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GIOVANNI
PAOLO II - Lettera enciclica:
REDEMPTORIS
MISSIO
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Introduzione
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Introduzione
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Parte I
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Gesù
Cristo unico salvatore
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Parte II
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Il
Regno di Dio
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Parte III
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Lo
Spirito Santo protagonista della missione
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Parte IV
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Gli
immensi orizzonti della missione "Ad Gentes"
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Parte V
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Le
vie della missione
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Parte VI
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I
responsabili e gli operatori della pastorale missionaria
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Parte VII
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La
cooperazione all'attività missionaria
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Parte VIII
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La
spiritualità missionaria
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Conclusione
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Conclusione
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Note
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Note
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LETTERA
ENCICLICA
REDEMPTORIS
MISSIO
DI SUA SANTITA'
GIOVANNI PAOLO II
CIRCA LA PERMANENTE VALIDITA'
DEL MANDATO MISSIONARIO
Venerati
Fratelli, carissimi Figli e Figlie,
salute e Apostolica Benedizione!
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INTRODUZIONE
1.
La missione di Cristo redentore, affidata alla chiesa, è ancora ben lontana dal
suo compimento. Al termine del secondo millennio dalla sua venuta uno sguardo
d'insieme all'umanità dimostra che tale missione è ancora agli inizi e che
dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio. È lo Spirito che spinge
ad annunziare le grandi opere di Dio: «Non è infatti per me un vanto predicare
il vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il vangelo!».
(1Cor9,16) A nome di tutta la chiesa, sento imperioso il dovere di ripetere
questo grido di san Paolo. Già dall'inizio del mio pontificato ho scelto di
viaggiare fino agli estremi confini della terra per manifestare la sollecitudine
missionaria, e proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo mi
ha ancor più convinto dell'urgenza di tale attività, a cui dedico la presente
enciclica. Il concilio Vaticano II ha inteso rinnovare la vita e l'attività
della chiesa secondo le necessità del mondo contemporaneo: ne ha sottolineato
la «missionarietà» fondandola dinamicamente sulla stessa missione trinitaria.
L'impulso missionario, quindi, appartiene all'intima natura della vita cristiana
e ispira anche l'ecumenismo: «Che tutti siano una cosa sola...., perché il
mondo creda che tu mi hai mandato». (Gv17,21)
2.
Molti sono già stati i frutti missionari del concilio: si sono moltiplicate le
chiese locali fornite di propri vescovi, clero e personale apostolico; si
verifica un più profondo inserimento delle comunità cristiane nella vita dei
popoli; la comunione fra le chiese porta a un vivace scambio di beni spirituali
e di doni; l'impegno evangelizzatore dei laici sta cambiando la vita ecclesiale;
le chiese particolari si aprono all'incontro, al dialogo e alla collaborazione
con i membri di altre chiese cristiane e religioni. Soprattutto si sta
affermando una coscienza nuova: cioè che la missione riguarda tutti i
cristiani, tutte le diocesi e parrocchie, le istituzioni e associazioni
ecclesiali.
Tuttavia,
in questa «nuova primavera» del cristianesimo non si può nascondere una
tendenza negativa, che questo documento vuol contribuire a superare: la missione
specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento, non certo in linea con le
indicazioni del concilio e del magistero successivo. Difficoltà interne ed
esterne hanno indebolito lo slancio missionario della chiesa verso i non
cristiani, ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in
Cristo.
Nella
storia della chiesa, infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di
vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi di fede. (1) A
venticinque anni dalla conclusione del concilio e dalla pubblicazione del
decreto sull'attività missionaria Ad gentes, a quindici anni dall'esortazione
apostolica Evangelii nuntiandi del pontefice Paolo VI di v.m., desidero invitare
la chiesa a un rinnovato impegno missionario, continuando il magistero dei miei
predecessori a tale riguardo. (2)
Il
presente documento ha una finalità interna: il rinnovamento della fede e della
vita cristiana. La missione, infatti, rinnova la chiesa, rinvigorisce la fede e
l'identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si
rafforza donandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà
ispirazione e sostegno nell'impegno per la missione universale. Ma ciò che
ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è
che essa costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo
e all'intera umanità nel mondo odierno, il quale conosce stupende conquiste, ma
sembra avere smarrito il senso delle realtà ultime e della stessa esistenza. «Cristo
redentore - ho scritto nella prima enciclica - rivela pienamente l'uomo a se
stesso... L'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo... deve
avvicinarsi a Cristo... La redenzione, avvenuta per mezzo della croce, ha ridato
definitivamente all'uomo la dignità e il senso della sua esistenza nel mondo».
(3) Né mancano altre motivazioni e finalità: rispondere alle molte richieste
per un documento di questo genere dissipare dubbi e ambiguità circa la missione
ad gentes, confermando nel loro impegno i benemeriti fratelli e sorelle dediti
all'attività missionaria e tutti coloro che li aiutano; promuovere le vocazioni
missionarie, incoraggiare i teologi ad approfondire ed esporre sistematicamente
i vari aspetti della missione; rilanciare la missione in senso specifico,
impegnando le chiese particolari specie quelle giovani, a mandare e ricevere
missionari, assicurare i non cristiani e, in particolare, le autorità dei paesi
verso cui si rivolge l'attività missionaria, che questa ha un unico fine:
servire l'uomo rivelandogli l'amore di Dio, che si è manifestato in Gesù
Cristo.
3.
Popoli tutti, aprite le porte a Cristo! Il suo vangelo nulla toglie alla libertà
dell'uomo, al dovuto rispetto delle culture, a quanto c'è di buono in ogni
religione. Accogliendo Cristo, voi vi aprite alla parola definitiva di Dio, a
colui nel quale Dio si è fatto pienamente conoscere e ci ha indicato la via per
arrivare a lui. Il numero di coloro che ignorano Cristo e non fanno parte della
chiesa è in continuo aumento, anzi dalla fine del concilio è quasi
raddoppiato. Per questa umanità immensa, amata dal Padre che per essa ha
inviato il suo Figlio, è evidente l'urgenza della missione. D'altra parte, in
questo campo il nostro tempo offre nuove occasioni alla chiesa: il crollo di
ideologie e di sistemi politici oppressivi; l'apertura delle frontiere e il
formarsi di un mondo più unito grazie all'incremento delle comunicazioni,
l'affermassi tra i popoli di quei valori evangelici, che Gesù ha incarnato
nella sua vita (pace, giustizia, fraternità, dedizione ai più piccoli); un
tipo di sviluppo economico e tecnico senz'anima, che pur sollecita a ricercare
la verità su Dio, sull'uomo, sul significato della vita. Dio apre alla chiesa
gli orizzonti di un'umanità più preparata alla semina evangelica. Sento venuto
il momento di impegnare tutte le forze ecclesiali per la nuova evangelizzazione
e per la missione ad gentes. Nessun credente in Cristo, nessuna istituzione
della chiesa può sottrarsi a questo dovere supremo: annunziare Cristo a tutti i
popoli.
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PARTE
I
GESÙ
CRISTO UNICO SALVATORE
4.
«Il compito fondamentale della chiesa di tutte le epoche e, in modo
particolare, della nostra - ricordavo nella prima enciclica programmatica - è
di dirigere lo sguardo dell'uomo, di indirizzare la coscienza e l'esperienza di
tutta l'umanità verso il mistero di Cristo». (4)
La
missione universale della chiesa nasce dalla fede in Gesù Cristo, come si
dichiara nella professione della fede trinitaria: «Credo in un solo Signore,
Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli...
Per
noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito
santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo». (5)
Nell'evento della redenzione è la salvezza di tutti, «perché ognuno è stato
compreso nel mistero della redenzione e con ognuno Cristo si è unito, per
sempre, attraverso questo mistero». (6) Soltanto nella fede si comprende e si
fonda la missione.
Eppure,
anche a causa dei cambiamenti moderni e del diffondersi di nuove idee teologiche
alcuni si chiedono:
È
ancora attuale la missione tra i non cristiani? Non è forse sostituita dal
dialogo inter-religioso? Non è un suo obiettivo sufficiente la promozione
umana? Il rispetto della coscienza e della libertà non esclude ogni proposta di
conversione? Non ci si può salvare in qualsiasi religione? Perché quindi la
missione?
«Nessuno
viene al Padre se non per mezzo di me».
5.
Risalendo alle origini della chiesa, troviamo chiaramente affermato che Cristo
è l'unico salvatore (Gv14,6) di tutti colui che solo è in grado di rivelare
Dio e di condurre a Dio. Alle autorità religiose giudaiche che interrogano gli
apostoli in merito alla guarigione dello storpio, da lui operata, Pietro
risponde: «Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che
Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo... in nessun
altro c'è salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il
cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati». (At4,10) Questa
affermazione, rivolta al sinedrio, ha un valore universale, poiché per tutti -
giudei e gentili - la salvezza non può venire che da Gesù Cristo.
L'universalità di questa salvezza in Cristo e affermata in tutto il Nuovo
Testamento. San Paolo riconosce in Cristo risorto il Signore: «In realtà -
scrive anche se ci sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti
ci sono molti dèi e molti signori, per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal
quale tutto proviene, e noi siamo per lui; e c'è un solo Signore, Gesù Cristo,
in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui». (1Cor8,5)
L'unico Dio e l'unico Signore sono affermati in contrasto con la moltitudine di
«dèi» e «signori» che il popolo ammetteva. Paolo reagisce contro il
politeismo dell'ambiente religioso del suo tempo e pone in rilievo la
caratteristica della fede cristiana: fede in un solo Dio e in un solo Signore,
inviato da Dio. Nel vangelo di san Giovanni questa universalità salvifica di
Cristo comprende gli aspetti della sua missione di grazia, di verità e di
rivelazione: «Il Verbo è la luce vera, che illumina ogni uomo». (Gv1,9) E
ancora: «Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel
seno del Padre, lui lo ha rivelato». (Gv1,18); (Mt11,27) La rivelazione di Dio
si fa definitiva e completa a opera del suo Figlio unigenito: «Dio, che nei
tempi antichi aveva già parlato molte volte e in diversi modi ai padri per
mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del
Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto
anche il mondo». (Eb1,1); (Gv14,6) In questa Parola definitiva della sua
rivelazione Dio si è fatto conoscere nel modo più pieno: egli ha detto
all'umanità chi è. E questa autorivelazione definitiva di Dio è il motivo
fondamentale per cui la chiesa è per sua natura missionaria. Essa non può non
proclamare il vangelo, cioè la pienezza della verità che Dio ci ha fatto
conoscere intorno a se stesso. Cristo è l'unico mediatore tra Dio e gli uomini:
«Uno solo, infatti, è Dio, e uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini,
l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa
testimonianza egli l'ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto
messaggero e apostolo - dico la verità, non mentisco -, maestro dei pagani
nella fede e nella verità». (1Tm2,5); (Eb4,14) Gli uomini, quindi, non possono
entrare in comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto l'azione dello
Spirito. Questa sua mediazione unica e universale, lungi dall'essere di ostacolo
al cammino verso Dio, è la via stabilita da Dio stesso, e di ciò Cristo ha
piena coscienza. Se non sono escluse mediazioni partecipate di vario tipo e
ordine, esse tuttavia attingono significato e valore unicamente da quella di
Cristo e non possono essere intese come parallele e complementari.
6.
È contrario alla fede cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il
Verbo e Gesù Cristo. San Giovanni afferma chiaramente che il Verbo, che «era
in principio presso Dio», è lo stesso che «si fece carne»: (Gv1,2) Gesù è
il Verbo incarnato, persona una e indivisibile. Non si può separare Gesù da
Cristo, né parlare di un «Gesù della storia», che sarebbe diverso dal «Cristo
della fede». La chiesa conosce e confessa Gesù come «il Cristo, il Figlio del
Dio vivente»: (Mt16,16) Cristo non è altro che Gesù di Nazareth, e questi è
il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti. In Cristo «abita
corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col2,9) e «dalla sua
pienezza noi tutti abbiamo ricevuto». (Gv1,16) «Il Figlio unigenito, che è
nel seno del Padre», (Gv1,18) è «il Figlio diletto, per opera del quale
abbiamo la redenzione... Piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per
mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, pacificando col sangue della sua
croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli».
(Col1,13) È proprio questa singolarità unica di Cristo che a lui conferisce un
significato assoluto e universale, per cui, mentre è nella storia, è il centro
e il fine della stessa storia: (7) «Io sono l'alfa e l'omega, il primo e
l'ultimo, il principio e la fine». (Ap22,13) Se, dunque, è lecito e utile
considerare i vari aspetti del mistero di Cristo, non bisogna mai perdere di
vista la sua unità. Mentre andiamo scoprendo e valorizzando i doni di ogni
genere, soprattutto le ricchezze spirituali, che Dio ha elargito a ogni popolo,
non possiamo disgiungerli da Gesù Cristo, il quale sta al centro del piano
divino di salvezza. Come «con l'incarnazione il Figlio di Dio s'è unito in un
certo modo a ogni uomo», così «dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a
tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col
mistero pasquale. (8) Il disegno divino è «di ricapitolare in Cristo tutte le
cose, quelle del cielo come quelle della terra». (Ef1,10)
La
fede in Cristo è una proposta alla libertà dell'uomo.
7.
L'urgenza dell'attività missionaria emerge dalla radicale no vita di vita,
portata da Cristo e vissuta dai suoi discepoli. Questa nuova vita è dono di
Dio, e all'uomo è richiesto di accoglierlo e di svilupparlo, se vuole
realizzarsi secondo la sua vocazione integrale in conformità a Cristo. Tutto il
Nuovo Testamento è un inno alla vita nuova per colui che crede in Cristo e vive
nella sua chiesa. La salvezza in Cristo, testimoniata e annunziata dalla chiesa,
è autocomunicazione di Dio: «È l'amore che non soltanto crea il bene, ma fa
partecipare alla vita stessa di Dio: Padre, Figlio e Spirito santo. Infatti,
colui che ama, desidera donare se stesso». (9) Dio offre all'uomo questa novità
di vita. «Si può rifiutare Cristo e tutto ciò che egli ha portato nella
storia dell'uomo? Certamente si può. L'uomo è libero. L'uomo può dire a Dio:
no. L'uomo può dire a Cristo: no. Ma rimane la domanda fondamentale: È lecito
farlo? e in nome di che cosa è lecito?». (10)
8.
Nel mondo moderno c'è la tendenza a ridurre l'uomo alla sola dimensione
orizzontale. Ma che cosa diventa l'uomo senza apertura verso l'Assoluto? La
risposta sta nell'esperienza di ogni uomo, ma è anche inscritta nella storia
dell'umanità col sangue versato in nome di ideologie e da regimi politici, che
hanno voluto costruire un'«umanità nuova» senza Dio. (11) Del resto, a quanti
sono preoccupati di salvare la libertà di coscienza, risponde il concilio
Vaticano II: «La persona umana ha il diritto alla libertà religiosa...Tutti
gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui,
di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia
religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la coscienza, né sia impedito,
entro certi limiti, di agire in conformità a essa: privatamente o
pubblicamente, in forma individuale o associata». (12) L'annunzio e la
testimonianza di Cristo, quando sono fatti in modo rispettoso delle coscienze,
non violano la libertà. La fede esige la libera adesione dell'uomo, ma deve
essere proposta, poiché «le moltitudini hanno il diritto di conoscere la
ricchezza del mistero di Cristo, nel quale crediamo che tutta l'umanità può
trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su
Dio, sull'uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità... Per
questo la chiesa mantiene il suo slancio missionario e vuole, altresì,
intensificarlo nel nostro momento storico». (13) Bisogna dire anche, però,
sempre col concilio, che «a motivo della loro dignità tutti gli esseri umani,
in quanto sono persone, dotati cioè di ragione e di libera volontà e perciò
investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per
obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la
religione. Essi sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e
a ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze». (14)
La
Chiesa segno e strumento di salvezza
9.
Prima beneficiaria della salvezza è la chiesa: il Cristo se l'è acquistata col
suo sangue (At20,28) e l'ha fatta sua collaboratrice nell'opera della salvezza
universale. Infatti, Cristo vive in essa; è il suo sposo; opera la sua
crescita; compie la sua missione per mezzo di essa. Il concilio ha ampiamente
richiamato il ruolo della chiesa per la salvezza dell'umanità. Mentre riconosce
che Dio ama tutti gli uomini e accorda loro la possibilità della salvezza,
(1Tm2,4); (15) la chiesa professa che Dio ha costituito Cristo come unico
mediatore e che essa stessa è posta come sacramento universale di salvezza:
(16) «Tutti gli uomini, quindi, sono chiamati a questa cattolica unità del
popolo di Dio..., e a essa in vario modo appartengono o sono ordinati sia i
fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia tutti gli uomini
universalmente, chiamati a salvezza dalla grazia di Dio». (17) È necessario
tener congiunte queste due verità, cioè la reale possibilità della salvezza
in Cristo per tutti gli uomini e la necessità della chiesa in ordine a tale
salvezza. Ambedue favoriscono la comprensione dell'unico mistero salvifico, sì
da potere sperimentare la misericordia di Dio e la nostra responsabilità. La
salvezza, che è sempre dono dello Spirito, esige la collaborazione dell'uomo
per salvare sia se stesso che gli altri. Così ha voluto Dio, e per questo ha
stabilito e coinvolto la chiesa nel piano della salvezza: «Questo popolo
messianico - dice il concilio costituito da Cristo per una comunione di vita, di
carità e di verità, è pure da lui assunto quale strumento della redenzione di
tutti e, come luce del mondo e sale della terra, è inviato a tutto il mondo».
(18)
La
salvezza è offerta a tutti gli uomini
10.
L'universalità della salvezza non significa che essa è accordata solo a coloro
che, in modo esplicito, credono in Cristo e sono entrati nella chiesa. Se è
destinata a tutti, la salvezza deve essere messa in concreto a disposizione di
tutti. Ma è evidente che, oggi come in passato, molti uomini non hanno la
possibilità di conoscere o di accettare la rivelazione del vangelo, di entrare
nella chiesa. Essi vivono in condizioni socio-culturali che non lo permettono, e
spesso sono stati educati in altre tradizioni religiose. Per essi la salvezza di
Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa
relazione con la chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in
modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia
proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito
santo: essa permette a ciascuno di giungere alla salvezza con la sua libera
collaborazione. Per questo il concilio, dopo aver affermato la centralità del
mistero pasquale, afferma: «E ciò non vale solo per i cristiani, ma anche per
tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore opera invisibilmente la
grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti, e la vocazione ultima dell'uomo è
effettivamente una sola, quella divina, perciò, dobbiamo ritenere che lo
Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che
Dio conosce, col mistero pasquale». (19)
«
Noi non possiamo tacere »
(At 4,20)
11.
Che dire allora delle obiezioni, già ricordate, in merito alla missione ad
gentes? Nel rispetto di tutte le credenze e di tutte le sensibilità, dobbiamo
anzitutto affermare con semplicità la nostra fede in Cristo, unico salvatore
dell'uomo, fede che abbiamo ricevuto come dono dall'alto senza nostro merito.
Noi diciamo con Paolo: «Io non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di
Dio per la salvezza di chiunque crede». (Rm1,16) I martiri cristiani di tutti i
tempi anche del nostro hanno dato e continuano a dare la vita per testimoniare
agli uomini questa fede, convinti che ogni uomo ha bisogno di Gesù Cristo, il
quale ha sconfitto il peccato e la morte e ha riconciliato gli uomini con Dio.
Cristo si è proclamato Figlio di Dio, intimamente unito al Padre e, come tale,
è stato riconosciuto dai discepoli, confermando le sue parole con i miracoli e
la risurrezione da morte. La chiesa offre agli uomini il vangelo, documento
profetico, rispondente alle esigenze e aspirazioni del cuore umano: esso è
sempre «buona novella». La chiesa non può fare a meno di proclamare che Gesù
è venuto a rivelare il volto di Dio e a meritare con la croce e la
risurrezione, la salvezza per tutti gli uomini. All'interrogativo: perché la
missione? noi rispondiamo con la fede e con l'esperienza della chiesa che
aprirsi all'amore di Cristo è la vera liberazione. In lui, soltanto in lui
siamo liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla schiavitù al potere del
peccato e della morte. Cristo è veramente «la nostra pace», (Ef2,14) e «l'amore
di Cristo ci spinge», (2Cor5,14) dando senso e gioia alla nostra vita. La
missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo
e nel suo amore per noi. La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una
sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente
secolarizzato è avvenuta una «graduale secolarizzazione della salvezza», per
cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola
dimensione orizzontale. Noi invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la
salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai
mirabili orizzonti della filiazione divina. Perché la missione? Perché a noi,
come a san Paolo, «è stata concessa la grazia di annunziare ai pagani le
imperscrutabili ricchezze di Cristo». (Ef3,8) La novità di vita in lui è la
«buona novella» per l'uomo di tutti i tempi: a essa tutti gli uomini sono
chiamati e destinati.
Tutti
di fatto la cercano, anche se a volte in modo confuso, e hanno il diritto di
conoscere il valore di tale dono e di accedervi. La chiesa e, in essa, ogni
cristiano non può nascondere né conservare per sé questa novità e ricchezza,
ricevuta dalla bontà divina per esser comunicata a tutti gli uomini. Ecco perché
la missione, oltre che dal mandato formale del Signore, deriva dall'esigenza
profonda della vita di Dio in noi. Coloro che sono incorporati nella chiesa
cattolica devono sentirsi dei privilegiati, e per ciò stesso maggiormente
impegnati a testimoniare la fede e la vita cristiana come servizio ai fratelli e
doverosa risposta a Dio, memori che «la loro eccellente condizione non è da
ascrivere ai loro meriti, ma a una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi
corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, lungi dal salvarsi,
saranno più severamente giudicati». (20)
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PARTE
II
IL
REGNO Dl DIO
12.
«Dio, ricco di misericordia, è colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come
Padre: proprio il suo Figlio, in se stesso, ce l'ha manifestato e fatto
conoscere». (21) Questo scrivevo all'inizio dell'enciclica Dives in
misericordia, mostrando come il Cristo è la rivelazione e l'incarnazione della
misericordia del Padre. La salvezza consiste nel credere e accogliere il mistero
del Padre e del suo amore che si manifesta e si dona in Gesù mediante lo
Spirito. Così si compie il regno di Dio, preparato già dall'antica alleanza,
attuato da Cristo e in Cristo, annunciato a tutte le genti dalla chiesa, che
opera e prega affinché si realizzi in modo perfetto e definitivo. L'Antico
Testamento attesta che Dio si è scelto e formato un popolo, per rivelare e
attuare il suo disegno d'amore. Ma, nello stesso tempo, Dio è creatore e padre
di tutti gli uomini, di tutti si prende cura, a tutti estende la sua benedizione
(Gen12,3) e con tutti ha stretto un'alleanza. (Gen9,1) Israele fa l'esperienza
di un Dio personale e salvatore, (Dt4,37); (Dt7,6); (Is43,1) del quale diventa
il testimone e il portavoce in mezzo alle nazioni. Nel corso della sua storia
Israele prende coscienza che la sua elezione ha un significato universale.(Is2,2);
(Is25,6); (Is60,1); (Ger3,17); (Ger16,19)
Cristo
rende presente il Regno
13.
Gesù di Nazareth porta a compimento il disegno di Dio. Dopo aver ricevuto lo
Spirito santo nel battesimo, egli manifesta la sua vocazione messianica:
percorre la Galilea «predicando il vangelo di Dio e dicendo: "Il tempo è
compiuto, il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo"».
(Mc1,14); (Mt4,17); (Lc4,43) La proclamazione e l'instaurazione del regno di Dio
sono l'oggetto della sua missione: «È per questo che sono stato inviato».
