www.maranatha.it


 
SANCTUS

 

Sanctus. Affinché ciò facciano più degnamente, sono invitati a celebrare la maestà di Dio con gli Angeli e tutta la corte celeste, dicendo Sanctus etc. come Is 6,3 in cielo i Serafini “cantavano con voci alterne”. La versione antica: “Deus Sabaoth”; la Vulgata: “Deus exercituum”[1]. È chiamato Inno Serafico o Angelico o Trisaghio[2]; anche inno trionfale per la seconda parte dell’inno Benedictus qui venit etc., con le quali parole le folle[3] acclamavano il Signore in trionfale ingresso.

 

Il rito si confà alle parole. Al Dominus vobiscum nell’inizio del Prefazio il Sacerdote non si volge al popolo, che aveva quasi congedato all’Orate fratres, né una volta poteva vederlo a causa del velo appeso intorno all’Altare. Le mani sono poste sull’Altare perché significhi che prima è da deporre ogni pensiero terreno, per entrare come insieme agli Angeli in cielo nella nube dei pensieri celesti. Nelle altre cerimonie al Prefazio, Sanctus e Benedictus, il significato si rivela facile.

 


 

[1]  Entrambe le versioni hanno il significato sostanziale di «Dio degli eserciti»; la prima, in uso nella Liturgia e che traslittera una parola ebraica, suona meglio come «Dio delle schiere/delle milizie».

[2] Altro Trisaghio nelle Preci Feriali a Prima: “Sanctus Deus, Sanctus fortis, Sanctus immortalis, miserere nobis”; ed un altro in latino e greco nella Feria VI in Parasceve agli Improperi: “Aghios o Theos, Aghios ischyros, Aghios athanatos, eleison imas”. [ Veramente questi ultimi due sono lo stesso inno in latino e in greco, che è cantato  anche nella Messa bizantina, e suona come «Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi». Il nome Trisaghio, vuol dire “Tre volte Santo”. Non lo si trova più nel Breviario semplicemente perché le Preci a Prima, tanto Domenicali quanto Feriali, sono state soppresse dalla riforma che ne fece Giovanni XXIII].

[3] Matt 21.