|
|
GIOVANNI
PAOLO II - Lettera enciclica:
CENTESIMUS
ANNUS
|
Introduzione
|
Introduzione
|
Parte I
|
Tratti
caratteristici della «
Rerum Novarum »
|
Parte II
|
Verso
le «
Cose Nuove
»
di oggi
|
Parte III
|
L'anno
1989
|
Parte IV
|
La
proprietà privata e l'universale destinazione dei beni
|
Parte V
|
Stato
e cultura
|
Parte VI
|
L'uomo
è la via della Chiesa
|
Note
|
Note
|
|
LETTERA
ENCICLICA
CENTESIMUS
ANNUS
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
NEL CENTENARIO DELLA
«RERUM NOVARUM »
Venerati
Fratelli,
carissimi Figli e Figlie,
salute e Apostolica Benedizione!
|
INTRODUZIONE
1.
Il centenario della promulgazione dell'Enciclica del mio predecessore Leone XIII
di v.m., che inizia con le parole Rerum
novarum,1 segna una data di rilevante importanza nella presente storia della
Chiesa ed anche nel mio pontificato. Essa, infatti, ha avuto il privilegio di
esser commemorata con solenni Documenti dai Sommi Pontefici, a partire dal
quarantesimo anniversario fino al novantesimo: si può dire che il suo iter
storico è stato ritmato da altri scritti, che la rievocavano ed insieme la
attualizzavano.2
Nel
fare altrettanto per il centesimo anniversario su richiesta di numerosi Vescovi,
istituzioni ecclesiali, centri di studi, imprenditori e lavoratori, sia a titolo
individuale che come membri di associazioni, desidero anzitutto soddisfare il
debito di gratitudine che l'intera Chiesa ha verso il grande Papa e il suo «
immortale Documento ».3 Desidero anche mostrare che la
ricca linfa, che sale da quella radice, non si è esaurita col passare degli
anni, ma è anzi diventata più
feconda. Ne dànno testimonianza le iniziative di vario genere che hanno
preceduto, accompagnano e seguiranno questa celebrazione, iniziative promosse
dalle Conferenze episcopali, da Organismi internazionali, da Università ed
Istituti accademici, da Associazioni professionali e da altre istituzioni e
persone in tante parti del mondo.
2.
La presente Enciclica partecipa a queste celebrazioni per ringraziare Dio, dal
quale « discende ogni buon regalo e ogni dono perfetto » (Gc 1,17), poiché si è servito di un Documento emanato cento anni
or sono dalla Sede di Pietro, operando nella Chiesa e nel mondo tanto bene e
diffondendo tanta luce. La commemorazione, che qui vien fatta, riguarda
l'Enciclica leoniana ed insieme le Encicliche e gli altri scritti dei miei
predecessori, che hanno contribuito a renderla presente e operante nel tempo,
costituendo quella che sarebbe stata chiamata « dottrina sociale », «
insegnamento sociale », o anche « Magistero sociale » della Chiesa.
Alla
validità di tale insegnamento si riferiscono già due Encicliche che ho
pubblicato negli anni del mio pontificato: la
Laborem exercens sul lavoro umano e la Sollicitudo
rei socialis sugli attuali problemi dello sviluppo degli uomini e dei
popoli.4
3.
Intendo ora proporre una « rilettura » dell'Enciclica leoniana, invitando a «
guardare indietro », al suo testo stesso per scoprire nuovamente la ricchezza
dei principi fondamentali, in essa formulati, per la soluzione della questione
operaia. Ma invito anche a « guardare intorno », alle « cose nuove », che ci
circondano ed in cui ci troviamo, per così dire, immersi, ben diverse dalle «
cose nuove » che contraddistinsero l'ultimo decennio del secolo passato.
Invito, infine, a « guardare al futuro », quando già s'intravede il terzo
Millennio dell'era cristiana, carico di incognite, ma anche di promesse.
Incognite e promesse che fanno appello alla nostra immaginazione e creatività,
stimolando anche la nostra responsabilità, quali discepoli dell'« unico
maestro », Cristo (cf Mt 23,8),
nell'indicare la via, nel proclamare la verità e nel comunicare la vita che è
lui (cf Gv 14,6).
Così
facendo, sarà confermato non solo il
permanente valore di tale insegnamento, ma si manifesterà anche il vero senso della Tradizione della Chiesa, la quale, sempre viva e
vitale, costruisce sopra il fondamento posto dai nostri padri nella fede e,
segnatamente, sopra quel che gli Apostoli trasmisero alla Chiesa 5 in nome di
Gesù Cristo, il fondamento « che nessuno può sostituire » (cf 1
Cor 3,11).
Fu
per la coscienza della sua missione di successore di Pietro che Leone XIII si
propose di parlare, e la stessa coscienza anima oggi il suo successore. Come
lui, e come i Pontefici prima e dopo di lui, mi ispiro all'immagine evangelica
dello « scriba divenuto discepolo del Regno dei cieli », del quale il Signore
dice che « è simile ad un padrone di casa, che dal suo tesoro sa trarre cose
nuove e cose antiche » (Mt 13,52). Il
tesoro è la grande corrente della Tradizione della Chiesa, che contiene le «
cose antiche », ricevute e trasmesse da sempre, e permette di leggere le «
cose nuove », in mezzo alle quali trascorre la vita della Chiesa e del mondo.
Di
tali cose che, incorporandosi alla Tradizione, diventano antiche ed offrono
occasioni e materiale per il suo arricchimento e per l'arricchimento della vita
di fede, fa parte anche l'operosità feconda di milioni e milioni di uomini,
che, stimolati dal Magistero sociale, si sono sforzati di ispirarsi ad esso in
ordine al proprio impegno nel mondo. Agendo individualmente, o variamente
coordinati in gruppi, associazioni ed organizzazioni, essi hanno costituito come
un grande movimento per la difesa della
persona umana e la tutela della sua dignità, il che nelle alterne vicende
della storia ha contribuito a costruire una società più giusta o, almeno, a
porre argini e limiti all'ingiustizia.
La
presente Enciclica mira a mettere in evidenza la fecondità dei principi
espressi da Leone XIII, i quali appartengono al patrimonio dottrinale della
Chiesa e, per tale titolo, impegnano l'autorità del suo Magistero. Ma la
sollecitudine pastorale mi ha spinto, altresì, a proporre l'analisi
di alcuni avvenimenti della storia recente. È superfluo rilevare che il
considerare attentamente il corso degli avvenimenti per discernere le nuove
esigenze dell'evangelizzazione fa parte del compito dei Pastori. Tale esame,
tuttavia, non intende dare giudizi definitivi, in quanto di per sé non rientra
nell'ambito specifico del Magistero.
|
I.
TRATTI CARATTERISTICI DELLA
« RERUM NOVARUM »
4.
Sul finire del secolo scorso la Chiesa si trovò di fronte ad un processo
storico, in atto già da qualche tempo, ma che raggiungeva allora un punto
nevralgico. Fattore determinante di tale processo fu un insieme di radicali
mutamenti avvenuti nel campo politico, economico e sociale, ma anche nell'ambito
scientifico e tecnico, oltre al multiforme influsso delle ideologie dominanti.
Risultato di questi cambiamenti era stata, in campo politico, una nuova
concezione della società e dello Stato e, di conseguenza, dell'autorità. Una società tradizionale si dissolveva e cominciava
a formarsene un'altra, carica della speranza di nuove libertà, ma anche dei
pericoli di nuove forme di ingiustizia e servitù.
In
campo economico, dove confluivano le scoperte e le applicazioni delle scienze,
si era arrivati progressivamente a nuove strutture nella produzione dei beni di
consumo. Era apparsa una nuova forma di
proprietà, il capitale, e una nuova
forma di lavoro, il lavoro salariato, caratterizzato da gravosi ritmi di
produzione, senza i dovuti riguardi per il sesso, l'età o la situazione
familiare, ma unicamente determinato dall'efficienza in vista dell'incremento
del profitto.
Il
lavoro diventava così una merce, che poteva essere liberamente acquistata e
venduta sul mercato ed il cui prezzo era regolato dalla legge della domanda e
dell'offerta, senza tener conto del minimo vitale necessario per il
sostentamento della persona e della sua famiglia. Per di più, il lavoratore non
aveva nemmeno la sicurezza di riuscire a vendere la « propria merce », essendo
continuamente minacciato dalla disoccupazione, la quale, in assenza di
previdenze sociali, significava lo spettro della morte per fame.
Conseguenza
di questa trasformazione era « la divisione della società in due classi
separate da un abisso profondo »: 6 tale situazione si intrecciava con
l'accentuato mutamento di ordine politico. Così la teoria politica allora
dominante cercava di promuovere, con leggi appropriate o, al contrario, con
voluta assenza di qualsiasi intervento, la totale libertà economica. Nello
stesso tempo, cominciava a sorgere in forma organizzata, e non poche volte
violenta, un'altra concezione della proprietà e della vita economica, che
implicava una nuova organizzazione politica e sociale.
Nel
momento culminante di questa contrapposizione, quando ormai apparivano in piena
luce la gravissima ingiustizia della realtà sociale, quale esisteva in molte
parti, ed il pericolo di una rivoluzione favorita dalle concezioni allora
chiamate « socialiste », Leone XIII intervenne con un Documento che affrontava
in modo organico la « questione operaia ». L'Enciclica era stata preceduta da
altre, dedicate piuttosto ad insegnamenti di carattere politico, mentre altre
ancora seguiranno più tardi.7 In questo contesto è da ricordare, in
particolare, l'Enciclica Libertas
praestantissimum, in cui era richiamato il legame costitutivo della libertà
umana con la verità, tale che una libertà che rifiuti di vincolarsi alla verità
scadrebbe in arbitrio e finirebbe col sottomettere se stessa alle passioni più
vili e con l'autodistruggersi. Da cosa derivano, infatti, tutti i mali a cui la Rerum
novarum vuole reagire se non da una libertà che, nel campo dell'attività
economica e sociale, si distacca dalla verità dell'uomo?
Il
Pontefice si ispirava, inoltre, all'insegnamento dei predecessori, nonché ai
molti Documenti episcopali, agli studi scientifici promossi da laici, all'azione
di movimenti e associazioni cattoliche ed alle concrete realizzazioni in campo
sociale, che contraddistinsero la vita della Chiesa nella seconda metà del XIX
secolo.
5.
Le « cose nuove », alle quali il Papa si riferiva, erano tutt'altro che
positive. Il primo paragrafo dell'Enciclica descrive le « cose nuove », che le
han dato il nome, con parole forti: « Una volta suscitata la
brama di cose nuove, che da tempo sta sconvolgendo gli Stati, ne sarebbe
derivato come conseguenza che i desideri
di cambiamenti si trasferissero alla fine dall'ordine politico al settore
contiguo dell'economia. Difatti, i progressi incessanti dell'industria, le nuove
strade aperte dalle professioni, le mutate relazioni tra padroni e operai;
l'accumulo della ricchezza nelle mani di pochi, accanto alla miseria della
moltitudine; la maggiore coscienza che i lavoratori hanno acquistato di sé e,
di conseguenza, una maggiore unione tra essi ed inoltre il peggioramento dei
costumi, tutte queste cose hanno fatto scoppiare un conflitto
».8
Il
Papa, e con lui la Chiesa, come anche la comunità civile, si trovavano di
fronte ad una società divisa da un conflitto, tanto più duro e inumano perché
non conosceva regola né norma. Era il
conflitto tra il capitale e il lavoro, o — come lo chiamava l'Enciclica
— la questione operaia, e proprio su di esso, nei termini acutissimi in cui
allora si prospettava, il Papa non esitò a dire la sua parola.
Si
presenta qui la prima riflessione, che l'Enciclica suggerisce per il tempo
presente. Di fronte ad un conflitto che opponeva, quasi come « lupi », l'uomo
all'uomo fin sul piano della sussistenza fisica degli uni e dell'opulenza degli
altri, il Papa non dubitò di dover intervenire, in virtù del suo « ministero
apostolico »,9 ossia della missione ricevuta da Gesù Cristo stesso di «
pascere gli agnelli e le pecorelle » (cf Gv
21,15-17) e di « legare e sciogliere sulla terra » per il Regno dei cieli (cf Mt
16,19). Sua intenzione era certamente quella di ristabilire la pace, e il
lettore contemporaneo non può non notare la severa condanna della lotta di
classe, che egli pronunciava senza mezzi termini.10 Ma era ben consapevole del
fatto che la pace si edifica sul
fondamento della giustizia: contenuto essenziale dell'Enciclica fu appunto
quello di proclamare le condizioni fondamentali della giustizia nella
congiuntura economica e sociale di allora.11
In
questo modo Leone XIII, sulle orme dei predecessori, stabiliva un paradigma
permanente per la Chiesa. Questa, infatti, ha la sua parola da dire di fronte a
determinate situazioni umane, individuali e comunitarie, nazionali e
internazionali, per le quali formula una vera dottrina, un corpus,
che le permette di analizzare le realtà sociali, di pronunciarsi su di esse e
di indicare orientamenti per la giusta soluzione dei problemi che ne derivano.
Ai
tempi di Leone XIII una simile concezione del diritto-dovere della Chiesa era
ben lontana dall'essere comunemente ammessa. Prevaleva, infatti, una duplice
tendenza: l'una orientata a questo mondo ed a questa vita, alla quale la fede
doveva rimanere estranea; l'altra rivolta verso una salvezza puramente
ultraterrena, che però non illuminava né orientava la presenza sulla terra.
L'atteggiamento del Papa nel pubblicare la Rerum
novarum conferì alla Chiesa quasi uno « statuto di cittadinanza » nelle
mutevoli realtà della vita pubblica, e ciò si sarebbe affermato ancor più in
seguito. In effetti, per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale
appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del
messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze
nella vita della società ed inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la
giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore. Essa costituisce, altresì,
una fonte di unità e di pace dinanzi ai conflitti che inevitabilmente insorgono
nel settore economico-sociale. Diventa in tal modo possibile vivere le nuove
situazioni senza avvilire la trascendente dignità della persona umana né in se
stessi né negli avversari, ed avviarle a retta soluzione.
Ora,
la validità di tale orientamento mi offre, a distanza di cento anni,
l'opportunità di dare un contributo all'elaborazione della dottrina sociale
cristiana. La « nuova evangelizzazione », di cui il mondo moderno ha urgente
necessità e su cui ho più volte insistito, deve annoverare tra le sue
componenti essenziali l'annuncio della dottrina sociale della Chiesa, idonea tuttora,
come ai tempi di Leone XIII, ad indicare la retta via per rispondere alle grandi
sfide dell'età contemporanea, mentre cresce il discredito delle ideologie. Come
allora, bisogna ripetere che non c'è vera soluzione della « questione sociale » fuori del Vangelo e
che, d'altra parte, le « cose nuove » possono trovare in esso il loro spazio
di verità e la dovuta impostazione morale.
6.
Proponendosi di far luce sul conflitto
che si era venuto a creare tra capitale e lavoro, Leone XIII affermava i diritti
fondamentali dei lavoratori. Per questo, la chiave di lettura del testo leoniano
è la dignità del lavoratore in quanto tale e, per ciò stesso, la dignità
del lavoro, che viene definito come « l'attività umana ordinata a
provvedere ai bisogni della vita, e specialmente alla conservazione ».12 Il
Pontefice qualifica il lavoro come « personale », perché « la forza attiva
è inerente alla persona e del tutto propria di chi la esercita ed al cui
vantaggio fu data ».13 Il lavoro appartiene così alla vocazione di ogni
persona; l'uomo, anzi, si esprime e si realizza nella sua attività di lavoro.
Nello stesso tempo, il lavoro ha una dimensione « sociale » per la sua intima
relazione sia con la famiglia, sia anche col bene comune, « poiché si può
affermare con verità che il lavoro degli operai è quello che produce la
ricchezza degli Stati ».14 È quanto ho ripreso e sviluppato nell'Enciclica Laborem
exercens.15
Un
altro principio rilevante è senza dubbio quello del diritto
alla « proprietà privata ».16 Lo spazio stesso, che l'Enciclica gli
dedica, rivela l'importanza che gli si attribuisce. Il Papa è ben cosciente del
fatto che la proprietà privata non è un valore assoluto, né tralascia di
proclamare i principi di necessaria complementarità, come quello della destinazione universale dei beni della terra.17
D'altra
parte, è senz'altro vero che il tipo di proprietà privata, che egli
precipuamente considera, è quello della proprietà della terra.18 Ciò,
tuttavia, non impedisce che le ragioni addotte per tutelare la proprietà
privata, ossia per affermare il diritto di possedere le cose necessarie per lo
sviluppo personale e della propria famiglia — quale che sia la forma concreta
che questo diritto può assumere —, conservino oggi il loro valore. Ciò deve
essere nuovamente affermato sia di fronte ai cambiamenti, di cui siamo
testimoni, avvenuti nei sistemi dove imperava la proprietà collettiva dei mezzi
di produzione; sia anche di fronte ai crescenti fenomeni di povertà o, più
esattamente, agli impedimenti della proprietà privata, che si presentano in
tante parti del mondo, comprese quelle in cui predominano i sistemi che
dell'affermazione del diritto di proprietà privata fanno il loro fulcro. A
seguito di detti cambiamenti e della persistenza della povertà, si rivela
necessaria una più profonda analisi del problema, come sarà sviluppata più
avanti.
7.
In stretta relazione col diritto di proprietà l'Enciclica di Leone XIII afferma
parimenti altri diritti, come propri e inalienabili della persona umana. Tra
essi è preminente, per lo spazio che il Papa gli dedica e l'importanza che gli
attribuisce, il « diritto naturale dell'uomo » a formare associazioni private;
il che significa, anzitutto, il diritto a
creare associazioni professionali di imprenditori e operai, o di soli
operai.19 Si coglie qui la ragione per cui la Chiesa difende e approva la
creazione di quelli che comunemente si chiamano sindacati, non certo per
pregiudizi ideologici, né per cedere a una mentalità di classe, ma perché
l'associarsi è un diritto naturale dell'essere umano e, dunque, anteriore
rispetto alla sua integrazione nella società politica. Infatti, « non può lo
Stato proibirne la formazione », perché « i diritti naturali lo Stato deve
tutelarli, non distruggerli. Vietando tali associazioni, esso contraddice se
stesso ».20
Insieme
con questo diritto, che — è doveroso sottolineare — il Papa riconosce
esplicitamente agli operai o, secondo il suo linguaggio, ai « proletari »,
sono affermati con eguale chiarezza il diritto alla « limitazione delle ore di
lavoro », al legittimo riposo e ad un diverso trattamento dei fanciulli e delle
donne 21 quanto al tipo e alla durata del lavoro.
