337.
Spiegazione del comandamento
Fu
antica consuetudine della Chiesa inculcare agli ascoltatori l'importanza
e la natura di questo comandamento. Lo prova il rimprovero dell'Apostolo
a coloro che premuniscono con ogni zelo gli altri da questi vizi, mentre
essi ne sono stracarichi: Tu che sei maestro agli altri, non insegni
nulla a te stesso; vai predicando che non si deve rubare, e rubi (Rm
2,21). Insistendo su questo insegnamento, non solo veniva corretta
una colpa frequente in quei tempi, ma erano anche sedati i turbamenti e
le liti, ed eliminate le altre cause dei mali che sogliono scaturire dal
furto. Ma poiché anche il nostro tempo è infestato da simili reati e
disordini, i Parroci, sulle orme dei santi Padri e dei maestri della
disciplina cristiana, tornino spesso su questo precetto, spiegandone con
assidua diligenza l'importanza e il contenuto.
Innanzi tutto dedicheranno la loro cura a spiegare l'infinito amore di
Dio verso il genere umano, poiché volle non solamente tutelare, quasi
con un presidio, la vita, il corpo e la fama nostra con i due divieti:
Non ammazzare, Non commettere atti impuri, ma volle anche, con questo
altro comandamento, Non rubare, munire esternamente e difendere le
nostre sostanze. Che cosa infatti potrebbero significare le parole
suddette, se non possedessero la virtù dei precedenti precetti? Comanda
cioè Iddio che i nostri beni, costituiti sotto la sua tutela, non siano
da veruno violati o manomessi. E del singolare beneficio divino
racchiuso nel precetto, dobbiamo essere particolarmente grati a Dio che
ne è l'autore. E poiché ci è stato chiaramente indicato il modo migliore
di nutrire e di esprimere la nostra gratitudine, che è non solo di
accogliere apertamente la formulazione del precetto, ma di metterlo in
pratica, i fedeli devono essere stimolati e infiammati a mostrare cosi
il loro ossequio ad esso.
Come i precedenti, anche questo precetto abbraccia due parti: quella,
apertamente formulata, che proibisce il furto; l'altra, implicita nella
prima, che impone di essere benevoli e generosi verso il prossimo.
Parleremo innanzi tutto della prima: Non rubare.
338.
Natura e specie del furto
Si
avverta subito che col nome di furto non si intende semplicemente l'atto
di sottrarre qualcosa di nascosto a un padrone che non sa e non vuole,
ma anche l'azione di ritenere apertamente la roba altrui, contro la
volontà del proprietario, a meno che non si voglia pensare che,
proibendo il furto, si siano volute tollerare le rapine compiute a mano
armata, mentre l'Apostolo afferma: I rapinatori non conseguiranno il
regno di Dio (1Co 6,10). Anzi, il contatto e la solidarietà con
questa gente devono essere, sempre, secondo l'Apostolo, scrupolosamente
evitati (1Co 5,10).
Sebbene la rapina costituisca una colpa più grave del furto perché
toglie dei beni coll'aggiunta della violenza contro la persona, e sia
quindi più ignominiosa, nessuno si meravigli che la formula del comando
divino usi il termine più lieve di furto, tralasciando quello di rapina.
Ciò è stato fatto con ponderazione, perché l'ambito del furto è più
vasto di quello della rapina. Questa infatti può essere perpetrata
solamente da chi disponga di forza e di mezzi. Del resto tutti
comprendono come la proibizione di alcuni peccati più leggeri implichi
il divieto di colpe più gravi del medesimo genere.
Il possesso e l'uso ingiusto delle cose altrui sono segnalati con vari
nomi, secondo la diversità degli oggetti, sottratti ad insaputa e contro
la volontà dei padroni. Se un bene privato è tolto ad un privato,
l'azione è detta furto; se si sottrae qualcosa al bene pubblico, si
compie peculato; traendo in schiavitù un uomo libero o un servo altrui,
si commette un plagio; infine rubando un oggetto sacro, si cade nel
sacrilegio. E questa è la forma più grave di questo delitto, che trae a
privato godimento e a cupidigie riprovevoli beni categoricamente
destinati, con disposizioni pie e sagge, al culto sacro, ai ministri
della Chiesa, e ad usi di beneficenza.
La legge divina non proibisce solamente l'atto esterno del furto, ma
anche l'intenzione e il proposito di rubare. Si tratta infatti di una
legge spirituale, che mira all'anima, sorgente dei pensieri e dei
propositi. Secondo la frase del Signore, in S. Matteo: Dal cuore partono
i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti,
le false testimonianze (Mt 15,19).