(Lc4,43) Ma c'è di più: Gesù è lui stesso la «buona novella», come afferma
già all'inizio della missione nella sinagoga del suo paese, applicando a sé le
parole di Isaia sull'Unto, inviato dallo Spirito del Signore. (Lc4,14) Essendo
la «buona novella», in Cristo c'è identità tra messaggio e messaggero, tra
il dire, l'agire e l'essere. La sua forza, il segreto dell'efficacia della sua
azione sta nella totale identificazione col messaggio che annunzia: egli
proclama la «buona novella» non solo con quello che dice o fa, ma con quello
che è. Il ministero di Gesù è descritto nel contesto dei viaggi nella sua
terra. L'orizzonte della missione prima della pasqua è centrato su Israele;
tuttavia, Gesù offre un elemento nuovo di importanza capitale. La realtà
escatologica non è rinviata a una fine remota del mondo, ma si fa vicina e
comincia ad attuarsi. Il regno di Dio si avvicina, (Mc1,15) si prega perché
venga, (Mt6,10) la fede lo scorge già operante nei segni, quali i miracoli,
(Mt11,4) gli esorcismi, (Mt3,13) l'annunzio della «buona novella» ai poveri.
(Lc4,18) Negli incontri di Gesù con i pagani è chiaro che l'accesso al regno
avviene mediante la fede e la conversione (Mc1,15) e non per semplice
appartenenza etnica. Il regno che Gesù inaugura è il regno di Dio: Gesù
stesso rivela chi è questo Dio, che chiama col termine familiare di «abbà»,
Padre. (Mc14,36) Il Dio, rivelato soprattutto nelle parabole, (Lc15,3); (Mt20,1)
è sensibile alle necessità e alle sofferenze di ogni uomo: è un Padre amoroso
e pieno di compassione, che perdona e dà gratuitamente le grazie richieste. San
Giovanni ci dice che «Dio è amore». (1Gv4,8) Ogni uomo, perciò, è invitato
a «convertirsi» e a «credere» all'amore misericordioso di Dio per lui: il
regno crescerà nella misura in cui ogni uomo imparerà a rivolgersi a Dio
nell'intimità della preghiera come a un Padre (Lc11,2); (Mt23,9) e si sforzerà
di compiere la sua volontà. (Mt7,21)
Caratteristiche
ed esigenze del Regno
14.
Gesù rivela progressivamente le caratteristiche ed esigenze del regno mediante
le sue parole, le sue opere e la sua persona. Il regno di Dio è destinato a
tutti gli uomini, essendo tutti chiamati a esserne membri. Per sottolineare
questo aspetto, Gesù si è avvicinato soprattutto a quelli che erano ai margini
della società, dando a essi la preferenza quando annunziava la «buona novella».
All'inizio dei suo ministero egli proclama di essere stato mandato per
annunziare ai poveri il lieto messaggio. (Lc4,18) A tutte le vittime del rifiuto
e del disprezzo dichiara: «Beati voi poveri» (Lc6,20); inoltre, a questi
emarginati fa già vivere un'esperienza di liberazione stando con loro (Lc5,30);
(Lc15,2) andando a mangiare con loro, trattandoli come uguali e amici (Lc7,34),
facendoli sentire amati da Dio e rivelando così la sua immensa tenerezza verso
i bisognosi e i peccatori. (Lc15,1)
La
liberazione e la salvezza, portate dal regno di Dio raggiungono la persona umana
nelle sue dimensioni sia fisiche che spirituali. Due gesti caratterizzano la
missione di Gesù: il guarire e il perdonare. Le molteplici guarigioni
dimostrano la sua grande compassione di fronte alle miserie umane; ma
significano pure che nel regno non vi saranno più né malattie né sofferenze e
che la sua missione mira fin dall'inizio a liberare le persone da esse. Nella
prospettiva di Gesù le guarigioni sono anche segno della salvezza spirituale,
cioè della liberazione dal peccato. Compiendo gesti di guarigione, Gesù invita
alla fede, alla conversione, al desiderio di perdono. (Lc5,24) Ricevuta la fede,
la guarigione spinge a proseguire più lontano: introduce nella salvezza.
(Lc18,42) I gesti di liberazione dalla possessione del demonio, male supremo e
simbolo del peccato e della ribellione contro Dio, sono segni che «il regno di
Dio è giunto fra voi». (Mt12,28)
15.
Il regno mira a trasformare i rapporti tra gli uomini e si attua
progressivamente, man mano che essi imparano ad amarsi, a perdonarsi, a servirsi
a vicenda. Gesù riprende tutta la legge, incentrandola sul comandamento
dell'amore. (Mt22,34); (Lc10,25) Prima di lasciare i suoi, dà loro un «comandamento
nuovo»: «Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato». (Gv13,34);
(Gv15,12) L'amore, con cui Gesù ha amato il mondo, trova l'espressione più
alta nel dono della sua vita per gli uomini, (Gv15,13) che manifesta l'amore che
il Padre ha per il mondo. (Gv3,16) Perciò, la natura del regno è la comunione
di tutti gli esseri umani tra di loro e con Dio. Il regno riguarda tutti: le
persone, la società, il mondo intero. Lavorare per il regno vuol dire
riconoscere e favorire il dinamismo divino, che è presente nella storia umana e
la trasforma. Costruire il regno vuol dire lavorare per la liberazione dal male
in tutte le sue forme. In sintesi, il regno di Dio è la manifestazione e
l'attuazione del suo disegno di salvezza in tutta la sua pienezza.
Nel
Risorto il Regno si compie ed è proclamato
16.
Risuscitando Gesù dai morti, Dio ha vinto la morte e in lui ha inaugurato
definitivamente il suo regno. Durante la vita terrena Gesù è il profeta del
regno e, dopo la sua passione, risurrezione e ascensione al cielo, partecipa
della potenza di Dio e del suo dominio sul mondo. (Mt28,18); (At2,36); (Ef1,18)
La risurrezione conferisce una portata universale al messaggio di Cristo, alla
sua azione e a tutta la sua missione. I discepoli avvertono che il regno è già
presente nella persona di Gesù e viene a poco a poco instaurato nell'uomo e nel
mondo mediante un misterioso legame con lui. Dopo la risurrezione, infatti, essi
predicavano il regno annunziando Gesù morto e risorto. Filippo in Samaria «recava
la buona novella del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo». (At8,12) Paolo a
Roma «annunziava il regno di Dio e insegnava le cose riguardanti il Signore Gesù
Cristo». (At28,31) Anche i primi cristiani annunziavano «il regno di Cristo e
di Dio», (Ef5,5); (Ap11,15); (Ap12,10) oppure «il regno eterno del Signore
nostro e Salvatore Gesù Cristo». (2Pt1,11)
È
sull'annunzio di Gesù Cristo, con cui il regno si identifica, che è incentrata
la predicazione della chiesa primitiva. Come allora, oggi bisogna unire
l'annunzio del regno di Dio (il contenuto del «kérygma» di Gesù) e la
proclamazione dell'evento Gesù Cristo (che è il «kérygma» degli apostoli).
I due annunzi si completano e si illuminano a vicenda.
Il
Regno in rapporto a Cristo e alla Chiesa
17.
Oggi si parla molto del regno, ma non sempre in consonanza col sentire
ecclesiale. Ci sono, infatti, concezioni della salvezza e della missione che si
possono chiamare «antropocentriche» nel senso riduttivo del termine, in quanto
sono incentrate sui bisogni terreni dell'uomo. In questa visione il regno tende
a diventare una realtà del tutto umana e secolarizzata, in cui ciò che conta
sono i programmi e le lotte per la liberazione socio-economica, politica e anche
culturale, ma in un orizzonte chiuso al trascendente. Senza negare che anche a
questo livello ci siano valori da promuovere tuttavia tale concezione rimane nei
confini di un regno dell'uomo decurtato delle sue autentiche e profonde
dimensioni, e si traduce facilmente in una delle ideologie di progresso
puramente terreno. Il regno di Dio, invece, «non è di questo mondo..., non è
di quaggiù». (Gv18,36) Ci sono, poi, concezioni che di proposito pongono
l'accento sul regno e si qualificano come «regno-centriche», le quali danno
risalto all'immagine di una chiesa che non pensa a se stessa, ma è tutta
occupata a testimoniare e a servire il regno. È una «chiesa per gli altri, si
dice, come Cristo è l'«uomo per gli altri». Si descrive il compito della
chiesa come se debba procedere in una duplice direzione: da un lato, promuovere
i cosiddetti «valori del regno», quali la pace, la giustizia, la libertà, la
fraternità; dall'altro, favorire il dialogo fra i popoli, le culture, le
religioni, affinché in un vicendevole arricchimento aiutino il mondo a
rinnovarsi e a camminare sempre più verso il regno. Accanto ad aspetti
positivi, queste concezioni ne rivelano spesso di negativi. Anzitutto, passano
sotto silenzio Cristo: il regno, di cui parlano, si fonda su un «teocentrismo»,
perché - dicono - Cristo non può essere compreso da chi non ha la fede
cristiana, mentre popoli, culture e religioni diverse si possono ritrovare
nell'unica realtà divina, quale che sia il suo nome. Per lo stesso motivo esse
privilegiano il mistero della creazione, che si riflette nella diversità delle
culture e credenze ma tacciono sul mistero della redenzione. Inoltre, il regno,
quale essi lo intendono, finisce con l'emarginare o sottovalutare la chiesa, per
reazione a un supposto «ecclesiocentrismo» del passato e perché considerano
la chiesa stessa solo un segno, non privo peraltro di ambiguità.
18.
Ora, non è questo il regno di Dio, quale conosciamo dalla rivelazione: esso non
può essere disgiunto né da Cristo né dalla chiesa. Come si è detto, Cristo
non soltanto ha annunziato il regno, ma in lui il regno stesso si è fatto
presente e si è compiuto. E non solo mediante le sue parole e le sue opere: «Innanzi
tutto, il regno si manifesta nella stessa persona di Cristo, Figlio di Dio e
Figlio dell'uomo, il quale è venuto "a servire e a dare la sua vita in
riscatto per molti" (Mc10,45); (22) » Il regno di Dio non è un concetto,
una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzi tutto
una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio
invisibile. (23) Se si distacca il regno da Gesù, non si ha più il regno di
Dio da lui rivelato e si finisce per distorcere sia il senso del regno, che
rischia di trasformarsi in un obiettivo puramente umano o ideologico, sia
l'identità di Cristo, che non appare più il Signore, a cui tutto deve esser
sottomesso. (1Cor15,27) Parimenti, non si può disgiungere il regno dalla
chiesa. Certo, questa non e fine a se stessa, essendo ordinata al regno di Dio,
di cui è germe, segno e strumento. Ma, mentre si distingue dal Cristo e dal
regno, la chiesa è indissolubilmente unita a entrambi. Cristo ha dotato la
chiesa, suo corpo, della pienezza dei beni e dei mezzi di salvezza; lo Spirito
santo dimora in essa, la vivifica con i suoi doni e carismi, la santifica guida
e rinnova continuamente. (24) Ne deriva una relazione singolare e unica, che`
pur non escludendo l'opera di Cristo e dello Spirito fuori dei confini visibili
della chiesa, conferisce a essa un ruolo specifico e necessario. Di qui anche lo
speciale legame della chiesa col regno di Dio e di Cristo, che essa ha «la
missione di annunziare e di instaurare in tutte le genti». (25)
19.
È in questa visione d'insieme che si comprende la realtà del regno. Certo,
esso esige la promozione dei beni umani e dei valori che si possono ben dire «evangelici»,
perché sono intimamente legati alla «buona novella». Ma questa promozione che
pure sta a cuore alla chiesa, non deve essere distaccata né contrapposta agli
altri suoi compiti fondamentali, come l'annunzio del Cristo e del suo vangelo la
fondazione e lo sviluppo di comunità che attuano tra gli uomini l'immagine viva
del regno. Non si tema di cadere con ciò in una forma di «ecclesiocentrismo».
Paolo VI. che ha affermato l'esistenza di «un legame profondo tra il Cristo la
chiesa e l'evangelizzazione» (26) ha pure detto che la chiesa «non è fine a
se stessa, ma fervidamente sollecita di essere tutta di Cristo, in Cristo e per
Cristo. e tutta degli uomini, fra gli uomini e per gli uomini». (27)
20.
La Chiesa a servizio del Regno
La
Chiesa è effettivamente e concretamente a servizio del regno. Lo è, anzitutto.
con l'annunzio che chiama alla conversione: è, questo, il primo e fondamentale
servizio alla venuta del regno nelle singole persone e nella società umana. La
salvezza escatologica inizia già ora nella novità di vita in Cristo: «A
quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli
che credono nel suo nome». (Gv1,12) La chiesa, poi, serve il regno fondando
comunità e istituendo chiese particolari e portandole alla maturazione della
fede e della carità nell'apertura verso gli altri, nel servizio alla persona e
alla società, nella comprensione e stima delle istituzioni umane.» La chiesa,
inoltre, serve il regno diffondendo nel mondo i «valori evangelici», che del
regno sono espressione e aiutano gli uomini ad accogliere il disegno di Dio. È
vero, dunque, che la realtà incipiente del regno può trovarsi anche al di là
dei confini della chiesa nell'umanità intera, in quanto questa viva i «valori
evangelici» e si apra all'azione dello Spirito che spira dove e come vuole;
(Gv3,8) ma bisogna subito aggiungere che tale dimensione temporale del regno è
incompleta, se non è coordinata col regno di Cristo, presente nella chiesa e
proteso alla pienezza escatologica. (28) Le molteplici prospettive del regno di
Dio (29) non indeboliscono i fondamenti e le finalità dell'attività
missionaria, ma piuttosto li fortificano e allargano. La chiesa è sacramento di
salvezza per tutta l'umanità, e la sua azione non si restringe a coloro che ne
accettano il messaggio. Essa è forza dinamica nel cammino dell'umanità verso
il regno escatologico, è segno e promotrice dei valori evangelici tra gli
uomini. (30) A questo itinerario dl conversione al progetto di Dio la chiesa
contribuisce con la sua testimonianza e con le sue attività, quali il dialogo,
la promozione umana, l'impegno per la giustizia e la pace, l'educazione e la
cura degli infermi, l'assistenza ai poveri e ai piccoli tenendo sempre ferma la
priorità delle realtà trascendenti e spirituali, premesse della salvezza
escatologica. La chiesa, infine, serve il regno anche con la sua intercessione,
essendo esso per la sua natura dono e opera di Dio come ricordano le parabole
evangeliche e la preghiera stessa insegnataci da Gesù. Noi dobbiamo chiederlo,
accoglierlo, farlo crescere in noi; ma dobbiamo anche cooperare perché sia
accolto e cresca tra gli uomini, fino a quando Cristo «consegnerà il regno a
Dio Padre» e «Dio sarà tutto in tutti». (1Cor15,24)
|
PARTE
III
LO
SPIRITO SANTO PROTAGONISTA DELLA MISSIONE
21.
«Al culmine della missione messianica di Gesù, lo Spirito santo diventa
presente nel mistero pasquale in tutta la sua soggettività divina, come colui
che deve ora continuare l'opera salvifica, radicata nel sacrificio della croce.
Senza dubbio questa opera viene affidata da Gesù a uomini: agli apostoli, alla
chiesa. Tuttavia, in questi uomini e per mezzo di essi, lo Spirito santo rimane
il trascendente soggetto protagonista della realizzazione di tale opera nello
spirito dell'uomo e nella storia del mondo». (31) Lo Spirito santo invero è il
protagonista di tutta la missione ecclesiale: la sua opera rifulge eminentemente
nella missione ad gentes, come appare nella chiesa primitiva per la conversione
di Cornelio, (At10,1) per le decisioni circa i problemi emergenti, (At15,1) per
la scelta dei territori e dei popoli. (At16,6) Lo Spirito opera per mezzo degli
apostoli, ma nello stesso tempo opera anche negli uditori: «Mediante la sua
azione, la buona novella prende corpo nelle coscienze e nei cuori umani e si
espande nella storia. In tutto ciò è lo Spirito santo che dà la vita». (32)
L'invio
«fino agli estremi confini della terra»
22.
Tutti gli evangelisti, quando narrano l'incontro del Risorto con gli apostoli,
concludono col mandato missionario: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in
terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... (At1,8) Ecco, io sono con
voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». (Mt28,18); (Mc16,15); (Lc24,46);
(Gv20,21) Questo invio è invio nello Spirito come appare chiaramente nel testo
di san Giovanni: Cristo manda i suoi nel mondo. come il Padre ha mandato lui? e
per questo dona loro lo Spirito. A sua volta, Luca collega strettamente la
testimonianza che gli apostoli dovranno rendere a Cristo con l'azione dello
Spirito, che li metterà in grado di attuare il mandato ricevuto.
23.
Le varie forme del «mandato missionario» contengono punti in comune e accenti
caratteristici; due elementi però, si ritrovano in tutte le versioni.
Anzitutto, la dimensione universale del compito affidato agli apostoli: «Tutte
le nazioni»; (Mt28,19) «in tutto il mondo a ogni creatura»; (Mc16,15) «tutte
le genti»; (Lc24,47) «fino agli estremi confini della terra». (At1,8) In
secondo luogo, l'assicurazione data loro dal Signore che in questo compito non
rimarranno soli, ma riceveranno la forza e i mezzi per svolgere la loro
missione. È in ciò la presenza e la potenza dello Spirito e l'assistenza di
Gesù: «Essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava
insieme con loro». (Mc16,20) Quanto alle differenze di accento nel mandato,
Marco presenta la missione come proclamazione, o kérygma: «Proclamate il
vangelo». (Mc16,15) Scopo dell'evangelista è di condurre i lettori a ripetere
la confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo» (Mc8,29) e a dire, come il
centurione romano dinanzi a Gesù morto in croce: «Veramente quest'uomo era
Figlio di Dio». (Mc15,39) In Matteo l'accento missionario è posto sulla
fondazione della chiesa e sul suo insegnamento; (Mt28,19); (Mt16,18) in lui,
dunque, il mandato evidenzia che la proclamazione del vangelo dev'essere
completata da una specifica catechesi di ordine ecclesiale e sacramentale. In
Luca la missione è presentata come testimonianza, (Lc24,48); (At1,8) che verte
soprattutto sulla risurrezione. (At1,22) Il missionario è invitato a credere
alla potenza trasformatrice del vangelo e ad annunziare ciò che Luca illustra
bene, cioè la conversione all'amore e alla misericordia di Dio, l'esperienza di
una liberazione integrale fino alla radice di ogni male, il peccato. Giovanni è
il solo a parlare esplicitamente di «mandato» parola che equivale a «missione»
collegando direttamente la missione che Gesù affida ai suoi discepoli con
quella che egli stesso ha ricevuto dal Padre: «Come il Padre ha mandato me, così
io mando voi». (Gv20,21) Gesù dice rivolto al Padre: «Come tu mi hai mandato
nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo». (Gv17,18) Tutto il senso
missionario del Vangelo di Giovanni si trova espresso nella «preghiera
sacerdotale»: la vita eterna è che «conoscano te, l'unico vero Dio e colui
che hai mandato, Gesù Cristo». (Gv17,3) Scopo ultimo della missione è di far
partecipare della comunione che esiste tra il Padre e il Figlio: i discepoli
devono vivere l'unità tra loro, rimanendo nel Padre e nel Figlio, perché il
mondo conosca e creda. (Gv17,21) È, questo, un significativo testo missionario,
il quale fa capire che si è missionari prima di tutto per ciò che si è come
chiesa che vive profondamente l'unità nell'amore, prima di esserlo per ciò che
si dice o si fa. I quattro Vangeli, dunque, nell'unità fondamentale della
stessa missione, attestano un certo pluralismo` che riflette esperienze e
situazioni diverse nelle prime comunità cristiane. Esso è anche frutto della
spinta dinamica dello stesso Spirito; invita a essere attenti ai diversi carismi
missionari e alle diverse condizioni ambientali e umane. Tutti gli evangelisti,
però, sottolineano che la missione dei discepoli è collaborazione con quella
di Cristo: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.
(Mt28,20) La missione, pertanto, non si fonda sulle capacità umane, ma sulla
potenza del Risorto.
Lo
Spirito guida la missione
24.
La missione della chiesa, come quella di Gesù, è opera di Dio o - come spesso
dice Luca - opera dello Spirito. Dopo la risurrezione e l'ascensione di Gesù
gli apostoli vivono un'esperienza forte che li trasforma: la Pentecoste. La
venuta dello Spirito santo fa di essi dei testimoni e dei profeti, (At1,8);
(At2,17) infondendo in loro una tranquilla audacia che li spinge a trasmettere
agli altri la loro esperienza di Gesù e la speranza che li anima. Lo Spirito dà
loro la capacità di testimoniare Gesù con «franchezza». (33) Quando gli
evangelizzatori escono da Gerusalemme, lo Spirito assume ancor di più la
funzione di «guida» nella scelta sia delle persone, sia delle vie della
missione. La sua azione si manifesta specialmente nell'impulso dato alla
missione che di fatto secondo le parole di Cristo, si allarga da Gerusalemme a
tutta la Giudea e Samaria e fino agli estremi confini della terra. Gli Atti
riportano sei sintesi dei «discorsi missionari» che sono rivolti ai giudei
agli inizi della chiesa. (At2,22); (At3,12); (At4,9); (At5,29); (At10,34);
(At13,16) Questi discorsi-modello, pronunciati da Pietro e da Paolo, annunziano
Gesù, invitano a «convertirsi», cioè ad accogliere Gesù nella fede e a
lasciarsi trasformare in lui dallo Spirito. Paolo e Barnaba sono spinti dallo
Spirito verso i pagani, (At13,46) il che non avviene senza tensioni e problemi.
Come devono vivere la loro fede in Gesù i pagani convertiti? Sono essi
vincolati alla tradizione del giudaismo e alla legge della circoncisione? Nel
primo concilio, che riunisce a Gerusalemme intorno agli apostoli i membri di
diverse chiese, viene presa una decisione riconosciuta come derivante dallo
Spirito: non è necessario che il gentile si sottometta alla legge giudaica per
diventare cristiano. (At15,5); (At11,28) Da quel momento la chiesa apre le sue
porte e diventa la casa in cui tutti possono entrare e sentirsi a proprio agio,
conservando la propria cultura e le proprie tradizioni, purché non siano in
contrasto col Vangelo.
25.
I missionari hanno proceduto lungo questa linea, tenendo ben presenti le attese
e speranze, le angosce e sofferenze, la cultura della gente per annunziarle la
salvezza in Cristo. I discorsi di Listra e di Atene (At14,15); (At17,22) sono
riconosciuti come modelli per l'evangelizzazione dei pagani: in essi Paolo «entra
in dialogo» con i valori culturali e religiosi dei diversi popoli. Agli
abitanti della Licaonia, che praticavano una religione cosmica, egli ricorda
esperienze religiose che si riferiscono al cosmo; con i greci discute di
filosofia e cita i loro poeti. (At17,18) Il Dio che vuol rivelare è già
presente nella loro vita: è lui, infatti, che li ha creati e dirige
misteriosamente i popoli e la storia; tuttavia, per riconoscere il vero Dio,
bisogna che abbandonino i falsi dèi che essi stessi hanno fabbricato e si
aprano a colui che Dio ha inviato per colmare la loro ignoranza e soddisfare
l'attesa del loro cuore. Sono discorsi che offrono un esempio di inculturazione
del Vangelo. Sotto la spinta dello Spirito, la fede cristiana si apre
decisamente alle «genti», e la testimonianza del Cristo si allarga ai centri
più importanti del Mediterraneo orientale per arrivare poi a Roma e all'estremo
occidente. E lo Spirito che spinge ad andare sempre oltre, non solo in senso
geografico, ma anche al di là delle barriere etniche e religiose, per una
missione veramente universale.
Lo
Spirito rende missionaria tutta la Chiesa
26.
Lo Spirito spinge il gruppo dei credenti a «fare comunità», a essere chiesa.
