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Il Sacerdote offre al Padre questo Sacrificio

 

Sopra queste offerte dégnati di posare il tuo sguardo favorevole e benevolo; accettale come hai voluto accettare i doni del tuo servo Abele il giusto, il sacrificio di Abramo, nostro patriarca, e quello di Melchisedech, tuo sommo sacerdote, offerta santa, sacrificio senza macchia.

 

Il Sacerdote raccomanda la Vittima al Padre (con l’orazione Supra quæ), rievocando la memoria dei tre sacrifici che dall’origine del mondo si degnò di avere accetti, cioè quello di Abele, di Abramo e di Melchisedech, “che rappresentano propriamente la figura della Passione di Cristo e anzi della sua santissima Cena”[1].

 

Il Sacerdote prega perché Dio propitio ac sereno vultu respicere dignetur [«si degni di posare uno sguardo favorevole e benigno»] (cfr. Gen 4,4) sopra questi doni del Corpo e Sangue di Cristo; “anche se a Dio Padre è sempre accetta l’oblazione, sia da parte della cosa che è offerta sia da parte di Cristo che è l’offerente principale; ma potendo accadere che dalla parte del Sacerdote o del popolo non sia accetta, per questo il Sacerdote supplica Dio che posi uno sguardo favorevole e benigno sulle oblate”[2] prega perché l’azione e la devozione del Sacerdote piaccia a Dio come la devozione degli antichi padri (la devozione in Abele, la fede in Abramo, il culto in Melchisedech[3]), o perché, interpellante il Figlio, Dio sia per noi placabile e propizio.


 

[1] S. Bonaventura.

[2] Benedetto XIV.

[3] Dio gradì il sacrificio del giusto Abele a differenza di quello fatto da suo fratello Caino; nel sacrificio che Abramo stava per compiergli del figlio Isacco ebbe la conferma della sua fede; Melchisedech è una figura sconosciuta e comparsa all’improvviso (mentre tutti i personaggi della Bibbia hanno una rigorosa collocazione genealogica, secondo la cultura semitica e delle popolazioni orientali), che benedì Abramo e offrì in sacrificio pane e vino, figura del Sacrificio nuovo e del Sacerdozio inaugurato da Cristo non fondato sulla discendenza carnale e che anzi ha la supremazia sulla stirpe abramitica (cfr. Sal 109,4; Ebr 7,1-19, 11,4.17-19).