudizi forensi si
facciano con giustizia e secondo le leggi, che gli uomini quindi non si
arroghino, né usurpino tali giudizi; non è lecito infatti giudicare un
servo altrui, come scrive l'Apostolo (Rm
14,4);
affinché non diano la sentenza in una causa loro sconosciuta, come fece
il consesso di sacerdoti e scribi, che giudico santo Stefano (Ac
6,12 Ac 7);
peccato che fu pure commesso dai magistrati di Filippi, ai quali
l'Apostolo fece dire: Dopo averci battuto pubblicamente, senza processo,
romani come siamo, ci hanno messo in prigione; e ora ci mandano via di
nascosto (Ac
16,37). Non
condannino gli innocenti, né assolvano i colpevoli; non si lascino
smuovere dal denaro, dai favori, dall'odio o dall'amore. Cosi infatti
Mosè ammonisce gli anziani, che egli aveva eletto giudici del popolo:
Giudicate secondo giustizia sia l'imputato cittadino sia forestiero. Non
ci sia differenza di persone; ascolterete il piccolo e il grande: non
guarderete in faccia a persona, perché giudicare spetta a Dio (Dt
1,16).
Quanto agli accusati e ai colpevoli, Dio vuole che confessino la verità,
quando sono interrogati secondo la formula giudiziaria. Infatti tale
confessione è come una testimonianza e un riconoscimento della lode e
gloria di Dio, secondo le parole di Giosuè, che esortando Achan a
confessare il vero, disse: Figlio mio, da gloria al Signore Dio
d'Israele (Gios. 7,19).
Ma siccome questo comandamento riguarda sopratutto i testimoni, anche di
essi il Parroco tratterà con diligenza: poiché il comandamento non solo
vieta la falsa testimonianza, ma impone anche di dire la verità. Nelle
cose umane infatti si fa grandissimo uso di una testimonianza veridica;
sono, infatti, innumerevoli le cose che ignoreremmo se non le
conoscessimo per attestazione di testimoni. Per cui nulla è cosi
necessario come la verità delle testimonianze in quello che non possiamo
sapere da noi, e che tuttavia non dobbiamo ignorare. Intorno a ciò
abbiamo la celebre sentenza di sant'Agostino: Chi nasconde la verità, e
chi dice menzogna, sono ambedue colpevoli; il primo perché non vuoi
giovare ad altri; il secondo perché desidera di nuocere. E lecito tacere
talvolta la verità, ma fuori del tribunale; in giudizio, quando il
testimonio è interrogato nelle forme rituali dal giudice, deve svelare
completamente la verità. Qui tuttavia badino i testimoni a non affermare
per vero, quel che non sanno sicuramente, troppo fidandosi della propria
memoria.
Restano i patrocinatori delle cause e gli avvocati, tanto di difesa
quanto di accusa. Quelli non facciano mancare l'opera e il patrocinio
loro nelle circostanze necessarie, venendo benignamente in aiuto ai
bisognosi; ma non prendano a difendere cause ingiuste, né allunghino le
liti con i cavilli, né le alimentino con l'avarizia. La mercede dovuta
al loro lavoro e alla loro opera, la fisseranno con giustizia ed equità.
Detti avvocati, poi, sia nel foro civile che nel penale, siano ammoniti
a non creare un pericolo con ingiuste accuse, per amore o per odio verso
qualcuno, o per passione. Infine questo comando fu dato da Dio a tutti
gli uomini buoni: nelle adunanze e nei colloqui parlino sempre
veracemente e secondo l'animo loro; non dicano nulla che possa nuocere
alla stima di altri, neppure a proposito di coloro dai quali essi
credono di essere danneggiati e offesi; tenendo sempre presente che deve
esistere con essi tale solidarietà e familiarità da risultare membra del
medesimo corpo.
351.
Abiezione e turpitudine della menzogna
Perché i fedeli si possano guardare meglio dal vizio della menzogna, il
Parroco spieghi la grande abiezione e turpitudine di questa colpa. Nelle
sacre Scritture il demonio è chiamato padre della menzogna (Jn
8,44); che,
non essendo stato saldo nella verità, è menzognero e padre della
menzogna. Aggiungerà, per estirpare un cosi grande vizio, i mali che
tengono dietro alla menzogna; e poiché sono innumerevoli, mostrerà in
essa la fonte e l'origine dei disordini e delle sciagure. Primo, spieghi
in quale grave offesa a Dio e in quanto suo odio venga a cadere l'uomo
falso e menzognero; e lo " illustri " con l'autorità di Salomone: Sei
sono le cose che il Signore odia, e la settima aborre l'anima sua: occhi
superbi, lingua menzognera, mani che versano sangue innocente, cuore che
macchina pessime intenzioni, piedi veloci nel correre al male,
testimonio menzognero che proferisca cose false (Pr
6,16-19); con
quel che segue.
Chi, dunque, potrebbe assicurare a chi è in odio speciale a Dio, di non
esser tormentato dai più gravi tormenti? Inoltre, che cosa c'è di più
impuro e di più turpe, come dice san Giacomo, che usare quella medesima
lingua, con cui lodiamo Dio Padre, per dir male degli uomini, fatti a
immagine e somiglianza di Dio, cosi come se una fonte da un medesimo
foro facesse scaturire acqua dolce e amara? (Gc 3,9,11). Quella lingua,
infatti, che prima dava lode e gloria a Dio, poi lo colpisce, per quanto
le è possibile, di vituperio e di disdoro, mentendo. Per questo avviene
che i bugiardi sono esclusi dal possesso della beatitudine celeste.