Se
si tiene presente ciò che dice la storia circa i procedimenti consentiti, o
almeno non esclusi legalmente, in ordine alla contrattazione senza alcuna
garanzia né quanto alle ore di lavoro, né quanto alle condizioni igieniche
dell'ambiente ed ancora senza riguardo per l'età e il sesso dei candidati
all'occupazione, ben si comprende la severa affermazione del Papa. « Non è
giusto né umano — egli scrive — esigere dall'uomo tanto lavoro, da farne
per la troppa fatica istupidire la mente e da fiaccarne il corpo ». E con
maggior precisione, riferendosi al contratto, inteso a far entrare in vigore
simili « relazioni di lavoro », afferma: « In ogni convenzione stipulata tra
padroni ed operai vi è sempre la condizione o espressa o sottintesa » che si
sia provveduto convenientemente al riposo, proporzionato « alla somma delle
energie consumate nel lavoro »; poi conclude: « Un patto contrario sarebbe
immorale ».22
8.
Subito dopo il Papa enuncia un altro
diritto dell'operaio in quanto persona. Si tratta del diritto al « giusto
salario », il quale non può essere lasciato « al libero consenso delle parti:
sicché il datore di lavoro, pagata la mercede, ha fatto la sua parte, né
sembra sia debitore di altro ».23 Lo Stato — si diceva a quel tempo — non
ha potere di intervenire nella determinazione di questi contratti, se non per
assicurare l'adempimento di quanto è stato esplicitamente pattuito. Una simile
concezione delle relazioni tra padroni e operai, puramente pragmatica ed
ispirata ad un rigoroso individualismo, viene severamente biasimata
nell'Enciclica, perché contraria alla duplice natura del lavoro, come fatto
personale e necessario. Poiché, se il lavoro, in
quanto personale, rientra nella disponibilità che ciascuno ha delle proprie
facoltà ed energie, in quanto necessario
è regolato dal grave obbligo che ciascuno ha di « conservarsi in vita »; «
di qui nasce per necessaria conseguenza — conclude il Papa — il diritto di
procurarsi i mezzi di sostentamento, che per la povera gente si riducono al
salario del proprio lavoro ».24
Il
salario deve essere sufficiente a mantenere l'operaio e la sua famiglia. Se il
lavoratore, « costretto dalla necessità, o per timore del peggio, accetta
patti più duri perché imposti dal proprietario o dall'imprenditore, e che
volenti o nolenti debbono essere accettati, è chiaro che subisce una violenza
contro la quale la giustizia protesta ».25
Volesse
Dio che queste parole, scritte mentre avanzava il cosiddetto « capitalismo
selvaggio », non debbano oggi essere ripetute con la medesima severità.
Purtroppo, si riscontrano ancora oggi casi di contratti tra padroni e operai,
nei quali è ignorata la più elementare giustizia in materia di lavoro minorile
o femminile, circa gli orari di lavoro, lo stato igienico dei locali e l'equa
retribuzione. E questo nonostante le Dichiarazioni
e Convenzioni internazionali al riguardo,26 e le stesse leggi
interne degli Stati. Il Papa attribuiva all'« autorità pubblica » lo «
stretto dovere » di prendersi debita cura del benessere dei lavoratori, perché
non facendolo si offendeva la giustizia; anzi, non esitava a parlare di «
giustizia distributiva ».27
9.
A tali diritti Leone XIII ne aggiunge un
altro, sempre a proposito della condizione operaia, che desidero ricordare
per l'importanza che ha: il diritto di adempiere liberamente i doveri religiosi.
Il Papa lo proclama nel contesto degli altri diritti e doveri degli operai,
nonostante il clima generale che, anche ai suoi tempi, considerava certe
questioni come attinenti esclusivamente all'ambito privato. Egli afferma la
necessità del riposo festivo, perché l'uomo sia riportato al pensiero dei beni
celesti e al culto dovuto alla maestà divina.28 Di questo diritto, radicato in
un comandamento, nessuno può privare l'uomo: « A nessuno è lecito violare
impunemente la dignità dell'uomo, di cui Dio stesso dispone con grande rispetto
»; di conseguenza, lo Stato deve assicurare all'operaio l'esercizio di tale
libertà.29
Non
sbaglierebbe chi in questa limpida affermazione vedesse il germe del principio
del diritto alla libertà religiosa, divenuto poi oggetto di molte solenni Dichiarazioni
e Convenzioni internazionali,30 nonché
della nota Dichiarazione conciliare e
del mio ripetuto insegnamento.31 Al riguardo, ci si deve domandare se gli
ordinamenti legali vigenti e la prassi delle società industrializzate
assicurino oggi effettivamente l'elementare diritto al riposo festivo.
10.
Un'altra importante nota, ricca di insegnamenti per i nostri giorni, è la
concezione dei rapporti tra lo Stato ed i cittadini. La Rerum
novarum critica i due sistemi sociali ed economici: il socialismo e il
liberalismo. Al primo è dedicata la parte iniziale, nella quale si riafferma il
diritto alla proprietà privata; al secondo non è dedicata una speciale
sezione, ma — cosa meritevole di attenzione — si riservano le critiche,
quando si affronta il tema dei doveri dello Stato.32 Questo non può limitarsi a
« provvedere ad una parte dei cittadini », cioè a quella ricca e prospera, e
non può « trascurare l'altra », che rappresenta indubbiamente la grande
maggioranza del corpo sociale; altrimenti si offende la giustizia, che vuole si
renda a ciascuno il suo. « Tuttavia, nel tutelare questi diritti dei privati,
si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri. La classe dei ricchi,
forte per se stessa, ha meno bisogno della pubblica difesa; la classe
proletaria, mancando di un proprio sostegno, ha speciale necessità di cercarla
nella protezione dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei
deboli e bisognosi, lo Stato deve rivolgere di preferenza le sue cure e
provvidenze ».33
Questi
passi oggi hanno valore soprattutto di fronte alle nuove forme di povertà
esistenti nel mondo, anche perché sono affermazioni che non dipendono da una
determinata concezione dello Stato né da una particolare teoria politica. Il
Papa ribadisce un elementare principio di ogni sana organizzazione politica, cioè
che gli individui, quanto più sono indifesi in una società, tanto più
necessitano dell'interessamento e della cura degli altri e, in particolare,
dell'intervento dell'autorità pubblica.
In
tal modo il principio, che oggi chiamiamo di solidarietà, e la cui validità,
sia nell'ordine interno a ciascuna Nazione, sia nell'ordine internazionale, ho
richiamato nella Sollicitudo rei socialis,34 si dimostra come uno dei principi
basilari della concezione cristiana dell'organizzazione sociale e politica. Esso
è più volte enunciato da Leone XIII col nome di « amicizia », che troviamo
già nella filosofia greca; da Pio XI è designato col nome non meno
significativo di « carità sociale », mentre Paolo VI, ampliando il concetto
secondo le moderne e molteplici dimensioni della questione sociale, parlava di
« civiltà dell'amore ».35
11.
La rilettura dell'Enciclica alla luce delle realtà contemporanee permette di
apprezzare la costante preoccupazione e dedizione della Chiesa verso quelle
categorie di persone, che sono oggetto di predilezione da parte del Signore Gesù.
Il contenuto del testo è un'eccellente testimonianza della continuità, nella
Chiesa, della cosiddetta « opzione preferenziale per i poveri », opzione che
ho definito come una « forma speciale di primato nell'esercizio della carità
cristiana ».36 L'Enciclica sulla « questione operaia », dunque, è
un'Enciclica sui poveri e sulla terribile condizione, alla quale il nuovo e non
di raro violento processo di industrializzazione aveva ridotto grandi
moltitudini. Anche oggi, in gran parte del mondo, simili processi di
trasformazione economica, sociale e politica producono i medesimi mali.
Se
Leone XIII si appella allo Stato per rimediare secondo giustizia alla condizione
dei poveri, lo fa anche perché riconosce opportunamente che lo Stato ha il
compito di sovraintendere al bene comune e di curare che ogni settore della vita
sociale, non escluso quello economico, contribuisca a promuoverlo, pur nel
rispetto della giusta autonomia di ciascuno di essi. Ciò, però, non deve far
pensare che per Papa Leone ogni soluzione della questione sociale debba venire
dallo Stato. Al contrario, egli insiste più volte sui necessari limiti
dell'intervento dello Stato e sul suo carattere strumentale, giacché
l'individuo, la famiglia e la società gli sono anteriori ed esso esiste per
tutelare i diritti dell'uno e delle altre, e non già per soffocarli.37
A
nessuno sfugge l'attualità di queste riflessioni. Sull'importante tema delle
limitazioni inerenti alla natura dello Stato converrà tornare più avanti;
intanto, i punti sottolineati, non certo gli unici dell'Enciclica, si pongono in
continuità nel Magistero sociale della Chiesa, anche alla luce di una sana
concezione della proprietà privata, del lavoro, del processo economico, della
realtà dello Stato e, prima di tutto, dell'uomo stesso. Altri temi saranno
menzionati in seguito nell'esaminare taluni aspetti della realtà contemporanea;
ma occorre tener presente fin d'ora che ciò che fa da trama e, in certo modo,
da guida all'Enciclica ed a tutta la dottrina sociale della Chiesa, è la
corretta concezione della persona umana e del suo valore unico, in quanto «
l'uomo ... in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa ».38
In lui ha scolpito la sua immagine e somiglianza (cf Gn 1,26), conferendogli una dignità incomparabile, sulla quale più
volte insiste l'Enciclica. In effetti, al di là dei diritti che l'uomo acquista
col proprio lavoro, esistono diritti che non sono il corrispettivo di nessuna
opera da lui prestata, ma che derivano dall'essenziale sua dignità di persona.
|
II.
VERSO LE « COSE NUOVE » DI OGGI
12.
La commemorazione della Rerum novarum
non sarebbe adeguata, se non guardasse pure alla situazione di oggi. Già nel
suo contenuto il Documento si presta ad una tale considerazione, perché il
quadro storico e le previsioni ivi delineate si rivelano, alla luce di quanto è
accaduto in seguito, sorprendentemente esatte.
Ciò
è confermato, in particolare, dagli avvenimenti degli ultimi mesi dell'anno
1989 e dei primi del 1990. Essi e le conseguenti trasformazioni radicali non si
spiegano se non in base alle situazioni anteriori, le quali, in certa misura,
avevano cristallizzato o istituzionalizzato le previsioni di Leone XIII ed i
segnali, sempre più inquieti, avvertiti dai suoi successori. Papa Leone,
infatti, previde le conseguenze negative sotto tutti gli aspetti, politico,
sociale ed economico, di un ordinamento della società quale proponeva il «
socialismo », che allora era allo stadio di filosofia sociale e di movimento più
o meno strutturato. Qualcuno potrebbe meravigliarsi del fatto che il Papa
cominciava dal « socialismo » la critica delle soluzioni che si davano della
« questione operaia », quando esso non si presentava ancora — come poi
accadde — sotto la forma di uno Stato forte e potente con tutte le risorse a
disposizione. Tuttavia, egli valutò esattamente il pericolo che rappresentava
per le masse l'attraente presentazione di una soluzione tanto semplice quanto
radicale della questione operaia di allora. Ciò risulta tanto più vero, se
vien considerato in relazione con la paurosa condizione di ingiustizia in cui
giacevano le masse proletarie nelle Nazioni da poco industrializzate.
Occorre
qui sottolineare due cose: da una parte, la grande lucidità nel percepire, in
tutta la sua crudezza, la reale condizione dei proletari, uomini, donne e
bambini; dall'altra, la non minore chiarezza con cui si intuisce il male di una
soluzione che, sotto l'apparenza di un'inversione delle posizioni di poveri e
ricchi, andava in realtà a detrimento di quegli stessi che si riprometteva di
aiutare. Il rimedio si sarebbe così rivelato peggiore del male. Individuando la
natura del socialismo del suo tempo nella soppressione della proprietà privata,
Leone XIII arrivava al nodo della questione.
Le
sue parole meritano di essere rilette con attenzione: « Per rimediare a questo
male (l'ingiusta distribuzione delle ricchezze e la miseria dei proletari), i
socialisti spingono i poveri all'odio contro i ricchi, e sostengono che la
proprietà privata deve essere abolita ed i beni di ciascuno debbono essere
comuni a tutti ...; ma questa teoria, oltre a non risolvere la questione, non fa
che danneggiare gli stessi operai, ed è inoltre ingiusta per molti motivi,
giacché contro i diritti dei legittimi proprietari snatura le funzioni dello
Stato e scompagina tutto l'ordine sociale ».39 Non si potrebbero indicar meglio
i mali indotti dall'instaurazione di questo tipo di socialismo come sistema di
Stato: quello che avrebbe preso il nome di « socialismo reale ».
13.
Approfondendo ora la riflessione e facendo anche riferimento a quanto è stato
detto nelle Encicliche Laborem exercens
e Sollicitudo rei socialis, bisogna aggiungere che l'errore
fondamentale del socialismo è di carattere antropologico. Esso, infatti,
considera il singolo uomo come un semplice elemento ed una molecola
dell'organismo sociale, di modo che il bene dell'individuo viene del tutto
subordinato al funzionamento del meccanismo economico-sociale, mentre ritiene,
d'altro canto, che quel medesimo bene possa essere realizzato prescindendo dalla
sua autonoma scelta, dalla sua unica ed esclusiva assunzione di responsabilità
davanti al bene o al male. L'uomo così è ridotto ad una serie di relazioni
sociali, e scompare il concetto di persona come soggetto autonomo di decisione
morale, il quale costruisce mediante tale decisione l'ordine sociale. Da questa
errata concezione della persona discendono la distorsione del diritto che
definisce la sfera di esercizio della libertà, nonché l'opposizione alla
proprietà privata. L'uomo, infatti, privo di qualcosa che possa « dir suo » e
della possibilità di guadagnarsi da vivere con la sua iniziativa, viene a
dipendere dalla macchina sociale e da coloro che la controllano: il che gli
rende molto più difficile riconoscere la sua dignità di persona ed inceppa il
cammino per la costituzione di un'autentica comunità umana.
Al
contrario, dalla concezione cristiana della persona segue necessariamente una
visione giusta della società. Secondo la
Rerum novarum e tutta la dottrina sociale della Chiesa, la socialità
dell'uomo non si esaurisce nello Stato, ma si realizza in diversi gruppi
intermedi, cominciando dalla famiglia fino ai gruppi economici, sociali,
politici e culturali che, provenienti dalla stessa natura umana, hanno —
sempre dentro il bene comune — la loro propria autonomia. È quello che ho
chiamato la « soggettività » della società che, insieme alla soggettività
dell'individuo, è stata annullata dal « socialismo reale ».40
Se
ci si domanda poi donde nasca quell'errata concezione della natura della persona
e della « soggettività » della società, bisogna rispondere che la prima
causa è l'ateismo. È nella risposta all'appello di Dio, contenuto nell'essere
delle cose, che l'uomo diventa consapevole della sua trascendente dignità. Ogni
uomo deve dare questa risposta, nella quale consiste il culmine della sua umanità,
e nessun meccanismo sociale o soggetto collettivo può sostituirlo. La negazione
di Dio priva la persona del suo fondamento e, di conseguenza, induce a
riorganizzare l'ordine sociale prescindendo dalla dignità e responsabilità
della persona.
L'ateismo
di cui si parla, del resto, è strettamente connesso col razionalismo
illuministico, che concepisce la realtà umana e sociale in modo meccanicistico.
Si negano in tal modo l'intuizione ultima circa la vera grandezza dell'uomo, la
sua trascendenza rispetto al mondo delle cose, la contraddizione ch'egli avverte
nel suo cuore tra il desiderio di una pienezza di bene e la propria
inadeguatezza a conseguirlo e, soprattutto, il bisogno di salvezza che ne
deriva.
14.
Dalla medesima radice ateistica scaturisce anche la scelta dei mezzi di azione
propria del socialismo, che è condannato nella Rerum
novarum. Si tratta della lotta di classe. Il Papa, beninteso, non intende
condannare ogni e qualsiasi forma di conflittualità sociale: la Chiesa sa bene
che nella storia i conflitti di interessi tra diversi gruppi sociali insorgono
inevitabilmente e che di fronte ad essi il cristiano deve spesso prender
posizione con decisione e coerenza. L'Enciclica Laborem
exercens, del resto, ha riconosciuto chiaramente il ruolo positivo del
conflitto, quando esso si configuri come « lotta per la giustizia sociale »;
41 e già la Quadragesimo anno
scriveva: « La lotta di classe, infatti, quando si astenga dagli atti di
violenza e dall'odio vicendevole, si trasforma a poco a poco in una onesta
discussione, fondata nella ricerca della giustizia ».42
Ciò
che viene condannato nella lotta di classe è, piuttosto, l'idea di un conflitto
che non è limitato da considerazioni di carattere etico o giuridico, che si
rifiuta di rispettare la dignità della persona nell'altro (e, di conseguenza,
in se stesso), che esclude, perciò, un ragionevole accomodamento e persegue non
già il bene generale della società, bensì un interesse di parte che si
sostituisce al bene comune e vuol distruggere ciò che gli si oppone. Si tratta,
in una parola, della ripresentazione — sul terreno del confronto interno tra i
gruppi sociali — della dottrina della « guerra totale », che il militarismo
e l'imperialismo di quell'epoca imponevano nell'ambito dei rapporti
internazionali. Tale dottrina alla ricerca del giusto equilibrio tra gli
interessi delle diverse Nazioni sostituiva quella dell'assoluto prevalere della
propria parte mediante la distruzione del potere di resistenza della parte
avversa, distruzione attuata con ogni mezzo, non esclusi l'uso della menzogna,
il terrore contro i civili, le armi di sterminio (che proprio in quegli anni
cominciavano ad essere progettate). Lotta di classe in senso marxista e
militarismo, dunque, hanno le stesse radici: l'ateismo e il disprezzo della
persona umana, che fan prevalere il principio della forza su quello della
ragione e del diritto.