339.
Gravità del furto
La
gravita del crimine di furto emerge dalla stessa legge naturale e dal
lume della ragione, essendo esso contrario alla giustizia, la quale
vuole che a ciascuno sia attribuito il suo. La distribuzione e
l'assegnazione dei beni, stabilite fin dagli inizi secondo il diritto
delle genti, ratificate dalle leggi divine ed umane, devono infatti
essere rispettate, sicché ognuno conservi, quanto in linea di diritto
gli spetta, se non vogliamo che sia sovvertita la società umana. Dice
l'Apostolo: I ladri, gli avari, gli ubriachi, i maldicenti, i rapaci,
non conseguiranno il regno di Dio (1Co 6,10). Le numerose
conseguenze del furto rivelano anch'esse l'enormità di questo delitto.
Si vanno diffondendo, infatti, giudizi temerari e ingiusti su molti;
scoppiano gli odi; sono alimentate le inimicizie; talora si giunge a
gravissime condanne di innocenti.
Corre l'obbligo del resto, a tutti divinamente imposto, di dare completa
soddisfazione al derubato. Come dice sant'Agostino, il peccato di furto
non viene perdonato, se non viene restituita la refurtiva (Lett. CL3).
La quale restituzione, quando uno si sia abituato ad arricchirsi con la
roba altrui, diviene compito molto arduo, come è facile arguire
dall'esperienza altrui e dal buon senso proprio. Il profeta Abacuc lo
asserisce esplicitamente: Guai a colui che accumula beni non suoi! Egli
va impegolandosi in un fango densissimo (Ab 2,6). Dove fango
denso è definito il possesso delle sostanze altrui, dal quale gli uomini
solo a fatica possono emergere ed uscire.
Tanti sono i generi di furto, che non è agevole segnalarli tutti.
Basterà perciò quel che abbiamo detto intorno al furto e alla rapina, a
cui può riportarsi in radice quel che ora diremo. I Parroci usino la
massima cura e diligenza nell'indurre il popolo a detestare con orrore
questo perverso delitto.
Proseguiamo con le varie specie di questo vizio. Sono dunque ladri anche
coloro che comprano oggetti rubati, o ritengono cose comunque trovate,
occupate, sottratte. Dice sant'Agostino: Se non hai reso quel che
trovasti, hai rubato (Serm. CLXXVIII). Qualora poi sia assolutamente
impossibile rinvenire il padrone, la roba trovata sia destinata alla
beneficenza. Chi non sente di dover restituire, si rivela capace di fare
man bassa di tutto, se lo potesse.
340. Altri
trasgressori di questo comandamento
Si rendono rei della medesima colpa coloro che usano frodi e
discorsi ingannevoli nel comprare e nel vendere; il Signore punirà
queste loro frodi. In questo genere di furti si mostrano più
insopportabili e più malvagi quelli che vendono come genuine, mercanzie
adulterate e guaste, o che ingannano i compratori nel peso, nella
misura, nella quantità e nelle norme della compravendita. Sta scritto
infatti nel Deuteronomio: Non avrai nel sacchetto diversi pesi (25,17).
E nel Levitico: Non commettete ingiustizia alcuna nel giudicare, nel
computare, nel pesare e nel misurare. Sia giusta la stadera e (sempre)
eguali i pesi, giusto il moggio e identico il boccale (sestario) (XIX,35).
Sta scritto pure in un altro luogo: E abominevole presso il Signore chi
usa due pesi; una stadera ingannevole non è buona (Pr 20,23).
E anche furto manifesto quello degli operai e degli artigiani, che
ricevono tutta intera la mercede, senza prestare l'opera giusta e
dovuta. Né poi si distinguono dai ladri i servi che siano custodi
infedeli dei padroni e delle loro cose; sono anzi più detestabili degli
altri ladri, che non hanno sottomano le chiavi; perché con un servo
ladro nulla in casa rimane sigillato, o chiuso.
Inoltre commettono furto quelli che carpiscono denaro con parole finite
e simulate, o con falsa mendicità; anzi il peccato di costoro è più
grave, perché aggiungono al furto la menzogna.
Si devono riporre nel numero dei ladri anche quelli che, dopo essere
stati assunti a qualche ufficio privato o pubblico, fanno poco o nulla,
trascurano il loro dovere, pur esigendo la paga e la ricompensa.