Dopo il primo annunzio di Pietro il giorno di Pentecoste e le conversioni che ne
seguirono, si forma la prima comunità. (At2,42); (At4,32) Uno degli scopi
centrali della missione, infatti, è di riunire il popolo nell'ascolto del
vangelo, nella comunione fraterna, nella preghiera e nell'eucaristia. Vivere la
«comunione fraterna» (koinonìa) significa avere «un cuor solo e un'anima
sola», (At4,32) instaurando una comunione sotto tutti gli aspetti: umano,
spirituale e materiale. Difatti, la vera comunità cristiana è impegnata a
distribuire i beni terreni, affinché non ci siano indigenti e tutti possano
avere accesso a quei beni «secondo le necessità». (At2,45); (At4,35) Le prime
comunità, in cui regnavano «la letizia e la semplicità di cuore», (At2,46)
erano dinamicamente aperte e missionarie: «Godevano la stima di tutto il popolo».
(At2,47) Prima ancora di essere azione, la missione è testimonianza e
irradiazione. (34)
27.
Gli Atti indicano che la missione, indirizzata prima a Israele e poi alle genti,
si sviluppa a molteplici livelli. C'è, innanzi tutto, il gruppo dei Dodici che,
come un unico corpo guidato da Pietro, proclama la buona novella. C'è, poi, la
comunità dei credenti, che. col suo modo di vivere e di operare, rende
testimonianza al Signore e converte i pagani. (At2,46) Ci sono, ancora, gli
inviati speciali, destinati ad annunziare il vangelo. Così la comunità
cristiana di Antiochia invia i suoi membri in missione: dopo aver digiunato,
pregato e celebrato l'eucaristia, essa avverte che lo Spirito ha scelto Paolo e
Barnaba per essere inviati. (At13,1) Alle sue origini, dunque, la missione è
vista come un impegno comunitario e una responsabilità della chiesa locale, che
ha bisogno appunto di «missionari» per spingersi verso nuove frontiere.
Accanto a quelli inviati ce ne erano altri, che testimoniavano spontaneamente la
novità che aveva trasformato la loro vita e collegavano poi le comunità in
formazione alla chiesa apostolica. La lettura degli Atti ci fa capire che
all'inizio della chiesa la missione gentes pur avendo anche missionari «a vita»
che vi si dedicavano per una speciale vocazione, era di fatto considerata come
il frutto normale della vita cristiana, l'impegno per ogni credente mediante la
testimonianza personale e l'annunzio esplicito, quando possibile.
Lo
Spirito è presente e operante in ogni tempo e luogo
28.
Lo Spirito si manifesta in maniera particolare nella chiesa e nei suoi membri;
tuttavia, la sua presenza e azione sono universali, senza limiti né di spazio né
di tempo. (35) Il concilio Vaticano II ricorda l'opera dello Spirito nel cuore
di ogni uomo mediante i «semi del Verbo», nelle iniziative anche religiose,
negli sforzi dell'attività umana tesi alla verità, al bene, a Dio. (36) Lo
Spirito offre all'uomo «luce e forza per rispondere alla suprema sua vocazione»;
mediante lo Spirito «l'uomo può arrivare nella fede a contemplare e gustare il
mistero del piano divino»; anzi, «dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a
tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col
mistero pasquale». (37) In ogni caso la chiesa sa che l'uomo, «sollecitato
incessantemente dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto
indifferente al problema della religione», e «avrà sempre desiderio di
sapere. almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, della sua
attività e della sua morte». (38) Lo Spirito, dunque. è all'origine stessa
della domanda esistenziale e religiosa dell'uomo. la quale nasce non soltanto da
situazioni contingenti. ma dalla struttura stessa del suo essere. (39) La
presenza e l'attività dello Spirito non toccano solo gli individui. ma la
società e la storia, i popoli, le culture. le religioni. Lo Spirito. infatti,
sta all'origine dei nobili ideali e delle iniziative di bene dell'umanità in
cammino: «Con mirabile provvidenza egli dirige il corso dei tempi e rinnova la
faccia della terra». (40) Il Cristo risorto «opera nel cuore degli uomini con
la virtù del suo Spirito. non solo suscitando il desiderio del mondo futuro. ma
per ciò stesso anche ispirando, purificando e fortificando quei generosi
propositi, con i quali la famiglia de li uomini cerca di rendere più umana la
propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra». (41) È ancora lo
Spirito che sparge i «semi del Verbo», presenti nei riti e nelle culture, e li
prepara a maturare in Cristo. (42)
29.
Così lo Spirito, che «soffia dove vuole» (Gv3,8) e «operava nel mondo prima
ancora che Cristo fosse glorificato», (43) che «riempie l'universo
abbracciando ogni cosa e conosce ogni voce», (Sap1,7) ci induce ad allargare lo
sguardo per considerare la sua azione presente in ogni tempo e in ogni luogo.
(44) È un richiamo che io stesso ho fatto ripetutamente e che mi ha guidato
negli incontri con i popoli più diversi. Il rapporto della chiesa con le altre
religioni è dettato da un duplice rispetto: «Rispetto per l'uomo nella sua
ricerca di risposte alle domande più profonde della vita e rispetto per
l'azione dello Spirito nell'uomo». (45) L'incontro inter-religioso di Assisi,
esclusa ogni equivoca interpretazione, ha voluto ribadire la mia convinzione che
«ogni autentica preghiera è suscitata dallo Spirito santo, il quale è
misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo». (46) Questo Spirito è lo
stesso che ha operato nell'incarnazione, nella vita, morte e risurrezione di Gesù
e opera nella chiesa. Non è, dunque, alternativo a Cristo, né riempie una
specie di vuoto, come talvolta si ipotizza esserci tra Cristo e il Lógos.
Quanto lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle
culture e religioni, assume un ruolo di preparazione evangelica (47) e non può
non avere riferimento a Cristo, Verbo fatto carne per l'azione dello Spirito, «per
operare lui, l'Uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione
universale». (48) L'azione universale dello Spirito non va poi separata
dall'azione peculiare, che egli svolge nel corpo di Cristo ch'è la chiesa.
Infatti, è sempre lo Spirito che agisce sia quando vivifica la chiesa e la
spinge ad annunziare il Cristo, sia quando semina e sviluppa i suoi doni in
tutti gli uomini e i popoli, guidando la chiesa a scoprirli, promuoverli e
recepirli mediante il dialogo. Qualsiasi presenza dello Spirito va accolta con
stima e gratitudine, ma il discernerla spetta alla chiesa, alla quale Cristo ha
dato il suo Spirito per guidarla alla verità tutta intera. (Gv16,13)
L'attività
missionaria è solo agli inizi
30.
Il nostro tempo, con l'umanità in movimento e in ricerca, esige un rinnovato
impulso nell'attività missionaria della chiesa. Gli orizzonti e le possibilità
della missione si allargano, e noi cristiani siamo sollecitati al coraggio
apostolico, fondato sulla fiducia nello Spirito. E lui il protagonista della
missione! Sono numerose nella storia dell'umanità le svolte epocali che
stimolano il dinamismo missionario, e la chiesa, guidata dallo Spirito, vi ha
sempre risposto con generosità e lungimiranza. Né i frutti sono mancati. Da
poco è stato celebrato il millennio dell'evangelizzazione della Rus' e dei
popoli slavi, mentre si sta per celebrare il cinquecentesimo anniversario
dell'evangelizzazione delle Americhe. Parimenti, sono stati di recente
commemorati i centenari delle prime missioni in diversi paesi dell'Asia,
dell'Africa e dell'Oceania. Oggi la chiesa deve affrontare altre sfide,
proiettandosi verso nuove frontiere sia nella prima missione ad gentes sia nella
nuova evangelizzazione di popoli che hanno già ricevuto l'annuncio di Cristo.
Oggi a tutti i cristiani, alle chiese particolari e alla chiesa universale sono
richiesti lo stesso coraggio che mosse i missionari del passato e la stessa
disponibilità ad ascoltare la voce dello Spirito.
|
PARTE
IV
GLI
IMMENSI ORIZZONTI DELLA MISSIONE "AD GENTES"
31.
Il Signore Gesù inviò i suoi apostoli a tutte le persone, a tutti i popoli e a
tutti i luoghi della terra. Negli apostoli la chiesa ricevette una missione
universale, che non ha confini e riguarda la salvezza nella sua integrità,
secondo quella pienezza di vita che Cristo è venuto a portare (Gv10,10) essa fu
«inviata a rivelare e comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini e a tutti
i popoli della terra». (49) Tale missione è unica, avendo la stessa origine e
finalità; ma all'interno di essa si danno compiti e attività diverse.
Anzitutto, c'è l'attività missionaria che chiamiamo missione ad gentes in
riferimento al decreto conciliare: si tratta di un'attività primaria della
chiesa, essenziale e mai conclusa. Infatti, la chiesa «non può sottrarsi alla
missione permanente di portare il vangelo a quanti sono milioni e milioni di
uomini e donne ancora non conoscono Cristo, redentore dell'uomo. È questo il
compito più specificamente missionario che Gesù ha affidato e quotidianamente
affida alla sua chiesa». (50)
Un
quadro religioso complesso e in movimento
32.
Oggi ci si trova di fronte a una situazione religiosa assai diversificata e
cangiante: i popoli sono in movimento; realtà sociali e religiose che un tempo
erano chiare e definite oggi evolvono in situazioni complesse. Basti pensare ad
alcuni fenomeni come l'urbanesimo, le migrazioni di massa, il movimento dei
profughi, la scristianizzazione di paesi di antica cristianità, L'influsso
emergente del vangelo e dei suoi valori in paesi a grandissima maggioranza non
cristiana, il pullulare di messianismi e dl sette religiose. È un rivolgimento
di situazioni religiose e sociali, che rende difficile applicare in concreto
certe distinzioni e categorie ecclesiali, a cui si era abituati. Già prima del
concilio si diceva di alcune metropoli o terre cristiane che erano diventate «paesi
di missione», né la situazione è certo migliorata negli anni successivi.
D'altra parte, l'opera missionaria ha prodotto abbondanti frutti in tutte le
parti del mondo, per cui esistono chiese impiantate, a volte tanto solide e
mature da ben provvedere ai bisogni delle proprie comunità e inviare anche
personale per l'evangelizzazione in altre chiese e territori. Di qui il
contrasto con aree di antica cristianità, che è necessario rievangelizzare.
Alcuni, pertanto, si chiedono se sia ancora il caso di parlare di attività
missionaria specifica o di ambiti precisi di essa, o se non si debba ammettere
che esiste un'unica situazione missionaria, per cui non c'è che un'unica
missione, dappertutto eguale. La difficoltà di interpretare questa realtà
complessa e mutevole in ordine al mandato di evangelizzazione si manifesta già
nel «vocabolario missionario»: a esempio, c'è una certa esitazione a usare i
termini «missioni» e «missionari», giudicati superati e carichi di risonanze
storiche negative; si preferisce usare il sostantivo «missione» al singolare e
l'aggettivo «missionario» per qualificare ogni attività della chiesa. Questo
travaglio denota un cambiamento reale, che ha aspetti positivi. Il cosiddetto
rientro o «rimpatrio» delle missioni nella missione della chiesa, il confluire
della missiologia nell'ecclesiologia e l'inserimento di entrambe nel disegno
trinitario di salvezza, hanno dato un respiro nuovo alla stessa attività
missionaria, concepita non già come un compito ai margini della chiesa, ma
inserito nel cuore della sua vita, quale impegno fondamentale di tutto il popolo
di Dio. Occorre, però, guardarsi dal rischio di livellare situazioni molto
diverse e di ridurre, se non far scomparire, la missione e i missionari ad
gentes. Dire che tutta la chiesa è missionaria non esclude che esista una
specifica missione ad gentes, come dire che tutti i cattolici debbono essere
missionari non esclude, anzi richiede che ci siano i «missionari ad gentes e a
vita» per vocazione specifica.
La
missione ad gentes conserva il suo valore
33.
Le differenze nell'attività all'interno dell'unica missione della chiesa
nascono non da ragioni intrinseche alla missione stessa, ma dalle diverse
circostanze in cui essa si svolge. (51) Guardando al mondo d'oggi dal punto di
vista dell'evangelizzazione, si possono distinguere tre situazioni. Anzitutto,
quella a cui si rivolge l'attività missionaria della chiesa: popoli, gruppi
umani, contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo vangelo non sono
conosciuti, o in cui mancano comunità cristiane abbastanza mature da poter
incarnare la fede nel proprio ambiente e annunziarla ad altri gruppi. È,
questa, propriamente la missione ad gentes. (52) Ci sono, poi, comunità
cristiane che hanno adeguate e solide strutture ecclesiali, sono ferventi di
fede e di vita irradiano la testimonianza del vangelo nel loro ambiente e
sentono l'impegno della missione universale. In esse si svolge l'attività, o
cura pastorale della chiesa. Esiste, infine, una situazione intermedia, specie
nei paesi di antica cristianità, ma a volte anche nelle chiese più giovani,
dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, o
addirittura non si riconoscono più come membri della chiesa, conducendo
un'esistenza lontana da Cristo e dal suo vangelo. In questo caso c'è bisogno di
una «nuova evangelizzazione», o «rievangelizazione».
34.
L'attività missionaria specifica, o missione ad gentes, ha come destinatari «i
popoli e i gruppi che ancora non credono in Cristo», «coloro che sono lontani
da Cristo», tra i quali la chiesa «non ha ancora messo radici» (53) e la cui
cultura non è stata ancora influenzata dal vangelo. (54) Essa si distingue
dalle altre attività ecclesiali, perché si rivolge a gruppi e ambienti non
cristiani per l'assenza o insufficienza dell'annunzio evangelico e della
presenza ecclesiale. Pertanto, si caratterizza come opera di annunzio del Cristo
e del suo vangelo, di edificazione della chiesa locale. di promozione dei valori
del regno. La peculiarità di questa missione ad gentes deriva dal fatto che si
rivolge ai non cristiani. Occorre, perciò, evitare che tale «compito più
specificamente missionario, che Gesù ha affidato e quotidianamente riaffida
alla sua chiesa» (55), subisca un appiattimento nella missione globale di tutto
il popolo di Dio e, quindi, sia trascurato o dimenticato. D'altronde, i confini
fra cura pastorale dei fedeli, nuova evangelizzazione e attività missionaria
specifica non sono nettamente definibili, e non è pensabile creare tra di esse
barriere o compartimenti-stagno. Bisogna, tuttavia, non perdere la tensione per
l'annunzio e per la fondazione di nuove chiese presso popoli o gruppi umani, in
cui ancora non esistono poiché questo è il compito primo della chiesa che è
inviata a tutti i popoli, fino agli ultimi confini della terra. Senza la
missione ad gentes la stessa dimensione missionaria della chiesa sarebbe priva
del suo significato fondamentale e della sua attuazione esemplare. È da notare,
altresì, una reale e crescente interdipendenza tra le varie attività
salvifiche della chiesa: ciascuna influisce sull'altra, la stimola e la aiuta.
Il dinamismo missionario crea scambio tra le chiese e orienta verso il mondo
esterno, con influssi positivi in tutti i sensi. Le chiese di antica cristianità.
a esempio, alle prese col drammatico compito della nuova evangelizzazione,
comprendono meglio che non possono essere missionarie verso i non cristiani di
altri paesi e continenti, se non si preoccupano seriamente dei non cristiani in
casa propria: la missionarietà ad intra è segno credibile e stimolo per quella
ad extra, e viceversa.
A
tutti i popoli, nonostante le difficoltà
35.
La missione ad gentes ha davanti a sé un compito immane che non è per nulla in
via di estinzione. Essa anzi, sia dal punto di vista numerico per l'aumento
demografico, sia dal punto di vista socio-culturale per il sorgere di nuove
relazioni, contatti e il variare delle situazioni, sembra destinata ad avere
orizzonti ancora più vasti. Il compito di annunziare Gesù Cristo presso tutti
i popoli appare immenso e sproporzionato rispetto alle forze umane della chiesa.
Le diffìcoltà sembrano insormontabili e potrebbero scoraggiare, se si
trattasse di un'opera soltanto umana. In alcuni paesi è proibito l'ingresso dei
missionari, in altri è vietata non solo l'evangelizzazione, ma anche la
conversione e persino il culto cristiano. Altrove gli ostacoli sono di natura
culturale: la trasmissione del messaggio evangelico appare irrilevante o
incomprensibile, e la conversione è vista come l'abbandono del proprio popolo e
della propria cultura.
36.
Né mancano le difficoltà interne al popolo di Dio, le quali anzi sono le più
dolorose. Già il mio predecessore Paolo VI indicava in primo luogo «la
mancanza di fervore, tanto più grave perché nasce dal di dentro; essa si
manifesta nella stanchezza, nella delusione, nell'accomodamento, nel
disinteresse e, soprattutto, nella mancanza di gioia e di speranza». (56)
Grandi ostacoli alla missionarietà della chiesa sono anche le divisioni passate
e presenti tra i cristiani, (57) la scristianizzazione in paesi cristiani, la
diminuzione delle vocazioni all'apostolato, le contro-testimonianze di fedeli e
di comunità cristiane che non seguono nella loro vita il modello di Cristo. Ma
una delle ragioni più gravi dello scarso interesse per l'impegno missionario è
la mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra
cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un
relativismo religioso che porta a ritenere che «una religione vale l'altra».
Possiamo aggiungere come diceva lo stesso pontefice - che ci sono anche «alibi
che possono sviare dall'evangelizzazione. I più insidiosi sono certamente
quelli, per i quali si pretende di trovare appoggio nel tale o tal altro
insegnamento del concilio». (58) Al riguardo, raccomando vivamente ai teologi e
ai professionisti della stampa cristiana di intensificare il proprio servizio
alla missione, per trovare il senso profondo del loro importante lavoro lungo la
retta via del sentire cum ecclesia. Le difficoltà interne ed esterne non
debbono renderci pessimisti o inattivi. Ciò che conta - qui come in ogni
settore della vita cristiana è la fiducia che viene dalla fede, cioè dalla
certezza che non siamo noi i protagonisti della missione, ma Gesù Cristo e il
suo Spirito. Noi siamo soltanto collaboratori e, quando abbiamo fatto tutto
quello che ci è possibile, dobbiamo dire: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto
quanto dovevamo fare». (Lc17,10)
Ambiti
della missione "ad gentes"
37.
La missione ad gentes, in forza del mandato universale di Cristo, non ha
confini. Si possono, tuttavia, delineare vari ambiti in cui essa si attua, in
modo da avere il quadro reale della situazione.
a)
Ambiti territoriali
L'attività
missionaria è stata normalmente definita in rapporto a territori precisi. Il
concilio Vaticano II ha riconosciuto la dimensione territoriale della missione
ad gentes, (59) anche oggi importante al fine di determinare responsabilità,
competenze e limiti geografici d'azione. È vero che a una missione universale
deve corrispondere una prospettiva universale: la chiesa, infatti, non può
accettare che confini geografici e impedimenti politici ostacolino la sua
presenza missionaria. Ma è anche vero che l'attività missionaria ad gentes,
essendo diversa dalla cura pastorale dei fedeli e dalla nuova evangelizzazione
dei non praticanti, si esercita in territori e presso gruppi umani ben
delimitati. Il moltiplicarsi delle giovani chiese nei tempi recenti non deve
illudere. Nei territori affidati a queste chiese, specie in Asia, ma anche in
Africa e in America Latina e Oceania, ci sono vaste zone non evangelizzate:
interi popoli e aree culturali di grande importanza in non poche nazioni non
sono ancora raggiunte dall'annunzio evangelico e dalla presenza della chiesa
locale. (60) Anche in paesi tradizionalmente cristiani ci sono regioni affidate
al regime speciale della missione ad gentes con gruppi e aree non evangelizzate.
Si impone, quindi, anche in questi paesi non solo una nuova evangelizzazione, ma
in certi casi una prima evangelizzazione. (61) Le situazioni, però, non sono
omogenee. Pur riconoscendo che le affermazioni circa la responsabilità
missionaria della chiesa non sono credibili se non sono autenticate da un serio
impegno di nuova evangelizzazione nei paesi di antica cristianità, non pare
giusto equiparare la situazione di un popolo che non ha mai conosciuto Gesù
Cristo con quella di un altro che l'ha conosciuto, accettato e poi rifiutato,
pur continuando a vivere in una cultura che ha assorbito in gran parte i
principi e valori evangelici. Sono due condizioni, in rapporto alla fede,
sostanzialmente diverse. Pertanto, il criterio geografico, anche se non molto
preciso e sempre provvisorio, vale ancora per indicare le frontiere verso cui
deve rivolgersi l'attività missionaria. Ci sono paesi e aree geografiche e
culturali in cui mancano comunità cristiane autoctone; altrove queste sono
talmente piccole, da non essere un segno chiaro di presenza cristiana; oppure
queste comunità mancano di dinamismo per evangelizzare le loro società o
appartengono a popolazioni minoritarie, non inserite nella cultura nazionale
dominante. Nel continente asiatico, in particolare, verso cui dovrebbe
orientarsi principalmente la missione ad gentes, i cristiani sono una piccola
minoranza, anche se a volte vi si verificano significativi movimenti di
conversione ed esemplari modi di presenza cristiana.
b)
Mondi e fenomeni sociali nuovi
Le
rapide e profonde trasformazioni che caratterizzano oggi il mondo, in
particolare il Sud, influiscono fortemente sul quadro missionario: dove prima
c'erano situazioni umane e sociali stabili, oggi tutto è in movimento. Si
pensi, a esempio, all'urbanizzazione e al massiccio incremento delle città,
soprattutto dove più forte è la pressione demografica. Già ora in non pochi
paesi più della metà della popolazione vive in alcune megalopoli, dove i
problemi dell'uomo spesso peggiorano anche per l'anonimato in cui si sentono
immerse le moltitudini. Nei tempi moderni l'attività missionaria si è svolta
soprattutto in regioni isolate, lontane dai centri civilizzati e impervie per
difficoltà di comunicazione, di lingua, di clima. Oggi l'immagine della
missione ad gentes sta forse cambiando: luoghi privilegiati dovrebbero essere le
grandi città, dove sorgono nuovi costumi e modelli di vita, nuove forme di
cultura e comunicazione, che poi influiscono sulla popolazione. È vero che la
«scelta degli ultimi» deve portare a non trascurare i gruppi umani più
marginali e isolati, ma è anche vero che non si possono evangelizzare le
persone o i piccoli gruppi, trascurando i centri dove nasce, si può dire.
un'umanità nuova con nuovi modelli di sviluppo. Il futuro delle giovani nazioni
si sta formando nelle città. Parlando del futuro, non si possono dimenticare i
giovani, i quali in numerosi paesi costituiscono già più della metà della
popolazione. Come far giungere il messaggio di Cristo ai giovani non cristiani,
che sono il futuro di interi continenti? Evidentemente i mezzi ordinari della
pastorale non bastano più: occorrono associazioni e istituzioni, gruppi e
centri speciali, iniziative culturali e sociali per i giovani. Ecco un campo,
dove i moderni movimenti ecclesiali hanno ampio spazio per impegnarsi. Fra le
grandi mutazioni del mondo contemporaneo, le migrazioni hanno prodotto un
fenomeno nuovo: i non cristiani giungono assai numerosi nei paesi di antica
cristianità, creando occasioni nuove di contatti e scambi culturali,
sollecitando la chiesa all'accoglienza, al dialogo, all'aiuto e, in una parola,
alla fraternità. Fra i migranti occupano un posto del tutto particolare i
rifugiati e meritano la massima attenzione. Essi sono ormai molti milioni nel
mondo e non cessano di aumentare: sono fuggiti da condizioni di oppressione
politica e di miseria disumana, da carestie e siccità di dimensioni
catastrofiche. La chiesa deve assumerli nell'ambito della sua sollecitudine
apostolica. Infine, si possono ricordare le condizioni di povertà, spesso
intollerabile, che vengono a crearsi in non pochi paesi e sono spesso
all'origine delle migrazioni di massa. La comunità dei credenti in Cristo è
provocata da queste situazioni disumane: l'annunzio di Cristo e del regno di Dio
deve diventare strumento di riscatto umano per queste popolazioni.
c.)
