393. Con quale
spirito
si devono chiedere i beni della vita presente
La quarta domanda, come le rimanenti, con le quali chiediamo
propriamente e nominatamente gli aiuti dell'anima e del corpo, sono in
relazione con le domande precedenti, perché la preghiera domenicale
segue un tale ordine e una tale disposizione, che la domanda delle cose
necessarie al corpo e alla vita presente viene dopo quella dei beni
divini. Come, infatti, tutti gli uomini devono tendere a Dio come al
loro fine ultimo, cosi, per la medesima ragione, i beni attinenti alla
vita umana sono subordinati a quelli divini. Noi dobbiamo desiderarli e
chiederli, sia perché cosi vuole l'ordine della Provvidenza, sia perché
ne abbiamo bisogno per conseguire i beni celesti e arrivare con essi al
nostro fine. Esso consiste però nel regno e nella gloria del Padre
celeste, nell'osservanza e rispetto di quei precetti, che sappiamo
essere la sua volontà. Ecco perché dobbiamo sempre subordinare a Dio e
alla sua gloria tutto il contenuto e lo spirito di questa preghiera.
I Parroci adempiranno il loro dovere verso i fedeli ascoltatori,
spiegando loro come nel chiedere il necessario all'uso e al godimento
dei beni terreni, l'animo nostro e il nostro amore devono sempre aver
presente la prescrizione di Dio, né da essa in alcun modo allontanarsi.
Infatti, spessissimo si pecca nel domandare cose terrene e caduche,
secondo quanto scrive l'Apostolo: Non sappiamo domandare come si
conviene (Rm 8,26). Domandiamo dunque come si conviene, perché,
chiedendo male qualche cosa, Dio non abbia a risponderci: Non sapete
quel che domandate (Mt 20,22).
Il criterio sicuro per giudicare se la domanda sia cattiva, o retta, ce
lo danno l'intenzione e lo scopo che si prefigge colui che domanda.
Cosi, se uno domanda cose terrene con una disposizione d'animo da
crederle beni assoluti, e da fermarsi in esse come nel suo ultimo
desiderato fine, e non si curi di chiedere altro, non chiede senza
dubbio come si conviene. Non dobbiamo chiedere i beni terreni come
nostri beni, ha detto sant'Agostino, ma come nostri bisogni (Discorso
del Signore sul monte, 2,16, n. 53; Epist. 130,6). E anche l'Apostolo
nella lettera ai Corinzi, ammonisce di subordinare alla gloria di Dio
tutti i beni che hanno attinenza con le necessità della vita: Sia che
mangiate, o che beviate, o qualunque altra cosa facciate, fate tutto per
la gloria di Dio (1Co 10,31).
394. La necessità di
questa preghiera
Per
far vedere ai fedeli tutta la necessità di questa domanda, i Parroci
ricordino il bisogno che abbiamo delle cose esterne per nutrirci e
conservarci in vita; e lo capiranno più facilmente i fedeli, se si fa il
confronto delle cose che furono necessarie ai nostri progenitori con
quelle che sono necessarie agli altri uomini per mantenersi in vita. Per
quanto nello stato di innocenza, dal quale essi decaddero, e, per colpa
loro, tutta la posterità, dovessero procacciarsi il cibo per conservare
le forze, tuttavia è grande la differenza tra i bisogni loro e nostri.
Essi non avevano bisogno di coprirsi con vesti, né di rifugiarsi sotto
un tetto, né di difendersi con armi, né di pensare a rimedi per
malattie, né di tante altre cose che a noi sono indispensabili per
sostenere la nostra natura debole e fragile. Bastava loro ampiamente,
per conservarsi immortali, il frutto che l'albero felicissimo della vita
procurava loro, e avrebbe procurato ai posteri, senza fatica.