Sarebbe cosa lunga e, come abbiamo detto, difficilissima, trattare di
tutti gli altri furti escogitati da una solerte avarizia, che conosce
tutti i mezzi per fare denaro. Ci sembra quindi giusto parlare ora della
rapina, che forma il secondo capitolo di questo genere di crimini. Prima
però il Parroco ammonisca il popolo cristiano di ricordare la sentenza
dell'Apostolo: Chi vuoi farsi ricco, cade nella tentazione e nei lacci
del demonio (Tim. 6,9). Né mai in alcun luogo gli cada dalla mente
questo precetto: Fate agli uomini quanto volete ch'essi facciano a voi (Mt
7,12); tutti poi ricordino sempre il motto: Non fare agli altri quel
che non vorresti fosse fatto a te (Tb 4,16 Lc 6,31).
341. Chi
si rende colpevole di rapina
Più
esteso quindi è il campo della rapina. Poiché anche quelli che non danno
la mercede dovuta agli operai, sono rapinatori; e san Giacomo li invita
alla penitenza con queste parole: Piangete, o ricchi, ululando sulle
vostre sciagure, che vi piomberanno addosso (Gc 5,1). E più sotto
aggiunge la ragione per cui devono fare penitenza: Ecco che la mercede
degli operai, che hanno mietuto i vostri terreni, da voi defraudata,
grida, e il loro grido è entrato nelle orecchie del Signore degli
eserciti (Gc 5,4). Questo genere di rapine è severamente condannato nel
Levitico (XIX,13), nel Deuteronomio (24,14), nel Libro di Malachia (3,5)
e nel Libro di Tobia (4,15). In questa classe di rapinatori sono inclusi
coloro che non pagano, o carpiscono e prendono per sé le gabelle, i
tributi, le decime e simili cose, dovute ai rettori della Chiesa e ai
magistrati.
Si rendono rei di questa colpa gli usurai inesorabili e crudeli nelle
rapine, che derubano e dissanguano il misero popolo con le loro usure.
Consiste l'usura nel ricevere un'aggiunta in più oltre il capitale dato,
sia denaro o qualsiasi altra cosa, che possa esser acquistata o stimata
per denaro. Cosi infatti sta scritto nel libro di Ezechiele: Non
riceverà usura e sovrabbondanza (di denaro) (Ez 18,17); e il
Signore dice nel Vangelo di Luca: Date in prestito, senza aspettarne
nulla (6,34). Sempre fu considerato gravissimo questo delitto, anche
presso i pagani, e odioso più d'ogni altro. Da ciò il motto: Cos'è far
usura? e che cosa è uccidere un uomo? Poiché quelli che danno a usura,
vendono due volte la medesima cosa, o vendono quel che non esiste 1.
Commettono rapine anche i giudici corrotti dal denaro, che emettono
giudizi venali, e che, adescati con denaro e condoni, capovolgono le
giustissime cause degli umili e dei diseredati.
Sono condannati per la medesima colpa di rapina quelli che frodano i
creditori, i debitori fraudolenti e tutti coloro, che, ottenuto un certo
lasso di tempo per pagare, comprano mercanzie sulla parola propria o
altrui, e non mantengono la parola giurata. Il crimine di costoro è
anche più grave, perché i mercanti, in conseguenza del loro inganno e
della loro frode, vendono più cara ogni cosa, con grave danno di tutta
la cittadinanza. A costoro sembra convenire il detto di David:Il
peccatore prenderà in prestito e non pagherà (Ps 36,21).
E che diremo di quei ricchi che troppo duramente esigono, da quelli che
non hanno da pagare, quel che presero in prestito, e, contro la
proibizione di Dio, tolgono loro come pegno, anche le cose necessarie al
mantenimento del loro corpo? Dice infatti Iddio: Se riceverai in pegno
dal tuo prossimo il vestito, glielo restituirai prima del tramonto. Esso
infatti è l'unica cosa con cui si può coprire, è l'indumento della sua
carne, e non ha altro in cui possa dormire; se griderà giustizia a me lo
esaudirò, perché sono misericordioso (Ex 22,26). La crudeltà
della loro pretesa chiameremo dunque a buon diritto rapacità e rapina.
Nel numero di coloro, che vengono chiamati rapinatori dai santi Padri
sono quelli che, durante la carestia, incettano frumento e fanno si che
per loro colpa il mercato sia più caro e più difficile. Ciò vale anche
per tutto quel che riguarda il mantenimento e tutte le cose necessarie
alla vita; ad essi si riferisce quella maledizione di Salomone: Chi
nasconde le derrate, sarà maledetto fra le genti (Pwv. 11,26).