Aree culturali, o aeropaghi moderni
Paolo,
dopo aver predicato in numerosi luoghi, giunto ad Atene, si reca all'areopago,
dove annunzia il vangelo, usando un linguaggio adatto e comprensibile in
quell'ambiente. (At17,22) L'areopago rappresentava allora il centro della
cultura del dotto popolo ateniese, e oggi può essere assunto a simbolo dei
nuovi ambienti in cui si deve proclamare il vangelo. Il primo areopago del tempo
moderno è il mondo delle comunicazioni, che sta unificando l'umanità
rendendola - come si suol dire - «un villaggio globale». I mezzi di
comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il
principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i
comportamenti individuali, familiari, sociali. Le nuove generazioni soprattutto
crescono in modo condizionato da essi. Forse è stato un po' trascurato questo
areopago: si privilegiano generalmente altri strumenti per l'annunzio evangelico
e per la formazione, mentre i mass media sono lasciati all'iniziativa di singoli
o di piccoli gruppi ed entrano nella programmazione pastorale in linea
secondaria. L'impegno nei mass media, tuttavia, non ha solo lo scopo di
moltiplicare l'annunzio: si tratta di un fatto più profondo, perché
l'evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro
influsso. Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e
magistero della chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa «nuova
cultura» creata dalla comunicazione moderna. È un problema complesso, poiché
questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che
esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi
atteggiamenti psicologici. Il mio predecessore Paolo VI diceva che «la rottura
fra il vangelo e la cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca», (62)
e il campo dell'odierna comunicazione conferma in pieno questo giudizio. Molti
altri sono gli areopaghi del mondo moderno verso cui si deve orientare l'attività
missionaria della chiesa. A esempio, l'impegno per la pace, lo sviluppo e la
liberazione dei popoli; i diritti dell'uomo e dei popoli, soprattutto quelli
delle minoranze. la promozione della donna e del bambino. la salvaguardia del
creato sono altrettanti settori da illuminare con la luce del vangelo. È da
ricordare, inoltre, il vastissimo areopago della cultura, della ricerca
scientifica, dei rapporti internazionali che favoriscono il dialogo e portano a
nuovi progetti di vita. Conviene essere attenti e impegnati in queste istanze
moderne. Gli uomini avvertono di essere come naviganti nel mare della vita,
chiamati a sempre maggiore unità e solidarietà: le soluzioni ai problemi
esistenziali vanno studiate, discusse, sperimentate col concorso di tutti. Ecco
perché organismi e convegni internazionali si dimostrano sempre più importanti
in molti settori della vita umana, dalla cultura alla politica, dall'economia
alla ricerca. I cristiani, che vivono e lavorano in questa dimensione
internazionale, debbono sempre ricordare il loro dovere di testimoniare il
vangelo.
38.
Il nostro tempo è drammatico e insieme affascinante. Mentre da un lato gli
uomini sembrano rincorrere la prosperità materiale e immergersi sempre più nel
materialismo consumistico, dall'altro si manifestano l angosciosa ricerca di
significato, il bisogno di interiorità, il desiderio di apprendere nuove forme
e modi di concentrazione e di preghiera. Non solo nelle culture impregnate di
religiosità. ma anche nelle società secolarizzate è ricercata la dimensione
spirituale della vita come antidoto alla disumanizzazione. Questo cosiddetto
fenomeno del «ritorno religioso» non è privo di ambiguità. ma contiene anche
un invito. La chiesa ha un immenso patrimonio spirituale da offrire all'umanità
in Cristo che si proclama «la via, la verità e la vita». (Gv14,6) È il
cammino cristiano all'incontro con Dio, alla preghiera, all'ascesi, alla
scoperta del senso della vita. Anche questo è un areopago da evangelizzare.
Fedeltà
a Cristo e promozione della libertà dell'uomo
39.
Tutte le forme dell'attività missionaria sono contrassegnate dalla
consapevolezza di promuovere la libertà dell'uomo annunciando a lui Gesù
Cristo. La chiesa deve essere fedele a Cristo, di cui è il corpo e continua la
missione. È necessario che essa «segua la stessa strada seguita da Cristo, la
strada della povertà, dell'obbedienza, del servizio e del sacrificio di sé
fino alla morte, da cui poi risorgendo uscì vincitore». (63) La chiesa,
quindi, ha il dovere di fare di tutto per svolgere la sua missione nel mondo e
raggiungere tutti i popoli; e ne ha anche il diritto, che le e stato dato da Dio
per l'attuazione del suo piano. La libertà religiosa, talvolta ancora limitata
o coartata, è la premessa e la garanzia di tutte le libertà che assicurano il
bene comune delle persone e dei popoli. È da auspicare che l'autentica libertà
religiosa sia concessa a tutti in ogni luogo, e a questo scopo la chiesa si
adopera nei vari paesi, specie in quelli a maggioranza cattolica, dove essa ha
un maggiore influsso. Ma non si tratta di un problema della religione di
maggioranza o di minoranza, bensì di un diritto inalienabile di ogni persona
umana. D'altra parte, la chiesa si rivolge all'uomo nel pieno rispetto della sua
libertà: (64) la missione non coarta la libertà, ma piuttosto la favorisce. La
chiesa propone, non impone nulla: rispetta le persone e le culture, e si ferma
davanti al sacrario della coscienza. A coloro che si oppongono con i più vari
pretesti all'attività missionaria la chiesa ripete: Aprite le porte a Cristo!
Mi rivolgo a tutte le chiese particolari, giovani e antiche. Il mondo va sempre
più unificandosi, lo spirito evangelico deve portare al superamento di barriere
culturali e nazionalistiche, evitando ogni chiusura. Benedetto XV ammoniva già
i missionari del suo tempo se mai, «dimentichi della propria dignità,
pensassero più alla loro patria terrestre che a quella del cielo». (65) La
stessa raccomandazione vale oggi per le chiese particolari: Aprite le porte ai
missionari, poiché «ogni chiesa particolare. che si separasse volontariamente
dalla chiesa universale, perderebbe il suo riferimento al disegno di Dio e si
impoverirebbe nella sua dimensione ecclesiale». (66)
Rivolgere
l'attenzione verso il Sud e l'Oriente
40.
L'attività missionaria rappresenta ancor oggi la massima sfida per la chiesa .
Mentre si avvicina la fine del secondo millennio della redenzione, si fa sempre
più evidente che le genti che non hanno ancora ricevuto il primo annunzio di
Cristo sono la maggioranza dell'umanità. Il bilancio dell'attività missionaria
nei tempi moderni è certo positivo: la chiesa è stata fondata in tutti i
continenti, anzi oggi la maggioranza dei fedeli e delle chiese particolari non
è più nella vecchia Europa, ma nei continenti che i missionari hanno aperto
alla fede. Rimane, però, il fatto che gli «ultimi confini della terra», a cui
si deve portare il vangelo, si allontanano sempre più, e la sentenza di
Tertulliano, secondo cui il vangelo è stato annunziato in tutta la terra e a
tutti i popoli, (67) è ben lontana dalla sua concreta attuazione: la missione
ad gentes è ancora agli inizi. Nuovi popoli compaiono sulla scena mondiale e
hanno anch'essi il diritto di ricevere l'annunzio della salvezza. La crescita
demografica del Sud e dell'Oriente, in paesi non cristiani, fa aumentare di
continuo il numero delle persone che ignorano la redenzione di Cristo. Bisogna,
dunque, rivolgere l'attenzione missionaria verso quelle aree geografiche e
quegli ambienti culturali che sono rimasti al di fuori dell'influsso evangelico.
Tutti i credenti in Cristo debbono sentire, come parte integrante della loro
fede, la sollecitudine apostolica di trasmetterne ad altri la gioia e la luce.
Tale sollecitudine deve diventare, per così dire, fame e sete di far conoscere
il Signore quando si allarga lo sguardo agli immensi orizzonti del mondo non
cristiano.
|
PARTE
V
LE
VIE DELLA MISSIONE
41.
«L'attività missionaria non è né più né meno che la manifestazione, o
epifania, e la realizzazione del disegno di Dio nel mondo e nella storia, nella
quale Dio, proprio mediante la missione. attua all'evidenza la storia della
salvezza». (68) Quali vie segue la chiesa per giungere a questo risultato? La
missione è una realtà unitaria, ma complessa. e si esplica in vari modi, tra
cui alcuni sono di particolare importanza nella presente condizione della chiesa
e del mondo .
La
prima forma di evangelizzazione è la testimonianza
42.
L'uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, (69) più
all'esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie. La
testimonianza della vita cristiana è la prima e insostituibile forma della
missione: Cristo, di cui noi continuiamo la missione, è il «testimone» per
eccellenza (Ap1,5); (Ap3,14) e il modello della testimonianza cristiana. Lo
Spirito santo accompagna il cammino della chiesa e la associa alla testimonianza
che egli rende a Cristo. (Gv15,26) La prima forma di testimonianza è la vita
stessa del missionario della famiglia cristiana e della comunità ecclesiale,
che rende visibile un modo nuovo di comportarsi. Il missionario che, pur con
tutti i limiti e difetti umani, vive con semplicità secondo il modello di
Cristo, è un segno di Dio e delle realtà trascendenti. Ma tutti nella chiesa,
sforzandosi di imitare il divino Maestro, possono e debbono dare tale
testimonianza, (70) che in molti casi è l'unico modo possibile di essere
missionari. La testimonianza evangelica, a cui il mondo è più sensibile, è
quella dell'attenzione per le persone e della carità verso i poveri e i
piccoli, verso chi soffre. La gratuità di questo atteggiamento e di queste
azioni, che contrastano profondamente con l'egoismo presente nell'uomo, fa
nascere precise domande che orientano a Dio e al vangelo. Anche l'impegno per la
pace, la giustizia, i diritti dell'uomo, la promozione umana è una
testimonianza del vangelo, se e segno di attenzione per le persone ed è
ordinato allo sviluppo integrale dell'uomo. (71)
43.
Il cristiano e le comunità cristiane vivono profondamente inseriti nella vita
dei rispettivi popoli e sono segno del vangelo anche nella fedeltà alla loro
patria, al loro popolo, alla cultura nazionale, sempre però nella libertà che
Cristo ha portato. Il cristianesimo è aperto alla fratellanza universale. perché
tutti gli uomini sono figli dello stesso Padre e fratelli in Cristo. La chiesa
è chiamata a dare la sua testimonianza a Cristo assumendo posizioni coraggiose
e profetiche di fronte alla corruzione del potere politico o economico; non
cercando essa stessa gloria e beni materiali; usando dei suoi beni per il
servizio dei più poveri e imitando la semplicità di vita del Cristo. La chiesa
e i missionari debbono dare anche la testimonianza dell'umiltà, rivolta
anzitutto verso se stessi, che si traduce nella capacità di un esame di
coscienza a livello personale e comunitario, per correggere nei propri
comportamenti quanto è anti-evangelico e sfigura il volto di Cristo.
Il
primo annunzio di Cristo Salvatore
44.
L'annunzio ha la priorità permanente nella missione: la chiesa non può
sottrarsi al mandato esplicito di Cristo, non può privare gli uomini della «buona
novella» che sono amati e salvati da Dio. «L'evangelizzazione conterrà sempre
- come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo - anche una chiara
proclamazione che, in Gesù Cristo... La salvezza è offerta a ogni uomo, come
dono di grazia e di misericordia di Dio stesso». (72) Tutte le forme
dell'attività missionaria tendono verso questa proclamazione che rivela e
introduce nel mistero nascosto nei secoli e svelato in Cristo (Ef3,3); (Col1,25)
il quale è nel cuore della missione e della vita della chiesa, come cardine di
tutta l'evangelizzazione. Nella realtà complessa della missione il primo
annunzio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce «nel mistero
dell'amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con
lui» (73) e apre la via alla conversione. La fede nasce dall'annunzio, e ogni
comunità ecclesiale trae origine e vita dalla risposta personale di ciascun
fedele a tale annunzio. (74) Come l'economia salvifica è incentrata in Cristo,
così l'attività missionaria tende alla proclamazione del suo mistero.
L'annunzio ha per oggetto il Cristo crocifisso, morto e risorto: in lui si
compie la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla morte; in
lui Dio dona la «vita nuova», divina ed eterna. È questa la «buona novella»,
che cambia l'uomo e la storia dell'umanità e che tutti i popoli hanno il
diritto di conoscere. Tale annunzio va fatto nel contesto della vita dell'uomo e
dei popoli che lo ricevono. Esso, inoltre, deve essere fatto in atteggiamento di
amore e di stima verso chi ascolta, con un linguaggio concreto e adattato alle
circostanze. In esso lo Spirito è all'opera e instaura una comunione tra il
missionario e gli ascoltatori, possibile in quanto l'uno e gli altri entrano in
comunione, per Cristo, col Padre. (75)
45.
Essendo fatto in unione con l'intera comunità ecclesiale, l'annunzio non è mai
un fatto personale. Il missionario è presente e opera in virtù di un mandato
ricevuto e, anche se si trova solo, è collegato mediante vincoli invisibili, ma
profondi all'attività evangelizzatrice di tutta la chiesa. (76) Gli
ascoltatori, prima o poi, intravedono dietro a lui la comunità che lo ha
mandato e lo sostiene. L'annunzio è animato dalla fede, che suscita entusiasmo
e fervore nel missionario. Come si è detto, gli Atti definiscono tale
atteggiamento con la parola parresìa, che significa parlare con franchezza e
coraggio, e questo termine ricorre anche in san Paolo: «Nel nostro Dio abbiamo
avuto il coraggio di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte».
(1Ts2,2) «Pregate. . . anche per me, perché quando apro la bocca, mi sia data
una parola franca per far conoscere il mistero del vangelo del quale sono
ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere».
(Ef6,18) Nell'annunziare Cristo ai non cristiani il missionario è convinto che
esiste già nei singoli e nei popoli, per l'azione dello Spirito, un'attesa
anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull'uomo, sulla via che
porta alla liberazione dal peccato e dalla morte. L'entusiasmo nell'annunziare
il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa, sicché il
missionario non si scoraggia né desiste dalla sua testimonianza, anche quando
è chiamato a manifestare la sua fede in un ambiente ostile o indifferente. Egli
sa che lo Spirito del Padre parla in lui (Mt10,17); (Lc12,11) e può ripetere
con gli apostoli: «Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito santo».
(At5,32) Egli sa che non annunzia una verità umana, ma la «Parola di Dio», la
quale ha una sua intrinseca e misteriosa potenza. (Rm1,16) La prova suprema è
il dono della vita, fino ad accettare la morte per testimoniare la fede in Gesù
Cristo. Come sempre nella storia cristiana, i «martiri», cioè i testimoni,
sono numerosi e indispensabili al cammino del vangelo. Anche nella nostra epoca
ce ne sono tanti: vescovi sacerdoti, religiosi e religiose, laici, a volte eroi
sconosciuti che danno la vita per testimoniare la fede. Sono essi gli
annunziatori ed i testimoni per eccellenza.
Conversione
e battesimo
46.
L'annunzio della parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè
all'adesione piena e sincera a Cristo e al suo vangelo mediante la fede. La
conversione è dono di Dio, opera della Trinità: è lo Spirito che apre le
porte dei cuori, affinché gli uomini possano credere al Signore e «confessarlo».
(1Cor12,3) Di chi si accosta a lui mediante la fede Gesù dice: «Nessuno può
venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato». (Gv6,44) La
conversione si esprime fin dall'inizio con una fede totale e radicale, che non
pone né limiti né remore al dono di Dio. Al tempo stesso, però, essa
determina un processo dinamico e permanente che dura per tutta l'esistenza,
esigendo un passaggio continuo dalla «vita secondo la carne» alla «vita
secondo lo Spirito». (Rm8,3) Essa significa accettare, con decisione personale,
la sovranità salvifica di Cristo e diventare suoi discepoli. A questa
conversione la chiesa chiama tutti, sull'esempio di Giovanni Battista, che
preparava la via a Cristo, «predicando un battesimo di conversione per il
perdono dei peccati» (Mc1,4) e di Cristo stesso, il quale, «dopo che Giovanni
fu arrestato. ... si recò in Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva:
"Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete
al vangelo"». (Mc1,14) Oggi l'appello alla conversione, che i missionari
rivolgono ai non cristiani, e messo in discussione o passato sotto silenzio. Si
vede in esso un atto di «proselitismo»; si dice che basta aiutare gli uomini a
essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire
comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la
solidarietà. Ma si dimentica che ogni persona ha il diritto di udire la «buona
novella» di Dio che si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la
sua propria vocazione. La grandezza di questo evento risuona nelle parole di Gesù
alla Samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio», e nel desiderio
inconsapevole, ma ardente della donna: «Signore, dammi di quest'acqua, perché
non abbia più sete». (Gv4,10)
47.
Gli apostoli, mossi dallo Spirito santo, invitavano tutti a cambiare vita, a
convertirsi e a ricevere il battesimo. Subito dopo l'evento della Pentecoste,
Pietro parla alla folla in modo convincente: «All'udir tutto questo si
sentirono come trafiggere il cuore e chiesero a Pietro e agli altri apostoli:
"Che cosa dobbiamo fare, fratelli?". E Pietro disse: Convertitevi, e
ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione
dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito santo"».
(At2,37) E battezzò in quel giorno circa tremila persone. Pietro ancora, dopo
la guarigione dello storpio. parla alla folla e ripete: «Convertitevi dunque, e
cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati!». (At3,19) La
conversione a Cristo è connessa col battesimo: lo è non solo per la prassi
della chiesa, ma per volere di Cristo, che ha inviato a far discepole tutte le
genti e a battezzarle (Mt28,19) lo è anche per l'intrinseca esigenza di
ricevere la pienezza della vita in lui: «In verità, in verità ti dico Gesù
dice a Nicodemo - se uno non nasce da acqua e da Spirito. non può entrare nel
regno di Dio». (Gv3,5) Il battesimo, infatti, ci rigenera alla vita dei fili di
Dio, ci unisce a Gesù Cristo, ci unge nello Spirito santo: esso non è un
semplice suggello della conversione, quasi un segno esteriore che la dimostri e
la attesti, bensì è sacramento che significa e opera questa nuova nascita
dallo Spirito, instaura vincoli reali e inscindibili con la Trinità, rende
membri del corpo di Cristo, ch'è la chiesa. Tutto questo va ricordato, perché
non pochi, proprio dove si svolge la missione ad gentes tendono a scindere la
conversione a Cristo dal battesimo, giudicandolo come non necessario. È vero
che in certi ambienti si notano aspetti sociologici relativi al battesimo, che
ne oscurano il genuino significato di fede. Ciò è dovuto a diversi fattori
storici e culturali, che bisogna rimuovere dove ancora sussistono, affinché il
sacramento della rigenerazione spirituale appaia in tutto il suo valore: a
questo compito devono dedicarsi le comunità ecclesiali locali. È vero anche
che non poche persone affermano di essere interiormente impegnate con Cristo e
col suo messaggio, ma non lo vogliono essere sacramentalmente, perché, a causa
dei loro pregiudizi o delle colpe dei cristiani, non riescono a percepire la
vera natura della chiesa, mistero di fede e di amore. (77) Desidero incoraggiare
queste persone ad aprirsi pienamente a Cristo ricordando a esse che, se sentono
il fascino di Cristo, egli stesso ha voluto la chiesa come «luogo» in cui
possono di fatto incontrarlo. Al tempo stesso, invito i fedeli e le comunità
cristiane a testimoniare autenticamente Cristo con la loro vita nuova. Certo,
ogni convertito è un dono fatto alla chiesa e comporta per essa una grave
responsabilità non solo perché va preparato al battesimo col catecumenato e
poi seguito con l'istruzione religiosa, ma perché, specialmente se è adulto,
porta come un'energia nuova l'entusiasmo della fede, il desiderio di trovare
nella chiesa stessa il vangelo vissuto. Sarebbe per lui una delusione se,
entrato nella comunità ecclesiale, vi trovasse una vita priva di fervore e
senza segni di rinnovamento. Non possiamo predicare la conversione, se non ci
convertiamo noi stessi ogni giorno.
Formazione
di Chiese locali
48.
La conversione e il battesimo immettono nella chiesa, dove già esiste, o
richiedono la costituzione di nuove comunità che confessano Gesù Salvatore e
Signore. Ciò fa parte del disegno di Dio, a cui è piaciuto «di chiamare gli
uomini a partecipare della sua stessa vita non tanto a uno a uno, ma di riunirli
in un popolo, nel quale i suoi figli dispersi si raccogliessero in unità».
(78) La missione ad gentes ha questo obiettivo: fondare comunità cristiane,
sviluppare chiese fino alla loro completa maturazione. È, questa, una mèta
centrale e qualificante dell'attività missionaria, al punto che questa non si
può dire esplicata finché non riesce a edificare una nuova chiesa particolare,
normalmente funzionante nell'ambiente locale. Di ciò parla ampiamente il
decreto Ad gentes, (79) e dopo il concilio si è sviluppata una linea teologica
per sottolineare che tutto il mistero della chiesa è contenuto in ciascuna
chiesa particolare, purché questa non si isoli, ma rimanga in comunione con la
chiesa universale e si faccia, a sua volta, missionaria. Si tratta di un grande
e lungo lavoro, del quale è difficile indicare le tappe precise, in cui cessa
l'azione propriamente missionaria e si passa all'attività pastorale. Ma alcuni
punti debbono restare chiari.
49.
È necessario. anzitutto, cercare di stabilire in ogni luogo comunità
cristiane, che siano «segno della presenza divina nel mondo» (80) e crescano
fino a divenire chiese. Nonostante l'alto numero delle diocesi, esistono tuttora
vaste aree in cui le chiese locali sono del tutto assenti o insufficienti
rispetto alla vastità del territorio e alla densità della popolazione: rimane
da compiere un rande lavoro di impianto e di sviluppo della chiesa. Questa fase
della storia ecclesiale, detta plantatio ecclesiae non è terminata, anzi in
molti raggruppamenti umani deve ancora iniziare. La responsabilità di tale
compito ricade sulla chiesa universale e sulle chiese particolari, su tutto il
popolo di Dio e su tutte le forze missionarie. Ogni chiesa, anche quella formata
da neoconvertiti, è per sua natura missionaria, è evangelizzata ed
evangelizzante, e la fede va sempre presentata come dono di Dio da vivere in
comunità (famiglie, parrocchie, associazioni) e da irradiare all'esterno sia
con la testimonianza di vita che con la parola. L'azione evangelizzatrice della
comunità cristiana, prima sul proprio territorio e poi altrove come
partecipazione alla missione universale, è il segno più chiaro della maturità
della fede. Occorre un radicale cambiamento di mentalità per diventare
missionari, e questo vale sia per le persone sia per le comunità. Il Signore
chiama sempre a uscire da se stessi, a condividere con gli altri i beni che
abbiamo, cominciando da quello più prezioso che è la fede. Alla luce di questo
imperativo missionario si dovrà misurare la validità degli organismi,
movimenti, parrocchie e opere di apostolato della chiesa. Solo diventando
missionaria la comunità cristiana potrà superare divisioni e tensioni interne
e ritrovare la sua unità e il suo vigore di fede. Le forze missionarie,
provenienti da altre chiese e paesi, devono operare in comunione con quelle
locali per lo sviluppo della comunità cristiana. In particolare. tocca a esse -
sempre secondo le direttive dei vescovi e in collaborazione con i responsabili
del posto - promuovere la diffusione della fede e l'espansione della chiesa
negli ambienti e gruppi non cristiani, animare in senso missionario le chiese
locali, cosicché la preoccupazione pastorale sia sempre abbinata a quella per
la missione ad gentes. Ogni chiesa farà allora veramente sua la sollecitudine
di Cristo, buon Pastore, che si prodiga per il suo gregge, ma al tempo stesso
pensa alle «altre pecore che non sono di quest'ovile». (Gv10,16)
50.