15.
La Rerum novarum si oppone alla
statalizzazione degli strumenti di produzione, che ridurrebbe ogni cittadino ad
un « pezzo » nell'ingranaggio della macchina dello Stato. Non meno decisamente
essa critica la concezione dello Stato che lascia il settore dell'economia
totalmente al di fuori del suo campo di interesse e di azione. Esiste certo una
legittima sfera di autonomia dell'agire economico, nella quale lo Stato non deve
entrare. Questo, però, ha il compito di determinare la cornice giuridica, al
cui interno si svolgono i rapporti economici, e di salvaguardare in tal modo le
condizioni prime di un'economia libera, che presuppone una certa eguaglianza tra
le parti, tale che una di esse non sia tanto più potente dell'altra da poterla
ridurre praticamente in schiavitù.43
A
questo riguardo, la Rerum novarum indica la via delle giuste riforme, che restituiscano
al lavoro la sua dignità di libera attività dell'uomo. Esse implicano
un'assunzione di responsabilità da parte della società e dello Stato, diretta
soprattutto a difendere il lavoratore contro l'incubo della disoccupazione. Ciò
storicamente si è verificato in due modi convergenti: o con politiche
economiche, volte ad assicurare la crescita equilibrata e la condizione di piena
occupazione; o con le assicurazioni contro la disoccupazione e con politiche di
riqualificazione professionale, capaci di facilitare il passaggio dei lavoratori
da settori in crisi ad altri in sviluppo.
Inoltre,
la società e lo Stato devono assicurare livelli salariali adeguati al
mantenimento del lavoratore e della sua famiglia, inclusa una certa capacità di
risparmio. Ciò richiede sforzi per dare ai lavoratori cognizioni e attitudini
sempre migliori e tali da rendere il loro lavoro più qualificato e produttivo;
ma richiede anche un'assidua sorveglianza ed adeguate misure legislative per
stroncare fenomeni vergognosi di sfruttamento, soprattutto a danno dei
lavoratori più deboli, immigrati o marginali. Decisivo in questo settore è il
ruolo dei sindacati, che contrattano i minimi salariali e le condizioni di
lavoro.
Infine,
bisogna garantire il rispetto di orari « umani » di lavoro e di riposo, oltre
che il diritto di esprimere la propria personalità sul luogo di lavoro, senza
essere violati in alcun modo nella propria coscienza o nella propria dignità.
Anche qui è da richiamare il ruolo dei sindacati non solo come strumenti di
contrattazione, ma anche come « luoghi » di espressione della personalità dei
lavoratori: essi servono allo sviluppo di un'autentica cultura del lavoro ed
aiutano i lavoratori a partecipare in modo pienamente umano alla vita
dell'azienda.44
Al
conseguimento di questi fini lo Stato deve concorrere sia direttamente che
indirettamente. Indirettamente e secondo il
principio di sussidiarietà, creando le condizioni favorevoli al libero
esercizio dell'attività economica, che porti ad una offerta abbondante di
opportunità di lavoro e di fonti di ricchezza. Direttamente e secondo il principio
di solidarietà, ponendo a difesa del più debole alcuni limiti
all'autonomia delle parti, che decidono le condizioni di lavoro, ed assicurando
in ogni caso un minimo vitale al lavoratore disoccupato.45
L'Enciclica
ed il Magistero sociale, ad essa collegato, ebbero una molteplice influenza
negli anni tra il XIX e il XX secolo. Tale influenza si riflette in numerose
riforme introdotte nei settori della previdenza sociale, delle pensioni, delle
assicurazioni contro le malattie, della prevenzione degli infortuni, nel quadro
di un maggiore rispetto dei diritti dei lavoratori.46
16.
Le riforme in parte furono realizzate dagli Stati, ma nella lotta per ottenerle
ebbe un ruolo importante l'azione del
Movimento operaio. Nato come reazione della coscienza morale contro
situazioni di ingiustizia e di danno, esso esplicò una vasta attività
sindacale, riformista, lontana dalle nebbie dell'ideologia e più vicina ai
bisogni quotidiani dei lavoratori e, in questo ambito, i suoi sforzi si
sommarono spesso a quelli dei cristiani per ottenere il miglioramento delle
condizioni di vita dei lavoratori. In seguito, tale movimento fu, in certa
misura, dominato proprio da quella ideologia marxista, contro la quale si
volgeva la Rerum novarum.
Le
stesse riforme furono anche il risultato di un libero
processo di auto-organizzazione della società, con la messa a punto di
strumenti efficaci di solidarietà, atti a sostenere una crescita economica più
rispettosa dei valori della persona. È da ricordare qui la multiforme attività,
con un notevole contributo dei cristiani, nella fondazione di cooperative di
produzione, di consumo e di credito, nel promuovere l'istruzione popolare e la
formazione professionale, nella sperimentazione di varie forme di partecipazione
alla vita dell'impresa e, in generale, della società.
Se
dunque, guardando al passato, c'è motivo di ringraziare Dio perché la grande
Enciclica non è rimasta priva di risonanza nei cuori ed ha spinto ad una
fattiva generosità, tuttavia bisogna riconoscere che l'annuncio profetico, in
essa contenuto, non è stato compiutamente accolto dagli uomini di quel tempo, e
proprio da ciò sono derivate assai gravi sciagure.
17.
Leggendo l'Enciclica in connessione con tutto il ricco Magistero leoniano,47 si
nota come essa indichi, in fondo, le conseguenze sul terreno economico-sociale
di un errore di più vasta portata. L'errore — come si è detto — consiste
in una concezione della libertà umana che la sottrae all'obbedienza alla verità
e, quindi, anche al dovere di rispettare i diritti degli altri uomini. Contenuto
della libertà diventa allora l'amore di sé fino al disprezzo di Dio e del
prossimo, amore che conduce all'affermazione illimitata del proprio interesse e
non si lascia limitare da alcun obbligo di giustizia.48
Proprio
questo errore giunse alle estreme conseguenze nel tragico ciclo delle guerre che
sconvolsero l'Europa ed il mondo tra il 1914 e il 1945. Furono guerre derivanti
dal militarismo e dal nazionalismo esasperato e dalle forme di totalitarismo, ad
essi collegate, e guerre derivanti dalla lotta di classe, guerre civili ed
ideologiche. Senza la terribile carica di odio e di rancore, accumulata a causa
delle tante ingiustizie sia a livello internazionale che a quello interno ai
singoli Stati, non sarebbero state possibili guerre di tale ferocia, in cui
furono investite le energie di grandi Nazioni, in cui non si esitò davanti alla
violazione dei diritti umani più sacri, e fu pianificato ed eseguito lo
sterminio di interi popoli e gruppi sociali. Ricordiamo qui, in particolare, il
popolo ebreo, il cui terribile destino è divenuto simbolo dell'aberrazione cui
può giungere l'uomo, quando si volge contro Dio.
Tuttavia,
l'odio e l'ingiustizia si impossessano di intere Nazioni e le spingono
all'azione solo quando vengono legittimati ed organizzati da ideologie che si
fondano su di essi piuttosto che sulla verità dell'uomo.49 La Rerum
novarum combatteva le ideologie dell'odio ed indicava le vie per distruggere
la violenza ed il rancore mediante la giustizia. Possa il ricordo di quei
terribili avvenimenti guidare le azioni di tutti gli uomini e, in particolare,
dei reggitori dei popoli nel nostro tempo, in cui altre ingiustizie alimentano
nuovi odi e si delineano all'orizzonte nuove ideologie che esaltano la violenza.
18.
Certo, dal 1945 le armi tacciono nel Continente europeo; tuttavia, la vera pace
— si ricordi — non è mai il risultato della vittoria militare, ma implica
il superamento delle cause della guerra e l'autentica riconciliazione tra i
popoli. Per molti anni, invece, si è avuta in Europa e nel mondo una situazione
di non-guerra più che di autentica pace. Metà del Continente è caduta sotto
il dominio della dittatura comunista, mentre l'altra metà si organizzava per
difendersi contro un tale pericolo. Molti popoli perdono il potere di disporre
di se stessi, vengono chiusi nei confini soffocanti di un impero, mentre si
cerca di distruggere la loro memoria storica e la secolare radice della loro
cultura. Masse enormi di uomini, in conseguenza di questa divisione violenta,
sono costrette ad abbandonare la loro terra e forzatamente deportate.
Una
folle corsa agli armamenti assorbe le risorse necessarie per lo sviluppo delle
economie interne e per l'aiuto alle Nazioni più sfavorite. Il progresso
scientifico e tecnologico, che dovrebbe contribuire al benessere dell'uomo,
viene trasformato in uno strumento di guerra: scienza e tecnica sono usate per
produrre armi sempre più perfezionate e distruttive, mentre ad un'ideologia,
che è perversione dell'autentica filosofia, si chiede di fornire
giustificazioni dottrinali per la nuova guerra. E questa non è solo attesa e
preparata, ma è anche combattuta con enorme spargimento di sangue in varie
parti del mondo. La logica dei blocchi, o imperi, denunciata nei Documenti della
Chiesa e di recente nell'Enciclica Sollicitudo
rei socialis,50 fa sì che le controversie e discordie insorgenti nei Paesi
del Terzo Mondo siano sistematicamente incrementate e sfruttate per creare
difficoltà all'avversario.
I
gruppi estremisti, che cercano di risolvere tali controversie con le armi,
trovano facilmente appoggi politici e militari, sono armati ed addestrati alla
guerra, mentre coloro che si sforzano di trovare soluzioni pacifiche ed umane,
nel rispetto dei legittimi interessi di tutte le parti, rimangono isolati e
spesso cadono vittima dei loro avversari. Anche la militarizzazione di tanti
Paesi del Terzo Mondo e le lotte fratricide che li hanno travagliati, la
diffusione del terrorismo e di mezzi sempre più barbari di lotta
politico-militare trovano una delle loro principali cause nella precarietà
della pace che è seguita alla seconda guerra mondiale. Su tutto il mondo,
infine, grava la minaccia di una guerra atomica, capace di condurre
all'estinzione dell'umanità. La scienza, usata a fini militari, pone a
disposizione dell'odio, incrementato dalle ideologie, lo strumento decisivo. Ma
la guerra può terminare senza vincitori né vinti in un suicidio dell'umanità,
ed allora bisogna ripudiare la logica che conduce ad essa, l'idea che la lotta
per la distruzione dell'avversario, la contraddizione e la guerra stessa siano
fattori di progresso e di avanzamento della storia.51 Quando si comprende la
necessità di questo ripudio, devono necessariamente entrare in crisi sia la
logica della « guerra totale » sia quella della « lotta di classe ».
19.
Alla fine della seconda guerra mondiale, però, un tale sviluppo è ancora in
formazione nelle coscienze, ed il dato che si impone all'attenzione è
l'estensione del totalitarismo comunista su oltre metà dell'Europa e su parte
del mondo. La guerra, che avrebbe dovuto restituire la libertà e restaurare il
diritto delle genti, si conclude senza aver conseguito questi fini, anzi in un
modo che per molti popoli, specialmente per quelli che più avevano sofferto,
apertamente li contraddice. Si può dire che la situazione venutasi a creare ha
dato luogo a diverse risposte.
In
alcuni Paesi e sotto alcuni aspetti si assiste ad uno sforzo positivo per
ricostruire, dopo le distruzioni della guerra, una società democratica e
ispirata alla giustizia sociale, la quale priva il comunismo del potenziale
rivoluzionario costituito da moltitudini sfruttate e oppresse. Tali tentativi in
genere cercano di mantenere i meccanismi del libero mercato, assicurando
mediante la stabilità della moneta e la sicurezza dei rapporti sociali le
condizioni di una crescita economica stabile e sana, in cui gli uomini col loro
lavoro possano costruire un futuro migliore per sé e per i propri figli. Al
tempo stesso, essi cercano di evitare che i meccanismi di mercato siano l'unico
termine di riferimento della vita associata e tendono ad assoggettarli ad un
controllo pubblico, che faccia valere il principio della destinazione comune dei
beni della terra. Una certa abbondanza delle offerte di lavoro, un solido
sistema di sicurezza sociale e di avviamento professionale, la libertà di
associazione e l'azione incisiva del sindacato, la previdenza in caso di
disoccupazione, gli strumenti di partecipazione democratica alla vita sociale,
in questo contesto dovrebbero sottrarre il lavoro alla condizione di « merce »
e garantire la possibilità di svolgerlo dignitosamente.
Ci
sono, poi, altre forze sociali e movimenti ideali che si oppongono al marxismo
con la costruzione di sistemi di « sicurezza nazionale », miranti a
controllare in modo capillare tutta la società per rendere impossibile
l'infiltrazione marxista. Esaltando ed accrescendo la potenza dello Stato, essi
intendono preservare i loro popoli dal comunismo; ma, ciò facendo, corrono il
grave rischio di distruggere quella libertà e quei valori della persona, in
nome dei quali bisogna opporsi ad esso.
Un'altra
forma di risposta pratica, infine, è rappresentata dalla società del
benessere, o società dei consumi. Essa tende a sconfiggere il marxismo sul
terreno di un puro materialismo, mostrando come una società di libero mercato
possa conseguire un soddisfacimento più pieno dei bisogni materiali umani di
quello assicurato dal comunismo, ed escludendo egualmente i valori spirituali.
In
realtà, se da una parte è vero che questo modello sociale mostra il fallimento
del marxismo di costruire una società nuova e migliore, dall'altra, negando
autonoma esistenza e valore alla morale, al diritto, alla cultura e alla
religione, converge con esso nel ridurre totalmente l'uomo alla sfera
dell'economico e del soddisfacimento dei bisogni materiali.
20.
Nel medesimo periodo si svolge un grandioso processo di « decolonizzazione »,
per il quale numerosi Paesi acquistano o riacquistano l'indipendenza e il
diritto a disporre liberamente di sé. Con la riconquista formale della sovranità
statuale, però, questi Paesi si trovano spesso appena all'inizio del cammino
nella costruzione di un'autentica indipendenza. Difatti, settori decisivi
dell'economia rimangono ancora nelle mani di grandi imprese straniere, che non
accettano di legarsi durevolmente allo sviluppo del Paese che le ospita, e la
stessa vita politica è controllatata da forze straniere, mentre all'interno
delle frontiere dello Stato convivono gruppi tribali, non ancora amalgamati in
un'autentica comunità nazionale. Manca, inoltre, un ceto di professionisti
competenti, capaci di far funzionare in modo onesto e regolare l'apparato dello
Stato, e mancano anche i quadri per un'efficiente e responsabile gestione
dell'economia.
Posta
questa situazione, a molti sembra che il marxismo possa offrire come una
scorciatoia per l'edificazione della Nazione e dello Stato, e nascono perciò
diverse varianti del socialismo con un carattere nazionale specifico. Si
mescolano così nelle molte ideologie, che vengono a formarsi in misura di volta
in volta diversa, legittime esigenze di riscatto nazionale, forme di
nazionalismo ed anche di militarismo, principi tratti da antiche tradizioni
popolari, talvolta consonanti con la dottrina sociale cristiana, e concetti del
marxismo-leninismo.
21.
È da ricordare, infine, come dopo la seconda guerra mondiale ed anche per
reazione ai suoi orrori, si è diffuso un sentimento più vivo dei diritti
umani, che ha trovato riconoscimento in diversi Documenti
internazionali 52 e nell'elaborazione, si direbbe, di un nuovo « diritto
delle genti », a cui la Santa Sede ha dato un costante contributo. Perno di
questa evoluzione è stata l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Non solo è
cresciuta la coscienza del diritto dei singoli, ma anche quella dei diritti
delle Nazioni, mentre si avverte meglio la necessità di agire per sanare i
gravi squilibri tra le diverse aree geografiche del mondo che, in un certo
senso, hanno trasferito il centro della questione sociale dall'ambito nazionale
al livello internazionale.53
Nel
prendere atto con soddisfazione di tale processo, non si può tuttavia tacere il
fatto che il bilancio complessivo delle diverse politiche di aiuto allo sviluppo
non è sempre positivo. Alle Nazioni Unite, inoltre, non è riuscito fino ad ora
di costruire strumenti efficaci per la soluzione dei conflitti internazionali
alternativi alla guerra, e sembra esser questo il problema più urgente che la
comunità internazionale deve ancora risolvere.
|
III.
L'ANNO 1989
22.
Partendo dalla situazione mondiale ora descritta, e già ampiamente esposta
nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, si comprende l'inaspettata e promettente
portata degli avvenimenti degli ultimi anni. Il loro culmine certo sono stati
gli avvenimenti del 1989 nei Paesi dell'Europa centrale ed orientale, ma essi
abbracciano un arco di tempo ed un orizzonte geografico più ampi. Nel corso
degli anni '80 crollano progressivamente in alcuni Paesi dell'America Latina, ma
anche dell'Africa e dell'Asia certi regimi dittatoriali ed oppressivi; in altri
casi inizia un difficile, ma fecondo cammino di transizione verso forme
politiche più partecipative e più giuste. Un contributo importante, anzi
decisivo, ha dato l'impegno della Chiesa
per la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo: in ambienti fortemente
ideologizzati, in cui lo schieramento di parte offuscava la consapevolezza della
comune dignità umana, la Chiesa ha affermato con semplicità ed energia che
ogni uomo — quali che siano le sue convinzioni personali — porta in sé
l'immagine di Dio e, quindi, merita rispetto. In tale affermazione si è spesso
riconosciuta la grande maggioranza del popolo, e ciò ha portato alla ricerca di
forme di lotta e di soluzioni politiche più rispettose della dignità della
persona.