Né l'uomo sarebbe rimasto ozioso in tanta delizia, poiché Dio l'aveva
collocato nel paradiso perché lavorasse: soltanto non sarebbe stato in
alcun modo affannoso il suo lavoro, né alcuna sua occupazione sarebbe
stata meno che gioconda, ottenendo perpetuamente dalla coltivazione
degli orti felici dolcissimi frutti, senza il pericolo di essere mai
deluso nella sua speranza o nel suo lavoro. Le generazioni posteriori
invece, oltre ad essere private del frutto dell'albero della vita,
furono condannate con quella terribile sentenza: Sia maledetta la terra
nel tuo lavoro; nelle fatiche ti nutrirai tutti i giorni della tua vita
dei prodotti di essa. Spine e rovi essa ti produrrà, e tu mangerai le
erbe della terra. Nel sudore del tuo volto mangerai il tuo pane, fino a
che tu ritorni alla terra dalla quale sei stato tratto; poiché tu sei
polvere, e ritornerai in polvere: (Gn 3,17).
A noi dunque accaddero le cose contrariamente a quello che sarebbe
accaduto a Adamo e ai suoi posteri, se avesse ottemperato alle parole di
Dio; cosi tutto è rovesciato e volto a maggior rovina nostra. Ancor più
grave è il fatto, quando si pensi che cosi spesso ingenti spese, fatiche
grandissime e sudori, non ci danno alcun frutto; quando i semi sono dati
a una terra pessima, o sono soffocati dalla forza delle erbe selvatiche
che vi crescono in mezzo, quando non periscono rovinati dalla pioggia,
dal vento, dalla grandine, dalla siccità, o dalla ruggine, si che il
lavoro di tutto un anno è in pochissimo tempo annientato per una
calamità venuta dal cielo o dalla terra.
Tutto questo accade per l'immensità dei nostri peccati, per i quali Dio
disgustato non benedice più le nostre opere. E cosi sempre rimane in
vigore la sentenza terribile che da principio pronuncio: Nel sudore del
tuo volto mangerai il tuo pane.
Ai Pastori dunque incombe di far vedere al popolo fedele come per colpa
loro gli uomini sono caduti in tanta angustia, in cosi miserabile stato,
e come ora dobbiamo sudare e affannarci a preparare le cose necessarie
alla vita; e di fargli capire che ogni nostra speranza, ogni nostro
tentativo riuscirà vano, se Iddio non avrà benedetto le nostre fatiche.
Poiché, né chi semina, né chi annaffia sono qualcosa, ma è Dio solo che
da l'accrescimento (1Co 3,7). Se Dio non avrà edificata la casa,
invano lavorano quelli che la costruiscono (Ps 126,1).
I parroci insegnino che sono innumerevoli le cose per la cui mancanza, o
perdiamo la vita, o la passiamo penosamente. Conoscendo questa
necessità, e la debolezza della natura, il popolo cristiano sarà
costretto a rivolgersi al Padre celeste, e a supplicarlo di concedergli
i beni terreni e celesti. Imiterà il figliol prodigo il quale,
sentendosi in bisogno in una lontana regione e affamato, non trovando
chi gli desse neppure delle ghiande, ritornando in sé, comprese che non
poteva aspettarsi il rimedio ai mali che lo affliggevano se non dal
padre. E il popolo fedele con maggior fiducia si accingerà a pregare,
se, pensando alla benignità divina, ricorderà che le orecchie paterne
sono sempre aperte alle voci dei figli. Poiché Dio, mentre ci esorta a
domandare il pane, promette pure di elargire in abbondanza quei beni a
chi prega rettamente. Insegnandoci come dobbiamo pregare, ci esorta,
esortandoci ci sprona, spronandoci promette, e, promettendo, fa nascere
in noi la speranza di una sicura impetrazione.
395.
Oggetto della
domanda
Dopo avere incitato e infiammato l'animo del popolo fedele, segue la
necessità e l'opportunità di spiegare ciò che si deve chiedere con
questa preghiera; e anzi tutto che cosa sia questo pane che chiediamo.
