308.
Importanza del secondo comandamento
Nel
primo comandamento della Legge divina che comanda di onorare Dio
piamente e santamente, è necessariamente incluso questo secondo che
segue. Infatti, chi vuole che gli si tributi onore, chiede con questo
stesso che si usino a suo riguardo sempre parole rispettose e si evitino
le parole dispregiative, come apertamente ricordano le parole di
Malachia: Il figlio rispetta il padre, e il servo il suo padrone: se io
sono padre, dov'è l'onore che mi si deve? (Ml 1,6). Tuttavia,
data l'importanza della cosa, Dio volle separatamente emanare e
formulare questa Legge sull'onore dovuto al suo nome santissimo e
divino.
Tragga di qui il Parroco la convinzione che non basta parlare di tale
argomento in termini generici. Si tratta di un tèma su cui deve fermarsi
a lungo, enumerando con ogni cura ai fedeli tutto ciò che vi si
riferisce. Non tema mai di eccedere in diligenza, perché non mancano
individui cosi accecati nelle tenebre dell'errore da osare di
bistrattare, con le parole, Chi è glorificato dagli angeli. Non
impressionati dalla Legge una volta emanata, costoro non ristanno
dall'offendere senza vergogna ogni giorno, ogni ora anzi, e quasi ogni
minuto, la maestà di Dio. Non udiamo tutt'intorno giuramenti sprecati
per ogni quisquilia, discorsi tutti infiorati di imprecazioni e
scongiuri, fino al punto che nulla si vende, si acquista o si contratta,
senza far intervenire la solennità di un giuramento, senza usurpare
migliaia di volte il nome santissimo di Dio nelle cose più sciocche e
insignificanti? Usi dunque il Parroco tutta la sua diligenza
nell'ammonire spesso i fedeli sulla gravita ripugnante di questa colpa.
Spiegando questo comandamento, non si dimentichi che la legge
implicitamente accoppia alla proibizione l'imposizione di ciò che gli
uomini devono fare. Proibizione e imposizione devono essere spiegate
però separatamente. In primo luogo, perché più agevole ne sia
l'esposizione, si indichi ciò che la Legge comanda, poi quello che
proibisce. Comanda che il nome di Dio sia onorato e con esso non si
facciano che giuramenti santi; proibisce poi di offenderlo, di invocarlo
stoltamente, di giurare con esso alcunché di falso, di vano, di
temerario.
309.
Come si onora il nome di Dio
Spiegando ai fedeli la parte in cui si comanda di tributare onore al
nome divino, il Parroco ricordi che col nome di Dio non si intendono
solamente le lettere, le sillabe, il puro vocabolo; ma si faccia
riflettere al suo valore che designa la maestà onnipotente ed eterna del
Dio uno e trino. Si capisce quanto stolta fosse la superstizione di
alcuni Giudei, i quali scrivevano il nome di Dio, ma non osavano
pronunciarlo, quasi che tutto consistesse nelle quattro lettere
ebraiche, anziché nella divina realtà. E sebbene sia detto al singolare:
Non nominare il nome di Dio, il divieto deve applicarsi non ad un solo
nome speciale, ma a tutti quelli che sogliono attribuirsi a Dio. Essi
sono parecchi: ad esempio: Signore, Onnipotente, Signore degli eserciti,
Re dei re, Forte, e altri simili, contenuti nella Scrittura, i quali
tutti esigono uguale venerazione.
Insegnerà poi in quale modo debba prestarsi il debito onore al nome
divino, perché il popolo Cristiano, le cui labbra devono sciogliere inni
ardenti di lode a Dio, non può ignorare queste cose, utilissime, anzi
necessarie alla salvezza. Molteplici sono le forme in cui può esprimersi
la lode del nome divino. Ma in quello che siamo per dire sembra compresa
l'importanza di tutte le altre.
Lodiamo innanzi tutto il Signore quando, al cospetto di tutti, lo
riconosciamo fiduciosi come Dio e Signore nostro, professando insieme e
proclamando che Gesù Cristo è l'autore della nostra salvezza. Lo stesso,
quando attendiamo amorosamente alla conoscenza della parola, con cui si
è espressa la volontà di Dio, meditandola assiduamente, studiandola con
cura, leggendo o ascoltando, secondo le capacità e le incombenze di
ciascuno di noi.