Da
questo processo storico sono emerse nuove forme di democrazia, che offrono la
speranza di un cambiamento nelle fragili strutture politiche e sociali, gravate
dall'ipoteca di una penosa serie di ingiustizie e di rancori, oltre che da
un'economia disastrata e da pesanti conflitti sociali. Mentre con tutta la
Chiesa rendo grazie a Dio per la testimonianza, spesso eroica, che non pochi
Pastori, intere comunità cristiane, singoli fedeli ed altri uomini di buona
volontà hanno dato in tali difficili circostanze, prego perché egli sostenga
gli sforzi di tutti per costruire un futuro migliore. È, questa, infatti una
responsabilità non solo dei cittadini di quei Paesi, ma di tutti i cristiani e
degli uomini di buona volontà. Si tratta di mostrare che i complessi problemi
di quei popoli possono essere risolti col metodo del dialogo e della solidarietà,
anziché con la lotta per la distruzione dell'avversario e con la guerra.
23.
Tra i numerosi fattori della caduta dei regimi oppressivi alcuni meritano di
essere ricordati in particolare. Il fattore decisivo, che ha avviato i
cambiamenti, è certamente la violazione dei diritti del lavoro. Non si può
dimenticare che la crisi fondamentale dei sistemi, che pretendono di esprimere
il governo ed anzi la dittatura degli operai, inizia con i grandi moti avvenuti
in Polonia in nome della solidarietà. Sono le folle dei lavoratori a
delegittimare l'ideologia, che presume di parlare in loro nome, ed a ritrovare e
quasi riscoprire, partendo dall'esperienza vissuta e difficile del lavoro e
dell'oppressione, espressioni e principi della dottrina sociale della Chiesa.
Merita,
poi, di essere sottolineato il fatto che alla caduta di un simile « blocco »,
o impero, si arriva quasi dappertutto mediante una lotta pacifica, che fa uso
delle sole armi della verità e della giustizia. Mentre il marxismo riteneva che
solo portando agli estremi le contraddizioni sociali fosse possibile arrivare
alla loro soluzione mediante lo scontro violento, le lotte che hanno condotto al
crollo del marxismo insistono con tenacia nel tentare tutte le vie del
negoziato, del dialogo, della testimonianza della verità, facendo appello alla
coscienza dell'avversario e cercando di risvegliare in lui il senso della comune
dignità umana.
Sembrava
che l'ordine europeo, uscito dalla seconda guerra mondiale e consacrato dagli Accordi
di Yalta, potesse essere scosso soltanto da un'altra guerra. È stato,
invece, superato dall'impegno non violento di uomini che, mentre si sono sempre
rifiutati di cedere al potere della forza, hanno saputo trovare di volta in
volta forme efficaci per rendere testimonianza alla verità. Ciò ha disarmato
l'avversario, perché la violenza ha sempre bisogno di legittimarsi con la
menzogna, di assumere, pur se falsamente, l'aspetto della difesa di un diritto o
della risposta a una minaccia altrui.54 Ringrazio ancora Dio che ha sostenuto il
cuore degli uomini nel tempo della difficile prova, pregando perché un tale
esempio possa valere in altri luoghi ed in altre circostanze. Che gli uomini
imparino a lottare per la giustizia senza violenza, rinunciando alla lotta di
classe nelle controversie interne, come alla guerra in quelle internazionali.
24.
Il secondo fattore di crisi è certamente l'inefficienza del sistema economico,
che non va considerata come un problema soltanto tecnico, ma piuttosto come
conseguenza della violazione dei diritti umani all'iniziativa, alla proprietà
ed alla libertà nel settore dell'economia. A questo aspetto va poi associata la
dimensione culturale e nazionale: non è possibile comprendere l'uomo partendo
unilateralmente dal settore dell'economia, né è possibile definirlo
semplicemente in base all'appartenenza di classe. L'uomo è compreso in modo più
esauriente, se viene inquadrato nella sfera della cultura attraverso il
linguaggio, la storia e le posizioni che egli assume davanti agli eventi
fondamentali dell'esistenza, come il nascere, l'amare, il lavorare, il morire.
Al centro di ogni cultura sta l'atteggiamento che l'uomo assume davanti al
mistero più grande: il mistero di Dio. Le culture delle diverse Nazioni sono,
in fondo, altrettanti modi di affrontare la domanda circa il senso
dell'esistenza personale: quando tale domanda viene eliminata, si corrompono la
cultura e la vita morale delle Nazioni. Per questo, la lotta per la difesa del
lavoro si è spontaneamente collegata a quella per la cultura e per i diritti
nazionali.
La
vera causa delle novità, però, è il vuoto spirituale provocato dall'ateismo,
il quale ha lasciato prive di orientamento le giovani generazioni e in non rari
casi le ha indotte, nell'insopprimibile ricerca della propria identità e del
senso della vita, a riscoprire le radici religiose della cultura delle loro
Nazioni e la stessa persona di Cristo, come risposta esistenzialmente adeguata
al desiderio di bene, di verità e di vita che è nel cuore di ogni uomo. Questa
ricerca è stata confortata dalla testimonianza di quanti, in circostanze
difficili e nella persecuzione, sono rimasti fedeli a Dio. Il marxismo aveva
promesso di sradicare il bisogno di Dio dal cuore dell'uomo, ma i risultati
hanno dimostrato che non è possibile riuscirci senza sconvolgere il cuore.
25.
Gli avvenimenti dell' '89 offrono l'esempio del successo della volontà di
negoziato e dello spirito evangelico contro un avversario deciso a non lasciarsi
vincolare da principi morali: essi sono un monito per quanti, in nome del
realismo politico, vogliono bandire dall'arena politica il diritto e la morale.
Certo la lotta, che ha portato ai cambiamenti dell' '89, ha richiesto lucidità,
moderazione, sofferenze e sacrifici; in un certo senso, essa è nata dalla
preghiera, e sarebbe stata impensabile senza un'illimitata fiducia in Dio,
Signore della storia, che ha nelle sue mani il cuore degli uomini. È unendo la
propria sofferenza per la verità e per la libertà a quella di Cristo sulla
Croce che l'uomo può compiere il miracolo della pace ed è in grado di scorgere
il sentiero spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza che,
illudendosi di combatterlo, lo aggrava.
Non
si possono, tuttavia, ignorare gli innumerevoli condizionamenti, in mezzo ai
quali la libertà del singolo uomo si trova ad operare: essi influenzano, sì,
ma non determinano la libertà; rendono più o meno facile il suo esercizio, ma
non possono distruggerla. Non solo non è lecito disattendere dal punto di vista
etico la natura dell'uomo che è fatto per la libertà, ma ciò non è neppure
possibile in pratica. Dove la società si organizza riducendo arbitrariamente o,
addirittura, sopprimendo la sfera in cui la libertà legittimamente si esercita,
il risultato è che la vita sociale progressivamente si disorganizza e decade.
Inoltre,
l'uomo creato per la libertà porta in sé la ferita del peccato originale, che
continuamente lo attira verso il male e lo rende bisognoso di redenzione. Questa
dottrina non solo è parte integrante
della Rivelazione cristiana, ma ha anche un grande valore ermeneutico, in
quanto aiuta a comprendere la realtà umana. L'uomo tende verso il bene, ma è
pure capace di male; può trascendere il suo interesse immediato e, tuttavia,
rimanere ad esso legato. L'ordine sociale sarà tanto più solido, quanto più
terrà conto di questo fatto e non opporrà l'interesse personale a quello della
società nel suo insieme, ma cercherà piuttosto i modi della loro fruttuosa
coordinazione. Difatti, dove l'interesse individuale è violentemente soppresso,
esso è sostituito da un pesante sistema di controllo burocratico, che
inaridisce le fonti dell'iniziativa e della creatività. Quando gli uomini
ritengono di possedere il segreto di un'organizzazione sociale perfetta che
renda impossibile il male, ritengono anche di poter usare tutti i mezzi, anche
la violenza o la menzogna, per realizzarla. La politica diventa allora una «
religione secolare », che si illude di costruire il paradiso in questo mondo.
Ma qualsiasi società politica, che possiede la sua propria autonomia e le sue
proprie leggi,55 non potrà mai esser confusa col Regno di Dio. La parabola
evangelica del buon grano e della zizzania (cf Mt
13,24-30.36-43) insegna che spetta solo a Dio separare i soggetti del Regno ed i
soggetti del Maligno, e che siffatto giudizio avrà luogo alla fine dei tempi.
Pretendendo di anticipare fin d'ora il giudizio, l'uomo si sostituisce a Dio e
si oppone alla sua pazienza.
Grazie
al sacrificio di Cristo sulla Croce, la vittoria del Regno di Dio è acquisita
una volta per tutte; tuttavia, la condizione cristiana comporta la lotta contro
le tentazioni e le forze del male. Solo alla fine della storia il Signore
ritornerà nella gloria per il giudizio finale (cf Mt
25,31) con l'instaurazione dei cieli nuovi e della terra nuova (cf 2 Pt 3,13; Ap 21,1), ma,
mentre dura il tempo, la lotta tra il bene e il male continua fin nel cuore
dell'uomo.
Ciò
che la Sacra Scrittura ci insegna in ordine ai destini del Regno di Dio non è
senza conseguenze per la vita delle società temporali, le quali — come dice
la parola — appartengono alle realtà del tempo con quanto esso comporta di
imperfetto e di provvisorio. Il Regno di Dio, presente nel
mondo senza essere del mondo,
illumina l'ordine dell'umana società, mentre le energie della grazia lo
penetrano e lo vivificano. Così son meglio avvertite le esigenze di una società
degna dell'uomo, sono rettificate le deviazioni, è rafforzato il coraggio
dell'operare per il bene. A tale compito di animazione evangelica delle realtà
umane sono chiamati, unitamente a tutti gli uomini di buona volontà, i
cristiani ed in special modo i laici.56
26.
Gli avvenimenti dell' '89 si sono svolti prevalentemente nei Paesi dell'Europa
orientale e centrale; tuttavia, hanno un'importanza universale, poiché ne
discendono conseguenze positive e negative che interessano tutta la famiglia
umana. Tali conseguenze non hanno un carattere meccanico o fatalistico, ma sono
piuttosto occasioni offerte alla libertà umana per collaborare col disegno
misericordioso di Dio che agisce nella storia.
Prima
conseguenza è stato, in alcuni Paesi, l'incontro
tra la Chiesa e il Movimento operaio, nato da una reazione di ordine etico
ed esplicitamente cristiano contro una diffusa situazione di ingiustizia. Per
circa un secolo detto Movimento era finito in parte sotto l'egemonia del
marxismo, nella convinzione che i proletari, per lottare efficacemente contro
l'oppressione, dovessero far proprie le teorie materialistiche ed
economicistiche.
Nella
crisi del marxismo riemergono le forme spontanee della coscienza operaia, che
esprimono una domanda di giustizia e di riconoscimento della dignità del
lavoro, conforme alla dottrina sociale della Chiesa.57 Il Movimento operaio
confluisce in un più generale movimento degli uomini del lavoro e degli uomini
di buona volontà per la liberazione della persona umana e per l'affermazione
dei suoi diritti; esso investe oggi molti Paesi e, lungi dal contrapporsi alla
Chiesa cattolica, guarda ad essa con interesse.
La
crisi del marxismo non elimina nel mondo le situazioni di ingiustizia e di
oppressione, da cui il marxismo stesso, strumentalizzandole, traeva alimento. A
coloro che oggi sono alla ricerca di una nuova ed autentica teoria e prassi di
liberazione, la Chiesa offre non solo la sua dottrina sociale e, in generale, il
suo insegnamento circa la persona redenta in Cristo, ma anche il concreto suo
impegno ed aiuto per combattere l'emarginazione e la sofferenza.
Nel
recente passato il sincero desiderio di essere dalla parte degli oppressi e di
non esser tagliati fuori dal corso della storia ha indotto molti credenti a
cercare in diversi modi un impossibile compromesso tra marxismo e cristianesimo.
Il tempo presente, mentre supera tutto ciò che c'era di caduco in quei
tentativi, induce a riaffermare la positività di un'autentica teologia
dell'integrale liberazione umana.58 Considerati da questo punto di vista, gli
avvenimenti del 1989 risultano importanti anche per i Paesi del Terzo Mondo, che
sono alla ricerca della via del loro sviluppo, come lo sono stati per quelli
dell'Europa centrale ed orientale.
27.
La seconda conseguenza riguarda i popoli dell'Europa. Molte ingiustizie,
individuali e sociali, regionali e nazionali, sono state commesse negli anni in
cui dominava il comunismo ed anche prima; molti odi e rancori si sono
accumulati. È reale il pericolo che questi riesplodano dopo il crollo della
dittatura, provocando gravi conflitti e lutti, se verranno meno la tensione
morale e la forza cosciente di rendere testimonianza alla verità che hanno
animato gli sforzi nel tempo passato. È da auspicare che l'odio e la violenza
non trionfino nei cuori, soprattutto di coloro che lottano per la giustizia, e
cresca in tutti lo spirito di pace e di perdono.
Occorrono,
però, passi concreti per creare o consolidare strutture internazionali capaci
di intervenire, per il conveniente arbitrato, nei conflitti che insorgono tra le
Nazioni, sicché ciascuna di esse possa far valere i propri diritti e
raggiungere il giusto accordo e la pacifica composizione con i diritti delle
altre. Tutto ciò è particolarmente necessario per le Nazioni europee, unite
intimamente tra loro nel vincolo della comune cultura e storia millenaria.
Occorre un grande sforzo per la ricostruzione morale ed economica nei Paesi che
hanno abbandonato il comunismo. Per molto tempo le relazioni economiche più
elementari sono state distorte, ed anche fondamentali virtù legate al settore
dell'economia, come la veridicità, l'affidabilità, la laboriosità, sono state
mortificate. Occorre una paziente ricostruzione materiale e morale, mentre i
popoli stremati da lunghe privazioni chiedono ai loro governanti risultati
tangibili ed immediati di benessere ed adeguato soddisfacimento delle loro
legittime aspirazioni.
La
caduta del marxismo naturalmente ha avuto effetti di grande portata in ordine
alla divisione della terra in mondi chiusi l'uno all'altro ed in gelosa
concorrenza tra loro. Essa mette in luce più chiaramente la realtà
dell'interdipendenza dei popoli, nonché il fatto che il lavoro umano per sua
natura è destinato ad unire i popoli, non già a dividerli. La pace e la
prosperità, infatti, sono beni che appartengono a tutto il genere umano, sicché
non è possibile goderne correttamente e durevolmente se vengono ottenuti e
conservati a danno di altri popoli e Nazioni, violando i loro diritti o
escludendoli dalle fonti del benessere.
28.
Per alcuni Paesi di Europa inizia, in un certo senso, il vero dopoguerra. Il
radicale riordinamento delle economie, fino a ieri collettivizzate, comporta
problemi e sacrifici, i quali possono esser paragonati a quelli che i Paesi
occidentali del Continente si imposero per la loro ricostruzione dopo il secondo
conflitto mondiale. È giusto che nelle presenti difficoltà i Paesi
ex-comunisti siano sostenuti dallo sforzo solidale delle altre Nazioni:
ovviamente, essi devono essere i primi artefici del proprio sviluppo; ma deve
esser data loro una ragionevole opportunità di realizzarlo, e ciò non può
avvenire senza l'aiuto degli altri Paesi. Del resto, la presente condizione di
difficoltà e di penuria è la conseguenza di un processo storico, di cui i
Paesi ex-comunisti sono stati spesso oggetto, e non soggetto: essi, perciò, si
trovano in tale situazione non per libera scelta o a causa di errori commessi,
ma in conseguenza di tragici eventi storici imposti con la violenza, i quali
hanno loro impedito di proseguire lungo la via dello sviluppo economico e
civile.
L'aiuto
degli altri Paesi soprattutto europei, che hanno avuto parte nella medesima
storia e ne portano le responsabilità, corrisponde ad un debito di giustizia.
Ma corrisponde anche all'interesse ed al bene generale dell'Europa, che non potrà
vivere in pace, se i conflitti di diversa natura, che emergono come conseguenza
del passato, saranno resi più acuti da una situazione di disordine economico,
di spirituale insoddisfazione e disperazione.
Questa
esigenza, però, non deve indurre a rallentare gli sforzi per il sostegno e
l'aiuto ai Paesi del Terzo Mondo, che soffrono spesso di condizioni di
insufficienza e di povertà assai più gravi.59 Sarà necessario uno sforzo
straordinario per mobilitare le risorse, di cui il mondo nel suo insieme non è
privo, verso fini di crescita economica e di sviluppo comune, ridefinendo le
priorità e le scale di valori, in base alle quali si decidono le scelte
economiche e politiche. Ingenti risorse possono essere rese disponbili col
disarmo degli enormi apparati militari, costruiti per il conflitto tra Est e
Ovest. Esse potranno risultare ancora più ingenti, se si riuscirà a stabilire
affidabili procedure per la soluzione dei conflitti, alternative alla guerra, ed
a diffondere, quindi, il principio del controllo e della riduzione degli
armamenti anche nei Paesi del Terzo Mondo, adottando opportune misure contro il
loro commercio.60 Ma soprattutto sarà necessario abbandonare la mentalità che
considera i poveri — persone e popoli — come un fardello e come fastidiosi
importuni, che pretendono di consumare quanto altri han prodotto. I poveri
chiedono il diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere
a frutto la loro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per
tutti più prospero. L'elevazione dei poveri è una grande occasione per la
crescita morale, culturale ed anche economica dell'intera umanità.
29.