Si sappia dunque che col termine pane, nelle sacre Scritture, vengono
indicate parecchie cose, ma due principalmente: in primo luogo, tutto
ciò che, come vitto o altrimenti, serve alla conservazione della vita
fisica; in secondo luogo, tutto ciò che Dio ci dona per la nostra vita
spirituale e per la salute dell'anima.
Il pane. Noi, con la concorde autorità dei santi Padri, chiediamo i
sussidi per questa vita che trascorriamo sulla terra. Perciò non si dia
retta a coloro che dicono non dovere i Cristiani domandare a Dio i beni
terreni di questa vita; al loro errore contraddice, oltre all'unanime
opinione dei Padri, la moltitudine di esempi offerti dal vecchio e dal
nuovo Testamento. Cosi, facendo voto, pregava Giacobbe: Se il Signore
sarà meco e mi difenderà nella via per la quale vado, se mi darà il pane
per nutrirmi e gli abiti per vestirmi, e se io tornerò sano alla casa di
mio padre, ecco, avrò Dio per mio Signore; e questa pietra che ho eretto
a ricordo, sarà chiamata casa di Dio: di tutto ciò che mi darai, offrirò
a te le decime (Gn 28,20).
Salomone, pure, non faceva che chiedere il necessario alla vita terrena,
quando pregava: Non mi dare povertà o ricchezza: concedimi solo quanto
basta alla mia vita (Pr 30,8). Persino il Salvatore del genere
umano ci ordina di chiedere cose che nessuno oserà negare essere
attinenti alla vita materiale: Pregate perché non abbiate a fuggire
d'inverno o di sabato, ha detto (Mt 24,20). San Giacomo scrive: E
triste qualcuno di voi? Preghi. E allegro? Intoni salmi (Jc 5,3).
E che diremo dell'Apostolo? Egli cosi parla ai Romani: Per il Signore
nostro Gesù Cristo, o fratelli, e per la carità dello Spirito santo, vi
scongiuro di aiutarmi nelle preghiere che fate per me a Dio, affinché mi
liberi dagli infedeli che sono nella Giudea (Rm 15,30). Avendo
dunque Dio concesso ai fedeli di chiedere il necessario alla vita
corporea, e d'altra parte avendo Cristo data questa formula completa di
preghiera, nessun dubbio rimane che questa sia una delle sette domande.
Noi dunque chiediamo il pane quotidiano, cioè le cose necessarie alla
vita. Infatti col nome di pane s'intende ciò che ci necessita, ossia le
vesti per coprirci e il cibo per nutrirci, sia che si tratti di pane, di
carne, di pesce o di altro. Cosi, vediamo adoperato questo vocabolo da
Eliseo quando ammonisce il re di dare il pane ai suoi militi assiri, ai
quali perciò fu distribuita gran quantità di cibi (4 Re, 6,22). Sappiamo
che anche di Cristo nostro Signore è scritto: Entro di sabato in casa di
un capo dei Farisei per mangiare il pane (Lc 14,1); la quale
parola è evidente che indica tutto ciò che si riferisce al mangiare e al
bere.
A chiarire, però, completamente il significato di questo vocabolo, si
avverta che non si deve intendere con esso gran copia o squisitezza di
cibi o di vesti, ma soltanto una quantità sufficiente e semplice, come
scrive l'Apostolo: Siamo contenti quando abbiamo di che nutrirci e
ricoprirci (1Tm 6,8). Cosi pure parlo Salomone: Concedimi quel
tanto che basti alla mia vita (Pr 30,8).
396.