Tale sollecitudine costituirà un motivo e uno stimolo per un rinnovato impegno
ecumenico. I legami esistenti tra attività ecumenica e attività missionaria
rendono necessario considerare due fattori concomitanti. Da una parte, si deve
riconoscere che «la divisione dei cristiani è di grave pregiudizio alla santa
causa della predicazione del vangelo a tutti gli uomini e chiude a molti
l'accesso alla fede». (81) Il fatto che la buona novella della riconciliazione
sia predicata dai cristiani tra loro divisi, ne indebolisce la testimonianza, ed
è perciò urgente operare per l'unità dei cristiani, affinché l'attività
missionaria possa riuscire più incisiva. Al tempo stesso, non dobbiamo
dimenticare che gli stessi sforzi verso l'unità costituiscono di per sé un
segno dell'opera di riconciliazione che Dio conduce in mezzo a noi. D'altra
parte, è vero che tutti quelli che hanno ricevuto il battesimo in Cristo sono
costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, tra loro. È su questa
base che si fonda l'orientamento dato dal concilio: «I cattolici, esclusa ogni
forma sia di indifferentismo e di sincretismo, sia di sconsiderata concorrenza,
mediante una comune per quanto possibile professione di fede in Dio e in Gesù
Cristo di fronte alle genti, mediante la cooperazione nel campo tecnico e
sociale come in quello religioso e culturale, collaborino fraternamente con i
fratelli separati secondo le norme del decreto sull'ecumenismo». (82) L'attività
ecumenica e la testimonianza concorde a Gesù Cristo dei cristiani appartenenti
a differenti chiese e comunità ecclesiali, hanno già recato abbondanti frutti.
Ma è sempre più urgente che essi collaborino e testimonino insieme in questo
tempo nel quale sètte cristiane e paracristiane seminano la confusione con la
loro azione. L'espansione di queste sètte costituisce una minaccia per la
chiesa cattolica e per tutte le comunità ecclesiali con le quali essa
intrattiene un dialogo. Ovunque possibile e secondo le circostanze locali, la
risposta dei cristiani potrà essere anch'essa ecumenica.
Le
«comunità ecclesiali di base» forza di evangelizzazione
51.
Un fenomeno in rapida crescita nelle giovani chiese, promosso dai vescovi e
dalle loro Conferenze a volte come scelta prioritaria della pastorale, sono le
comunità ecclesiali di base (conosciute anche con altri nomi), le quali stanno
dando buona prova come centri di formazione cristiana e di irradiazione
missionaria. Si tratta di gruppi di cristiani a livello familiare o di ambiente
ristretto, i quali s'incontrano per la preghiera? la lettura della Scrittura. la
catechesi, per la condivisione dei problemi umani ed ecclesiali in vista di un
impegno comune. Esse sono un segno di vitalità della chiesa, strumento di
formazione e di evangelizzazione, valido punto di partenza per una nuova società
fondata sulla «civiltà dell'amore». Tali comunità decentrano e articolano la
comunità parrocchiale, a cui rimangono sempre unite; si radicano in ambienti
popolari e contadini, diventando fermento di vita cristiana, di attenzione per
gli ultimi, di impegno per la trasformazione della società. In esse il singolo
cristiano fa un'esperienza comunitaria, per cui anch'egli si sente un elemento
attivo, stimolato a dare la sua collaborazione all'impegno di tutti. In tal modo
esse sono strumento di evangelizzazione e di primo annunzio e fonte di nuovi
ministeri, mentre, animate dalla carità di Cristo, offrono anche un'indicazione
circa il modo di superare divisioni, tribalismi, razzismi. Ogni comunità,
infatti, per essere cristiana, deve fondarsi e vivere in Cristo, nell'ascolto
della parola di Dio, nella preghiera incentrata sull'eucaristia, nella comunione
espressa in unità di cuore e di anima e nella condivisione secondo i bisogni
dei suoi membri. (At2,42) Ogni comunità - ricordava Paolo VI - deve vivere in
unità con la chiesa particolare e universale, nella sincera comunione con i
pastori e il magistero, impegnandosi nell'irradiazione missionaria ed evitando
ogni chiusura e strumentalizzazione ideologica. (83) E il sinodo dei vescovi ha
affermato: «Poiché la chiesa è comunione, le nuove comunità di base, se
veramente vivono in unità con la chiesa, sono una vera espressione di comunione
e mezzo per costruire una comunione più profonda. Perciò, sono motivo di
grande speranza per la vita della chiesa». (84)
Incarnare
il Vangelo nelle culture dei popoli
52.
Svolgendo l'attività missionaria tra le genti, la chiesa incontra varie culture
e viene coinvolta nel processo d'inculturazione. È, questa, un'esigenza che ne
ha segnato tutto il cammino storico, ma oggi è particolarmente acuta e urgente.
Il processo di inserimento della chiesa nelle culture dei popoli richiede tempi
lunghi: non si tratta di un puro adattamento esteriore, poiché l'inculturazione
«significa l'intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante
l'integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie
culture». (85) È, dunque, un processo profondo e globale che investe sia il
messaggio cristiano, sia la riflessione e la prassi della chiesa. Ma è pure un
processo difficile, perché non deve in alcun modo compromettere la specificità
e l'integrità della fede cristiana. Per l'inculturazione la chiesa incarna il
vangelo nelle diverse culture e, nello stesso tempo, introduce i popoli con le
loro culture nella sua stessa comunità; (86) trasmette a esse i propri valori,
assumendo ciò che di buono c'è in esse e rinnovandole dall'interno. (87) Da
parte sua, con l'inculturazione la chiesa diventa segno più comprensibile di ciò
che è e strumento più atto della missione. Grazie a questa azione nelle chiese
locali, la stessa chiesa universale si arricchisce di espressioni e valori nei
vari settori della vita cristiana, quali l'evangelizzazione, il culto, la
teologia, la carità; conosce ed esprime ancor meglio il mistero di Cristo,
mentre viene stimolata a un continuo rinnovamento. Questi temi, presenti nel
concilio e nel magistero successivo, ho ripetutamente affrontato nelle mie
visite pastorali alle giovani chiese. (88) L'inculturazione è un cammino lento,
che accompagna tutta la vita missionaria e chiama in causa i vari operatori
della missione ad gentes, le comunità cristiane man mano che si sviluppano, i
pastori che hanno la responsabilità di discernere e stimolare la sua
attuazione. (89)
53.
I missionari, provenienti da altre chiese e paesi, devono inserirsi nel mondo
socio-culturale di coloro ai quali sono mandati, superando i condizionamenti del
proprio ambiente d'origine. Così devono imparare la lingua della regione in cui
lavorano. conoscere le espressioni più significative di quella cultura,
scoprendone i valori per diretta esperienza. Soltanto con questa conoscenza essi
potranno portare ai popoli in maniera credibile e fruttuosa la conoscenza del
mistero nascosto. (Rm16,25); (Ef3,5) Per loro non si tratta certo di rinnegare
la propria identità culturale, ma di comprendere, apprezzare, promuovere ed
evangelizzare quella dell'ambiente in cui operano e, quindi, mettersi in grado
di comunicare realmente con esso, assumendo uno stile di vita che sia segno di
testimonianza evangelica e di solidarietà con la gente. Le comunità ecclesiali
in formazione, ispirate dal vangelo, potranno esprimere progressivamente la
propria esperienza cristiana in modi e forme originali, consone alle proprie
tradizioni culturali, purché sempre in sintonia con le esigenze oggettive della
stessa fede. A questo scopo, specie in ordine ai settori di inculturazione più
delicati, le chiese particolari del medesimo territorio dovranno operare in
comunione fra di loro (90) e con tutta la chiesa, convinte che solo l'attenzione
sia alla chiesa universale che alle chiese particolari le renderà capaci di
tradurre il tesoro della fede nella legittima varietà delle sue espressioni.
(91) Perciò, i gruppi evangelizzati offriranno gli elementi per una «traduzione»
del messaggio evangelico, (92) tenendo presenti gli apporti positivi che si sono
avuti nei secoli grazie al contatto del cristianesimo con le varie culture, ma
senza dimenticare i pericoli di alterazioni che si sono a volte verificati. (93)
54.
In proposito, restano fondamentali alcune indicazioni. L'inculturazione nel suo
retto processo dev'essere guidata da due principi: «La compatibilità col
vangelo e la comunione con la chiesa universale». (94) Custodi del «deposito
della fede», i vescovi cureranno la fedeltà e, soprattutto, il discernimento,
(95) per il quale occorre un profondo equilibrio: c'è, infatti, il rischio di
passare acriticamente da una specie di alienazione dalla cultura a una
supervalutazione di essa, che è un prodotto dell'uomo, quindi è segnata dal
peccato. Anch'essa dev'essere «purificata, elevata e perfezionata». (96) Un
tale processo ha bisogno di gradualità, in modo che sia veramente espressione
dell'esperienza cristiana della comunità: «Occorrerà un'incubazione del
mistero cristiano nel genio del vostro popolo - diceva Paolo VI a Kampala-,
perché la sua voce nativa, più limpida e più franca, si innalzi armoniosa nel
coro delle voci della chiesa universale». (97) Infine l'inculturazione deve
coinvolgere tutto il popolo di Dio, non solo alcuni esperti, poiché è noto che
il popolo riflette quel genuino senso della fede che non bisogna mai perdere di
vista. Essa va sì guidata e stimolata, ma non forzata, per non suscitare
reazioni negative nei cristiani: dev'essere espressione di vita comunitaria, cioè
maturare in seno alla comunità, e non frutto esclusivo di ricerche erudite. La
salvaguardia dei valori tradizionali è effetto di una fede matura.
Il
dialogo con i fratelli di altre religioni
55.
Il dialogo inter-religioso fa parte della missione evangelizzatrice della chiesa
. Inteso come metodo e mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco,
esso non è in contrapposizione con la missione ad gentes anzi ha speciali
legami con essa e ne è un'espressione. Tale missione, infatti, ha per
destinatari gli uomini che non conoscono Cristo e il suo vangelo, e in gran
maggioranza appartengono ad altre religioni. Dio chiama a sé tutte le genti in
Cristo, volendo loro comunicare la pienezza della sua rivelazione e del suo
amore; né manca di rendersi presente in tanti modi non solo ai singoli
individui, ma anche ai popoli mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le
religioni sono precipua ed essenziale espressione, pur contenendo «lacune,
insufficienze ed errori». (98) Tutto ciò il concilio e il successivo magistero
hanno ampiamente sottolineato, mantenendo sempre fermo che la salvezza viene da
Cristo e il dialogo non dispensa dell'evangelizzazione. (99) Alla luce
dell'economia di salvezza, la chiesa non vede un contrasto fra l'annuncio del
Cristo e il dialogo interreligioso; sente, però, la necessità di comporli
nell'ambito della sua missione ad gentes. Occorre, infatti, che questi due
elementi mantengano il loro legame intimo e, al tempo stesso, la loro
distinzione, per cui non vanno né confusi, né strumentalizzati, né giudicati
equivalenti come se fossero intercambiabili. Ho scritto recentemente ai vescovi
dell'Asia: «Anche se la chiesa riconosce volentieri quanto c'è di vero e di
santo nelle tradizioni religiose del buddismo, dell'induismo e dell'islam
riflessi di quella verità che illumina tutti gli uomini, ciò non diminuisce il
suo dovere e la sua determinazione a proclamare senza esitazioni Gesù Cristo,
che è "la via, la verità e la vita"... il fatto che i seguaci di
altre religioni possano ricevere la grazia di Dio ed essere salvati da Cristo
indipendentemente dai mezzi ordinari che egli ha stabilito, non cancella affatto
l'appello alla fede e al battesimo che Dio vuole per tutti i popoli». (100)
Cristo stesso, infatti, «inculcando espressamente la necessità della fede e
del battesimo, ha confermato simultaneamente la necessità della chiesa, nella
quale gli uomini entrano mediante il battesimo come per una porta». (101) Il
dialogo deve esser condotto e attuato con la convinzione che la chiesa è la via
ordinaria do salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di
salvezza. (102)
56.
Il dialogo non nasce da tattica o da interesse, ma è un'attività che ha
proprie motivazioni. esigenze, dignità: è richiesto dal profondo rispetto per
tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole. (103) Con
esso la chiesa intende scoprire i «germi del Verbo», (104) «raggi della verità
che illumina tutti gli uomini» (105) germi e raggi che si trovano nelle persone
e nelle tradizioni religiose dell'umanità. Il dialogo si fonda sulla speranza e
la carità e porterà frutti nello Spirito. Le altre religioni costituiscono una
sfida positiva per la chiesa: la stimolano, infatti, sia a scoprire e a
riconoscere i segni della presenza del Cristo e dell'azione dello Spirito, sia
ad approfondire la propria identità e a testimoniare l'integrità della
rivelazione, di cui è depositaria per il bene di tutti. Deriva da qui lo
spirito che deve animare tale dialogo nel contesto della missione.
L'interlocutore dev'essere coerente con le proprie tradizioni e convinzioni
religiose e aperto a comprendere quelle dell'altro, senza dissimulazioni o
chiusure, ma con verità, umiltà, lealtà, sapendo che il dialogo può
arricchire ognuno. Non ci deve essere nessuna abdicazione né irenismo, ma la
testimonianza reciproca per un comune progresso nel cammino di ricerca e di
esperienza religiosa e, al tempo stesso, per il superamento di pregiudizi,
intolleranze e malintesi. Il dialogo tende alla purificazione e conversione
interiore che, se perseguìta con docilità allo Spirito, sarà spiritualmente
fruttuosa.
57.
Al dialogo si apre un vasto campo, potendo esso assumere molteplici forme ed
espressioni: dagli scambi tra esperti delle tradizioni religiose o
rappresentanti ufficiali di esse alla collaborazione per lo sviluppo integrale e
la salvaguardia dei valori religiosi; dalla comunicazione delle rispettive
esperienze spirituali al cosiddetto «dialogo di vita», per cui i credenti
delle diverse religioni testimoniano gli uni agli altri nell'esistenza
quotidiana i propri valori umani e spirituali e si aiutano a viverli per
edificare una società più giusta e fraterna. Tutti i fedeli e le comunità
cristiane sono chiamati a praticare il dialogo, anche se non nello stesso grado
e forma. Per esso è indispensabile l'apporto dei laici. che «con l'esempio
della loro vita e con la propria azione possono favorire il miglioramento dei
rapporti tra seguaci delle diverse religioni» (106), mentre alcuni di loro
potranno pure dare un contributo di ricerca e di studio. (107) Sapendo che non
pochi missionari e comunità cristiane trovano nella via difficile e spesso
incompresa del dialogo l'unica maniera di rendere sincera testimonianza a Cristo
e generoso servizio all'uomo, desidero incoraggiarli a perseverare con fede e
carità, anche là dove i loro sforzi non trovano accoglienza e risposta. Il
dialogo è una via verso il regno e darà sicuramente i suoi frutti, anche se
tempi e momenti sono riservati al Padre. (At1,7)
Promuovere
lo sviluppo educando le coscienze
58.
La missione ad gentes si svolge ancor oggi, per gran parte, in quelle regioni
del Sud del mondo, dove è più urgente l'azione per lo sviluppo integrale e la
liberazione da ogni oppressione. La chiesa ha sempre saputo suscitare, nelle
popolazioni che ha evangelizzato, la spinta verso il progresso, e oggi i
missionari più che in passato sono riconosciuti anche come promotori di
sviluppo da governi e esperti internazionali, i quali restano ammirati del fatto
che si ottengano notevoli risultati con scarsi mezzi. Nell'enciclica Sollicitudo
rei sociali ho affermato che «la chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire al
sottosviluppo in quanto tale», ma «dà il primo contributo alla soluzione
dell'urgente problema dello sviluppo, quando proclama la verità su Cristo, su
se stessa e sull'uomo, applicandola a una situazione concreta». (108) La
Conferenza dei vescovi latino-americani a Puebla ha affermato che «il miglior
servizio al fratello è l'evangelizzazione, che lo dispone a realizzarsi come
figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente». (109)
La missione della chiesa non è di operare direttamente sul piano economico o
tecnico o politico o di dare un contributo materiale allo sviluppo, ma consiste
essenzialmente nell'offrire ai popoli non un «avere di più», ma un «essere
di più», risvegliando le coscienze col vangelo. «L'autentico sviluppo umano
deve affondare le sue radici in un'evangelizzazione sempre più profonda» (110)
La chiesa e i missionari sono promotori di sviluppo anche con le loro scuole,
ospedali, tipografie, università, fattorie agricole sperimentali. Ma lo
sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti
materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle
coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi. È l'uomo il
protagonista dello sviluppo non il denaro o la tecnica. La chiesa educa le
coscienze rivelando ai popoli quel Dio che cercano, ma non conoscono. La
grandezza dell'uomo creato a immagine di Dio e da lui amato, l'esuaglianza di
tutti gli uomini come figli di Dio, il dominio sulla natura creata e posta a
servizio dell'uomo, il dovere di impegnarsi per lo sviluppo di tutto l'uomo e di
tutti gli uomini .
59.
Col messaggio evangelico la chiesa offre una forza liberante e fautrice di
sviluppo proprio perché porta alla conversione del cuore e della mentalità, fa
riconoscere la dignità di ciascuna persona, dispone alla solidarietà,
all'impegno al servizio dei fratelli, inserisce l'uomo nel progetto di Dio, che
è la costruzione del regno di pace, di giustizia a partire già da questa vita.
È la prospettiva biblica dei «cieli nuovi e terra nuova», (Is65,17);
(2Pt3,13); (Ap21,1) la quale ha inserito nella storia lo stimolo e la metà per
l'avanzamento dell'umanità. Lo sviluppo dell'uomo viene da Dio, dal modello di
Gesù uomo-Dio, e deve portare a Dio. (111) Ecco perché tra annunzio evangelico
e promozione dell'uomo c'è una stretta connessione. Il contributo della chiesa
e della sua opera evangelizzatrice per lo sviluppo dei popoli riguarda non
soltanto il Sud del mondo, per combattervi la miseria materiale e il
sottosviluppo, (112) ma anche il Nord, che è esposto alla miseria morale e
spirituale causata dal «supersviluppo». Certa modernità a-religiosa,
dominante in alcune parti del mondo, si basa sull'idea che, per rendere l'uomo
più uomo, basti arricchire e perseguire la crescita tecnico-economica. Ma uno
sviluppo senza anima non può bastare all'uomo, e l'eccesso di opulenza gli è
nocivo come l'eccesso di povertà. Il Nord del mondo ha costruito un tale «modello
di sviluppo» e lo diffonde nel Sud, dove il senso di religiosità e i valori
umani che vi sono presenti rischiano di esser travolti dall'ondata del
consumismo. «Contro la fame cambia la vita» è il motto nato in ambienti
ecclesiali, che indica ai popoli ricchi la via per diventare fratelli dei
poveri: bisogna ritornare a una vita più austera che favorisca un nuovo modello
di sviluppo, attento ai valori etici e religiosi. L'attività missionaria
apporta ai poveri la luce e lo stimolo per il vero sviluppo, mentre la nuova
evangelizzazione deve, tra l'altro, creare nei ricchi la coscienza che è venuto
il momento di farsi realmente fratelli dei poveri nella comune conversione allo
sviluppo integrale, aperto all'Assoluto. (113)
La
carità fonte e criterio della missione
60.
«La chiesa nel mondo intero - dissi durante la mia visita in Brasile - vuol
essere la chiesa dei poveri. Essa vuol estrarre tutta la verità contenuta nelle
beatitudini e soprattutto nella prima: "Beati i poveri in spirito"...
Essa vuole insegnare questa verità e vuol metterla in pratica come Gesù, che
venne a fare e a insegnare». (114) Le giovani chiese, che per lo più vivono
fra popoli afflitti da una povertà assai diffusa, esprimono spesso questa
preoccupazione come parte integrante della loro missione. La Conferenza generale
dell'episcopato latino-americano a Puebla, dopo aver ricordato l'esempio di Gesù?
scrive che «i poveri meritano un'attenzione preferenziale, qualunque sia la
condizione morale o personale in cui si trovano. Fatti a immagine e somiglianza
di Dio per essere suoi figli, questa immagine è offuscata e persino
oltraggiata. Perciò, Dio prende le loro difese e li ama. Ne consegue che i
primi destinatari della missione sono i poveri, e la loro evangelizzazione è
per eccellenza segno e prova della missione di Gesù». (115) Fedele allo
spirito delle beatitudini, la chiesa è chiamata alla condivisione con i poveri
e gli oppressi di ogni genere. Esorto, perciò, tutti i discepoli di Cristo e le
comunità cristiane, dalle famiglie alle diocesi, dalle parrocchie agli istituti
religiosi, a fare una sincera revisione della propria vita nel senso della
solidarietà con i poveri. Nello stesso tempo, ringrazio i missionari che con la
loro presenza amorosa e il loro umile servizio operano per lo sviluppo integrale
della persona e della società mediante scuole, centri sanitari, lebbrosari,
case di assistenza per handicappati e anziani, iniziative per la promozione
della donna e simili. Ringrazio i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici
per la loro dedizione, mentre incoraggio i volontari di organizzazioni non
governative, oggi sempre più numerosi, che si dedicano a queste opere di carità
e dl promozione umana. Sono, infatti, queste opere che testimoniano l'anima di
tutta l'attività missionaria: L'amore, che è e resta il movente della
missione, ed è anche «l'unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o
non fatto, cambiato o non cambiato. È il principio che deve dirigere ogni
azione e il fine a cui essa deve tendere. Quando si agisce con riguardo alla
carità o ispirati dalla carità, nulla è disdicevole e tutto è buono». (116)
|
PARTE
VI
I
RESPONSABILI E GLI OPERATORI DELLA PASTORALE MISSIONARIA
61.
Non c'è testimonianza senza testimoni, come non c'è missione senza missionari.
Perché collaborino alla sua missione e continuino la sua opera salvifica, Gesù
sceglie e invia delle persone come suoi testimoni e apostoli: «Sarete miei
testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi
confini della terra». (At1,8) I Dodici sono i primi operatori della missione
universale: essi costituiscono un «soggetto collegiale» della missione,
essendo stati scelti da Gesù per restare con lui ed essere inviati «alle
pecore perdute della casa d'Israele». (Mt10,6) Questa collegialità non
impedisce che nel gruppo si distinguano singole figure, come Giacomo, Giovanni
e, più di tutti, Pietro, la cui persona ha tanto rilievo da giustificare
l'espressione: «Pietro e gli altri apostoli». (At2,14) Grazie a lui si aprono
gli orizzonti della missione universale, in cui successivamente eccellerà
Paolo, che per volontà divina fu chiamato e inviato tra le genti. (Gal1,15)
Nell'espansione missionaria delle origini, accanto agli apostoli troviamo altri
umili operatori che non si debbono dimenticare: sono persone, gruppi, comunità.
Un tipico esempio di chiesa locale è la comunità di Antiochia, che da
evangelizzata si fa evangelizzatrice e invia i suoi missionari alle genti.
(At13,2) La chiesa primitiva vive la missione come compito comunitario, pur
riconoscendo nel suo seno degli «inviati speciali», o «missionari consacrati
alle genti», come Paolo e Barnaba.
62.