Lo sviluppo, infine, non deve essere inteso in un modo esclusivamente economico,
ma in senso integralmente umano.61 Non si tratta solo di elevare tutti i popoli
al livello di cui godono oggi i Paesi più ricchi, ma di costruire nel lavoro
solidale una vita più degna, di far crescere effettivamente la dignità e la
creatività di ogni singola persona, la sua capacità di rispondere alla propria
vocazione e, dunque, all'appello di Dio, in essa contenuto. Al culmine dello
sviluppo sta l'esercizio del diritto-dovere di cercare Dio, di conoscerlo e di
vivere secondo tale conoscenza.62 Nei regimi totalitari ed autoritari è stato
portato all'estremo il principio del primato della forza sulla ragione. L'uomo
è stato costretto a subire una concezione della realtà imposta con la forza, e
non conseguita mediante lo sforzo della propria ragione e l'esercizio della
propria libertà. Bisogna rovesciare quel principio e riconoscere integralmente i diritti della coscienza umana, legata solo alla verità sia
naturale che rivelata. Nel riconoscimento di questi diritti consiste il
fondamento primario di ogni ordinamento politico autenticamente libero.63 È
importante riaffermare tale principio per vari motivi:
a)
perché le antiche forme di totalitarismo e di autoritarismo non sono ancora del
tutto debellate, ed esiste anzi il rischio che riprendano vigore: ciò sollecita
ad un rinnovato sforzo di collaborazione e di solidarietà tra tutti i Paesi;
b)
perché nei Paesi sviluppati si fa a volte un'eccessiva propaganda dei valori
puramente utilitaristici, con la sollecitazione sfrenata degli istinti e delle
tendenze al godimento immediato, la quale rende difficile il riconoscimento ed
il rispetto della gerarchia dei veri valori dell'umana esistenza;
c)
perché in alcuni Paesi emergono nuove forme di fondamentalismo religioso che,
velatamente o anche apertamente, negano ai cittadini di fedi diverse da quelle
della maggioranza il pieno esercizio dei loro diritti civili o religiosi,
impediscono loro di entrare nel dibattito culturale, restringono il diritto
della Chiesa a predicare il Vangelo e il diritto degli uomini, che ascoltano
tale predicazione, ad accoglierla ed a convertirsi a Cristo. Nessun autentico
progresso è possibile senza il rispetto del naturale ed originario diritto di
conoscere la verità e di vivere secondo essa. A questo diritto è legato, come
suo esercizio ed approfondimento, il diritto di scoprire e di accogliere
liberamente Gesù Cristo, che è il vero bene dell'uomo.64
|
IV.
LA PROPRIETÀ PRIVATA E
L'UNIVERSALE DESTINAZIONE DEI BENI
30.
Nella Rerum novarum Leone XIII affermava con forza e con vari argomenti,
contro il socialismo del suo tempo, il carattere naturale del diritto di
proprietà privata.65 Tale diritto, fondamentale per l'autonomia e lo sviluppo
della persona, è stato sempre difeso dalla Chiesa fino ai nostri giorni.
Parimenti, la Chiesa insegna che la proprietà dei beni non è un diritto
assoluto, ma porta inscritti nella sua natura di diritto umano i propri limiti.
Mentre
proclamava il diritto di proprietà privata, il Pontefice affermava con pari
chiarezza che l'« uso » dei beni, affidato alla libertà, è subordinato alla
loro originaria destinazione comune di beni creati ed anche alla volontà di Gesù
Cristo, manifestata nel Vangelo. Infatti scriveva: « I fortunati dunque sono
ammoniti ...: i ricchi debbono tremare, pensando alle minacce di Gesù Cristo
...; dell'uso dei loro beni dovranno un giorno rendere rigorosissimo conto a Dio
giudice »; e, citando san Tommaso d'Aquino, aggiungeva: « Ma se si domanda
quale debba essere l'uso di tali beni, la Chiesa ... non esita a rispondere che
a questo proposito l'uomo non deve possedere i beni esterni come propri, ma come
comuni », perché « sopra le leggi e i giudizi degli uomini sta la legge, il
giudizio di Cristo ».66
I
successori di Leone XIII hanno ripetuto la duplice affermazione: la necessità
e, quindi, la liceità della proprietà privata ed insieme i limiti che gravano
su di essa.67 Anche il Concilio Vaticano II ha riproposto la dottrina
tradizionale con parole che meritano di essere riportate esattamente: « L'uomo,
usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente
possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono
giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri ». E poco oltre: « La
proprietà privata o un qualche potere sui beni esterni assicurano a ciascuno
una zona del tutto necessaria di autonomia personale e familiare, e devono
considerarsi come un prolungamento della libertà umana ... La stessa proprietà
privata ha per sua natura anche una funzione sociale, che si fonda sulla legge
della comune destinazione dei beni ».68 La stessa dottrina ho ripreso prima nel
discorso alla III Conferenza dell'Episcopato latino-americano a Puebla, e poi
nelle Encicliche Laborem exercens e Sollicitudo rei socialis.69
31.
Rileggendo tale insegnamento sul diritto di proprietà e la destinazione comune
dei beni in rapporto al nostro tempo, si può porre la domanda circa l'origine
dei beni che sostentano la vita dell'uomo, soddisfano i suoi bisogni e sono
oggetto dei suoi diritti.
La
prima origine di tutto ciò che è bene è l'atto stesso di Dio che ha creato la
terra e l'uomo, ed all'uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e
ne goda i frutti (cf Gn 1,28-29). Dio
ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi
membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la
radice dell'universale destinazione dei beni della terra. Questa, in ragione
della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell'uomo, è il
primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana. Ora, la terra non dona
i suoi frutti senza una peculiare risposta dell'uomo al dono di Dio, cioè senza
il lavoro: è mediante il lavoro che l'uomo, usando la sua intelligenza e la sua
libertà, riesce a dominarla e ne fa la sua degna dimora. In tal modo egli fa
propria una parte della terra, che appunto si è acquistata col lavoro. È qui l'origine
della proprietà individuale. E ovviamente egli ha anche la responsabilità
di non impedire che altri uomini abbiano la loro parte del dono di Dio, anzi
deve cooperare con loro per dominare insieme tutta la terra.
Nella
storia si ritrovano sempre questi due fattori, il
lavoro e la terra, al principio di
ogni società umana; non sempre, però, essi stanno nella medesima relazione tra
loro. Un tempo la naturale fecondità
della terra appariva e di fatto era il principale fattore della ricchezza,
mentre il lavoro era come l'aiuto ed il sostegno di tale fecondità. Nel nostro
tempo diventa sempre più rilevante il
ruolo del lavoro umano, come fattore produttivo delle ricchezze immateriali
e materiali; diventa, inoltre, evidente come il lavoro di un uomo si intrecci
naturalmente con quello di altri uomini. Oggi più che mai lavorare è un lavorare
con gli altri e un lavorare per gli
altri: è un fare qualcosa per qualcuno. Il lavoro è tanto più fecondo e
produttivo, quanto più l'uomo è capace di conoscere le potenzialità
produttive della terra e di leggere in profondità i bisogni dell'altro uomo,
per il quale il lavoro è fatto.
32.
Ma un'altra forma di proprietà esiste, in particolare, nel nostro tempo e
riveste un'importanza non inferiore a quella della terra: èla
proprietà della conoscenza, della tecnica e del sapere. Su questo tipo di
proprietà si fonda la ricchezza delle Nazioni industrializzate molto più che
su quella delle risorse naturali.
Si
è ora accennato al fatto che l'uomo
lavora con gli altri uomini, partecipando ad un « lavoro sociale » che
abbraccia cerchi progressivamente più ampi. Chi produce un oggetto, lo fa in
genere, oltre che per l'uso personale, perché altri possano usarne dopo aver
pagato il giusto prezzo, stabilito di comune accordo mediante una libera
trattativa. Ora, proprio la capacità di conoscere tempestivamente i bisogni
degli altri uomini e le combinazioni dei fattori produttivi più idonei a
soddisfarli, è un'altra importante fonte di ricchezza nella società moderna.
Del resto, molti beni non possono essere prodotti in modo adeguato dall'opera di
un solo individuo, ma richiedono la collaborazione di molti al medesimo fine.
Organizzare un tale sforzo produttivo, pianificare la sua durata nel tempo,
procurare che esso corrisponda in modo positivo ai bisogni che deve soddisfare,
assumendo i rischi necessari: è, anche questo, una fonte di ricchezza
nell'odierna società. Così diventa sempre più evidente e determinante il
ruolo del lavoro umano disciplinato e creativo e — quale parte essenziale
di tale lavoro — delle capacità di
iniziativa e di imprenditorialità.70
Un
tale processo, che mette concretamente in luce una verità sulla persona
incessantemente affermata dal cristianesimo, deve essere riguardato con
attenzione e favore. In effetti, la principale risorsa dell'uomo insieme con la
terra è l'uomo stesso. È la sua
intelligenza che fa scoprire le potenzialità produttive della terra e le
multiformi modalità con cui i bisogni umani possono essere soddisfatti. È il
suo disciplinato lavoro, in solidale collaborazione, che consente la creazione
di comunità di lavoro sempre più
ampie ed affidabili per operare la trasformazione dell'ambiente naturale e dello
stesso ambiente umano. In questo processo sono coinvolte importanti virtù, come
la diligenza, la laboriosità, la prudenza nell'assumere i ragionevoli rischi,
l'affidabilità e la fedeltà nei rapporti interpersonali, la fortezza
nell'esecuzione di decisioni difficili e dolorose, ma necessarie per il lavoro
comune dell'azienda e per far fronte agli eventuali rovesci di fortuna.
La
moderna economia d'impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la
libertà della persona, che si esprime in campo economico come in tanti altri
campi. L'economia, infatti, è un settore della multiforme attività umana, ed
in essa, come in ogni altro campo, vale il diritto alla libertà, come il dovere
di fare un uso responsabile di essa. Ma è importante notare che ci sono
differenze specifiche tra queste tendenze della moderna società e quelle del
passato anche recente. Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la
terra e più tardi il capitale,
inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi il fattore decisivo
è sempre più l'uomo stesso, e cioè
la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico,
la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacità di intuire e
soddisfare il bisogno dell'altro.
33.
Non si possono, tuttavia, non denunciare i rischi ed i problemi connessi con
questo tipo di processo. Di fatto, oggi molti uomini, forse la grande
maggioranza, non dispongono di strumenti che consentono di entrare in modo
effettivo ed umanamente degno all'interno di un sistema di impresa, nel quale il
lavoro occupa una posizione davvero centrale. Essi non hanno la possibilità di
acquisire le conoscenze di base, che permettono di esprimere la loro creatività
e di sviluppare le loro potenzialità, né di entrare nella rete di conoscenze
ed intercomunicazioni, che consentirebbe di vedere apprezzate ed utilizzate la
loro qualità. Essi insomma, se non proprio sfruttati, sono ampiamente
emarginati, e lo sviluppo economico si svolge, per così dire, sopra la loro
testa, quando non restringe addirittura gli spazi già angusti delle loro
antiche economie di sussistenza. Incapaci di resistere alla concorrenza di merci
prodotte in modi nuovi e ben rispondenti ai bisogni, che prima essi solevano
fronteggiare con forme organizzative tradizionali, allettati dallo splendore di
un'opulenza ostentata, ma per loro irraggiungibile e, al tempo stesso, stretti
dalla necessità, questi uomini affollano le città del Terzo Mondo, dove spesso
sono culturalmente sradicati e si trovano in situazioni di violenta precarietà,
senza possibilità di integrazione. Ad essi di fatto non si riconosce dignità,
e talora si cerca di eliminarli dalla storia mediante forme coatte di controllo
demografico, contrarie alla dignità umana.
Molti
altri uomini, pur non essendo del tutto emarginati, vivono all'interno di
ambienti in cui è assolutamente primaria la lotta per il necessario e vigono
ancora le regole del capitalismo delle origini, nella « spietatezza » di una
situazione che non ha nulla da invidiare a quella dei momenti più bui della
prima fase di industrializzazione. In altri casi è ancora la terra ad essere
l'elemento centrale del processo economico, e coloro che la coltivano, esclusi
dalla sua proprietà, sono ridotti in condizioni di semi-servitù.71 In questi
casi si può ancora oggi, come al tempo della Rerum
novarum, parlare di uno sfruttamento inumano. Nonostante i grandi mutamenti
avvenuti nelle società più avanzate, le carenze umane del capitalismo, col
conseguente dominio delle cose sugli uomini, sono tutt'altro che scomparse;
anzi, per i poveri alla mancanza di beni materiali si è aggiunta quella del
sapere e della conoscenza, che impedisce loro di uscire dallo stato di umiliante
subordinazione.
Purtroppo,
la grande maggioranza degli abitanti del Terzo Mondo vive ancora in simili
condizioni. Sarebbe, però, errato intendere questo Mondo in un senso soltanto
geografico. In alcune regioni ed in alcuni settori sociali di esso sono stati
attivati processi di sviluppo incentrati non tanto sulla valorizzazione delle
risorse materiali, quanto su quella della « risorsa umana ».
In
anni non lontani è stato sostenuto che lo sviluppo dipendesse dall'isolamento
dei Paesi più poveri dal mercato mondiale e dalla loro fiducia nelle sole
proprie forze. L'esperienza recente ha dimostrato che i Paesi che si sono
esclusi hanno conosciuto stagnazione e regresso, mentre hanno conosciuto lo
sviluppo i Paesi che sono riusciti ad entrare nella generale interconnessione
delle attività economiche a livello internazionale. Sembra, dunque, che il
maggior problema sia quello di ottenere un equo accesso al mercato
internazionale, fondato non sul principio unilaterale dello sfruttamento delle
risorse naturali, ma sulla valorizzazione delle risorse umane.72
Aspetti
tipici del Terzo Mondo, però, emergono anche nei Paesi sviluppati, dove
l'incessante trasformazione dei modi di produrre e di consumare svaluta certe
conoscenze già acquisite e professionalità consolidate, esigendo un continuo
sforzo di riqualificazione e di aggiornamento. Coloro che non riescono a tenersi
al passo con i tempi possono facilmente essere emarginati; insieme con essi lo
sono gli anziani, i giovani incapaci di ben inserirsi nella vita sociale e, in
genere, i soggetti più deboli e il cosiddetto Quarto Mondo. Anche la situazione
della donna in queste condizioni è tutt'altro che facile.
34.
Sembra che, tanto a livello delle singole Nazioni quanto a quello dei rapporti
internazionali, il libero mercato sia
lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente
ai bisogni. Ciò, tuttavia, vale solo per quei bisogni che sono « solvibili »,
che dispongono di un potere d'acquisto, e per quelle risorse che sono «
vendibili », in grado di ottenere un prezzo adeguato. Ma esistono numerosi
bisogni umani che non hanno accesso al mercato. È stretto dovere di giustizia e
di verità impedire che i bisogni umani fondamentali rimangano insoddisfatti e
che gli uomini che ne sono oppressi periscano. È, inoltre, necessario che
questi uomini bisognosi siano aiutati ad acquisire le conoscenze, ad entrare nel
circolo delle interconnessioni, a sviluppare le loro attitudini per valorizzare
al meglio capacità e risorse. Prima ancora della logica dello scambio degli
equivalenti e delle forme di giustizia, che le son proprie, esiste un qualcosa
che è dovuto all'uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità.
Questo qualcosa dovuto comporta
inseparabilmente la possibilità di sopravvivere e di dare un contributo attivo
al bene comune dell'umanità.
Nei
contesti di Terzo Mondo conservano la loro validità (in certi casi è ancora un
traguardo da raggiungere) proprio quegli obiettivi indicati dalla Rerum
novarum, per evitare la riduzione del lavoro dell'uomo e dell'uomo stesso al
livello di una semplice merce: il salario sufficiente per la vita della
famiglia; le assicurazioni sociali per la vecchiaia e la disoccupazione; la
tutela adeguata delle condizioni di lavoro.
35.
Si apre qui un grande e fecondo campo di
impegno e di lotta, nel nome della giustizia, per i sindacati e per le altre
organizzazioni dei lavoratori, che ne difendono i diritti e ne tutelano la
soggettività, svolgendo al tempo stesso una funzione essenziale di carattere
culturale, per farli partecipare in modo più pieno e degno alla vita della
Nazione ed aiutarli lungo il cammino dello sviluppo.
In
questo senso si può giustamente parlare di lotta contro un sistema economico,
inteso come metodo che assicura l'assoluta prevalenza del capitale, del possesso
degli strumenti di produzione e della terra rispetto alla libera soggettività
del lavoro dell'uomo.73 A questa lotta contro un tale sistema non si pone, come
modello alternativo, il sistema socialista, che di fatto risulta essere un
capitalismo di stato, ma una società del
lavoro libero, dell'impresa e della partecipazione. Essa non si oppone al
mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e
dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali
di tutta la società.
La
Chiesa riconosce la giusta funzione del
profitto, come indicatore del buon andamento dell'azienda: quando un'azienda
produce profitto, ciò significa che i fattori produttivi sono stati
adeguatamente impiegati ed i corrispettivi bisogni umani debitamente
soddisfatti. Tuttavia, il profitto non è l'unico indice delle condizioni
dell'azienda. È possibile che i conti economici siano in ordine ed insieme che
gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso dell'azienda, siano
umiliati e offesi nella loro dignità. Oltre ad essere moralmente inammissibile,
ciò non può non avere in prospettiva riflessi negativi anche per l'efficienza
economica dell'azienda. Scopo dell'impresa, infatti, non è semplicemente la
produzione del profitto, bensì l'esistenza stessa dell'impresa come comunità
di uomini che, in diverso modo, perseguono il soddisfacimento dei loro
fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio
dell'intera società. Il profitto è un regolatore della vita dell'azienda, ma
non è l'unico; ad esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che, a lungo periodo, sono almeno
egualmente essenziali per la vita dell'impresa.
Si
è visto come è inaccettabile l'affermazione che la sconfitta del cosiddetto «
socialismo reale » lasci il capitalismo come unico modello di organizzazione
economica. Occorre rompere le barriere e i monopoli che lasciano tanti popoli ai
margini dello sviluppo, assicurare a tutti — individui e Nazioni — le
condizioni di base, che consentano di partecipare allo sviluppo. Tale obiettivo
richiede sforzi programmati e responsabili da parte di tutta la comunità
internazionale. Occorre che le Nazioni più forti sappiano offrire a quelle più
deboli occasioni di inserimento nella vita internazionale, e che quelle più
deboli sappiano cogliere tali occasioni, facendo gli sforzi e i sacrifici
necessari, assicurando la stabilità del quadro politico ed economico, la
certezza di prospettive per il futuro, la crescita delle capacità dei propri
lavoratori, la formazione di imprenditori efficienti e consapevoli delle loro
responsabilità.74
Al
presente sugli sforzi positivi che sono compiuti in proposito grava il problema,
in gran parte ancora irrisolto, del debito estero dei Paesi più poveri. È
certamente giusto il principio che i debiti debbano essere pagati; non è
lecito, però, chiedere o pretendere un pagamento, quando questo verrebbe ad
imporre di fatto scelte politiche tali da spingere alla fame e alla disperazione
intere popolazioni. Non si può pretendere che i debiti contratti siano pagati
con insopportabili sacrifici. In questi casi è necessario — come, del resto,
sta in parte avvenendo — trovare modalità di alleggerimento, di dilazione o
anche di estinzione del debito, compatibili col fondamentale diritto dei popoli
alla sussistenza ed al progresso.