Parimente veneriamo e celebriamo il nome divino, quando celebriamo, per
dovere o per sentimento di pietà, le lodi divine, e a Dio rendiamo
grazie per ogni evento, prosperò o avverso che sia. Dice il profeta:
Benedici, o anima mia, il Signore e non dimenticare le sue elargizioni (Ps
102,2). Sono parecchi i salmi davidici in cui sono soavissimamente
cantate, con senso squisito, le lodi di Dio. Ed è sommamente eloquente
il fatto di Giobbe esempio di pazienza, il quale, piombato in disgrazie
terribili, non ristette giammai dal lodare Dio con animo invitto. Anche
noi dunque, quando siamo afflitti dai dolori dei sensi e dello spirito,
o siamo straziati dalla sventura, rivolgiamo le nostre forze alla lode
alta di Dio, con la frase di Giobbe: Sia benedetto il nome del Signore (Jb
1,21).
Non si loda meno il Signore, però, invocandone fiduciosamente il
soccorso affinché ci liberi dai mali, o almeno ci infonda forza e
costanza per tollerarli serenamente. Il Signore stesso vuole che cosi
facciamo: Invocami nel di della tribolazione; ti libererò e tu mi
renderai onore (Ps 49,15). Implorazioni di questo genere trovano
mirabili esempi in copiosi passi biblici e specialmente nei salmi 16, 43
e 118.
Infine noi onoriamo il nome di Dio quando, a garanzia della parola data,
lo invochiamo a testimone. Simile maniera di onorarlo differisce
notevolmente dalle precedenti. Quelle che abbiamo enunciato, infatti,
sono di loro natura cosi commendevoli che nulla v'è per gli uomini di
più beatificante e di più desiderabile del trascorrere in esse notte e
giorno. David esclama: Canterò le lodi del Signore in ogni istante; la
sua lode fiorirà incessantemente sulle mie labbra (Ps 33,2).
Invece il giuramento per quanto buono in sé, non può essere lodevolmente
usato di frequente. E la ragione della divergenza sta in ciò, che il
giuramento fu istituito solo per essere un rimedio alla umana fragilità,
quale strumento di prova per quanto asseriamo. Ora, come le medicine
corporali vanno usate solo quando è necessario, e l'uso loro frequente
rappresenta un pericolo, cosi il giuramento non può essere benefico, se
non in caso di grave e seria opportunità. Se troppo spesso è ripetuto,
lungi dal giovare, finisce col recare sensibile danno.
Opportunamente insegna san Giovanni Crisostomo che il giuramento entro
nelle consuetudini umane molto tardi, quando nel mondo, non più giovane,
ma adulto, il male si era propagato per lungo e per largo; tutto era
fuori del proprio ordine; tutto era perturbato e sconvolto in una vasta
confusione; e, per disgrazia più grande di ogni altra, gli uomini tutti
erano caduti in una ripugnante schiavitù dinanzi agli idoli. Allora,
poiché nessuno, in mezzo alla iniqua doppiezza universale, poteva
credere alla parola altrui, fu giocoforza invocarvi sopra la
testimonianza di Dio.
310.
Definizione del giuramento
Nell'ambito di questa parte del comandamento, il fine principale è di
istruire i fedeli sul modo di usare santamente il giuramento. Il Parroco
quindi insegnerà innanzi tutto che giurare è chiamare Dio in testimonio,
qualunque sia la formula adoperata per farlo. Dire: Dio mi è testimone,
o: Per Iddio, è la stessa cosa. Si ha ancora giuramento quando, per
ispirare fiducia, giuriamo nel nome di certe cose create, quali, ad
esempio, i Vangeli sacri di Dio, la Croce, le reliquie dei santi, il
loro nome e simili. Ma poiché simili cose di suo non sono capaci di
conferire autorità e forza a un giuramento - e ciò può farlo solo Dio,
la cui divina maestà si riflette in esse - ne segue che chi giura per il
Vangelo, giura per Dio stesso, la verità del quale è contenuta e
illustrata nei Vangeli. Lo stesso dicasi dei santi, che furono templi di
Dio, credettero nella verità evangelica, la rispettarono con ogni
ossequio, la propagarono fra i popoli.