Quanto fu fatto all'inizio del cristianesimo per la missione universale conserva
la sua validità e urgenza anche oggi. La chiesa è missionaria per sua natura,
poiché il mandato di Cristo non è qualcosa di contingente e di esteriore ma
raggiunge il cuore stesso della chiesa. Ne deriva che tutta la chiesa e ciascuna
chiesa è inviata alle genti. Le stesse chiese più giovani, proprio «perché
questo zelo missionario fiorisca nei membri della loro patria» debbono «partecipare
quanto prima e di fatto alla missione universale della chiesa, inviando
anch'esse dei missionari a predicare dappertutto nel mondo il vangelo anche se
soffrono di scarsezza di clero». (117) Molte già fanno così. e io le
incoraggio vivamente a continuare. In questo vincolo essenziale dl comunione tra
la chiesa universale e le chiese particolari si esercita l'autentica e piena
missionarietà: «In un mondo che col crollare delle distanze si fa sempre più
piccolo, le comunità ecclesiali devono collegarsi fra di loro, scambiarsi
energie e mezzi, impegnarsi insieme nell'unica e comune missione dl annunziare e
vivere il vangelo... Le chiese cosiddette giovani... hanno bisogno della forza
di quelle antiche, mentre queste hanno bisogno della testimonianza e della
spinta delle più giovani, in modo che le singole chiese attingano dalla
ricchezza delle altre chiese». (118)
I
primi responsabili dell'attività missionaria
63.
Come il Signore risorto conferì al collegio apostolico con a capo Pietro il
mandato della missione universale, così questa responsabilità incombe
innanzitutto sul collegio dei vescovi con a capo il successore di Pietro. (119)
Consapevole di questa responsabilità, negli incontri con i vescovi sento il
dovere di condividerla in ordine sia alla nuova evangelizzazione che alla
missione universale. Mi sono messo in cammino sulle vie del mondo «per
annunciare il vangelo. per "confermare i fratelli" nella fede, per
consolare la chiesa. per incontrare l'uomo. Sono viaggi di fede... Sono
altrettante occasioni di catechesi itinerante, di annuncio evangelico nel
prolungamento, a tutte le latitudini. del vangelo e del magistero apostolico,
dilatato alle odierne sfere planetarie». (120) I fratelli vescovi sono con me
direttamente responsabili dell'evangelizzazione del mondo, sia come membri del
collegio episcopale, sia come pastori delle chiese particolari. In proposito, il
concilio dichiara: «La cura di annunziare in ogni parte della terra il vangelo
appartiene al corpo dei pastori, ai quali in comune Cristo diede il mandato».
(121) Esso afferma anche che i vescovi «sono stati consacrati non soltanto per
una diocesi, ma per la salvezza di tutto il mondo». (122) Questa responsabilità
collegiale ha conseguenze pratiche. Parimenti, «il sinodo dei vescovi... tra
gli affari d'importanza generale deve seguire con particolare sollecitudine
l'attività missionaria, che è il dovere più alto e più sacro della chiesa».
(123) La stessa responsabilità si riflette, in varia misura, nelle Conferenze
episcopali e nei loro organismi a livello continentale, che perciò debbono
offrire un proprio contributo all'impegno missionario.(124) Ampio è pure il
dovere missionario di ciascun vescovo, come pastore di una chiesa particolare.
Spetta a lui «come capo e centro unitario dell'apostolato diocesano,
promuovere, dirigere e coordinare l'attività missionaria... Provveda anche a
che l'attività apostolica non resti limitata ai soli convertiti, ma che una
giusta parte di missionari e di sussidi sia destinata all'evangelizzazione dei
non cristiani». (125)
64.
Ogni Chiesa particolare deve aprirsi generosamente alle necessità delle altre.
La collaborazione fra le chiese, in una reale reciprocità che le rende pronte a
dare ed a ricevere, è anche fonte di arricchimento per tutte ed interessa i
vari settori della vita ecclesiale. A questo riguardo, resta esemplare la
dichiarazione dei vescovi a Puebla: «Finalmente è giunta l'ora per l'America
Latina... di proiettarsi oltre le sue frontiere, ad gentes. È certo che noi
stessi abbiamo ancora bisogno di missionari, ma dobbiamo dare della nostra
povertà». (126) Con questo spirito invito i vescovi e le Conferenze episcopali
ad attuare generosamente quanto è previsto nella Nota direttiva, che la
Congregazione per il clero ha emanato per la collaborazione tra le chiese
particolari e, specialmente, per la migliore distribuzione del clero nel mondo.
(127) La missione della chiesa è più vasta della «comunione fra le chiese»:
questa deve essere orientata, oltre che all'aiuto per la rievangelizzazione,
anche e soprattutto nel senso della missionarietà specifica. Mi appello a tutte
le chiese, giovani e antiche, perché condividano con me questa preoccupazione,
curando l'incremento delle vocazioni missionarie e superando le varie difficoltà.
Missionari
e istituti "ad gentes"
65.
Fra gli operatori della pastorale missionaria occupano tuttora, come in passato,
un posto di fondamentale importanza quelle persone e istituzioni, a cui il
decreto Ad gentes dedica lo speciale capitolo dal titolo: «I missionari».
(128) Al riguardo, s'impone un'approfondita riflessione, anzitutto, per i
missionari stessi, che dai cambiamenti della missione possono essere indotti a
non capir più il senso della loro vocazione, a non saper più che cosa
precisamente la chiesa si attenda oggi da loro. Punto di riferimento sono queste
parole del concilio: «Benché l'impegno di diffondere la fede ricada su
qualsiasi discepolo di Cristo in proporzione delle sue possibilità, Cristo
Signore chiama sempre dalla moltitudine dei suoi discepoli quelli che egli
vuole, per averli con sé e per inviarli a predicare alle genti. Perciò, egli?
per mezzo dello Spirito santo, che distribuisce come vuole i suoi carismi per il
bene delle anime, accende nel cuore dei singoli la vocazione missionaria e
insieme suscita in seno alla chiesa quelle istituzioni che si assumono come
dovere specifico il compito dell'evangelizzazione, che riguarda tutta la chiesa».
(129) Si tratta, dunque, di una «vocazione speciale», modellata su quella
degli apostoli. Essa si manifesta nella totalità dell'impegno per il servizio
dell'evangelizzazione: è impegno che coinvolge tutta la persona e la vita del
missionario, esigendo da lui una donazione senza limiti di forze e di tempo.
Coloro che sono dotati di tale vocazione, «inviati dalla legittima autorità,
si portano per spirito di fede e di obbedienza verso coloro che sono lontani da
Cristo, riservandosi esclusivamente per quell'opera per la quale, come ministri
del vangelo, sono stati assunti». (130) I missionari devono sempre meditare
sulla corrispondenza che il dono da loro ricevuto richiede e aggiornare la loro
formazione dottrinale e apostoli.
66.
Gli istituti missionari, poi, devono impiegare tutte le risorse necessarie,
mettendo a frutto la loro esperienza e creatività nella fedeltà al carisma
originario, per preparare adeguatamente i candidati e assicurare il ricambio
delle energie spirituali, morali e fisiche dei loro membri. (131) Si sentano
essi parte viva della comunità ecclesiale e operino in comunione con essa.
Difatti «ogni istituto è nato per la chiesa ed è tenuto ad arricchirla con le
proprie caratteristiche secondo un particolare spirito e una missione speciale».
e di una tale fedeltà al carisma originario gli stessi vescovi sono custodi.
(132) Gli istituti missionari sono nati in genere dalle chiese di antica
cristianità e storicamente sono stati strumenti della congregazione di
Propaganda Fide per la diffusione della fede e la fondazione di nuove chiese.
Essi accolgono oggi in misura crescente candidati provenienti dalle giovani
chiese che hanno fondato, mentre nuovi istituti sono sorti proprio nei paesi che
prima ricevevano solo missionari e che oggi li mandano. È da lodare questa
duplice tendenza, che dimostra la validità e l'attualità della specifica
vocazione missionaria di questi istituti, tuttora «assolutamente necessari»,
(133) non solo per l'attività missionaria ad gentes, com'è nella loro
tradizione, ma anche per l'animazione missionaria sia nelle chiese di antica
cristianità, sia in quelle più giovani. La vocazione speciale dei missionari
ad vitam conserva tutta la sua validità: essa rappresenta il paradigma
dell'impegno missionario della chiesa, che ha sempre bisogno di donazioni
radicali e totali, di impulsi nuovi e arditi. I missionari e le missionarie, che
hanno consacrato tutta la vita per testimoniare fra le genti il Risorto, non si
lascino, dunque, intimorire da dubbi, incomprensioni, rifiuti, persecuzioni.
Risveglino la grazia del loro carisma specifico e riprendano con coraggio il
loro cammino, preferendo - in spirito di fede, obbedienza e comunione con i
propri pastori - i posti più umili e ardui.
Sacerdoti
diocesani per la missione universale
67.
Collaboratori del vescovo, i presbiteri in forza del sacramento dell'ordine sono
chiamati a condividere la sollecitudine per la missione: «Il dono spirituale
che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione non li prepara a una missione
limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza,
"fino agli estremi confini della terra", dato che qualunque ministero
sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata
da Cristo agli apostoli». (134) Per questo motivo, la stessa formazione dei
candidati al sacerdozio deve mirare a dar loro «quello spirito veramente
cattolico che li abitui a guardare oltre i confini della propria diocesi,
nazione o rito, per andare incontro alle necessità della missione universale,
pronti a predicare dappertutto il vangelo». (135) Tutti i sacerdoti debbono
avere cuore e mentalità missionaria, essere aperti ai bisogni della chiesa e
del mondo, attenti ai più lontani e, soprattutto, ai gruppi non cristiani del
proprio ambiente. Nella preghiera e, in particolare, nel sacrificio eucaristico
sentano la sollecitudine di tutta la chiesa per tutta l'umanità. Specialmente i
sacerdoti che si trovano in aree a minoranza cristiana debbono essere mossi da
singolare zelo e impegno missionario: il Signore affida loro non solo la cura
pastorale della comunità cristiana, ma anche e soprattutto l'evangelizzazione
dei loro compatrioti che non fanno parte del suo gregge. Essi «non mancheranno
di rendersi concretamente disponibili allo Spirito santo e al vescovo, per
essere mandati a predicare il vangelo oltre i confini del loro paese. Ciò
richiederà in essi non solo maturità nella vocazione, ma pure una capacità
non comune di distacco dalla propria patria, etnia e famiglia, e una particolare
idoneità a inserirsi nelle altre culture con intelligenza e rispetto». (136)
68.
Nell'enciclica Fidei donum Pio XII con intuito profetico incoraggiò i vescovi a
offrire alcuni dei loro sacerdoti per un servizio temporaneo alle chiese
d'Africa, approvando le iniziative già esistenti in proposito. A venticinque
anni di distanza volli sottolineare la grande novità di quel documento, «che
ha fatto superare la dimensione territoriale del servizio presbiterale, per
destinarlo a tutta la chiesa». (137) Oggi risultano confermate la validità e
la fruttuosità di questa esperienza: infatti, i presbiteri detti Fidei donum
evidenziano in modo singolare il vincolo di comunione tra le chiese, danno un
prezioso apporto alla crescita di comunità ecclesiali bisognose, mentre
attingono da esse freschezza e vitalità di fede. Occorre certo che il servizio
missionario del sacerdote diocesano risponda ad alcuni criteri e condizioni. Si
devono inviare sacerdoti scelti tra i migliori, idonei e debitamente preparati
al peculiare lavoro che li attende. (138) Essi dovranno inserirsi nel nuovo
ambiente della chiesa che li accoglie con animo aperto e fraterno e
costituiranno un unico presbiterio con i sacerdoti locali, sotto l'autorità del
vescovo. (139) Auspico che lo spirito di servizio aumenti in seno al presbiterio
delle chiese antiche e sia promosso in quello delle chiese più recenti.
La
fecondità missionaria della consacrazione
69.
Nell'inesauribile e multiforme ricchezza dello Spirito si collocano le vocazioni
degli istituti di vita consacrata, i cui membri, «dal momento che si dedicano
al servizio della chiesa in forza della loro stessa consacrazione, sono tenuti
all'obbligo di prestare l'opera loro in modo speciale nell'azione missionaria,
con lo stile proprio dell'istituto». (140) La storia attesta le grandi
benemerenze delle famiglie religiose nella propagazione della fede e nella
formazione di nuove chiese: dalle antiche istituzioni monastiche agli ordini
medioevali, fino alle moderne congregazioni.
a)
Seguendo il concilio, invito gli istituti di vita contemplativa a stabilire
comunità presso le giovani chiese, per rendere «tra i non cristiani una
magnifica testimonianza della maestà e della carità di Dio, come anche
dell'unione che si stabilisce nel Cristo». (141) Questa presenza è dappertutto
benefica nel mondo non cristiano, specialmente in quelle regioni, dove le
religioni hanno in grande stima la vita contemplativa per l'ascesi e la ricerca
dell'Assoluto.
b)
Agli istituti di vita attiva addito gli immensi spazi della carità,
dell'annunzio evangelico, dell'educazione cristiana, della cultura e della
solidarietà verso i poveri, i discriminati, gli emarginati e oppressi. Tali
istituti, tendano o meno a un fine strettamente missionario, si devono
interrogare circa la loro possibilità e disponibilità a estendere la propria
azione per espandere il regno di Dio. Questa richiesta è stata accolta nei
tempi più recenti da non pochi istituti, ma vorrei che fosse meglio considerata
e attuata per un autentico servizio. La chiesa deve far conoscere i grandi
valori evangelici di cui è portatrice, e nessuno li testimonia più
efficacemente di chi fa professione di vita consacrata nella castità, povertà
e obbedienza, in totale donazione a Dio e in piena disponibilità a servire
l'uomo e la società sull'esempio di Cristo. (142)
70.
Una speciale parola di apprezzamento rivolgo alle religiose missionarie, nelle
quali la verginità per il regno si traduce in molteplici frutti di maternità
secondo lo spirito: proprio la missione ad gentes offre loro un campo vastissimo
per «donarsi con amore in modo totale e indiviso». (143) L'esempio e
l'operosità della donna vergine, consacrata alla carità verso Dio e verso il
prossimo, specie il più povero, sono indispensabili come segno evangelico
presso quei popoli e culture in cui la donna deve ancora compiere un lungo
cammino in ordine alla sua promozione umana e liberazione. Auguro che molte
giovani donne cristiane sentano l'attrattiva di donarsi a Cristo con generosità,
attingendo dalla loro consacrazione la forza e la gioia per testimoniarlo tra i
popoli che lo ignorano.
Tutti
i laici sono missionari in forza del battesimo
71.
I pontefici dell'età più recente hanno molto insistito sull'importanza del
ruolo dei laici nell'attività missionaria. (144) Nell'esortazione
Christifideles laici anch'io ho trattato esplicitamente della «missione
permanente di portare il vangelo a quanti e sono milioni e milioni di uomini e
di donne - ancora non conoscono Cristo redentore dell'uomo» (145) e del
corrispondente impegno dei fedeli laici. La missione è di tutto il popolo di
Dio: anche se la fondazione di una nuova chiesa richiede l'eucaristia e, quindi,
il ministero sacerdotale, tuttavia la missione, che si esplica in svariate
forme, è compito di tutti i fedeli. La partecipazione dei laici all'espansione
della fede risulta chiara, fin dai primi tempi del cristianesimo, a opera sia di
singoli fedeli e famiglie, sia dell'intera comunità. Ciò ricordava già Pio
XII, richiamando nella prima enciclica missionaria le vicende delle missioni
laicali. (146) Nei tempi moderni non è mancata la partecipazione attiva dei
missionari laici e delle missionarie laiche. Come non ricordare l'importante
ruolo svolto da queste, il loro lavoro nelle famiglie, nelle scuole, nella vita
politica. sociale e culturale e, in particolare, il loro insegnamento della
dottrina cristiana? Bisogna anzi riconoscere - ed è un titolo di onore che
alcune chiese hanno avuto inizio grazie all'attività dei laici e delle laiche
missionarie. Il Vaticano II ha confermato questa tradizione, illustrando il
carattere missionario di tutto il popolo di Dio in particolare l'apostolato dei
laici (147) e sottolineando il contributo specifico che essi son chiamati a dare
nell'attività missionaria. (148) La necessità che tutti i fedeli condividano
tale responsabilità non e solo questione di efficacia apostolica, ma è un
dovere-diritto fondato sulla dignità battesimale per cui «i fedeli
partecipano, per la loro parte, al triplice ufficio - sacerdotale profetico e
regale di Gesù Cristo». (149) Essi, perciò, «sono tenuti all'obbligo
generale e hanno diritto di impegnarsi, sia come singoli, sia riuniti in
associazioni, perché l'annunzio della salvezza sia conosciuto e accolto da ogni
uomo in ogni luogo; tale obbligo li vincola ancor di più in quelle situazioni
in cui gli uomini non possono ascoltare il vangelo e conoscere Cristo se non per
mezzo loro». (150) Inoltre, per l'indole secolare. che è loro propria, hanno
la particolare vocazione a «cercare il regno di Dio trattando le cose temporali
e orientandole secondo Dio». (151)
72.
I settori di presenza e di azione missionaria dei laici sono molto ampi. «Il
primo campo... è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà
sociale dell'economia...» (152) sul piano locale, nazionale e internazionale.
All'interno della chiesa si presentano vari tipi di servizi, funzioni, ministeri
e forme di animazione della vita cristiana. Ricordo, quale novità emersa in non
poche chiese nei tempi recenti, il grande sviluppo dei «movimenti ecclesiali»,
dotati di dinamismo missionario. Quando si inseriscono con umiltà nella vita
delle chiese locali e sono accolti cordialmente da vescovi e sacerdoti nelle
strutture diocesane e parrocchiali, i movimenti rappresentano un vero dono di
Dio per la nuova evangelizzazione e per l'attività missionaria propriamente
detta. Raccomando, quindi, di diffonderli e di avvalersene per ridare vigore,
soprattutto tra i giovani, alla vita cristiana e all'evangelizzazione, in una
visione pluralistica dei modi di associarsi e di esprimersi. Nell'attività
missionaria sono da valorizzare le varie espressioni del laicato, rispettando la
loro indole e finalità: associazioni del laicato missionario, organismi
cristiani di volontariato internazionale, movimenti ecclesiali, gruppi e
sodalizi di vario genere siano impegnati nella missione ad gentes e nella
collaborazione con le chiese locali. In questo modo sarà favorita la crescita
di un laicato maturo e responsabile, la cui «formazione... si pone nelle
giovani chiese come elemento essenziale e irrinunciabile della plantatio
ecclesiale». (153)
L'opera
dei catechisti e la varietà dei ministeri
73.
Tra i laici che diventano evangelizzatori si trovano in prima fila i catechisti.
Il decreto missionario li definisce «quella schiera degna di lode, tanto
benemerita dell'opera missionaria tra le genti... Essi, animati da spirito
apostolico e facendo grandi sacrifici, danno un contributo singolare e
insostituibile alla propagazione della fede e della chiesa». (154) Non è senza
ragione che le chiese di antica data, impegnandosi nella nuova evangelizzazione,
abbiano moltiplicato i catechisti e intensificato la catechesi. «Sono i
catechisti in terra di missione coloro che meritano, in modo tutto speciale,
questo titolo di "catechisti"... chiese ora fiorenti non sarebbero
state edificate senza di loro». (155) Anche col moltiplicarsi dei servizi
ecclesiali ed extraecclesiali il ministero dei catechisti rimane sempre
necessario e ha peculiari caratteristiche: i catechisti sono operatori
specializzati. testimoni diretti. evangelizzatori insostituibili, che
rappresentano la forza basilare delle comunità cristiane, specie nelle giovani
chiese, come ho più volte affermato e constatato nei miei viaggi missionari. Il
nuovo codice di Diritto canonico ne riconosce i compiti, le qualità, i
requisiti. (156) Ma non si può dimenticare che il lavoro dei catechisti si va
facendo sempre più difficile e impegnativo per i cambiamenti ecclesiali e
culturali in corso. Vale ancor oggi quanto già suggeriva il concilio: una più
accurata preparazione dottrinale e pedagogica, il costante rinnovamento
spirituale e apostolico, la necessità di «garantire un decoroso tenore di vita
e di sicurezza sociale» ai catechisti. (157) È importante, altresì, favorire
la creazione e il potenziamento delle scuole per catechisti, che, approvate
dalle Conferenze episcopali, rilascino titoli ufficialmente riconosciuti da
queste ultime. (158)
74.
Accanto ai catechisti bisogna ricordare le altre forme di servizio alla vita
della chiesa e alla missione, e gli altri operatori: animatori della preghiera,
del canto e della liturgia; capi di comunità ecclesiali di base e di gruppi
biblici; incaricati delle opere caritative; amministratori dei beni della
chiesa; dirigenti dei vari sodalizi apostolici; insegnanti di religione nelle
scuole. Tutti i fedeli laici debbono dedicare alla chiesa parte del loro tempo,
vivendo con coerenza la propria fede.
La
Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli e le altre strutture per
l'attività missionaria
75.
I responsabili e gli operatori della pastorale missionaria devono sentirsi uniti
nella comunione che caratterizza il corpo mistico. Per questo Cristo ha pregato
nell'ultima cena: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi
una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato». (Gv17,21) È in
questa comunione il fondamento della fecondità della missione. Ma la chiesa è
anche una comunione visibile e organica, e perciò la missione richiede pure una
unione esterna e ordinata tra le diverse responsabilità e funzioni, in modo che
tutte le membra «indirizzino in piena unanimità le loro forze all'edificazione
della chiesa». (159) Spetta al dicastero missionario «dirigere e coordinare in
tutto il mondo l'opera stessa dell'evangelizzazione dei popoli e la cooperazione
missionaria, salva la competenza della Congregazione per le chiese orientali».
(160) Per questo «è suo compito suscitare e distribuire, secondo i bisogni più
urgenti delle regioni, i missionari..., elaborare un piano organico di azione,
emanare norme direttive e principi adeguati in ordine all'evangelizzazione, dare
l'impulso iniziale». (161) Non posso che confermare queste sagge disposizioni:
per rilanciare la missione ad gentes occorre un centro di propulsione, di
direzione e di coordinamento che è la Congregazione per l'evangelizzazione.
Invito le Conferenze episcopali e i loro organismi, superiori maggiori degli
ordini, congregazioni e istituti gli organismi laicali impegnati nell'attività
missionaria a collaborare fedelmente con detta Congregazione, che ha l'autorità
necessaria per programmare e dirigere l'attività e la cooperazione missionaria
a livello universale. La medesima Congregazione, avendo alle spalle una lunga e
gloriosa esperienza, è chiamata a svolgere un ruolo di primaria importanza sul
piano della riflessione e dei programmi operativi, di cui la chiesa ha bisogno
per orientarsi più decisamente verso la missione nelle sue varie forme. A
questo fine, la Congregazione deve mantenere strette relazioni con gli altri
dicasteri della Santa Sede, con le chiese particolari e con le forze
missionarie. In un'ecclesiologia di comunione, in cui la chiesa è tutta
missionaria, ma al tempo stesso si confermano sempre indispensabili vocazioni e
istituzioni specifiche per il lavoro ad gentes rimane molto importante il ruolo
di guida e di coordinamento del dicastero missionario per affrontare insieme le
grandi questioni di comune interesse, salve le competenze proprie di ciascuna
autorità e struttura.
76.
Per l'indirizzo e il coordinamento dell'attività missionaria a livello
nazionale e regionale rivestono grande importanza le Conferenze episcopali e i
loro diversi raggruppamenti. A loro il concilio chiede di «trattare in pieno
accordo le questioni più gravi e i problemi più urgenti, senza trascurare però
le differenze tra luogo e luogo», (162) nonché il problema dell'inculturazione.
Di fatto, c'è già un'ampia e regolare azione in questo campo e i frutti sono
visibili. È un'azione che deve essere intensificata e meglio raccordata con
quella di altri organismi delle stesse Conferenze affinché la sollecitudine
missionaria non sia demandata alla cura di un dato settore od organismo, ma sia
condivisa da tutti. Gli stessi organismi e Istituzioni, che attendono
all'attività missionaria, colleghino opportunamente sforzi e iniziative. Le
Conferenze dei superiori maggiori, poi, abbiano questo stesso impegno nel loro
ambito, in contatto con le Conferenze episcopali, secondo le indicazioni e norme
stabilite, (163) ricorrendo anche a commissioni miste. (164) Sono, infine,
auspicabili incontri e forme di collaborazione tra le varie istituzioni
missionarie per quanto riguarda sia la formazione e lo studio, (165) sia
l'azione apostolica da svolgere.
|
PARTE
VII
LA
COOPERAZIONE ALL'ATTIVlTÀ MISSIONARIA
77.