36.
Conviene ora rivolgere l'attenzione agli specifici problemi ed alle minacce, che
insorgono all'interno delle economie più avanzate e sono connesse con le loro
peculiari caratteristiche. Nelle precedenti fasi dello sviluppo, l'uomo è
sempre vissuto sotto il peso della necessità: i suoi bisogni erano pochi,
fissati in qualche modo già nelle strutture oggettive della sua costituzione
corporea, e l'attività economica era orientata a soddisfarli. È chiaro che
oggi il problema non è solo di offrirgli una quantità di beni sufficienti, ma
è quello di rispondere ad una domanda di
qualità: qualità delle merci da produrre e da consumare; qualità dei
servizi di cui usufruire; qualità dell'ambiente e della vita in generale.
La
domanda di un'esistenza qualitativamente più soddisfacente e più ricca è in sé
cosa legittima; ma non si possono non sottolineare le nuove responsabilità ed i
pericoli connessi con questa fase storica. Nel modo in cui insorgono e sono
definiti i nuovi bisogni, è sempre operante una concezione più o meno adeguata
dell'uomo e del suo vero bene: attraverso le scelte di produzione e di consumo
si manifesta una determinata cultura, come concezione globale della vita. È qui
che sorge il fenomeno del consumismo.
Individuando nuovi bisogni e nuove modalità per il loro soddisfacimento, è
necessario lasciarsi guidare da un'immagine integrale dell'uomo, che rispetti
tutte le dimensioni del suo essere e subordini quelle materiali e istintive a
quelle interiori e spirituali. Al contrario, rivolgendosi direttamente ai suoi
istinti e prescindendo in diverso modo dalla sua realtà personale cosciente e
libera, si possono creare abitudini di
consumo e stili di vita oggettivamente
illeciti e spesso dannosi per la sua salute fisica e spirituale. Il sistema
economico non possiede al suo interno criteri che consentano di distinguere
correttamente le forme nuove e più elevate di soddisfacimento dei bisogni umani
dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una matura personalità.
È, perciò, necessaria ed urgente una grande
opera educativa e culturale, la quale comprenda l'educazione dei consumatori
ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di un alto senso
di responsabilità nei produttori e, soprattutto, nei professionisti delle
comunicazioni di massa, oltre che il necessario intervento delle pubbliche
Autorità.
Un
esempio vistoso di consumo artificiale, contrario alla salute e alla dignità
dell'uomo e certo non facile a controllare, è quello della droga. La sua
diffusione è indice di una grave disfunzione del sistema sociale e sottintende
anch'essa una « lettura » materialistica e, in un certo senso, distruttiva dei
bisogni umani. Così la capacità innovativa dell'economia libera finisce con
l'attuarsi in modo unilaterale ed inadeguato. La droga come anche la pornografia
ed altre forme di consumismo, sfruttando la fragilità dei deboli, tentano di
riempire il vuoto spirituale che si è venuto a creare.
Non
è male desiderare di viver meglio, ma è sbagliato lo stile di vita che si
presume esser migliore, quando è orientato all'avere e non all'essere e vuole
avere di più non per essere di più, ma per consumare l'esistenza in un
godimento fine a se stesso.75 È necessario, perciò, adoperarsi per costruire
stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la
comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che
determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti. In
proposito, non posso ricordare solo il dovere della carità, cioè il dovere di
sovvenire col proprio « superfluo » e, talvolta, anche col proprio «
necessario » per dare ciò che è indispensabile alla vita del povero. Alludo
al fatto che anche la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro,
in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è sempre una scelta
morale e culturale. Poste certe condizioni economiche e di stabilità
politica assolutamente imprescindibili, la decisione di investire, cioè di
offrire ad un popolo l'occasione di valorizzare il proprio lavoro, è anche
determinata da un atteggiamento di simpatia e dalla fiducia nella Provvidenza,
che rivelano la qualità umana di colui che decide.
37.
Del pari preoccupante, accanto al problema del consumismo e con esso
strettamente connessa, è la questione
ecologica. L'uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di
essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse
della terra e la sua stessa vita. Alla radice dell'insensata distruzione
dell'ambiente naturale c'è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel
nostro tempo. L'uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo
senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge
sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio.
Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza
riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una
destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può, sì, sviluppare, ma non
deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera
della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la
ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui.76
Si
avverte in ciò, prima di tutto, una povertà o meschinità dello sguardo
dell'uomo, animato dal desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla
verità, e privo di quell'atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che
nasce dallo stupore per l'essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle
cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create. Al riguardo,
l'umanità di oggi deve essere conscia dei suoi doveri e compiti verso le
generazioni future.
38.
Oltre all'irrazionale distruzione dell'ambiente naturale è qui da ricordare
quella, ancor più grave, dell'ambiente
umano, a cui peraltro si è lontani dal prestare la necessaria attenzione.
Mentre ci si preoccupa giustamente, anche se molto meno del necessario, di
preservare gli « habitat » naturali delle diverse specie animali minacciate di
estinzione, perché ci si rende conto che ciascuna di esse apporta un
particolare contributo all'equilibrio generale della terra, ci si impegna troppo
poco per salvaguardare le condizioni
morali di un'autentica « ecologia umana ». Non solo la terra è stata data
da Dio all'uomo, che deve usarla rispettando l'intenzione originaria di bene,
secondo la quale gli è stata donata; ma l'uomo è donato a se stesso da Dio e
deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato
dotato. Sono da menzionare, in questo contesto, i gravi problemi della moderna
urbanizzazione, la necessità di un urbanesimo preoccupato della vita delle
persone, come anche la debita attenzione ad un'« ecologia sociale » del
lavoro.
L'uomo
riceve da Dio la sua essenziale dignità e con essa la capacità di trascendere
ogni ordinamento della società verso la verità ed il bene. Egli, tuttavia, è
anche condizionato dalla struttura sociale in cui vive, dall'educazione ricevuta
e dall'ambiente. Questi elementi possono facilitare oppure ostacolare il suo
vivere secondo verità. Le decisioni, grazie alle quali si costituisce un
ambiente umano, possono creare specifiche strutture di peccato, impedendo la
piena realizzazione di coloro che da esse sono variamente oppressi. Demolire
tali strutture e sostituirle con più autentiche forme di convivenza è un
compito che esige coraggio e pazienza.77
39.
La prima e fondamentale struttura a favore dell'« ecologia umana » è la
famiglia, in seno alla quale l'uomo riceve le prime e determinanti nozioni
intorno alla verità ed al bene, apprende che cosa vuol dire amare ed essere
amati e, quindi, che cosa vuol dire in concreto essere una persona. Si intende
qui la famiglia fondata sul matrimonio, in
cui il dono reciproco di sé da parte dell'uomo e della donna crea un ambiente
di vita nel quale il bambino può nascere e sviluppare le sue potenzialità,
diventare consapevole della sua dignità e prepararsi ad affrontare il suo unico
ed irripetibile destino. Spesso accade, invece, che l'uomo è scoraggiato dal
realizzare le condizioni autentiche della riproduzione umana, ed è indotto a
considerare se stesso e la propria vita come un insieme di sensazioni da
sperimentare anziché come un'opera da compiere. Di qui nasce una mancanza di
libertà che fa rinunciare all'impegno di legarsi stabilmente con un'altra
persona e di generare dei figli, oppure induce a considerare costoro come una
delle tante « cose » che è possibile avere o non avere, secondo i propri
gusti, e che entrano in concorrenza con altre possibilità.
Occorre
tornare a considerare la famiglia come il santuario
della vita. Essa, infatti, è sacra: è il luogo in cui la vita, dono di
Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a
cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un'autentica crescita
umana. Contro la cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede
della cultura della vita.
L'ingegno
dell'uomo sembra orientarsi, in questo campo, più a limitare, sopprimere o
annullare le fonti della vita ricorrendo perfino all'aborto, purtroppo così
diffuso nel mondo, che a difendere e ad aprire le possibilità della vita
stessa. Nell'Enciclica Sollicitudo rei
socialis sono state denunciate le campagne sistematiche contro la natalità,
che, in base ad una concezione distorta del problema demografico e in un clima
di « assoluta mancanza di rispetto per la libertà di decisione delle persone
interessate », le sottopongono non di rado « a intolleranti pressioni ... per
piegarle a questa forma nuova di oppressione ».78 Si tratta di politiche che
con nuove tecniche estendono il loro raggio di azione fino ad arrivare, come in
una « guerra chimica », ad avvelenare la vita di milioni di esseri umani
indifesi.
Queste
critiche sono rivolte non tanto contro un sistema economico, quanto contro un
sistema etico-culturale. L'economia, infatti, è solo un aspetto ed una
dimensione della complessa attività umana. Se essa è assolutizzata, se la
produzione ed il consumo delle merci finiscono con l'occupare il centro della
vita sociale e diventano l'unico valore della società, non subordinato ad alcun
altro, la causa va ricercata non solo e non tanto nel sistema economico stesso,
quanto nel fatto che l'intero sistema socio-culturale, ignorando la dimensione
etica e religiosa, si è indebolito e ormai si limita solo alla produzione dei
beni e dei servizi.79
Tutto
ciò si può riassumere affermando ancora una volta che la libertà economica è
soltanto un elemento della libertà umana. Quando quella si rende autonoma,
quando cioè l'uomo è visto più come un produttore o un consumatore di beni
che come un soggetto che produce e consuma per vivere, allora perde la sua
necessaria relazione con la persona umana e finisce con l'alienarla ed
opprimerla.80
40.
È compito dello Stato provvedere alla difesa e alla tutela di quei beni
collettivi, come l'ambiente naturale e l'ambiente umano, la cui salvaguardia non
può essere assicurata dai semplici meccanismi di mercato. Come ai tempi del
vecchio capitalismo lo Stato aveva il dovere di difendere i diritti fondamentali
del lavoro, così ora col nuovo capitalismo esso e l'intera società hanno il
dovere di difendere i beni collettivi che, tra l'altro, costituiscono la
cornice al cui interno soltanto è possibile per ciascuno conseguire
legittimamente i suoi fini individuali.
Si
ritrova qui un nuovo limite del mercato: ci sono bisogni collettivi e
qualitativi che non possono essere soddisfatti mediante i suoi meccanismi; ci
sono esigenze umane importanti che sfuggono alla sua logica; ci sono dei beni
che, in base alla loro natura, non si possono e non si debbono vendere e
comprare. Certo, i meccanismi di mercato offrono sicuri vantaggi: aiutano, tra
l'altro, ad utilizzare meglio le risorse; favoriscono lo scambio dei prodotti e,
soprattutto, pongono al centro la volontà e le preferenze della persona che nel
contratto si incontrano con quelle di un'altra persona. Tuttavia, essi
comportano il rischio di un'« idolatria » del mercato, che ignora l'esistenza
dei beni che, per loro natura, non sono né possono essere semplici merci.
41.
Il marxismo ha criticato le società borghesi capitalistiche, rimproverando loro
la mercificazione e l'alienazione dell'esistenza umana. Certamente, questo
rimprovero è basato su una concezione errata ed inadeguata dell'alienazione,
che la fa derivare solo dalla sfera dei rapporti di produzione e di proprietà,
cioè assegnandole un fondamento materialistico e, per di più, negando la
legittimità e la positività delle relazioni di mercato anche nell'ambito che
è loro proprio. Si finisce così con l'affermare che solo in una società di
tipo collettivistico potrebbe essere eliminata l'alienazione. Ora, l'esperienza
storica dei Paesi socialisti ha tristemente dimostrato che il collettivismo non
sopprime l'alienazione, ma piuttosto l'accresce, aggiungendovi la penuria delle
cose necessarie e l'inefficienza economica.
L'esperienza
storica dell'Occidente, da parte sua, dimostra che, se l'analisi e la fondazione
marxista dell'alienazione sono false, tuttavia l'alienazione con la perdita del
senso autentico dell'esistenza è un fatto reale anche nelle società
occidentali. Essa si verifica nel consumo, quando l'uomo è implicato in una
rete di false e superficiali soddisfazioni, anziché essere aiutato a fare
l'autentica e concreta esperienza della sua personalità. Essa si verifica anche
nel lavoro, quando è organizzato in modo tale da « massimizzare » soltanto i
suoi frutti e proventi e non ci si preoccupa che il lavoratore, mediante il
proprio lavoro, si realizzi di più o di meno come uomo, a seconda che cresca la
sua partecipazione in un'autentica comunità solidale, oppure cresca il suo
isolamento in un complesso di relazioni di esasperata competitività e di
reciproca estraniazione, nel quale egli è considerato solo come un mezzo, e non
come un fine.
È
necessario ricondurre il concetto di alienazione alla visione cristiana,
ravvisando in esso l'inversione tra i mezzi e i fini: quando non riconosce il
valore e la grandezza della persona in se stesso e nell'altro, l'uomo di fatto
si priva della possibilità di fruire della propria umanità e di entrare in
quella relazione di solidarietà e di comunione con gli altri uomini per cui Dio
lo ha creato. È, infatti, mediante il libero dono di sé che l'uomo diventa
autenticamente se stesso,81 e questo dono è reso possibile dall'essenziale «
capacità di trascendenza » della persona umana. L'uomo non può donare se
stesso ad un progetto solo umano della realtà, ad un ideale astratto o a false
utopie. Egli, in quanto persona, può donare se stesso ad un'altra persona o ad
altre persone e, infine, a Dio, che è l'autore del suo essere ed è l'unico che
può pienamente accogliere il suo dono.82 È alienato l'uomo che rifiuta di
trascendere se stesso e di vivere l'esperienza del dono di sé e della
formazione di un'autentica comunità umana, orientata al suo destino ultimo che
è Dio. È alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale,
di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questo dono
ed il costituirsi di questa solidarietà interumana.
Nella
società occidentale è stato superato lo sfruttamento, almeno nelle forme
analizzate e descritte da Carlo Marx. Non è stata superata, invece,
l'alienazione nelle varie forme di sfruttamento, quando gli uomini si
strumentalizzano vicendevolmente e, nel soddisfacimento sempre più raffinato
dei loro bisogni particolari e secondari, diventano sordi a quelli principali ed
autentici, che devono regolare anche le modalità di soddisfacimento degli altri
bisogni.83 L'uomo che si preoccupa solo o prevalentemente dell'avere e del
godimento, non più capace di dominare i suoi istinti e le sue passioni e di
subordinarle mediante l'obbedienza alla verità, non può essere libero:
l'obbedienza alla verità su Dio e sull'uomo è la condizione prima della
libertà, consentendogli di ordinare i propri bisogni, i propri desideri e le
modalità del loro soddisfacimento secondo una giusta gerarchia, di modo che il
possesso delle cose sia per lui un mezzo di crescita. Un ostacolo a tale
crescita può venire dalla manipolazione operata da quei mezzi di comunicazione
di massa che impongono, con la forza di una ben orchestrata insistenza, mode e
movimenti di opinione, senza che sia possibile sottoporre a una disamina critica
le premesse su cui essi si fondano.
42.
Ritornando ora alla domanda iniziale, si può forse dire che, dopo il fallimento
del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo, e che verso di
esso vadano indirizzati gli sforzi dei Paesi che cercano di ricostruire la loro
economia e la loro società? È forse questo il modello che bisogna proporre ai
Paesi del Terzo Mondo, che cercano la via del vero progresso economico e civile?
La
risposta è ovviamente complessa. Se con « capitalismo » si indica un sistema
economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del
mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i
mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia,
la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato
parlare di « economia d'impresa », o di « economia di mercato », o
semplicemente di « economia libera ». Ma se con « capitalismo » si intende
un sistema in cui la libertà nel settore dell'economia non è inquadrata in un
solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana
integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il
cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa.
La
soluzione marxista è fallita, ma permangono nel mondo fenomeni di emarginazione
e di sfruttamento, specialmente nel Terzo Mondo, nonché fenomeni di alienazione
umana, specialmente nei Paesi più avanzati, contro i quali si leva con fermezza
la voce della Chiesa. Tante moltitudini vivono tuttora in condizioni di grande
miseria materiale e morale. Il crollo del sistema comunista in tanti Paesi
elimina certo un ostacolo nell'affrontare in modo adeguato e realistico questi
problemi, ma non basta a risolverli. C'è anzi il rischio che si diffonda
un'ideologia radicale di tipo capitalistico, la quale rifiuta perfino di
prenderli in considerazione, ritenendo a
priori condannato all'insuccesso ogni tentativo di affrontarli, e ne affida
fideisticamente la soluzione al libero sviluppo delle forze di mercato.
43.
La Chiesa non ha modelli da proporre. I modelli reali e veramente efficaci
possono solo nascere nel quadro delle diverse situazioni storiche, grazie allo
sforzo di tutti i responsabili che affrontino i problemi concreti in tutti i
loro aspetti sociali, economici, politici e culturali che si intrecciano tra
loro.84 A tale impegno la Chiesa offre, come indispensabile
orientamento ideale, la propria dottrina sociale, che — come si è detto
— riconosce la positività del mercato e dell'impresa, ma indica, nello stesso
tempo, la necessità che questi siano orientati verso il bene comune. Essa
riconosce anche la legittimità degli sforzi dei lavoratori per conseguire il
pieno rispetto della loro dignità e spazi maggiori di partecipazione nella vita
dell'azienda, di modo che, pur lavorando insieme con altri e sotto la direzione
di altri, possano, in un certo senso, « lavorare in proprio » 85 esercitando
la loro intelligenza e libertà.
L'integrale
sviluppo della persona umana nel lavoro non contraddice, ma piuttosto favorisce
la maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso, anche se ciò può
indebolire assetti di potere consolidati. L'azienda non può esser considerata
solo come una « società di capitali »; essa, al tempo stesso, è una «
società di persone », di cui entrano a far parte in modo diverso e con
specifiche responsabilità sia coloro che forniscono il capitale necessario per
la sua attività, sia coloro che vi collaborano col loro lavoro. Per conseguire
questi fini è ancora necessario un grande
movimento associato dei lavoratori, il cui obiettivo è la liberazione e la
promozione integrale della persona.