I Parroci dunque liberamente rimprovereranno costoro dei loro misfatti,
e più ampiamente spiegheranno le pene minacciate per questi peccati.
342. Chi
è obbligato alla restituzione
Ciò
che abbiamo detto riguarda le cose proibite; ora veniamo a parlare delle
cose comandate da questo precetto, tra le quali ha il primo posto la
soddisfazione o restituzione; infatti il peccato non viene rimesso, se
non si restituisce il mal tolto. Ma, poiché non soltanto chi ha commesso
un furto deve restituire il maltolto a colui che ha derubato, ma anche
tutti quelli che parteciparono al furto sono obbligati alla
restituzione, bisogna spiegare chi siano quelli che non possono sfuggire
a quest'obbligo di soddisfare o di restituire.
Parecchie sono le categorie di siffatta gente. La prima è di coloro che
comandano di rubare; essi sono non solo compagni e autori del furto, ma
anche i più malvagi tra quel genere di ladri.
La seconda categoria, pari alla prima nella volontà sebbene inferiore
negli effetti, e tuttavia da considerarsi allo stesso grado, è di
quelli, che non potendo comandare, sono consiglieri e suggeritori di
furti.
Terza categoria è di coloro, che vanno
d'accordo coi ladri.
Quarta, quella
di coloro che partecipano al furto, donde essi traggono lucro: se si può
chiamar lucro quel che li conduce agli eterni tormenti, qualora essi non
si ravvedano; e di loro cosi parla David: Se vedevi un ladro correvi con
lui (Ps 49,18).
Quinta categoria di ladri sono coloro che, potendo impedire il furto,
sono tanto lontani dall'impedirlo e dall'opporsi; che anzi lasciano e
permettono che esso avvenga.
Sesta categoria sono coloro che, sapendo con certezza che è stato fatto
un furto e dove, non svelano la cosa, ma fingono di non saperla.
L'ultima categoria comprende tutti i complici, i custodi, i
patrocinatori, e quanti offrono loro un ripostiglio e un rifugio. Tutti
costoro sono tenuti alla riparazione verso i derubati, e devono esser
caldamente esortati a compiere questo dovere indispensabile. Né sono del
tutto immuni da questa colpa neppure coloro che approvano e lodano il
furto. Non sono poi alieni da questa medesima colpa i figli di famiglia
e le mogli, che sottraggono di nascosto denaro ai padri e ai mariti.
343. Bisogna
inculcare la misericordia
In
correlazione con questo comandamento sta la divina sentenza che noi
dobbiamo aver compassione dei poveri e dei bisognosi; alleviarne le
tristi condizioni e le angustie coi nostri mezzi e i nostri servigi. E
siccome questo argomento deve esser trattato spessissimo e con la
massima ampiezza, i Parroci cercheranno nei libri di uomini santissimi
come Cipriano, Giovanni Crisostomo, Gregorio Nazianzeno e altri, che
ottimamente scrissero intorno all'elemosina, ciò che loro occorre per
soddisfare a quest'obbligo.
Infatti bisogna infiammare i fedeli all'ardore e all'alacrità nel
soccorrere coloro, che devono vivere della pietà altrui. Bisogna anche
insegnare quanto sia necessaria l'elemosina, affinché tutti possiamo
mostrarci veramente, in pratica e con l'opera nostra, liberali verso i
bisognosi, con questa argomentazione validissima che, cioè, nel supremo
giorno del giudizio, Dio avrà in abominio e condannerà al fuoco eterno
coloro che tralasciarono o trascurarono gli obblighi dell'elemosina;
invece loderà e introdurrà nella patria celeste coloro che benignamente
trattarono gli indigenti.
L'una e l'altra massima furono pronunciate dalla bocca di N.S.G. Cristo:
Venite, benedetti del Padre mio, possedete il regno preparato per voi;
Via da me, maledetti, nel fuoco eterno (Mt 25,34 Mt 25,41).
Inoltre i sacerdoti citino i passi adatti a persuadere, per es.: Date e
vi sarà dato (Lc 6,38). Espongano la promessa di Dio, della quale
non si può pensare niente di più ricco e magnifico: In verità vi dico,
nessuno ha abbandonato la casa ecc, che non riceva il centuplo adesso in
questo mondo e nel mondo avvenire la vita eterna (Mc 10,29,30).