Il giuramento è pure implicito in alcune formule di esecrazione, come
quella adoperata da san Paolo: Invoco Dio a testimone contro l'anima mia
(2Co 1,23). Chi pronunzia la formula del giuramento in questo
modo, si sottopone al giudizio di Dio, vendicatore della menzogna. Non
neghiamo che alcune di queste formule possono intendersi prive della
forza di un giuramento; sarà utile però applicare anche ad esse le
regole e le osservazioni formulate per il giuramento propriamente detto.
Vi sono due generi di giuramenti: col primo, detto assertorio,
affermiamo con forza religiosa una cosa passata o presente. Cosi dice
l'Apostolo nella lettera ai Galati: Dio mi è testimone che io non
mentisco (Ga 1,20). Col secondo, detto promissorio, che comprende
anche le minacce e riguarda il futuro, promettiamo e assicuriamo una
cosa futura. A questa seconda categoria appartiene, per esempio, la
promessa solenne fatta da David alla moglie Bersabea, nel nome di Dio,
che suo figlio Salomone sarebbe stato l'erede del trono e gli sarebbe
succeduto (1R 1,29).
311. Condizioni del
giuramento legittimo
All'essenza del giuramento basta il chiamare Dio in testimone;
ma perché esso sia giusto e santo si richiedono parecchie altre
condizioni che devono spiegarsi con cura. Come attesta san Girolamo, le
ha brevemente enunciate Geremia, quando scrisse: Giurerai, viva il
Signore, con verità, con ponderazione, e con giustizia (Jr 4,2).
Con queste poche parole egli ha riassunto gli elementi del perfetto
giuramento: verità, ponderazione del giudizio e giustizia.
Al primo posto nel giuramento deve stare la verità, in quanto
l'asserzione giurata deve essere vera e chi la emette la sappia tale,
non per una leggera o temeraria congettura, ma in forza di saldissimi
argomenti. Anche il giuramento promissorio esige la verità, dovendo,
colui che promette, avere il proposito saldo di mantenere a suo tempo la
promessa. L'uomo probo non si disporrà mai a promettere cosa contraria
ai santissimi precetti di Dio; e quel che avrà promesso di fare con
giuramento, giammai lo muterà, a meno che la situazione di fatto non sia
cosi sostanzialmente cambiata che mantener la promessa significherebbe
incorrere nell'ira di Dio offeso. Anche David mostra quanto la verità
sia necessaria nel giuramento, col definire giusto colui che giura in
favore del prossimo, e non sa ingannare (Ps 14,4).
Segue il giudizio ponderato: non si deve giurare avventatamente, ma a
ragion veduta. Chi vuoi giurare, rifletta anzi tutto se ce n'è la
necessità, e consideri la situazione in tutti i suoi aspetti, per
accertarsi che veramente esige il giuramento. Tenga conto del tempo, del
luogo e di tutte le altre circostanze. Non si faccia trascinare da odio,
da amore o da qualsiasi altro perturbamento spirituale, ma solo dalla
necessità delle cose. Se simile accurata indagine non sarà stata
premessa, il giuramento sarà senza dubbio temerario, com'è quello di
coloro che per le cose più futili, senza alcun serio motivo, quasi per
una pessima consuetudine contratta, giurano ad ogni istante. Cosi fanno
ogni giorno venditori e compratori; quelli per vendere a più alto
prezzo, questi per comprare a più basso: gli uni e gli altri esaltano o
deprezzano, giurando, la mercanzia. E poiché i giovanetti mancano a
causa dell'età di quell'acume che è necessario alla ponderazione
richiesta dal giuramento, papa san Cornelio stabili che non si chieda
mai il giuramento a ragazzi di età inferiore ai quattordici anni, epoca
della pubertà.