Infatti chiedendo David a Dio: Signore, chi abiterà nel tabernacolo tuo?
- risponde lo Spirito santo: Chi dice la verità in cuor suo, chi non
fece inganno con la sua lingua (Ps
14,1-5).
Ma il danno principale della menzogna è che essa è quasi insanabile
malattia dell'animo. Infatti, il peccato che si commette accusando
qualcuno falsamente d'una colpa, o denigrando la fama e la stima del
prossimo, non viene rimesso se il calunniatore non dia soddisfazione
dell'ingiuria a chi ha incriminato. Ma gli uomini ben difficilmente lo
fanno, perché, come abbiamo avvertito, ne vengono distolti sopratutto da
un falso pudore e da una certa vana opinione della propria dignità. Chi
dunque, è in questo peccato non possiamo dubitare che sia condannato
alle pene eterne dell'inferno. Né alcuno speri di poter ottenere perdono
delle calunnie o della denigrazione fatta se prima non dia soddisfazione
a colui, la cui dignità e fama egli ha denigrato in qualche modo, o
pubblicamente in giudizio, o anche in adunanze private e familiari.
Inoltre, questo danno è molto grave ed esteso, e colpisce tutti; perché
dalla falsità e dalla menzogna sono rotti i vincoli più stretti della
società umana: la lealtà e la verità. Tolti questi, ne segue una gran
confusione nella vita, e gli uomini in nulla sembrano differire dai
demoni.
Il Parroco insegni, inoltre, che bisogna evitare la loquacità, cosi
possiamo sfuggire anche gli altri peccati e ci si può correggere dal
vizio della menzogna; vizio dal quale difficilmente si possono astenere
le persone loquaci.
In ultimo, il Parroco confuterà l'errore di quelli che, con i loro vani
discorsi, si scusano, e difendono la menzogna sull'esempio dei furbi; i
quali ritengono virtù, essi dicono, mentire a tempo debito. Il Parroco
dirà, il che è verissimo, che la prudenza della carne è morte per
l'anima (Rm
8,6).
Esorterà i suoi uditori a confidare in Dio nelle difficoltà, nelle
angustie, senza ricorrere all'artificio della menzogna; poiché quelli
che usano questo sotterfugio dichiarano, senz'altro, che si fanno forti
della propria prudenza più che non abbiano speranza nella Provvidenza
divina. A chi attribuisce la causa della sua menzogna al fatto che fu
egli pure ingannato con la menzogna, bisogna far presente che non è
lecito agli uomini vendicarsi da se stessi, e che non bisogna compensare
il male col male, ma piuttosto vincere il male col bene (Rm
12,17 Rm 12,19 Rm 12,21).
E quand'anche fosse permesso dare questo contraccambio, a nessuno
tuttavia è utile vendicarsi con proprio danno, essendo gravissimo danno
quel che facciamo, dicendo menzogne. A quelli che adducono a scusa la
debolezza e la fragilità della natura umana, si raccomandi il doveroso
precetto di implorare l'aiuto divino e di non sottostare alla debolezza
della natura.
Quelli che oppongono la forza della consuetudine siano ammoniti, se
hanno preso l'abitudine di mentire, a cercare di prendere l'abitudine
contraria, cioè di dire il vero, sopra tutto perché chi pecca per uso e
consuetudine, commette più grave colpa degli altri. E poiché non manca
chi si difende con la scusa che tutti gli uomini, si dice, mentiscono e
spergiurano, bisogna combattere quest'opinione, dicendo che non si
devono imitare i cattivi, ma piuttosto riprenderli e correggerli. Se
invece noi stessi mentiamo, la nostra ammonizione ha meno autorità nella
riprensione e correzione degli altri.
A quelli che si difendono affermando che, col dire il vero, spesso ne
ricevono danno, i sacerdoti rispondano che questa non è una difesa per
essi, ma un'accusa, giacché è dovere d'un cristiano patire piuttosto
qualsiasi danno che mentire.
Restano le ultime due categorie di quelli che si scusano della menzogna:
quelli che dicono di mentire per scherzo, e quelli che dicono di farlo
perché non potrebbero né comprare né vendere bene, senza la menzogna; i
Parroci dovranno allontanare gli uni e gli altri da tale errore. I primi
potranno essere strappati al vizio, sia insegnando loro quanto in questo
genere di peccato l'uso accresca la consuetudine di mentire, sia
inculcando che bisogna render ragione persino d'ogni parola oziosa (Mt
12,26). Gli
altri, poi, siano rimproverati ancora più acerbamente, perché
nell'addotta giustificazione sta appunto la loro più grave accusa,
poiché essi stessi dichiarano di non attribuire alcuna fede e autorità
all'insegnamento divino: Cercate, pertanto, in primo luogo il regno di
Dio e la sua giustizia, e avrete in soprappiù tutte queste cose (Mt
6,33).
|