Perché si
aggiunge la parola "nostro"
"Nostro". Questa parola che segue immediatamente, accenna ancora alla
frugalità e alla parsimonia, poiché dicendo Pane nostro, chiediamo
quello veramente necessario, non il superfluo. E si badi che non lo
chiamiamo nostro perché ce lo possiamo procacciare col nostro lavoro,
senza il soccorso di Dio; poiché leggiamo in David: Tutte le creature
aspettano da te che tu dia loro il cibo a suo tempo. Quando tu lo dai
loro, esse lo raccolgono; tu apri la mano, ed esse sono saziate di beni
(Ps 111,27). Gli occhi di tutti sperano in te, Signore; e tu dai
loro il cibo, a suo tempo (Ps 144,15). Esso ci è necessario, e ci
è dato da Dio padre di tutti che nutre le sue creature viventi con la
sua provvidenza.
Il pane è chiamato nostro anche perché lo dobbiamo acquistare in modo
giusto, non con ingiustizia, frode, o furto. Tutto ciò che ci prendiamo
con male arti non è cosa nostra ma altrui, e molto spesso riesce dannoso
il suo acquisto, o possesso e, senza dubbio, la perdita che ne subiamo.
Invece, nei guadagni onesti e faticati dei buoni è riposta, secondo il
Profeta, la tranquillità e una grande felicità: Perché ti nutrirai del
lavoro delle tue mani, sarai felice, e te ne verrà bene (Ps 127,2).
A quelli che, con l'onesto lavoro, cercheranno il loro vitto, Iddio
promette il frutto della sua benignità:Il Signore spargerà la sua
benedizione sulle tue cantine e su tutte le opere delle tue mani; egli
ti benedirà (Dt 28,8). E non chiediamo soltanto a Dio che ci sia
dato di servirci di ciò che abbiamo guadagnato col nostro sudore e con
la nostra virtù, aiutati dalla sua benevola protezione, e che chiamiamo
veramente cosa nostra; ma domandiamo anche un sano giudizio, per usarne
con rettitudine e saggezza.
397. Termine "quotidiano"
"Quotidiano". Anche a questa parola è annessa l'idea della
frugalità e della misura di cui ora abbiamo parlato; poiché non
chiediamo un cibo eccessivo o ricercato ma quello che soddisfa al
bisogno della natura. Si vergognino perciò coloro che, infastiditi di un
cibo e di una bevanda comuni ricercano sempre varietà squisite di
pietanze e di vini. Né meno aspramente vengono condannati, con questa
parola, coloro ai quali Isaia rivolge queste terribili minacce: Guai a
voi che aggiungete casa a casa, campo a campo, finché non c'è più
terreno. Abiterete voi soli nel mezzo della terra? (Is 5,8).
Insaziabile è l'avidità di tali uomini, dei quali scrisse Salomone: Mai
sarà sazio d'oro l'avaro (Si 5,9). Ad essi anche mira il detto
dell'Apostolo: Coloro che vogliono diventare ricchi, cadono nella
tentazione e nella rete del diavolo (1Tm 6,6).
Chiamiamo ancora quotidiano il nostro pane perché di esso ci nutriamo
per rinvigorire l'umore vitale che quotidianamente si consuma col calore
naturale. E un'altra ragione v'è, infine, dell'uso di questa parola: noi
dobbiamo domandare il pane tutti i giorni per non allontanarci mai dal
pio uso di amare e pregare Dio; sicché ci persuadiamo bene che la nostra
vita e la nostra salute dipendono in tutto da Dio.
398.
L'espressione
"dacci" o "dona a noi"
"Dacci oggi". Quanta materia offrano queste parole per indurre i fedeli al
culto pio e santo e alla venerazione dell'infinita potenza di Dio, nelle
cui mani sta tutto, e nello stesso tempo per aborrire il nefando
orgoglio di Satana quando dice: Tutto è stato ceduto a me, e do ogni
cosa a chi voglio (Lc 4,7), ognuno lo vede da sé: perché tutto è
distribuito, si conserva e s'accresce secondo il volere del solo Dio.