Alla
luce delle « cose nuove » di oggi è stato riletto il
rapporto tra la proprietà individuale, o privata, e la destinazione universale
dei beni. L'uomo realizza se stesso per mezzo della sua intelligenza e della
sua libertà e, nel fare questo, assume come oggetto e come strumento le cose
del mondo e di esse si appropria. In questo suo agire sta il fondamento del
diritto all'iniziativa e alla proprietà individuale. Mediante il suo lavoro
l'uomo s'impegna non solo per se stesso, ma anche per
gli altri e con gli altri: ciascuno
collabora al lavoro ed al bene altrui. L'uomo lavora per sovvenire ai bisogni
della sua famiglia, della comunità di cui fa parte, della Nazione e, in
definitiva, dell'umanità tutta.86 Egli, inoltre, collabora al lavoro degli
altri, che operano nella stessa azienda, nonché al lavoro dei fornitori o al
consumo dei clienti, in una catena di solidarietà che si estende
progressivamente. La proprietà dei mezzi di produzione sia in campo industriale
che agricolo è giusta e legittima, se serve ad un lavoro utile; diventa,
invece, illegittima, quando non viene valorizzata o serve ad impedire il lavoro
di altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall'espansione globale del
lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione,
dall'illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà
nel mondo del lavoro.87 Una tale proprietà non ha nessuna giustificazione e
costituisce un abuso al cospetto di Dio e degli uomini.
L'obbligo
di guadagnare il pane col sudore della propria fronte suppone, al tempo stesso,
un diritto. Una società in cui questo diritto sia sistematicamente negato, in
cui le misure di politica economica non consentano ai lavoratori di raggiungere
livelli soddisfacenti di occupazione, non può conseguire né la sua
legittimazione etica né la pace sociale.88 Come la persona realizza pienamente
se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente
nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana
per tutti.
|
V.
STATO E CULTURA
44.
Leone XIII non ignorava che una sana teoria
dello Stato è necessaria per assicurare il normale sviluppo delle attività
umane: di quelle spirituali e di quelle materiali, che sono entrambe
indispensabili.89 Per questo, in un passo della Rerum
novarum egli presenta l'organizzazione della società secondo i tre poteri
— legislativo, esecutivo e giudiziario —, e ciò in quel tempo costituiva
una novità nell'insegnamento della Chiesa.90 Tale ordinamento riflette una
visione realistica della natura sociale dell'uomo, la quale esige una
legislazione adeguata a proteggere la libertà di tutti. A tal fine è
preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da altre sfere di
competenza, che lo mantengano nel suo giusto limite. È, questo, il principio
dello « Stato di diritto », nel quale è sovrana la legge, e non la volontà
arbitraria degli uomini.
A
questa concezione si è opposto nel tempo moderno il totalitarismo, il quale,
nella forma marxista-leninista, ritiene che alcuni uomini, in virtù di una più
profonda conoscenza delle leggi di sviluppo della società, o per una
particolare collocazione di classe o per un contatto con le sorgenti più
profonde della coscienza collettiva, sono esenti dall'errore e possono, quindi,
arrogarsi l'esercizio di un potere assoluto. Va aggiunto che il totalitarismo
nasce dalla negazione della verità in senso oggettivo: se non esiste una verità
trascendente, obbedendo alla quale l'uomo acquista la sua piena identità,
allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli
uomini. Il loro interesse di classe, di gruppo, di Nazione li oppone
inevitabilmente gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente,
allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo
i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione,
senza riguardo ai diritti dell'altro. Allora l'uomo viene rispettato solo nella
misura in cui è possibile strumentalizzarlo per un'affermazione egoistica. La
radice del moderno totalitarismo, dunque, è da individuare nella negazione
della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio
invisibile e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che
nessuno può violare: né l'individuo, né il gruppo, né la classe, né la
Nazione o lo Stato. Non può farlo nemmeno la maggioranza di un corpo sociale,
ponendosi contro la minoranza, emarginandola, opprimendola, sfruttandola o
tentando di annientarla.91
45.
La cultura e la prassi del totalitarismo comportano anche la negazione della
Chiesa. Lo Stato, oppure il partito, che ritiene di poter realizzare nella
storia il bene assoluto e si erge al di sopra di tutti i valori, non può
tollerare che sia affermato un criterio oggettivo del bene e del male oltre la volontà dei
governanti, il quale, in determinate circostanze, può servire a giudicare il
loro comportamento. Ciò spiega perché il totalitarismo cerca di distruggere la
Chiesa o, almeno, di assoggettarla, facendola strumento del proprio apparato
ideologico.92
Lo
Stato totalitario, inoltre, tende ad assorbire in se stesso la Nazione, la
società, la famiglia, le comunità religiose e le stesse persone. Difendendo la
propria libertà, la Chiesa difende la persona, che deve obbedire a Dio
piuttosto che agli uomini (cf At 5,29),
la famiglia, le diverse organizzazioni sociali e le Nazioni, realtà tutte che
godono di una propria sfera di autonomia e di sovranità.
46.
La Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la
partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la
possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di
sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno.93 Essa, pertanto, non
può favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali per interessi
particolari o per fini ideologici usurpano il potere dello Stato.
Un'autentica
democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta
concezione della persona umana. Essa esige che si verifichino le condizioni
necessarie per la promozione sia delle singole persone mediante l'educazione e
la formazione ai veri ideali, sia della « soggettività » della società
mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità.
Oggi si tende ad affermare che l'agnosticismo ed il relativismo scettico sono la
filosofia e l'atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche
democratiche, e che quanti son convinti di conoscere la verità ed aderiscono
con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché
non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a
seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare
che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l'azione
politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente
strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte
facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia.
Né
la Chiesa chiude gli occhi davanti al pericolo del fanatismo, o fondamentalismo,
di quanti, in nome di un'ideologia che si pretende scientifica o religiosa,
ritengono di poter imporre agli altri uomini la loro concezione della verità e
del bene. Non è di questo tipo la verità
cristiana. Non essendo ideologica, la fede cristiana non presume di
imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica e riconosce
che la vita dell'uomo si realizza nella storia in condizioni diverse e non
perfette. La Chiesa, pertanto, riaffermando costantemente la trascendente dignità
della persona, ha come suo metodo il rispetto della libertà.94
Ma
la libertà è pienamente valorizzata soltanto dall'accettazione della verità:
in un mondo senza verità la libertà perde la sua consistenza, e l'uomo è
esposto alla violenza delle passioni ed a condizionamenti aperti od occulti. Il
cristiano vive la libertà (cf Gv 8,31-32)
e la serve proponendo continuamente, secondo la natura missionaria della sua
vocazione, la verità che ha conosciuto. Nel dialogo con gli altri uomini egli,
attento ad ogni frammento di verità che incontri nell'esperienza di vita e
nella cultura dei singoli e delle Nazioni, non rinuncerà ad affermare tutto ciò
che gli hanno fatto conoscere la sua fede ed il corretto esercizio della
ragione.95
47.
Dopo il crollo del totalitarismo comunista e di molti altri regimi totalitari e
« di sicurezza nazionale », si assiste oggi al prevalere, non senza contrasti,
dell'ideale democratico, unitamente ad una viva attenzione e preoccupazione per
i diritti umani. Ma proprio per questo è necessario che i popoli che stanno
riformando i loro ordinamenti diano alla democrazia un autentico e solido
fondamento mediante l'esplicito riconoscimento di questi diritti.96 Tra i
principali sono da ricordare: il diritto alla vita, di cui è parte integrante
il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il
diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo
sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria
intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità;
il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a
ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a
fondare liberamente una famiglia ed a accogliere e educare i figli, esercitando
responsabilmente la propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è,
in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella
verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della
propria persona.97
Anche
nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti
sono del tutto rispettati. Né ci si riferisce soltanto allo scandalo
dell'aborto, ma anche a diversi aspetti di una crisi dei sistemi democratici,
che talvolta sembra abbiano smarrito la capacità di decidere secondo il bene
comune. Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate
secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza
elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del
costume politico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente
diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico in seno alla
popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente
incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del
bene comune. Questo, infatti, non è la semplice somma degli interessi
particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad
un'equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un'esatta
comprensione della dignità e dei diritti della persona.98
La
Chiesa rispetta la legittima autonomia dell'ordine democratico e non ha titolo per
esprimere preferenze per l'una o l'altra soluzione istituzionale o
costituzionale. Il contributo, che essa offre a tale ordine, è proprio quella
visione della dignità della persona, la quale si manifesta in tutta la sua
pienezza nel mistero del Verbo incarnato. 99
48.
Queste considerazioni generali si riflettono anche sul ruolo
dello Stato nel settore dell'economia. L'attività economica, in particolare
quella dell'economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale,
giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie
della libertà individuale e della proprietà, oltre che una moneta stabile e
servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è
quello di garantire questa sicurezza, di modo che chi lavora e produce possa
godere i frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con
efficienza e onestà. La mancanza di sicurezza, accompagnata dalla corruzione
dei pubblici poteri e dalla diffusione di improprie fonti di arricchimento e di
facili profitti, fondati su attività illegali o puramente speculative, è uno
degli ostacoli principali per lo sviluppo e per l'ordine economico.
Altro
compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare l'esercizio dei diritti
umani nel settore economico; ma in questo campo la prima responsabilità non è
dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi gruppi e associazioni in cui si
articola la società. Non potrebbe lo Stato assicurare direttamente il diritto
al lavoro di tutti i cittadini senza irreggimentare l'intera vita economica e
mortificare la libera iniziativa dei singoli. Ciò, tuttavia, non significa che
esso non abbia alcuna competenza in questo ambito, come hanno affermato i
sostenitori di un'assenza di regole nella sfera economica. Lo Stato, anzi, ha il
dovere di assecondare l'attività delle imprese, creando condizioni che
assicurino occasioni di lavoro, stimolandola ove essa risulti insufficiente o
sostenendola nei momenti di crisi.
Lo
Stato, ancora, ha il diritto di intervenire quando situazioni particolari di
monopolio creino remore o ostacoli per lo sviluppo. Ma, oltre a questi compiti
di armonizzazione e di guida dello sviluppo, esso può svolgere funzioni
di supplenza in situazioni eccezionali, quando settori sociali o sistemi di
imprese, troppo deboli o in via di formazione, sono inadeguati al loro compito.
Simili interventi di supplenza, giustificati da urgenti ragioni attinenti al
bene comune, devono essere, per quanto possibile, limitati nel tempo, per non
sottrarre stabilmente a detti settori e sistemi di imprese le competenze che
sono loro proprie e per non dilatare eccessivamente l'ambito dell'intervento
statale in modo pregiudizievole per la libertà sia economica che civile.
Si
è assistito negli ultimi anni ad un vasto ampliamento di tale sfera di
intervento, che ha portato a costituire, in qualche modo, uno Stato di tipo
nuovo: lo « Stato del benessere ». Questi sviluppi si sono avuti in alcuni
Stati per rispondere in modo più adeguato a molte necessità e bisogni, ponendo
rimedio a forme di povertà e di privazione indegne della persona umana. Non
sono, però, mancati eccessi ed abusi che hanno provocato, specialmente negli
anni più recenti, dure critiche allo Stato del benessere, qualificato come «
Stato assistenziale ». Disfunzioni e difetti nello Stato assistenziale derivano
da un'inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato. Anche in questo
ambito deve essere rispettato il principio
di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire
nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue
competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a
coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del
bene comune.100
Intervenendo
direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca
la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici,
dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli
utenti, con enorme crescita delle spese. Sembra, infatti, che conosce meglio il
bisogno e riesce meglio a soddisfarlo chi è ad esso più vicino e si fa
prossimo al bisognoso. Si aggiunga che spesso un certo tipo di bisogni richiede
una risposta che non sia solo materiale, ma che ne sappia cogliere la domanda
umana più profonda. Si pensi anche alla condizione dei profughi, degli
immigrati, degli anziani o dei malati ed a tutte le svariate forme che
richiedono assistenza, come nel caso dei tossico-dipendenti: persone tutte che
possono essere efficacemente aiutate solo da chi offre loro, oltre alle
necessarie cure, un sostegno sinceramente fraterno.
49.
In questo campo la Chiesa, fedele al mandato di Cristo, suo Fondatore, è da
sempre presente con le sue opere, per offrire all'uomo bisognoso un sostegno
materiale che non lo umili e non lo riduca ad esser solo oggetto di assistenza,
ma lo aiuti a uscire dalla precaria sua condizione, promovendone la dignità di
persona. Con viva gratitudine a Dio bisogna segnalare che la carità operosa non
si è mai spenta nella Chiesa ed anzi registra oggi un multiforme e confortante
incremento. Al riguardo, merita speciale menzione il fenomeno
del volontariato, che la Chiesa favorisce e promuove sollecitando tutti a
collaborare per sostenerlo e incoraggiarlo nelle sue iniziative.
Per
superare la mentalità individualista, oggi diffusa, si richiede un
concreto impegno di solidarietà e di carità, il quale inizia all'interno
della famiglia col mutuo sostegno degli sposi e, poi, con la cura che le
generazioni si prendono l'una dell'altra. In tal modo la famiglia si qualifica
come comunità di lavoro e di solidarietà. Accade, però, che quando la
famiglia decide di corrispondere pienamente alla propria vocazione, si può
trovare priva dell'appoggio necessario da parte dello Stato e non dispone di
risorse sufficienti. È urgente promuovere non solo politiche per la famiglia,
ma anche politiche sociali, che abbiano come principale obiettivo la famiglia
stessa, aiutandola, mediante l'assegnazione di adeguate risorse e di efficienti
strumenti di sostegno, sia nell'educazione dei figli sia nella cura degli
anziani, evitando il loro allontanamento dal nucleo familiare e rinsaldando i
rapporti tra le generazioni.101
Oltre
alla famiglia, svolgono funzioni primarie ed attivano specifiche reti di
solidarietà anche altre società intermedie. Queste, infatti, maturano come
reali comunità di persone ed innervano il tessuto sociale, impedendo che scada
nell'anonimato ed in un'impersonale massificazione, purtroppo frequente nella
moderna società. È nel molteplice intersecarsi dei rapporti che vive la
persona e cresce la « soggettività della società ». L'individuo oggi è
spesso soffocato tra i due poli dello Stato e del mercato. Sembra, infatti,
talvolta che egli esista soltanto come produttore e consumatore di merci, oppure
come oggetto dell'amministrazione dello Stato, mentre si dimentica che la
convivenza tra gli uomini non è finalizzata né al mercato né allo Stato,
poiché possiede in se stessa un singolare valore che Stato e mercato devono
servire. L'uomo è, prima di tutto, un essere che cerca la verità e si sforza
di viverla e di approfondirla in un dialogo che coinvolge le generazioni passate
e future.102
50.
Da tale ricerca aperta della verità, che si rinnova ad ogni generazione, si
caratterizza la cultura della Nazione. In effetti, il patrimonio dei valori
tramandati ed acquisiti è sempre sottoposto dai giovani a contestazione.
Contestare, peraltro, non vuol dire necessariamente distruggere o rifiutare in
modo aprioristico, ma vuol significare soprattutto mettere alla prova nella
propria vita e, con tale verifica esistenziale, rendere quei valori più vivi,
attuali e personali, discernendo ciò che nella tradizione è valido da falsità
ed errori o da forme invecchiate, che possono esser sostituite da altre più
adeguate ai tempi.
In
questo contesto, conviene ricordare che anche
l'evangelizzazione si inserisce nella cultura delle Nazioni, sostenendola
nel suo cammino verso la verità ed aiutandola nel lavoro di purificazione e di
arricchimento.103 Quando, però, una cultura si chiude in se stessa e cerca di
perpetuare forme di vita invecchiate, rifiutando ogni scambio e confronto
intorno alla verità dell'uomo, allora essa diventa sterile e si avvia a
decadenza.
51.
Tutta l'attività umana ha luogo all'interno di una cultura e interagisce con
essa. Per un'adeguata formazione di tale cultura si richiede il coinvolgimento
di tutto l'uomo, il quale vi esplica la sua creatività, la sua intelligenza, la
sua conoscenza del mondo e degli uomini. Egli, inoltre, vi investe la sua
capacità di autodominio, di sacrificio personale, di solidarietà e di
disponibilità per promuovere il bene comune. Per questo, il primo e più
importante lavoro si compie nel cuore
dell'uomo, ed il modo in cui questi si impegna a costruire il proprio futuro
dipende dalla concezione che ha di se stesso e del suo destino. È a questo
livello che si colloca il contributo
specifico e decisivo della Chiesa in favore della vera cultura. Essa
promuove le qualità dei comportamenti umani, che favoriscono la cultura della
pace contro modelli che confondono l'uomo nella massa, disconoscono il ruolo
della sua iniziativa e libertà e pongono la sua grandezza nelle arti del
conflitto e della guerra. La Chiesa rende un tale servizio predicando
la verità intorno alla creazione del mondo, che Dio ha posto nelle mani
degli uomini perché lo rendano fecondo e più perfetto col loro lavoro, e predicando
la verità intorno alla redenzione, per cui il Figlio di Dio ha salvato
tutti gli uomini e, al tempo stesso, li ha uniti gli uni agli altri, rendendoli
responsabili gli uni degli altri. La Sacra Scrittura ci parla continuamente di
attivo impegno per il fratello e ci presenta l'esigenza di una corresponsabilità
che deve abbracciare tutti gli uomini.
Questa
esigenza non si ferma ai confini della propria famiglia, e neppure della Nazione
o dello Stato, ma investe ordinatamente tutta l'umanità, sicché nessun uomo
deve considerarsi estraneo o indifferente alla sorte di un altro membro della
famiglia umana. Nessun uomo può affermare di non essere responsabile della
sorte del proprio fratello (cf Gn 4,9;
Lc 10,29-37; Mt 25,31-46)!