Infine la giustizia: questa è necessaria soprattutto nei giuramenti
promissori; perciò chi promette il disonesto e l'ingiusto pecca
giurando, e accumula peccato su peccato, se mantiene la promessa.
Abbiamo di ciò un esempio nel Vangelo, dove si narra del re Erode che,
vincolato da una perfida promessa, dono in premio alla ballerina la
testa di san Giovanni Battista (Mc 6,23). E può ricordarsi anche
il giuramento degli Ebrei, che, secondo il racconto degli Atti degli
Apostoli, giurarono di non mangiare finché non avessero ucciso san Paolo
(Ac 23,12).
Chi rispetti tutte queste clausole e circondi il giuramento con queste
condizioni, come altrettanti presidi, potrà con tranquilla coscienza
giurare, come si può mostrare con molti argomenti. L'immacolata e santa
Legge di Dio non comanda forse: Temerai il Signore Dio tuo; a lui solo
servirai; nel suo nome giurerai? (Dt 6,10-13). E David ha
lasciato scritto: Saranno lodati tutti coloro che giureranno nel suo
nome (Ps 42,12). Del resto la Scrittura mostra come gli stessi
luminari della Chiesa, i santissimi Apostoli, ricorsero al giuramento,
come risulta pure dalle lettere di san Paolo. Si aggiunga che gli stessi
angeli giurano talora, poiché è detto nell'Apocalisse di san Giovanni
evangelista che un Angelo giuro nel nome di Colui che vive nei secoli
(10,3). Anzi giura Dio stesso, signore degli Angeli. Leggiamo infatti
nel vecchio Testamento che Dio ripetute volte corrobora con giuramento
le sue promesse ad Abramo (Gn 22,16 Ex 33,1) e a David, il quale
esclama a proposito del giuramento di Dio: Ha giurato il Signore, e non
se ne pentirà: tu sei sacerdote in eterno, secondo l'ordine di
Melchisedec (Ps 109,4).
La ragione stessa spiega agevolmente come il giuramento sia lodevole se
ne indaghiamo attentamente l'origine e la finalità. Il giuramento
infatti nasce dalla fede che gli uomini hanno in Dio, autore di tutta la
verità, incapace cosi di ingannarsi come di ingannare, agli occhi del
quale tutto appare senza veli (He 4,13), che provvede con
meravigliosa provvidenza e regge l'universo. Vivendo in tale fede, gli
uomini invocano Dio a testimone della verità, perché è cosa empia non
credere a lui. Il giuramento infine tende unicamente a comprovare la
giustizia e l'innocenza umana, a chiudere le liti e le controversie,
come insegna l'Apostolo nella sua lettera agli Ebrei (He 6,16).
A tale dottrina non possono contrapporsi le parole del Salvatore in san
Matteo: Udiste che fu detto agli antichi: Non spergiurare; ma adempi i
tuoi giuramenti al Signore. Io però vi dico di non giurare in modo
alcuno, né per il cielo che è trono di Dio; né per la terra, che è
sgabello dei suoi piedi; né per Gerusalemme, che è la città del gran Re.
Non giurare per la tua testa, perché non puoi far bianco o nero un solo
capello. Ma sia il vostro parlare: Si, si; No, no: il di più viene dal
maligno (Mt 5,33).
Non può infatti scorgersi in queste parole una proibizione formale e
generale del giuramento, dal momento che abbiamo visto sopra come lo
stesso Signore e gli Apostoli hanno giurato più volte. Dobbiamo pensare
piuttosto che Gesù Cristo volle biasimare la distorta opinione dei
Giudei, che nel giuramento fosse da evitarsi soltanto la menzogna,
finendo col giurare e col chiedere l'altrui giuramento ogni momento, per
le cose più insignificanti. Il Salvatore deplora questo pessimo costume
e impone di astenersi dal giurare, finché non lo richieda una necessità.