Aggiungano quel che fu detto da Cristo: Fatevi degli amici per mezzo del
mammona d'iniquità, affinché, quando veniate a mancare, vi diano ricetto
nelle tende eterne (Lc 16,9).
344.
Vari modi di esercitare la misericordia
Espongano, poi, le varie specie di questo dovere, in modo che chi non
può largire ai bisognosi tanto da sostentare la vita, almeno conceda
prestiti al povero, secondo il precetto di Cristo nostro Signore: Date
in prestito, senza aspettarne nulla (Lc 6,34). Il santo re David
cosi esprime la felicità di chi agisce in tal modo: Beato l'uomo che ha
misericordia e da in prestito (Ps 111,5). E degno poi della
cristiana pietà, quando non ci sia possibilità di beneficare altrimenti
quelli che per vivere hanno bisogno della pietà altrui, esercitare un
lavoro con le proprie mani, evitando cosi anche l'ozio, per poter
alleviare l'indigenza dei bisognosi. A ciò esorta tutti l'Apostolo col
suo esempio, nella lettera ai Tessalonicesi, con le parole: Voi stessi
sapete quanto sia necessario imitarci (2Th 3,7). Parimente agli
stessi: Attendete a star quieti, ad adempiere il vostro ufficio e a
lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ammaestrati (1Th 4,11).
E agli Efesini: Chi rubava, ormai non rubi più; piuttosto lavori
operando con le proprie mani quel che è buono, per avere di che dare il
necessario a chi soffre (Ep 4,28).
Bisogna anche curare la frugalità e aver riguardo ai beni altrui, per
non essere di peso né molesti agli altri. Questa temperanza, certo,
apparisce in tutti gli apostoli, ma sopratutto splende in san Paolo di
cui è quel motto ai Tessalonicesi: Ricordatevi, o fratelli, del nostro
lavoro e della nostra fatica: lavorando notte e giorno, per non
aggravare nessuno di voi, vi predicammo il vangelo di Dio (1Th 2,9).
E lo stesso Apostolo in un altro luogo afferma: Con fatica e con sudore,
lavorando notte e giorno, per non aggravare nessuno di voi (2Th 3,8).
345. Bisogna tener
lontani i cristiani da queste colpe
Ma perché il popolo fedele si tenga lontano da tutto questo
genere di nefandi delitti, sarà compito dei Parroci rintracciare nei
Profeti e prendere dagli altri Libri divini le parole di abominio dei
furti e delle rapine, e le terribili minacce fatte da Dio a coloro che
commettono quelle colpe. Esclama il profeta Amos: Ascoltate, voi che
calpestate il povero e fate perire i miseri della terra, dicendo: Quando
passerà il mese, e venderemo le mercanzie? allora potremo diminuire la
misura, aumentare il siclo e usare stadere ingannevoli (Amos 8,4-5).
Sono dello stesso tenore molte espressioni in Geremia ( seg.), nei
Proverbi (Pr 21,6) e nell'Ecclesiastico (Si 10,9). Non c'è
poi da dubitare che l'origine dei mali, da cui è oppressa questa età,
sia in gran parte compresa in queste cause.
Ma perché i Cristiani s'avvezzino a trattare con tutti i mezzi imposti
dalla liberalità e dalla benignità i bisognosi e i mendichi - la qual
cosa si riferisce all'altra parte del comandamento - i Parroci
esporranno i grandissimi premi che Dio promette in questa vita e
nell'altra agli uomini benefici e munifici.
346.
Bisogna respingere le scuse ingiuste
Ma poiché non manca chi, anche a proposito di furto, cerca di scusarsi,
costui deve essere ammonito che Dio non accoglie nessuna scusa del suo
peccato; che, anzi, il suo peccato non solo non sarà alleviato da quella
giustificazione, ma maggiormente accresciuto.
Ecco le insopportabili pretese di nobili che credono di diminuire la
propria colpa, affermando di non essere discesi a toglier l'altrui per
cupidigia o avarizia, ma per conservare il grado della famiglia e degli
antenati, la cui stima e dignità andrebbero in rovina, se non fossero
sostenute dall'aggiunta delle sostanze altrui. A costoro bisogna
strappare questo pernicioso errore, e dimostrare nello stesso tempo che
una sola è la maniera di conservare e aumentare le ricchezze, la potenza
e la gloria degli antenati: ubbidire alla volontà di Dio e osservare i
suoi precetti. Disprezzati questi, le ricchezze formate e conservate con
ogni cura, sono distrutte; i re medesimi, precipitati dal soglio regale
e dal sommo fastigio, sono umiliati; e al loro posto, talvolta, sono
chiamati, per volere divino, uomini infimi, che spesso furono da loro
grandemente odiati.