Membri della chiesa, in forza del battesimo tutti i cristiani sono
corresponsabili dell'attività missionaria. La partecipazione delle comunità e
dei singoli fedeli a questo diritto-dovere è chiamata «cooperazione
missionaria». Tale cooperazione si radica e si vive innanzitutto nell'essere
personalmente uniti a Cristo: solo se si è uniti a lui come il tralcio alle
vite, (Gv15,5) si possono produrre buoni frutti. La santità di vita permette a
ogni cristiano di essere fecondo nella missione della chiesa: «Il sacro
concilio invita tutti a un profondo rinnovamento interiore, affinché, avendo
una viva coscienza della propria responsabilità in ordine alla diffusione del
vangelo, prendano la loro parte nell'attività missionaria presso le genti».
(166) La partecipazione alla missione universale, quindi, non si riduce ad
alcune particolari attività, ma è il segno della maturità di fede e di una
vita cristiana che porta frutti. Così il credente allarga i confini della sua
carità, manifestando la sollecitudine per coloro che sono lontani, come per
quelli che sono vicini: prega per le missioni e per le vocazioni missionarie,
aiuta i missionari, ne segue l'attività con interesse e, quando ritornano, li
accoglie con quella gioia con cui le prime comunità cristiane ascoltavano dagli
apostoli le meraviglie che Dio aveva operato mediante la loro predicazione.
(At14,27)
Preghiera
e sacrifici per i missionari
78.
Tra le forme di partecipazione il primo posto spetta alla cooperazione
spirituale: preghiera, sacrificio testimonianza di vita cristiana. La preghiera
deve accompagnare il cammino dei missionari, perché l' annunzio della Parola
sia reso efficace dalla grazia divina. San Paolo nelle sue Lettere chiede spesso
ai fedeli di pregare per lui, perché gli sia concesso di annunziare il vangelo
con fiducia e franchezza. Alla preghiera è necessario unire il sacrificio: il
valore salvifico di ogni sofferenza, accettata e offerta a Dio con amore,
scaturisce dal sacrificio di Cristo, che chiama le membra del suo mistico corpo
ad associarsi ai suoi patimenti, a completarli nella propria carne. (Col1,24) Il
sacrificio del missionario deve essere condiviso e sostenuto da quello dei
fedeli. Perciò, a coloro che svolgono il loro ministero pastorale fra i malati
raccomando di istruirli circa il valore della sofferenza, incoraggiandoli a
offrirla a Dio per i missionari. Con tale offerta i malati diventano anch'essi
missionari, come sottolineano alcuni movimenti sorti tra loro e per loro. Anche
la solennità di Pentecoste - inizio della missione della chiesa -- è celebrata
in alcune comunità come «giornata della sofferenza per le missioni».
«Eccomi,
Signore, sono pronto! Manda me!»
(cf Is 6,8)
79.
La cooperazione si esprime, altresì, nel promuovere le vocazioni missionarie. A
questo riguardo, va riconosciuta la validità delle diverse forme d'impegno
missionario, ma bisogna al tempo stesso riaffermare la priorità della donazione
totale e perpetua all'opera delle missioni, specialmente negli istituti e
congregazioni missionari, maschili e femminili. La promozione di tali vocazioni
è il cuore della cooperazione: l'annunzio del vangelo richiede annunziatori, la
messe ha bisogno di operai, la missione si fa soprattutto con uomini e donne
consacrati a vita all'opera del vangelo, disposti ad andare in tutto il mondo
per portare la salvezza. Desidero, pertanto, richiamare e raccomandare questa
sollecitudine per le vocazioni missionarie. Coscienti della responsabilità
universale dei cristiani nel contribuire all'opera missionaria e allo sviluppo
dei popoli poveri, dobbiamo tutti domandarci perché in varie nazioni, mentre
crescono le offerte, minacciano di scomparire le vocazioni missionarie, che
danno la vera misura della donazione ai fratelli. Le vocazioni al sacerdozio e
alla vita consacrata sono un segno sicuro della vitalità di una chiesa.
80.
Pensando a questo grave problema, rivolgo il mio appello con particolare fiducia
e affetto alle famiglie e ai giovani. Le famiglie e, soprattutto, i genitori
siano consapevoli di dover portare «un particolare contributo alla causa
missionaria della chiesa, coltivando le vocazioni missionarie fra i loro figli e
figlie». (167) Una vita di intensa preghiera, un senso reale del servizio del
prossimo e una generosa partecipazione alle attività ecclesiali offrono alle
famiglie le condizioni favorevoli per la vocazione dei giovani. Quando i
genitori sono pronti a consentire che uno dei figli parta per la missione,
quando essi hanno chiesto al Signore tale grazia, egli li ricompenserà, nella
gioia, il giorno in cui un loro figlio o figlia ascolterà la sua chiamata. Ai
giovani stessi io chiedo di ascoltare la parola di Cristo che dice loro, come già
a Simon Pietro e ad Andrea sulla riva del lago: «Venite dietro a me, e vi farò
diventare pescatori di uomini». (Mt4,19) Abbiano essi il coraggio di
rispondere, come Isaia: «Eccomi, Signore, sono pronto, manda me». (Is4,8) Essi
avranno dinanzi a sé una vita affascinante e conosceranno la vera soddisfazione
di annunciare la «buona novella» ai fratelli e sorelle che condurranno sulla
via della salvezza.
«C'è
più gioia nel dare che nel ricevere»
(At 20,35)
81.
Sono molte le necessità materiali ed economiche delle missioni: non solo per
fondare la chiesa con strutture minime (cappelle, scuole per catechisti e
seminaristi, case di abitazione), ma anche per sostenere le opere di carità, di
educazione e di promozione umana, campo vastissimo di azione specialmente nei
paesi poveri. La chiesa missionaria dà quello che riceve, distribuisce ai
poveri quello che i suoi figli più dotati di beni materiali le mettono
generosamente a disposizione. Desidero a questo punto ringraziare tutti coloro
che donano con sacrificio per l'opera missionaria: le loro rinunzie e la loro
partecipazione sono indispensabili per costruire la chiesa e testimoniare la
carità. Circa gli aiuti materiali è importante riguardare allo spirito col
quale si dona. Per questo occorre rivedere il proprio stile di vita: le missioni
non chiedono solo un aiuto, ma una condivisione con l'annunzio e la carità
verso i poveri. Tutto quello che abbiamo ricevuto da Dio la vita come i beni
materiali - non è nostro. ma ci è dato in uso. La generosità nel dare va
sempre illuminata e ispirata dalla fede: allora, davvero c'è più gioia nel
dare che nel ricevere. La Giornata missionaria mondiale, diretta alla
sensibilizzazione sul problema missionario, ma anche alla raccolta di aiuti, è
un appuntamento importante nella vita della chiesa, perché insegna come donare:
nella celebrazione eucaristica, cioè come offerta a Dio, e per tutte le
missioni del mondo.
Nuove
forme di cooperazione missionaria
82.
La cooperazione si allarga oggi a forme nuove includendo non solo l'aiuto
economico, ma anche la partecipazione diretta. Situa ioni nuove, connesse al
fenomeno della mobilità, richiedono ai cristiani un autentico spirito
missionario. Il turismo a carattere internazionale è ormai un fatto di massa e
positivo, se si pratica con atteggiamento rispettoso per un mutuo arricchimento
culturale, evitando ostentazione e sperperi e cercando il contatto umano. Ma ai
cristiani è richiesta soprattutto la coscienza di dover essere sempre testimoni
della fede e della carità di Cristo. Anche la conoscenza diretta della vita
missionaria e delle nuove comunità cristiane può arricchire e rinvigorire la
fede. Sono lodevoli le visite alle missioni soprattutto da parte dei giovani che
vanno per servire e fare un'esperienza forte di vita cristiana. Le esigenze di
lavoro portano oggi numerosi cristiani di giovani comunità in aree dove il
cristianesimo è sconosciuto e, talvolta, bandito o perseguitato. Ciò avviene
anche per i fedeli dei paesi di antica tradizione cristiana, che lavorano
temporaneamente in paesi non cristiani. Queste circostanze sono certo
un'opportunità per vivere e testimoniare la fede. Nei primi secoli il
cristianesimo si diffuse soprattutto perché i cristiani, viaggiando o
stabilendosi in regioni in cui Cristo non era stato annunziato. testimoniavano
con coraggio la loro fede e vi fondavano le prime comunità. Più numerosi sono
i cittadini dei paesi di missione e gli appartenenti a religioni non cristiane,
che vanno a stabilirsi in altre nazioni per motivi di studio e di lavoro, o
costretti dalle condizioni politiche o economiche dei luoghi di origine. La
presenza di questi fratelli nei paesi di antica cristianità è una sfida per le
comunità ecclesiali, stimolandole all'accoglienza, al dialogo, al servizio,
alla condivisione, alla testimonianza e all'annunzio diretto. In pratica, anche
in paesi cristiani si formano gruppi umani e culturali che richiamano la
missione ad gentes, e le chiese locali, anche con l'aiuto di persone provenienti
dai paesi degli immigrati e di missionari reduci, devono occuparsi generosamente
di queste situazioni. La cooperazione può anche impegnare i responsabili della
politica, dell'economia, della cultura, del giornalismo, oltre che gli esperti
dei vari organismi internazionali. Nel mondo moderno è sempre più difficile
tracciare linee di demarcazione geografica o culturale: c'è una crescente
interdipendenza fra i popoli, il che stimola alla testimonianza cristiana e
all'evangelizzazione.
Animazione
e formazione missionaria del popolo di Dio
83.
La formazione missionaria è opera della chiesa locale con l'aiuto dei
missionari e dei loro istituti, nonché del personale delle giovani chiese.
Questo lavoro deve essere inteso non come marginale, ma come centrale nella vita
cristiana. Per la stessa nuova evangelizzazione dei popoli cristiani il tema
missionario può essere di grande aiuto: la testimonianza dei missionari,
infatti, conserva il suo fascino anche presso i lontani e i non credenti e
trasmette valori cristiani. Le chiese locali, quindi, inseriscano l'animazione
missionaria come elemento-cardine della loro pastorale ordinaria nelle
parrocchie, nelle associazioni e nei gruppi, specie giovanili. A questo fine
vale, anzitutto, l'informazione mediante la stampa missionaria e i vari sussidi
audiovisivi. Il loro ruolo è di grande importanza, in quanto fanno conoscere la
vita della chiesa universale, le voci e le esperienze dei missionari e delle
chiese locali, presso cui essi lavorano. Occorre che nelle chiese più giovani,
che non sono ancora in grado di dotarsi di una stampa e altri sussidi, gli
istituti missionari dedichino personale e mezzi a queste iniziative. A tale
formazione sono chiamati i sacerdoti e i loro collaboratori, gli educatori e
insegnanti, i teologi, specie i docenti dei seminari e dei centri per i laici.
L'insegnamento teologico non può né deve prescindere dalla missione universale
della chiesa, dall'ecumenismo, dallo studio delle grandi religioni e della
missiologia. Raccomando che soprattutto nei seminari e nelle case di formazione
per religiosi e religiose si faccia un tale studio, curando anche che alcuni
sacerdoti, o alunni e alunne si specializzino nei diversi campi delle scienze
missiologiche. Le attività di animazione vanno sempre orientate ai loro
specifici fini: informare e formare il popolo di Dio alla missione universale
della chiesa, far nascere vocazioni ad gentes, suscitare cooperazione
all'evangelizzazione. Non si può, infatti, dare un'immagine riduttiva
dell'attività missionaria, come se fosse principalmente aiuto ai poveri,
contributo alla liberazione degli oppressi, promozione dello sviluppo, difesa
dei diritti umani. La chiesa missionaria è impegnata anche su questi fronti, ma
il suo compito primario è un altro: i poveri hanno fame di Dio, e non solo di
pane e di libertà, e l'attività missionaria prima di tutto deve testimoniare e
annunziare la salvezza in Cristo, fondando le chiese locali che sono poi
strumenti di liberazione in tutti i sensi.
La
responsabilità primaria delle Pontificie opere missionarie
84.
In questa opera di animazione il compito primario spetta alle Pontificie opere
missionarie, come più volte ho affermato nei messaggi per la Giornata
missionaria mondiale. Le quattro opere - Propagazione della fede, San Pietro
apostolo, Infanzia missionaria e Unione missionaria - hanno in comune lo scopo
di promuovere lo spirito missionario universale in seno al popolo di Dio.
L'Unione missionaria ha come fine immediato e specifico la sensibilizzazione e
formazione missionaria dei sacerdoti, religiosi e religiose, che devono, a loro
volta, curarla nelle comunità cristiane; essa, inoltre, mira a promuovere le
altre opere, di cui è l'anima. (168) «La parola d'ordine deve essere questa:
Tutte le chiese per la conversione di tutto il mondo». (169) Essendo del papa e
del collegio episcopale, anche nell'ambito delle chiese particolari queste opere
occupano «giustamente il primo posto, perché sono mezzi sia per infondere nei
cattolici, fin dall'infanzia, uno spirito veramente universale e missionario,
sia per favorire un'adeguata raccolta di sussidi a vantaggio di tutte le
missioni, secondo le necessità di ciascuna». (170) Un altro scopo delle opere
missionarie è quello di suscitare vocazioni ad gentes ed a vita, sia nelle
chiese antiche come in quelle più giovani. Raccomando vivamente di orientare
sempre più a questo fine il loro servizio di animazione. Nell'esercizio della
loro attività, queste Opere dipendono, a livello universale, dalla
Congregazione per l'evangelizzazione e, a livello locale, dalle Conferenze
episcopali e dai vescovi delle singole chiese, collaborando con i centri di
animazione esistenti: esse portano nel mondo cattolico quello spirito di
universalità e di servizio alla missione, senza il quale non esiste autentica
cooperazione.
Non
solo dare alla missione, ma anche ricevere
85.
Cooperare alla missione vuol dire non solo dare, ma anche saper ricevere: tutte
le chiese particolari, giovani e antiche, sono chiamate a dare e a ricevere per
la missione universale e nessuna deve chiudersi in se stessa. (171) In forza
della... cattolicità - dice il concilio le singole parti portano i propri doni
alle altre parti e a tutta la chiesa, di modo che il tutto e le singole parti si
accrescano da tutte le altre in reciproca comunione ed aspiranti alla pienezza
nell'unità... Ne derivano... tra le diverse parti della chiesa vincoli di
intima comunione circa i tesori spirituali, gli operai apostolici ed i sussidi
materiali». Esorto tutte le chiese e i pastori, i sacerdoti, i religiosi, i
fedeli, ad aprirsi all'universalità della chiesa, evitando ogni forma di
particolarismo, esclusivismo o sentimento di autosufficienza. Le chiese locali,
pur radicate nel loro popolo e nella loro cultura, debbono tuttavia mantenere in
concreto questo senso universalistico della fede, dando cioè e ricevendo dalle
altre chiese doni spirituali esperienze pastorali, di primo annunzio e di
evangelizzazione, personale apostolico e mezzi materiali. Infatti, la tendenza a
chiudersi può esser forte: le chiese antiche, impegnate per la nuova
evangelizzazione, pensano che ormai la missione debbono svolgerla in casa e
rischiano di frenare lo slancio verso il mondo non cristiano, concedendo a
malincuore le vocazioni agli istituti missionari, alle congregazioni religiose,
alle altre chiese. Ma è dando generosamente del nostro che riceveremo, e già
oggi le giovani chiese, non poche delle quali conoscono una prodigiosa fioritura
di vocazioni, sono in grado di inviare sacerdoti, religiosi e religiose a quelle
antiche. D'altra parte, esse sentono il problema della propria identità, dell'inculturazione,
della libertà di crescere senza influssi esterni, con la possibile conseguenza
di chiudere le porte al missionari. A queste chiese dico: Lungi dall'isolarvi,
accogliete volentieri i missionari e i mezzi dalle altre chiese, e mandatene voi
stesse nel mondo! Proprio per i problemi che vi angustiano avete bisogno di
mantenervi in continua relazione con i fratelli e sorelle nella fede. Con ogni
mezzo legittimo fate valere le libertà, a cui avete diritto, ricordandovi che i
discepoli di Cristo hanno il dovere di «obbedire a Dio piuttosto che agli
uomini». (At5,29)
Dio
prepara una nuova primavera del Vangelo
86.
Se si guarda in superficie il mondo odierno, si è colpiti da non pochi fatti
negativi, che possono indurre al pessimismo. Ma è, questo, un sentimento
ingiustificato: noi abbiamo fede in Dio Padre e Signore, nella sua bontà e
misericordia. In prossimità del terzo millennio della redenzione, Dio sta
preparando una grande primavera cristiana, di cui già si intravede l'inizio.
Difatti, sia nel mondo non cristiano come in quello di antica cristianità, c'è
un progressivo avvicinamento dei popoli agli ideali e ai valori evangelici, che
la chiesa si sforza di favorire. Oggi, infatti, si manifesta una nuova
convergenza da parte dei popoli per questi valori: il rifiuto della violenza e
della guerra; il rispetto della persona umana e dei suoi diritti; il desiderio
di libertà, di giustizia e di fraternità; la tendenza al superamento dei
razzismi e dei nazionalismi; l'affermazione della dignità e la valorizzazione
della donna. La speranza cristiana ci sostiene nell'impegnarci a fondo per la
nuova evangelizzazione e per la missione universale, facendoci pregare come Gesù
ci ha insegnato: «Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo
così in terra». (Mt6,10) Gli uomini che attendono Cristo sono ancora in numero
immenso: gli spazi umani e culturali, non ancora raggiunti dall'annunzio
evangelico o nei quali la chiesa è scarsamente presente. sono tanto ampi, da
richiedere l'unità di tutte le sue forze. Preparandosi a celebrare il giubileo
del Duemila, tutta la chiesa è ancor più impegnata per un nuovo avvento
missionario. Dobbiamo nutrire in noi l'ansia apostolica di trasmettere ad altri
la luce e la gioia della fede, e a questo ideale dobbiamo educare tutto il
popolo di Dio. Non possiamo restarcene tranquilli, pensando ai milioni di nostri
fratelli e sorelle, anch'essi redenti dal sangue di Cristo, che vivono ignari
dell'amore di Dio. Per il singolo credente, come per l'intera chiesa, la causa
missionaria deve essere la prima, perché riguarda il destino eterno degli
uomini e risponde al disegno misterioso e misericordioso di Dio.
|
PARTE
VIII
LA
SPIRITUALITÀ MISSIONARIA
Lasciarsi
condurre dallo Spirito
87.
L'attività missionaria esige una specifica spiritualità che riguarda, in
particolare, quanti Dio ha chiamato a essere missionari. Tale spiritualità si
esprime, innanzittutto, nel vivere in piena docilità allo Spirito: essa impegna
a lasciarsi plasmare interiormente da lui? per divenire sempre più conformi a
Cristo. Non si può testimoniare Cristo senza riflettere la sua immagine, la
quale è resa viva in noi dalla grazia e dall'opera dello Spirito. La docilità
allo Spirito impegna poi ad accogliere i doni della fortezza e del
discernimento, che sono tratti essenziali della stessa spiritualità.
Emblematico è il caso degli apostoli, che durante la vita pubblica del Maestro,
nonostante il loro amore per lui e la generosità della risposta alla sua
chiamata, si dimostrano incapaci di comprendere le sue parole e restii a
seguirlo sulla via della sofferenza e dell'umiliazione. Lo Spirito li trasformerà
in testimoni coraggiosi del Cristo e annunziatori illuminati della sua Parola:
sarà lo Spirito a condurli per le vie ardue e nuove della missione. Anche oggi
la missione rimane difficile e complessa come in passato e richiede ugualmente
il coraggio e la luce dello Spirito: viviamo spesso il dramma della prima
comunità cristiana, che vedeva forze incredule e ostili «radunarsi insieme
contro il Signore e contro il suo Cristo». (At4,26) Come allora, oggi occorre
pregare, perché Dio ci doni la franchezza di proclamare il vangelo; occorre
scrutare le vie misteriose dello Spirito e lasciarsi da lui condurre in tutta la
verità. (Gv16,13)
Vivere
il mistero di Cristo «inviato»
88.
Nota essenziale della spiritualità missionaria è la comunione intima con
Cristo: non si può comprendere e vivere la missione, se non riferendosi a
Cristo come l'inviato a evangelizzare. Paolo ne descrive gli atteggiamenti: «Abbiate
in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo
di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma
spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli
uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla
morte e alla morte di croce». (Fil2,5) È qui descritto il mistero
dell'incarnazione e della redenzione, come spoliazione totale di sé, che porta
Cristo a vivere in pieno la condizione umana e ad aderire fino in fondo al
disegno del Padre. Si tratta di un annientamento, che però è permeato di amore
ed esprime l'amore. La missione percorre questa stessa via e ha il suo punto di
arrivo ai piedi della croce. Al missionario è chiesto «di rinunziare a se
stesso e a tutto quello che in precedenza possedeva in proprio e a farsi tutto a
tutti»: (172) nella povertà che lo rende libero per il vangelo, nel distacco
da persone e beni del proprio ambiente per farsi fratello di coloro ai quali è
mandato, onde portare a essi il Cristo salvatore. È a questo che è finalizzata
la spiritualità del missionario: «Mi sono fatto debole con i deboli...; mi
sono fatto tutto a tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per
il vangelo...». (1Cor9,22) Proprio perché «inviato», il missionario
sperimenta la presenza confortatrice di Cristo, che lo accompagna in ogni
momento della sua vita «Non aver paura.... perché io sono con te» (At18,9) e
lo aspetta nel cuore di ogni uomo.
Amare
la Chiesa e gli uomini come li ha amati Gesù
89.
La spiritualità missionaria si caratterizza, altresì, per la carità
apostolica, quella del Cristo che venne «per riunire insieme i figli di Dio che
erano dispersi» (Gv11,52) buon Pastore che conosce le sue pecore, le ricerca e
offre la sua vita per loro. (Gv10,1) Chi ha spirito missionario sente l'ardore
di Cristo per le anime e ama la chiesa, come Cristo. Il missionario è spinto
dallo «zelo per le anime», che si ispira alla carità stessa di Cristo, fatta
di attenzione, tenerezza, compassione, accoglienza, disponibilità,
interessamento ai problemi della gente. L'amore di Gesù è molto profondo:
egli, che «sapeva quello che c'è in ogni uomo» (Gv2,25) amava tutti offrendo
loro la redenzione e soffriva quando questa veniva rifiutata. Il missionario è
l'uomo della carità: per poter annunziare a ogni fratello che è amato da Dio e
che può lui stesso amare, egli deve testimoniare la carità verso tutti,
spendendo la vita per il prossimo. Il missionario è il «fratello universale»,
porta in sé lo spirito della chiesa, la sua apertura e interesse per tutti i
popoli e per tutti gli uomini, specie i più piccoli e poveri. Come tale, supera
le frontiere e le divisioni di razza, casta o ideologia: è segno dell'amore di
Dio nel mondo, che è amore senza nessuna esclusione né preferenza. Infine,
come Cristo egli deve amare la chiesa: «Cristo ha amato la chiesa e ha dato se
stesso per lei». (Ef5,25) Questo amore, spinto fino a dare la vita, è per lui
un punto di riferimento. Solo un amore profondo per la chiesa può sostenere lo
zelo del missionario; il suo assillo quotidiano - come dice san Paolo - è «la
preoccupazione per tutte le chiese». (2Cor11,28) Per ogni missionario «la
fedeltà a Cristo non può essere separata dalla fedeltà alla sua chiesa».
(173)
Il
vero missionario è il santo
90.