In realtà il giuramento è nato dalla fragilità umana e dal male; esso
sta a indicare l'incostanza di chi giura o la diffidenza di colui per
cui giuriamo, deciso a non credere in altra maniera. Però anche il
bisogno può essere sufficiente motivo di scusa. La frase del Salvatore:
Sia il vostro parlare: Si, si; No, no, mostra senza dubbio che il
giuramento è da lui vietato nelle conversazioni familiari, e che non
dobbiamo essere inclinati ad emetterlo ogni momento.
Intorno a ciò dovranno essere caldamente ammoniti i fedeli, poiché, come
mostrano le Scritture e gli insegnamenti dei Padri, mali pressoché
infiniti sgorgano dalla eccessiva facilità a giurare. E scritto
nell'Ecclesiastico: Il tuo labbro non contragga l'abitudine del giurare:
essa porta molti al precipizio. E poco dopo: L'uomo che giura molto, si
riempirà di cattiveria e i malanni assedieranno la sua casa (Si
33,9-12). Molte belle considerazioni in materia si trovano nelle
opere di san Basilio e di sant'Agostino contro la menzogna.
Fin qui abbiamo parlato di quel che è comandato; parliamo ora di quel
che è vietato dal secondo comandamento.
312.
Come si pecca contro questo comandamento
Ci
viene proibito di invocare invano il nome di Dio. E quindi chiaro che
pecca gravemente chi formula giuramenti senza motivo, ma temerariamente.
La gravita della colpa traspare dalle stesse parole: Non invocherai
invano il nome del tuo Dio, quasi volesse cosi addurre la ragione per
cui simile colpa è tanto grave e riprovevole, in quanto lede la maestà
di Colui che noi riconosciamo come nostro Dio e Signore.
E cosi vietato innanzi tutto di giurare il falso. Chi non rifugge dal
peccato di porre sotto la garanzia di Dio il falso, fa gravissima
ingiuria a Dio, attribuendogli o l'ignoranza, per cui suppone che non
conosca una determinata verità, o una certa deformità di affetti, per
cui lo suppone disposto a corroborare col proprio nome la menzogna. Né
giura falsamente solo colui che con giuramento afferma per vero quanto
sa che è falso, ma anche chi giurando sostiene una cosa che, vera in sé,
è però da lui reputata falsa. Menzogna infatti è asserzione difforme
dall'intimo convincimento; perciò anche costui mentisce ed è spergiuro.
Parimenti è spergiuro chi afferma con giuramento una cosa che ritiene
vera, ed è falsa, sempre nel caso che non abbia adottato tutte le
precauzioni per formarsi un concetto chiaro e sicuro della medesima; in
tal caso, sebbene fra parola e pensiero vi sia corrispondenza, costui
contravviene al precetto. E vi contravviene pure chi promette con
giuramento di far qualcosa, e poi, o si propone di non farla, o
effettivamente non la fa. Tale valutazione si applica anche a coloro che
fecero a Dio un voto e non mantengono.
Si manca al precetto anche quando manchi la giustizia, uno dei tre
coefficienti del giuramento legittimo. Chi giuri di commettere un
peccato mortale, un omicidio, ad esempio, pecca contro il comandamento,
per quanto parli seriamente e sinceramente, e il suo giuramento abbia
quella nota di verità, che già indicammo come indispensabile.
Vanno segnalati anche quei tipi di giuramento, che nascono da un
sentimento di dispregio, come nel caso di chi giuri di non voler
obbedire ai consigli evangelici, che esortano al celibato e alla
povertà. Sebbene nessuno sia obbligato ad osservarli, chi però giuri con
solennità di non volerli seguire, mostra di disprezzare e calpestare i
consigli divini.
Inoltre viola questo precetto e pecca consapevolmente colui che giura il
vero, sapendolo tale solo in base a fragili e remote congetture.
Infatti, sebbene la verità accompagni simile giuramento, esso in qualche
modo implica 11falso, in quanto il giurare cosi negligentemente espone
al più grande pericolo di spergiuro. Infine giura abusiva mente chi
giura per gli dèi falsi e bugiardi. Qual cosa più difforme dalla verità
che l'invocare a testimoni divinità menzognere e illusione, al posto del
vero Dio?