Ma che necessità è questa, dirà qualcuno, di imporre anche ai ricchi che
di tutto abbondano, di chiedere il loro pane quotidiano? La necessità
per loro- è di pregare, non perché veramente vengano loro date le cose
di cui già per la bontà di Dio abbondano, ma perché non perdano ciò che
hanno. Per cui, come scrive l'Apostolo, i ricchi devono imparare a non
sentirsi superiori, né a riporre le loro speranze nell'incerto delle
loro ricchezze, ma nel Dio vivente che ci concede copiosamente l'uso di
tutte le cose (1Tm 6,17). Il Crisostomo adduce un'altra ragione
della necessità di questa preghiera, ed è che non solo ci venga dato il
cibo, ma che ci venga dalla mano di Dio, la quale infondendo nel pane
quotidiano un potere salutare, fa servire il cibo al corpo, e il corpo
all'anima (Omil. 14 in Mt).
Ma perché diciamo: Dona a noi, al plurale, e non: A me? Perché la
cristiana carità vuole che ciascuno non sia sollecito solo di sé, ma si
preoccupi anche del prossimo; e nel pensare al proprio interesse, si
ricordi anche di quello degli altri. A ciò s'aggiunge il fatto che Dio
concede i suoi doni non perché uno li possegga, o viva con essi nella
mollezza, ma perché dia agli altri ciò che sopravanza ai suoi bisogni.
Cosi infatti scrivono i santi Basilio e Ambrogio: Pane di affamati è
quello che tu detieni; vesti di uomini nudi sono quelle che tu tieni
chiuse a chiave; riscatto e liberazione di poveri è il denaro che tu
nascondi sotterra (Basilio, omil. sul passo di Luca, Destruam; Ambrogio,
Nab. Iezr. 12,53).
399. L'espressione "oggi"
"Oggi". Il vocabolo che ci ricorda la nostra comune infermità;
poiché chi è colui che, senza illudersi di poter col suo lavoro
provvedere per lungo tempo ai bisogni della vita, non creda di potersi
procacciare da sé il vitto almeno per un giorno? Ma neppure questa
fiducia in noi Dio ci permette, avendoci ordinato di chiedere a lui il
cibo di ogni singolo giorno. E questo per l'inoppugnabile motivo che noi
dobbiamo ogni giorno rivolgere a Dio la preghiera Domenicale, come tutti
i giorni abbiamo bisogno del pane.
400. Col termine "pane" s'intendono anche i beni spirituali
Fin qui si è detto del pane che alimenta il corpo e lo
sostenta; pane distribuito ai fedeli e agli infedeli, agli uomini pii e
agli empi, per sublime misericordia di quel Dio il quale fa sorgere il
suo sole sui cattivi come sui buoni, e manda la pioggia sugli ingiusti
come sui giusti (Mt 5,45). Ma c'è anche un pane spirituale; e noi
lo chiediamo con questa stessa preghiera: pane col quale viene designato
tutto ciò che è necessario in questa vita alla salute e all'integrità
dell'anima e dello spirito. Poiché come è vario il cibo che nutre e
sostenta il corpo, egualmente vario è l'alimento della vita spirituale e
dell'anima.
Difatti: in primo luogo, è cibo dell'anima la parola di Dio, come ha
detto la Sapienza: Venite, mangiate del mio pane, e bevete il vino che
mesco a voi (Pr 9,5). E quando Dio toglie agli uomini la sua
parola, cosa che avviene quando la gravita dei nostri peccati più
l'offende, si dice che il genere umano è oppresso dalla fame. Cosi
troviamo in Amos: Mandero la fame sulla terra; non fame di pane, né sete
d'acqua, ma della parola del Signore (Amos, 8,11). Come infatti il non
poter prendere cibo, o non ritenerlo, è segno di morte non lontana, cosi
c'è grande motivo di disperare della salute di quelli che non ricercano
la parola di Dio, o, se la conoscono, non la tollerano e rivolgono a Dio
le empie parole: Scostati da noi, non vogliamo conoscere le tue vie (Jb
21,14). Pazzia questa e cecità mentale, nella quale cadono coloro
che, toltisi alla dipendenza legittima dei loro capi cattolici, Vescovi
e Sacerdoti, e separatisi dalla santa Chiesa Romana, si sono abbandonati
agli insegnamenti degli eretici, corruttori della parola di Dio.