La chiamata alla missione deriva di per sé dalla chiamata alla santità. Ogni
missionario è autenticamente tale solo se si impegna nella via della santità:
«La santità deve dirsi un presupposto fondamentale e una condizione del tutto
insostituibile perché si compia la missione di salvezza della chiesa». (174)
L'universale vocazione alla santità è strettamente collegata all'universale
vocazione alla missione. ogni fedele è chiamato alla santità e alla missione.
Tale è stato il voto ardente del concilio nell'auspicare «con la luce di
Cristo, riflessa sul volto della chiesa, di illuminare tutti gli uomini,
annunziando il vangelo a ogni creatura». (175) La spiritualità missionaria
della chiesa è un cammino verso la santità. La rinnovata spinta verso la
missione ad gentes esige missionari santi. Non basta rinnovare i metodi
pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, né
esplorare con maggior acutezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre
suscitare un nuovo «ardore di santità» fra i missionari e in tutta la comunità
cristiana, in particolare fra coloro che sono i più stretti collaboratori dei
missionari. (176) Ripensiamo, cari fratelli e sorelle, allo slancio missionario
delle prime comunità cristiane. Nonostante la scarsezza dei mezzi di trasporto
e comunicazione di allora, l'annunzio evangelico raggiunse in breve tempo i
confini del mondo. E si trattava della religione del figlio dell'uomo morto in
croce, «scandalo per gli ebrei e stoltezza per i gentili»! (1Cor1,23) Alla
base di un tale dinamismo missionario c'era la santità dei primi cristiani e
delle prime comunità.
91.
Mi rivolgo, perciò, ai battezzati delle giovani comunità e delle giovani
chiese. Siete voi, oggi, la speranza di questa nostra chiesa, che ha duemila
anni: essendo giovani nella fede, dovete essere come i primi cristiani, e
irradiare entusiasmo e coraggio, in generosa dedizione a Dio e al prossimo; in
una parola, dovete mettervi sulla via della santità. Solo così potete essere
segno di Dio nel mondo e rivivere nei vostri paesi l'epopea missionaria della
chiesa primitiva. E sarete anche fermento di spirito missionario per le chiese
più antiche. Da parte loro, i missionari riflettano sul dovere della santità,
che il dono della vocazione richiede da essi, rinnovandosi di giorno in giorno
nel loro spirito e aggiornando anche la loro formazione dottrinale e pastorale.
Il missionario deve essere «un contemplativo in azione». Egli trova risposta
ai problemi nella luce della parola di Dio e nella preghiera personale e
comunitaria. Il contatto con i rappresentanti delle tradizioni spirituali non
cristiane, in particolare di quelle dell'Asia, mi ha dato conferma che il futuro
della missione dipende in gran parte dalla contemplazione. Il missionario, se
non è un contemplativo, non può annunziare il Cristo in modo credibile. Egli
è un testimone dell'esperienza di Dio e deve poter dire come gli apostoli: «Ciò
che noi abbiamo contemplato, ossia il Verbo della vita. . ., noi lo annunziamo a
voi». (1Gv1,1) Il missionario è l'uomo delle beatitudini. Gesù istruisce i
Dodici prima di mandarli a evangelizzare, indicando loro le vie della missione:
povertà, mitezza, accettazione delle sofferenze e persecuzioni, desiderio di
giustizia e di pace, carità, cioè proprio le beatitudini, attuate nella vita
apostolica. (Mt5,1) Vivendo le beatitudini, il missionario sperimenta e dimostra
concretamente che il regno di Dio è già venuto e egli lo ha accolto. La
caratteristica di ogni vita missionaria autentica è la gioia interiore che
viene dalla fede. In un mondo angosciato e oppresso da tanti problemi, che tende
al pessimismo, l'annunziatore della «buona novella» deve essere un uomo che ha
trovato in Cristo la vera speranza.
|
CONCLUSIONE
92.
Mai come oggi la chiesa ha l'opportunità di far giungere il vangelo, con la
testimonianza e la parola, a tutti gli uomini e a tutti i popoli. Vedo
albeggiare una nuova epoca missionaria, che diventerà giorno radioso e ricco di
frutti, se tutti i cristiani e, in particolare, i missionari e le giovani chiese
risponderanno con generosità e santità agli appelli e sfide del nostro tempo.
Come gli apostoli dopo l'ascensione di Cristo, la chiesa deve radunarsi nel
Cenacolo «con Maria, la Madre di Gesù», (At1,14) per implorare lo Spirito e
ottenere forza e coraggio per adempiere il mandato missionario. Anche noi, ben
più degli apostoli, abbiamo bisogno di essere trasformati e guidati dallo
Spirito. Alla vigilia del terzo millennio tuttora la chiesa è invitata a vivere
più profondamente il mistero di Cristo, collaborando con gratitudine all'opera
della salvezza. Ciò essa fa con Maria e come Maria, sua madre e modello: è
lei, Maria, il modello di quell'amore materno dal quale devono essere animati
tutti quelli che, nella missione apostolica della chiesa, cooperano alla
rigenerazione degli uomini. Perciò, «confortata dalla presenza di Cristo, la
chiesa cammina nel tempo verso la consumazione dei secoli e si muove incontro al
Signore che viene; ma in questo cammino... procede ricalcando l'itinerario
compiuto dalla Vergine Maria». (177) Alla «mediazione di Maria, tutta
orientata verso il Cristo e protesa alla rivelazione della sua potenza salvifica»,
(178) affido la chiesa e, in particolare, coloro che si impegnano per
l'attuazione del mandato missionario nel mondo di oggi. Come Cristo inviò i
suoi apostoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, così,
rinnovando lo stesso mandato, io estendo a tutti voi la benedizione apostolica
nel nome della stessa Trinità santissima. Amen.
Dato
a Roma, presso San Pietro, il 7 dicembre - nel XXV anniversario del decreto
conciliare "Ad gentes" - dell'anno 1990, decimoterzo del pontificato.
GIOVANNI PAOLO II
|
NOTE
1
Cf. PAOLO VI, Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 1972: «Quante
tensioni interne che debilitano e lacerano alcune chiese e istituzioni locali,
scomparirehbero di fronte alla ferma convinzione che ia salvezza delle comunità
locali si conquista con la cooperazione all'opera missionaria, perché questa
sia estesa fino ai confini della terra!» (Insegnamenti X 1972, 522)
2
Cf. BENEDETTO XV, epist. ap. Maximum illud (30 novembre 1919): AAS 1 1 ( 1919),
440-455; PioXI, lett.enc. Rerum ecclesiae (28febbraiol926): AA518 (1926), 65-83;
Pio XI, lett.enc. Evangelii praecones (2 giugno 1951): 43 (1951), 497-528;
lett.enc. Fidei donum (21 aprile 1957): AAS 49 (1957), 225-248; GIOVANNI XXIII,
lett. enc. Princeps pastorum (28 novemhre 1959): AAS 51 (1959), 833-864.
3
Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 10: AAS 71 (1979), 274s.
4
Ibid., l.c., 275.
5
Credo niceno-costantinopolitano: Ds 150.
6
Lett. enc. Redemptor hominis, 13: hc., 283.
7
Cf. CONC. ECU
M, VAT, I I, cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes,
2.
8
Ibid., 22.
9
Lett. enc. Dives
in misericordia (30 novembre 1980), 7: AAS 72 (1980), 1202.
10
Omelia della celebrazione eucaristica a Cracovia, 10 giugno 1979: AAS 71 (1979),
873.
11
GlOVANNl XXIII, lett.enc.Materetmagistra(lSmaggio 1961), IV: AAS 53(1961), 45 1
-453.
12
Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 2.
13
PAOLO VI, esort. ap. Evangeliinuntiancli(8 dicemhre 1975), 53: AAS 68 (1976),
42.
14
Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 2.
15
Cf. cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 14-17; decreto sull'attività
missionaria della chiesa Ad gentes, 3.
16
Cf. cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 48; cost. past. sulla chiesa nel
mondo contemporaneo Gaudium et spes, 43; decreto sull'attività missionaria
della chiesa Ad gentes, 7. 21.
17
Cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 13
18
Cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 9
19
Cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22.
20
Conc. Ecum. Vat II, cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 14.
21
Lett. enc. Dives in misericordia, 1: l.c., 1177.
22
CONC. ECUM. VAT II, cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 5.
23
CONC. ECUM. VAT II, cost. dogm. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et
spes, 22.
24
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 4.
25
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 5.
26
Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 16: l.c., 15.
27
Discorso all'apertura della III sessione del CONC. ECUM. VAT. II, 14 settembre
1964: AAS 56 (1964), 810.
28
PAOLO VI, esort. ap. Evangelii nuntiandi, 34: l.c ., 28.
29
Cf. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Temi scelti cl ecclesiologia nel Xx
anniversario della chiusura del CONC. ECUM. VAT. 11 (7 ottohre 1985), 10,
((L'indole escatologica della chiesa: regno di Dio e chiesa».
30
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo
Gaudium et spes, 39.
31
Lett. enc. Dominum et vivifcantem (18 maggio 1986), 42: AAS 78 (1986), 857.
32
Ibid., 64: l.c. 892.
33
Questo termine corrisponde al greco parresìa, che significa anche entusiasmo,
vigore; cf. At 2, 29; 4, 13. 29. 31; 9, 27.28; 13, 46; 14, 3; 18, 26; 19, 8. 26;
28, 31.
34
Cf. PAOLO VI, esort, ap. Evangelii nuntiandi, 41-42: l.c., 31-33.
35
Cf. Iett. enc. Dominum et vivifcantem, 53: l.c., 874s.
36
Cf. CONC. ECUM.
VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 3.1 1.15;
cost past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 10-1 1.
22.26.38.41.92-93.
37
CONC. ECUM. VAT. II, cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et
spes, 10.15.22.
38
Ibid., 41.
39
Cf. Lett. enc. Dominum
et vivifcantem, 54: l.c., 875s.
40
CONC. ECUM.
VAT. II, cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et pes, 26.
41
Ibid., 38, cf. 93.
42
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm. Lumen
gentium, 17; decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 3. 15.
43
CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
4.
44
Cf. Iett. enc. Dominum et vivificantem, 53: l.c., 874.
45
Discorso ad esponenti delle religioni non cristiane a Madras, 5 febbraio 1986;
AAS 78 ( 1986), 767; cf. Messaggio ai popoli dell'Asia a Manila, 21 febbraio
1981, 2-4: AAS 73 (1981), 392s.; Discorso ai rappresentanti delle religioni non
cristiane a Tokyo, 24 febbraio 1981, 3-4: Insegnamenti IV/I (1981), 507s.
46
Discorso ai cardinali alla Famiglia pontificia e alla Curia e Prelatura romana,
22 dicembre 1986, 11: AAS 79 (1987), 1089.
47
Cost. dogm. Lumen gentium, 16.
48
CONC. ECUM.
VAT. II, cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 45;
lett. enc. Dominum
et vivifcantem, 54: l.c., 876.
49
CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attivita missionaria della chiesa Ad gentes,
10.
50
Esort. ap. Christifdeles laici (30 dicembre 1988), 35: AAS 81 (1989), 457.
51
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad
gentes, 6.
52
Cf. ibid.
53
Cf. ibid., 6.23.27.
54
Cf. PAOLO VI, esort. ap. Evangelii nuntiandi, 18-20; l.c., 17-19.
55
Esort. ap. Christifdeles laici, 35: l.c., 457.
56
Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80: l.c., 73. 57Cf. CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 6.
58
Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80: l.c., 73.
59
Cf. decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 6.
60
Cf. ibid., 20.
61
Cf. Discorso ai membri del simposio del Consiglio delle conferenze episcopali di
Europa, I I ottobre 1985: AAS 78 (1986), pp. 178-179.
62
Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 20: l.c., 19.
63
CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
5; cf. cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 8.
64
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis
humanae, 34; Paolo VI,esort.ap.Evangeliinuntiandi,79-80:1.c.,71-75; Giovanni
Paolo II, lett. enc. Redemptor
hominis, 12: l.c., 278-281.
65
Epist. ap. Maximum illud: l.c., 446.
66
PAOLO VI, esort. ap. Evangelii nuntiandi, 62: l.c., 52.
67
Cf. De praescriptione haereticorum, XX: CCL 1, 201 s.
68
CONC ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
9; cf. cap. II, 10-18.
69
Cf. PAOLO VI, esort. ap. Evangelii nuntiandi, 41: l.c. 31 s.
70
Cf CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 28.35.38; cost.
past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 43; decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 11-12.
71
Cf. PAOLO VI, lett. enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 21.42: AAS 59
(1967), 267s., 278.
72
PAOLO VI, esort. ap. Evangelii nuntiandi, 27: l.c., 23.
73
CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
13.
74
Cf. PAOLO VI, esort. ap. Evangelii nuntiandi, 15: l.c., 13-15; CONC. ECUM. VAT.
II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 13-14.
75
Cf. Iett. enc. Dominum et vivificantem, 42. 64:1..,
857-859, 892-894.
76
Cf. PAOLO VI, esort. ap. Evangelii nuntiandi, 60: l.c., 50s.
77
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 6-9.
78
CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
2; cf. cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 9.
79
Cf. decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, cap. III, 19-22.
80
CoNc. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
15.
81
Ibid., 6.
82
Ibid., 15; cf. decreto sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, 3.
83
Cf. esort. ap. Evangelii nuntiandi, 58: l.c., 46-49.
84
Assemblea straordinaria del 1985, Relazione finale, Il, C, 6.
85
Ibid., Il, D, 4.
86
Cf.esort.ap. Catechesitradendae (160ttobrel979), 53:AAS71(1979), 1320;epist.
enc. Slavorum apostoli (2 giugno 1985), 21: AAS 77 (1985), 802s.
87
Cf. PAOLO VI, esort. ap. Evangelii nuntiandi, 20: l.c., 18 s.
88
Cf. Discorso ai vescovi dello Zaire a Kinshasa, 3 maggio 1980, 4-6: A AS 72 (
1980), 432-435; Discorso ai vescovi del Kenya a Nairobi, 7 maggio 1980, 6: AAS
72 (1980), 497; Discorso ai vescovi dell'lndia a Delhi, I febbraio 1986, 5: AAS
78 (1986), 748 s.; Omelia a Cartagena, 6 luglio 1986, 7-8: AAS 79 (1987), 105
s.; cf. anche epist. enc. Slavorum apostoli, 21-22: l.c., 802-804.
89
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad
gentes, 22.
90
Cf. ibid.
91
Cf. PAOLO VI, esort. ap. Evangeliinuntiandi, 64: l.c., 55.
92
Le chiese particolari «hanno il compito di assimilare l'essenziale del
messaggio evangelico, di trasfonderlo, senza la minima alterazione della sua
verità fondamentale, nel linguaggio compreso da questi uomini e quindi di
annunziarlo nel medesimo linguaggio... E il terrnine "linguaggio"
dev'essere qui inteso non tanto nel senso semantico o letterario, quanto in
quello che si può chiamare antropologico o culturale>) (Ibid., 63: l.c.,
53).
93
Cf. Discorso all'udienza generale del 13 aprile 1988: Insegnamenti, Xl/l (1988),
77-88 1 .
94
Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 10, in cui si tratta
dell'inculturazione «nell'ambito del matrimonio e della famiglia»: AAS 74
(1982), 91.
95
Cf. PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, 63-65: l.c., 53-56.
96
CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 17.
97
Discorso ai partecipanti al simposio dei vescovi dell'Africa a Kampala, 31
luglio 1969, 2: AAS 61 (1969), 577.
98
PAOLO VI, Discorso all'apertura della 1I Sessione del CONC. ECUM.
VAT. II, 29 settembre 1963: AAS 55 (1963), 858; cf. CONC. ECUM.
VAT. II, Dichiarazione sulle relazioni della chiesa con le religioni non
cristiane Nostra aetate, 2; cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 16; decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 9; PAOLO VI, esort. ap.
Evangelii nuntiandi, 53: l.c., 41 s.
99
Cf. PAOLO VI, lett. enc. Ecclesiam suam (6 agosto 1964): AAS 56 (1964), 609-659:
CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
I I . 41; SEGRETARIATO PER I NON CRISTIANI, Latteggiamento della chiesa di
fronte ai seguaci di altre religioni - Riflessioni e orientamenti su dialogo e
missione (4 settembre 1984): AAS 76 (1984), 816-828.
100
Lettera ai vescovi dell'Asia in occasione della V Assemblea plenaria della
Federazione delle loro Conferenze episcopali (23 giugno 1990), 4: L'Osservatore
Romano, 18 luglio 1990.
101
CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 14; cf. deccreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 7.
102
Cf. CoNc. EcuM. VAT. II. decreto sull'ecumenismo Unitatisredintegratio,3;
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 7.
103
Cf. lett. enc. Redemptor hominis, 12: l.c., 279.
104
CONC ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
11. 15.
105
CONC. ECUM. VAT. II, dichiarazione sulle relazioni della chiesa con le religioni
non cristiane Nostra aetate, 2
106
Esort. ap. Christifideles laici, 35: l.c., 458.
107
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad
gentes, 41.
108
Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), 41: AAS 80 (1988), 570
s.
109
Documenti della III Conferenza generale dell'Episcopato latino-americano a
Puebla (1979): 3760 (1145).
110
Discorso ai vescovi, ai sacerdoti, alle religiose e ai religiosi a Jakarta, 10
ottobre 1989, 5: L'Osservatore Romano, 11 ottobre 1989.
111
Cf. PAOLO VI, lett. enc. Populorum progressio, 14-21; 40-42: l.c., 264-268, 277
s.; GIOVANNI PAOLO II, lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 27-41: l.c.,
547-572.
112
Cf. Iett. enc. Sollicitudo rei socialis, 28: l.c., 548-550.
113
Cf. ibid, cap. IV,
27-34: l.c., 547-560; cf. PAOLO VI, lett. enc. Populorum progressio, 19-21.
41-42: l.c., 266-268, 277 s.
114
Discorso agli abitanti della favela Vidigal a Rio de Janeiro, 2 luglio 1980, 4:
AAS 72 (1980), 854.
115
Documenti della III Conferenza generale dell'Episcopato latino-americano a
Puebla (1979): 3757 (1142).
116
ISACCO DELLA STELLA, Sermone 31: PL 194, 1793.
117
CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
20.
118
Esort. ap. Christifideles laici, 35: l.c., 458.
119
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad
gentes. 38.
120
Discorso ai membri del sacro Collegio e a tutti i collaboratori della Curia
romana, della Città del Vaticano e del Vicariato di Roma, 28 giugno 1980, 10:
Insegnamenti III/1 (1980), 1887.
121
Cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 23.
122
Decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gerltes, 38.
123
Ibid, 29.
124
Cf. Ibid., 38
125
Ibid., 30.
126
Docurnenti della III Conferenza Generale dell'Episcopato latino-americano a
Puebla (1979): 2941 (368).
127
Cf. note direttive per la promozione della cooperazione mutua delle chiese
particolari e specialmente per la distribuzione più adatta del clero Postquam
apostoli (25 marzo 1980): AAS 72 (1980), 343-364.
128
Cf. decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, cap. IV,
23-27.
129
Ibid., 23.
130
Ibid.
131
Ibid., 23-27
132
Cf. S. CONGREGAZIONE PER I RELIGIOSI E GM ISTITUTI SECOLARI e S. CONGREGAZIONE
PER I VESCOVI, Note direttive per i rapporti mutui tra i vescovi e i religiosi
nella chiesa Mutuae relationes (14 maggio 1978), 14 b: AAS 70 (978), 482; cf. n.
28: l.c., 490.
133
CONC ECUM VAT II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 27.
134
CONC. ECUM. VAT 11, decreto sul ministero e la vita sacerdotale Presbyterorum
Ordinis, 10; cf. decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 39.
135
CONC. ECUM. VAT II, decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius, 20. Cf.
«Guide de vie pastorale pour les pretres diocésains des églises qui dépendent
de la Congregation pour l'evangelisation des peuples», Koma, 1989.
136
Discorso ai partecipanti alla plenaria della Congregazione per l'evangelizazione
dei popoli, 14 aprile 1989; 4: AAS 81 (1989), 1140.
137
Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 1982: Insegnamenti V/2 ( 1982),
1879.
138
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, decreto suD'attività missionaria della chiesa Ad
gentes, 38; S. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, note direttive Postquam apostoli,
24-25: l.c., 361.
139
Cf. S. CONGREGAZIONE PER IL CLERO note direttive Postquam apostoli, 29: 1. .,
362 s.; CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad
gentes, 20.
140
CIC, can. 783
141
Decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 40.
142
Cf. PAOLO VI, esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 69: l.c., 58 s.
143
Lett. ap. Mulieris dignitatem, (15 agosto 1988), 20: AAS 80 (1988) 1703.
144
Cf. Plo Xll, lett. enc. Evangelii praecones: l.c., 510 ss.; lett. enc. Fidei
donum: l.c., 228 ss.; GIOVANNI XXIII, lett. enc. Princeps
pastorum: l.c., 855 ss.; PAOLO VI, esort. ap. Evangelii nuntiandi, 70-73: l.c.,
59-63.
145
Esort. ap. Christifideles laici, 35: l.c., 457.
146
Cf. Iett. enc. Evangelii praecones, l.c., 510-514.
147
Cf. cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 17.33 ss.
148
Cf. decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 35-36.41.
149
Esort. ap. Christifideles laici, 14: l.c., 410.
150
CIC, can.225, 1;cf. CONC. ECUM.
VAT. II, decreto sull'apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, 6.13.
151
CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium 31; cf. CIC, can.
225, 2.
152
PAOLO VI, esort. ap. Evangelii nuntiandi, 70: l.c.,60.
153
Esort. ap. Christifideles laici, 35: l.c., 458.
154
CONC. ECUM.
VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 17.
155
Esort. ap. Catechesi tradendae, 66: l.c., 1331.
156
cf. can. 785,1.
157
Decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 17.
158
Cf. Assemblea plenaria della S. Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli
del 1969 sui catechisti e la relativa «Istruzione» dell'aprile 1970:
Bibliograf a missionaria 34 (1970), 197-212, e S.C. de Propaganda Fide Memoria
Rerum, III/2 (1976), 821-831 .
159
CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
28.
160
Cost. ap. Pastor bonus (28 giugno 1988), 85: AAS 80 (1988), 881; cf. CONC. ECUM.
VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 29.
161
CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
29; cf. GIOVANNI PAOLO II, cost. ap. Pastor bonus, 86: l.c., 882.
162
Decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 31.
163
Cf. ibid ., 33.
164
Cf. PAOLO VI, lett. ap. in forma di motu-proprio Ecclesiae sanctae (6 agosto
1966), II, 43: AAS 58 (1966), 782.
165
Cf. CONC. ECUM . VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad
gentes, 34; PAOLO VI, lett. ap. in forma di motu-proprio Ecclesiae sanctae, III,
22: l.c., 787.
166
CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
35; cf. CIC, cann. 211.781.
167
Esort. ap. Familiaris consortio, 54: l.c., 147.
168
Cf. PAOLO VI, epist. ap. Graves
et increscentes (5 settembre 1966): AAS 58 (1966), 750-756.
169
p. MANNA, Le nostre «chiese» e la propagazione del vangelo, Trentola Ducenta,
19522, p. 35.
170
CONC ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
38.
171
Cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 13.
172
CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes,
24.
173
CONC. ECUM. VAT. II, decreto sul ministero e sulla vita sacerdotale
Presbyterorum Ordinis, 14.
174
Esort. ap. Christifideles laici, 17: l.c., 419.
175
Cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 1.
176
Cf. Discorso all'Assemblea del CELAM a Port-au Prince, 9 marzo 1983: AAS 75
(1983), 171-779; Omelia per l'apertura del «novenario di anni», promosso dal
CELAM a Santo Domingo, 12 ottobre 1984: InsegnamentiVII/2 (1984), 885-897.
177
Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), 2: AAS 79 (1987), 362 s.
178
Ibid.. 22: l.c., 390
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