Vietando lo spergiuro, la Scrittura dice: Non contaminerai il nome del
tuo Dio (Lv XIX,22). E proibita dunque ogni disistima di tutto ciò a
cui, in virtù di questo comandamento, dobbiamo ossequio; e fra l'altro,
della parola di Dio, veneranda agli occhi non solo delle persone pie, ma
anche delle empie, come mostra nel Libro dei Giudici il racconto che
riguarda Eglon re dei Moabiti (3,20). Orbene, gravissima ingiuria si
arreca alla parola di Dio torcendo la Scrittura dal suo retto
significato all'asserzione di dottrine eretiche ed empie. Ci ammonisce
in proposito il Principe degli apostoli: Vi sono nelle Scritture frasi
ardue che gli ignoranti e i superficiali fraintendono a loro dannazione
(2 Pietr. 3,16). Parimente la Sacra Scrittura è contaminata quando le
sue venerabili sentenze, da uomini sconsigliati, sono tratte a
significati profani, sconvenienti, favolosi, sciocchi, magici,
calunniosi e simili. Il sacro Concilio Tridentino vuole che si avverta
che ciò non si può fare senza peccato.
Infine, come onorano Dio coloro che ne implorano il soccorso nelle
calamità, cosi gli negano il dovuto onore coloro che non ne invocano
l'aiuto. David li redarguisce: Non invocarono il Signore, e tremarono di
paura quando non v'era ragione di temere (Ps 13,5).
Ma di ben più detestabile scelleratezza si rendono rei coloro che osano,
con labbra vergognosamente impure, bestemmiare e maledire il nome santo
di Dio, che tutte le creature dovrebbero magnificare e benedire; oppure
il nome dei santi che regnano con Dio. Questo peccato è cosi mostruoso
che la Scrittura talora, dovendo parlare della bestemmia, preferisce
parlare di benedizione (1R 21,13).
313.
Pene per i trasgressori del precetto
Poiché l'orrore per la punizione e il supplizio suole efficacemente
comprimere l'inclinazione a peccare, il Parroco che vuole eccitare più
vivamente l'animo dei fedeli e stimolarlo al rispetto del comandamento,
ne spiegherà convenientemente la seconda parte o appendice:Il Signore
non riterrà innocente colui, che abbia invocato vanamente il nome del
Signore stesso, suo Dio (Ex 20,7). Insegni innanzi tutto che
ragionevolmente sono state unite al precetto le minacce che lumeggiano
la gravita della colpa e la misericordia divina verso di noi. Egli non
si compiace della dannazione degli uomini e per indurci a evitare la sua
ira punitrice, ci atterrisce con salutari minacce, affinché preferiamo
sperimentarlo benevolo, anziché irato. Insista dunque il Pastore su
questo punto con ogni cura; faccia conoscere al popolo l'orrore della
colpa, ne insinui più veemente abominazione, affinché i fedeli siano più
diligenti nell'evitarla.
Voglia inoltre mostrare come sia sviluppata nell'uomo la tendenza a
commetterla, non essendo stato sufficiente promulgare la legge, poiché
fu necessario aggiungerle delle minacce. Non si può immaginare quanto
tale considerazione sia proficua. Come nulla è più pernicioso della
spavalda sicurezza d'animo, cosi nulla è più giovevole della
consapevolezza della propria nullità. Infine, spieghi come Dio non abbia
stabilito alcun determinato supplizio, ma semplicemente dichiarato che
chiunque si macchia di questo delitto, non sfuggirà alla vendetta. Per
cui devono esserci di monito le nostre pene quotidiane, potendosi
plausibilmente congetturare che gli uomini sono colpiti da sventure
perché non obbediscono a questo precetto. Ed è probabile che riflettendo
a ciò, se ne guarderanno più premurosamente per l'avvenire. In
conclusione, ripieni di santo timore, i fedeli fuggano con ogni studio
questo peccato. Se nel di del giudizio ci sarà chiesto conto di ogni
parola oziosa (Mt 13,36), che cosa dire dei peccati più gravi,
che implicano una diretta offesa al nome divino?
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