Pane, inoltre, è Cristo Signore, cibo dell'anima; egli stesso lo ha
detto: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo (Jn 6,51). Non è
possibile immaginare quanto piacere, quanta gioia infonda nell'anima dei
buoni questo pane, nello sconforto delle lotte terrene o delle disgrazie
della vita. Ce ne offre l'esempio il santo collegio degli apostoli, dei
quali è detto: Se ne andavano dal cospetto del Sinedrio lieti perché
erano stati fatti degni di subire oltraggi per il nome di Gesù (Ac
5,41). Esempi simili ci forniscono le vite dei santi, delle cui
intime gioie cosi parla Iddio: Al vincitore darò una manna nascosta (Ap
2,17).
Specialmente, poi, è pane nostro Cristo Signore, sostanzialmente
contenuto nel sacramento dell'Eucaristia, pegno indicibile di amore, che
egli ci dono sul punto di tornare al Padre. Cosi egli ne parla: Chi
mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui (Jn
6,57); Prendete e mangiate: questo è il mio corpo (Mt 26,26
1Co 11,24).
I Parroci cercheranno insegnamenti utili al popolo fedele nei trattati
sulla virtù e natura di questo sacramento.
Lo diciamo qui pane nostro perché appartiene soltanto ai fedeli: a
coloro, cioè, che congiungendo l'amore alla fede, lavano la sozzura dei
peccati col sacramento della Penitenza, e, non dimenticando di essere
figli di Dio, prendono il divino sacramento e lo onorano con la massima
santità e venerazione. E poi chiamato quotidiano per due ragioni: la
prima, perché nei sacri misteri della santa Chiesa, ogni giorno si offre
a Dio e si da a quelli che, con pietà e santità, lo chiedono; l'altra,
perché dovremmo prenderlo ogni giorno, o almeno vivere in modo da
poterlo ricevere degnamente ogni giorno, per quanto è possibile. Quelli
che pensano diversamente, che cioè non sia necessario nutrirsi del cibo
spirituale che a lunghi intervalli, ascoltino ciò che dice
sant'Ambrogio: Se il pane è quotidiano, perché lo mangi una sola volta
all'anno? (Dei Sacramenti, 5,4).
401.
L'esito della
domanda si deve lasciare a Dio
Ma, in modo speciale, per questa preghiera si devono esortare i fedeli,
quando abbiano rettamente indirizzato il pensiero e l'opera a
procacciarsi le cose necessarie alla vita, a lasciarne l'esito a Dio, e
ad affidare il loro desiderio alla volontà di lui che non lascerà in
eterno nell'incertezza il giusto (Ps 54,23). Perché: o Dio
concederà loro quel che desiderano, e cosi il loro desiderio sarà
soddisfatto; oppure non lo concederà, e questo rifiuto sarà segno
certissimo che non era né salutare né utile la cosa negata ai buoni,
della cui salute egli ha maggior cura che non loro medesimi. I Parroci
potranno illustrare questa verità spiegando gli argomenti raccolti da
sant'Agostino in modo mirabile nella sua lettera a Proba (Epist. CXXX,14,26).
Si porrà termine all'illustrazione di questa preghiera, ricordando ai
ricchi di attribuire le loro ricchezze a Dio, e di pensare che in essi
si sono accumulati tanti beni perché li distribuiscano ai bisognosi. A
questo tendono le parole dell'Apostolo nella Lettera I a Timoteo (1Tm
6,17), nella quale i Parroci potranno attingere grande efficacia di
precetti divini per illustrare utilmente e salutarmente questa verità.
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