E incredibile quanto si sdegni Dio con costoro; ne è testimone Isaia, in
cui si trovano queste parole di Dio: I tuoi principi furono infedeli e
alleati di ladri; tutti amano i doni, e corteggiano le retribuzioni. Per
questo il Signore Iddio degli eserciti e del forte d'Israele dice: Oh,
mi consolerò dei miei nemici, e mi vendicherò dei miei avversari;
volgerò la mia mano a te e purificherò la tua scoria nel fuoco (Is
1,23-25).
Non manca chi adduce come pretesto non lo splendore e la gloria, ma il
proprio mantenimento e la possibilità d'una vita più comoda e agiata.
Bisogna rintuzzare costoro e mostrare loro quanto empi siano le loro
azioni e i loro discorsi, mentre preferiscono qualche comodità alla
volontà e gloria di Dio, che noi offendiamo in modo straordinario
trascurando i suoi precetti. Ma quale comodità mai può esservi nel
furto, a cui tengono dietro i più gravi incomodi? Nel ladro infatti,
dice l'Ecclesiastico, è confusione e pentimento (5,17). Ma ammesso pure
che ciò non sia, è certo che il ladro disonora sempre il nome divino,
ripugna alla santissima volontà sua e disprezza i suoi salutari
precetti; da questa fonte deriva ogni errore, ogni malvagità, ogni
empietà.
E che dire dei ladri che affermarono di non peccare affatto, perché
tolgono qualcosa a uomini ricchi e ben forniti, i quali da questo furto
non soffrono danno, anzi neppure se ne accorgono? Infelice, certo, e
pestifera è tale difesa.
Qualcuno crede che debba essere accolta la sua scusa, ossia la propria
consuetudine a rubare, in modo che difficilmente potrebbe desistere da
quell'intenzione e da quell'azione. Costui, se non ascolta l'Apostolo
che dice: Chi rubava, ormai non rubi più (Ep 4,28), voglia o non
voglia, dovrà prendere anche la consuetudine degli eterni supplizi.
Alcuni si scusano di avere rubato, essendosene data l'occasione; va
infatti sulla bocca di tutti quel trito proverbio: l'occasione fa l'uomo
ladro. Bisogna toglier a quelli che cosi pensano questa malvagia
opinione e insegnar loro che si deve resistere alle cattive passioni.
Poiché se si dovesse continuamente compiere quello che c'induce a fare
la passione, qual misura, qual limite metteremo ai delitti ed alle
nefandezze? Grandemente invereconda è dunque quella difesa o piuttosto
confessione di somma cupidigia e di ingiustizia. Poiché chi dice di non
peccare perché non ha occasione di peccare, confessa quasi nello stesso
tempo che peccherà ogni volta che gli se ne offrirà il destro.
Alcuni dicono di rubare per vendicarsi del furto loro fatto da altri. Ad
essi bisogna rispondere che prima di tutto non è lecito vendicare le
ingiurie; in secondo luogo, nessuno può esser giudice in causa propria;
quindi molto meno si può concedere che essi infliggano ad altri la pena
di colpe commesse contro di loro.
In ultimo, alcuni credono abbastanza difeso e scusato il furto perché,
essendo oppressi da debiti, non se ne possono liberare altrimenti che
rubando. Con costoro bisogna ragionar cosi: non c'è debito più grave e
da cui più sia oppresso il genere umano, di quello che ricordiamo ogni
giorno nella divina preghiera: Rimetti a noi i nostri debiti (Mt 6,12);
per cui è proprio da stolti preferire di essere debitori verso Dio, cioè
peccare, per pagare quel che si deve agli uomini. Infatti è molto meglio
essere gettati in carcere, che venir condannati agli eterni supplizi
dell'inferno, essendo molto più grave esser condannato dal tribunale di
Dio che da quello degli uomini. Queste persone devono, con suppliche,
chiedere aiuto e pietà a Dio, da cui possono ottenere quel che loro
occorre.
Non manca, poi, chi, per scusare il furto, ricorre ad altre ragioni, che
però ai Parroci prudenti e diligentissimi del loro ufficio non sarà
difficile di ribattere in modo da poter avere un giorno un gregge
zelante nelle buone opere (TU. 5,14).
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