L'attenta e premurosa sollecitudine verso il prossimo, nel momento stesso del
bisogno, oggi facilitata anche dai nuovi mezzi di comunicazione che hanno reso
gli uomini più vicini tra loro, è particolarmente importante in relazione alla
ricerca degli strumenti di soluzione dei conflitti internazionali alternativi
alla guerra. Non è difficile affermare che la potenza terrificante dei mezzi di
distruzione, accessibili perfino alle medie e piccole potenze, e la sempre più
stretta connessione, esistente tra i popoli di tutta la terra, rendono assai
arduo o praticamente impossibile limitare le conseguenze di un conflitto.
52.
I pontefici Benedetto XV ed i suoi successori hanno lucidamente compreso questo
pericolo,104 ed io stesso, in occasione della recente drammatica guerra nel
Golfo Persico, ho ripetuto il grido: « Mai più la guerra! ». No, mai più la
guerra, che distrugge la vita degli innocenti, che insegna ad uccidere e
sconvolge egualmente la vita degli uccisori, che lascia dietro di sé uno
strascico di rancori e di odi, rendendo più difficile la giusta soluzione degli
stessi problemi che l'hanno provocata! Come all'interno dei singoli Stati è
giunto finalmente il tempo in cui il sistema della vendetta privata e della
rappresaglia è stato sostituito dall'impero della legge, così è ora urgente
che un simile progresso abbia luogo nella Comunità internazionale. Non bisogna,
peraltro, dimenticare che alle radici della guerra ci sono in genere reali e
gravi ragioni: ingiustizie subite, frustrazioni di legittime aspirazioni,
miseria e sfruttamento di moltitudini umane disperate, le quali non vedono la
reale possibilità di migliorare le loro condizioni con le vie della pace.
Per
questo, l'altro nome della pace è lo
sviluppo.105 Come esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra,
così esiste la responsabilità collettiva di promuovere lo sviluppo. Come a
livello interno è possibile e doveroso costruire un'economia sociale che
orienti il funzionamento del mercato verso il bene comune, allo stesso modo è
necessario che ci siano interventi adeguati anche a livello internazionale.
Perciò, bisogna fare un grande sforzo di
reciproca comprensione, di conoscenza e di sensibilizzazione delle coscienze. È
questa l'auspicata cultura che fa crescere la fiducia nelle potenzialità umane
del povero e, quindi, nella sua capacità di migliorare la propria condizione
mediante il lavoro, o di dare un positivo contributo al benessere economico. Per
far questo, però, il povero — individuo o Nazione — ha bisogno che gli
siano offerte condizioni realisticamente accessibili. Creare tali occasioni è
il compito di una concertazione mondiale
per lo sviluppo, che implica anche il sacrificio delle posizioni di rendita
e di potere, di cui le economie più sviluppate si avvantaggiano.106
Ciò
può comportare importanti cambiamenti negli stili di vita consolidati, al fine
di limitare lo spreco delle risorse ambientali ed umane, permettendo così a
tutti i popoli ed uomini della terra di averne in misura sufficiente. A ciò si
deve aggiungere la valorizzazione dei nuovi beni materiali e spirituali, frutto
del lavoro e della cultura dei popoli oggi emarginati, ottenendo così il
complessivo arricchimento umano della famiglia delle Nazioni.
|
VI.
L'UOMO È LA VIA DELLA CHIESA
53.
Di fronte alla miseria del proletariato Leone XIII diceva: « Affrontiamo con
fiducia questo argomento e con pieno nostro diritto ... Ci parrebbe di mancare
al nostro ufficio se tacessimo ».107 Negli ultimi cento anni la Chiesa ha
ripetutamente manifestato il suo pensiero, seguendo da vicino la continua
evoluzione della questione sociale, e non ha certo fatto questo per recuperare
privilegi del passato o per imporre una sua concezione. Suo unico scopo è stata
la cura e responsabilità per l'uomo, a
lei affidato da Cristo stesso, per questo
uomo che, come il Concilio Vaticano II ricorda, è la sola creatura che Dio
abbia voluto per se stessa e per cui Dio ha il suo progetto, cioè la
partecipazione all'eterna salvezza. Non si tratta dell'uomo « astratto », ma
dell'uomo reale, « concreto » e « storico »: si tratta di ciascun
uomo, perché ciascuno è stato compreso nel mistero della redenzione e con
ciascuno Cristo si è unito per sempre attraverso questo mistero.108 Ne consegue
che la Chiesa non può abbandonare l'uomo, e che «
questo uomo è la prima via che la Chiesa deve percorrere nel compimento
della sua missione ..., la via tracciata da Cristo stesso, via che
immutabilmente passa attraverso il mistero dell'incarnazione e della redenzione
».109
È,
questa, solo questa l'ispirazione che presiede alla dottrina sociale della
Chiesa. Se essa l'ha a mano a mano elaborata in forma sistematica, soprattutto a
partire dalla data che commemoriamo, è perché tutta la ricchezza dottrinale
della Chiesa ha come orizzonte l'uomo nella sua concreta realtà di peccatore e
di giusto.
54.
La dottrina sociale oggi specialmente mira all'uomo,
in quanto inserito nella complessa rete di relazioni delle società moderne.
Le scienze umane e la filosofia sono di aiuto per interpretare la centralità
dell'uomo dentro la società e per metterlo in grado di capir meglio se
stesso, in quanto « essere sociale ». Soltanto la fede, però, gli rivela
pienamente la sua identità vera, e proprio da essa prende avvio la dottrina
sociale della Chiesa, la quale, valendosi di tutti gli apporti delle scienze e
della filosofia, si propone di assistere l'uomo nel cammino della salvezza.
L'Enciclica
Rerum novarum può essere letta come un importante apporto
all'analisi socio-economica della fine del secolo XIX, ma il suo particolare
valore le deriva dall'essere un Documento del Magistero, che ben si inserisce
nella missione evangelizzatrice della Chiesa insieme con molti altri Documenti
di questa natura. Da ciò si evince che la dottrina
sociale ha di per sé il valore di uno strumento
di evangelizzazione: in quanto tale, annuncia Dio ed il mistero di salvezza
in Cristo ad ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l'uomo a se stesso. In
questa luce, e solo in questa luce, si occupa del resto: dei diritti umani di
ciascuno e, in particolare, del « proletariato », della famiglia e
dell'educazione, dei doveri dello Stato, dell'ordinamento della società
nazionale e internazionale, della vita economica, della cultura, della guerra e
della pace, del rispetto alla vita dal momento del concepimento fino alla morte.
55.
La Chiesa riceve il « senso dell'uomo » dalla divina Rivelazione. « Per
conoscere l'uomo, l'uomo vero, l'uomo integrale, bisogna conoscere Dio »,
diceva Paolo VI, e subito dopo citava santa Caterina da Siena, che esprimeva in
preghiera lo stesso concetto: « Nella tua natura, Deità eterna, conoscerò la
natura mia ».110
Pertanto,
l'antropologia cristiana è in realtà un capitolo della teologia e, per la
stessa ragione, la dottrina sociale della Chiesa, preoccupandosi dell'uomo,
interessandosi a lui e al suo modo di comportarsi nel mondo, « appartiene ...
al campo della teologia e, specialmente, della teologia morale ».111 La
dimensione teologica risulta necessaria sia per interpretare che per risolvere
gli attuali problemi della convivenza umana. Il che vale — conviene rilevarlo
— tanto nei confronti della soluzione « atea », che priva l'uomo di una
delle sue componenti fondamentali, quella spirituale, quanto nei confronti delle
soluzioni permissive e consumistiche, le quali con vari pretesti mirano a
convincerlo della sua indipendenza da ogni legge e da Dio, chiudendolo in un
egoismo che finisce per nuocere a lui stesso ed agli altri.
Quando
annuncia all'uomo la salvezza di Dio, quando gli offre e comunica la vita
divina mediante i sacramenti, quando orienta la sua vita con i comandamenti
dell'amore di Dio e del prossimo, la Chiesa contribuisce all'arricchimento della
dignità dell'uomo. Ma essa, come non può mai abbandonare questa sua missione
religiosa e trascendente in favore dell'uomo, così si rende conto che la sua
opera incontra oggi particolari difficoltà ed ostacoli. Ecco perché si impegna
sempre con nuove forze e con nuovi metodi all'evangelizzazione che promuove
tutto l'uomo. Anche alla vigilia del terzo Millennio, essa rimane « il segno e
la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana »,112 come ha
sempre cercato di fare sin dall'inizio della sua esistenza, camminando insieme
con l'uomo lungo tutta la storia. L'Enciclica Rerum novarum ne è un'espressione significativa.
56.
Nel centesimo anniversario di quest' Enciclica, desidero ringraziare tutti
coloro che si sono impegnati a studiare, approfondire e divulgare la
dottrina sociale cristiana. A questo fine è indispensabile la
collaborazione delle Chiese locali, ed io auguro che la ricorrenza sia motivo di
un rinnovato slancio per il suo studio, diffusione ed applicazione nei
molteplici ambiti.
Desidero,
in particolare, che essa sia fatta conoscere e sia attuata nei diversi Paesi
dove, dopo il crollo del socialismo reale, si manifesta un grave disorientamento
nell'opera di ricostruzione. A loro volta, i Paesi occidentali corrono il
pericolo di vedere in questo cedimento la vittoria unilaterale del proprio
sistema economico, e non si preoccupano, perciò, di apportare ad esso le dovute
correzioni. I Paesi del Terzo Mondo, poi, si trovano più che mai nella
drammatica situazione del sottosviluppo, che ogni giorno si aggrava.
Leone
XIII, dopo aver formulato i principi e gli orientamenti per la soluzione della
questione operaia, scrisse una parola decisiva: « Ciascuno faccia la parte che
gli spetta e non indugi, perché il ritardo potrebbe render più difficile la
cura di un male già tanto grave », aggiungendo anche: « Quanto alla Chiesa,
essa non lascerà mai mancare in nessun modo l'opera sua ».113
57
Per la Chiesa il messaggio sociale del Vangelo non deve esser considerato una
teoria, ma prima di tutto un fondamento e una motivazione per l'azione. Spinti
da questo messaggio, alcuni dei primi cristiani distribuivano i loro beni ai
poveri, testimoniando che, nonostante le diverse provenienze sociali, era
possibile una convivenza pacifica e solidale. Con la forza del Vangelo, nel
corso dei secoli, i monaci coltivarono le terre, i religiosi e le religiose
fondarono ospedali e asili per i poveri, le confraternite, come pure uomini e
donne di tutte le condizioni, si impegnarono in favore dei bisognosi e degli
emarginati, essendo convinti che le parole di Cristo: « Ogni volta che farete
queste cose a uno dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me » (Mt
25,40), non dovevano rimanere un pio desiderio, ma diventare un concreto impegno
di vita.
Oggi
più che mai la Chiesa è cosciente che il suo messaggio sociale troverà
credibilità nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica
interna. Anche da questa consapevolezza deriva la sua opzione preferenziale per
i poveri, la quale non è mai esclusiva né discriminante verso altri gruppi. Si
tratta, infatti, di opzione che non vale soltanto per la povertà materiale,
essendo noto che, specialmente nella società moderna, si trovano molte forme di
povertà non solo economica, ma anche culturale e religiosa. L'amore della
Chiesa per i poveri, che è determinante ed appartiene alla sua costante
tradizione, la spinge a rivolgersi al mondo nel quale, nonostante il progresso
tecnico-economico, la povertà minaccia di assumere forme gigantesche. Nei Paesi
occidentali c'è la povertà multiforme dei gruppi emarginati, degli anziani e
malati, delle vittime del consumismo e, più ancora, quella dei tanti profughi
ed emigrati; nei Paesi in via di sviluppo si profilano all'orizzonte crisi
drammatiche, se non si prenderanno in tempo misure internazionalmente
coordinate.
58.
L'amore per l'uomo e, in primo luogo, per il povero, nel quale la Chiesa vede
Cristo, si fa concreto nella promozione
della giustizia. Questa non potrà mai essere pienamente realizzata, se gli
uomini non riconosceranno nel bisognoso, che chiede un sostegno per la sua vita,
non un importuno o un fardello, ma l'occasione di bene in sé, la possibilità
di una ricchezza più grande. Solo questa consapevolezza infonderà il coraggio
per affrontare il rischio ed il cambiamento impliciti in ogni autentico
tentativo di venire in soccorso dell'altro uomo. Non si tratta, infatti, solo di
dare il superfluo, ma di aiutare interi popoli, che ne sono esclusi o
emarginati, ad entrare nel circolo dello sviluppo economico ed umano. Ciò sarà
possibile non solo attingendo al superfluo, che il nostro mondo produce in
abbondanza, ma soprattutto cambiando gli stili di vita, i modelli di produzione
e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società. Né
si tratta di distruggere strumenti di organizzazione sociale che han dato buona
prova di sé, ma di orientarli secondo un'adeguata concezione del bene comune in
riferimento all'intera famiglia umana. Oggi è in atto la cosiddetta «
mondializzazione dell'economia », fenomeno, questo, che non va deprecato, perché
può creare straordinarie occasioni di maggior benessere. Sempre più sentito,
però, è il bisogno che a questa crescente internazionalizzazione dell'economia
corrispondano validi Organi internazionali di controllo e di guida, che
indirizzino l'economia stessa al bene comune, cosa che ormai un singolo Stato,
fosse anche il più potente della terra, non è in grado di fare. Per poter
conseguire un tale risultato, occorre che cresca la concertazione tra i grandi
Paesi e che negli Organismi internazionali siano equamente rappresentati gli
interessi della grande famiglia umana. Occorre anche che essi, nel valutare le
conseguenze delle loro decisioni, tengano sempre adeguato conto di quei popoli e
Paesi che hanno scarso peso sul mercato internazionale, ma concentrano i bisogni
più vivi e dolenti e necessitano di maggior sostegno per il loro sviluppo.
Indubbiamente, in questo campo rimane molto da fare.
59.
Perché, dunque, si attui la giustizia ed abbiano successo i tentativi degli
uomini per realizzarla, è necessario il dono
della grazia, che viene da Dio. Per mezzo di essa, in collaborazione con la
libertà degli uomini, si ottiene quella misteriosa presenza di Dio nella storia
che è la Provvidenza.
L'esperienza
di novità vissuta nella sequela di Cristo esige di esser comunicata agli altri
uomini nella concretezza delle loro difficoltà, lotte, problemi e sfide, perché
siano illuminate e rese più umane dalla luce della fede. Questa, infatti, non
aiuta soltanto a trovare le soluzioni, ma rende umanamente vivibili anche le
situazioni di sofferenza, perché in esse l'uomo non si perda e non dimentichi
la sua dignità e vocazione.
La
dottrina sociale, inoltre, ha un'importante dimensione interdisciplinare. Per
incarnare meglio in contesti sociali, economici e politici diversi e
continuamente cangianti l'unica verità sull'uomo, tale dottrina entra in
dialogo con le varie discipline che si occupano dell'uomo, ne integra in sé gli
apporti e le aiuta ad aprirsi verso un orizzonte più ampio al servizio della
singola persona, conosciuta ed amata nella pienezza della sua vocazione.
Accanto
alla dimensione interdisciplinare, poi, è da ricordare la dimensione pratica e,
in un certo senso, sperimentale di questa dottrina. Essa si situa all'incrocio
della vita e della coscienza cristiana con le situazioni del mondo e si
manifesta negli sforzi che singoli, famiglie, operatori culturali e sociali,
politici e uomini di Stato mettono in atto per darle forma e applicazione nella
storia.
60.
Annunciando i principi per la soluzione della questione operaia, Leone XIII
scriveva: « La soluzione di un problema così arduo richiede il concorso e
l'efficace cooperazione anche di altri ».114 Egli era convinto che i gravi
problemi, causati dalla società industriale, potevano essere risolti soltanto
mediante la collaborazione tra tutte le forze. Questa affermazione è diventata
un elemento permanente della dottrina sociale della Chiesa, e ciò spiega, tra
l'altro, perché Giovanni XXIII indirizzò la sua Enciclica sulla pace anche a
« tutti gli uomini di buona volontà ».
Papa
Leone, tuttavia, constatava con dolore che le ideologie del tempo, specialmente
il liberalismo e il marxismo, rifiutavano questa collaborazione. Nel frattempo
molte cose sono cambiate, specialmente negli anni più recenti. Il mondo odierno
è sempre più consapevole che la soluzione dei gravi problemi nazionali e
internazionali non è soltanto questione di produzione economica o di
organizzazione giuridica o sociale, ma richiede precisi valori etico-religiosi,
nonché cambiamento di mentalità, di comportamento e di strutture. La Chiesa si
sente, in particolare, responsabile di offrire questo contributo, e — come ho
scritto nell'Enciclica Sollicitudo rei
socialis — c'è la fondata speranza che anche quel gruppo numeroso che non
confessa una religione possa contribuire a dare il necessario fondamento etico
alla questione sociale.115
Nello
stesso Documento ho pure rivolto un appello alle Chiese cristiane e a tutte le
grandi religioni del mondo, invitando ad offrire l'unanime testimonianza delle
comuni convinzioni circa la dignità dell'uomo, creato da Dio.116 Sono persuaso,
infatti, che le religioni oggi e domani avranno un ruolo preminente per la
conservazione della pace e per la costruzione di una società degna dell'uomo.
D'altra
parte, la disponibilità al dialogo e alla collaborazione vale per tutti gli
uomini di buona volontà e, in particolare, per le persone ed i gruppi che hanno
una specifica responsabilità nel campo politico, economico e sociale, a livello
sia nazionale che internazionale.
61.
All'inizio della società industriale, fu « il giogo quasi servile » che
obbligò il mio predecessore a prendere la parola in difesa
dell'uomo. A tale impegno nei cento anni trascorsi la Chiesa è rimasta
fedele! Infatti, è intervenuta nel periodo turbolento della lotta di classe
dopo la prima guerra mondiale, per difendere l'uomo dallo sfruttamento economico
e dalla tirannia dei sistemi totalitari. Ha posto la dignità della persona al
centro dei suoi messaggi sociali dopo la seconda guerra mondiale, insistendo
sulla destinazione universale dei beni materiali, su un ordine sociale senza
oppressione e fondato sullo spirito di collaborazione e di solidarietà. Ha poi
ribadito costantemente che la persona e la società non hanno bisogno soltanto
di questi beni, ma anche dei valori spirituali e religiosi. Inoltre, rendendosi
conto sempre meglio che troppi uomini vivono non nel benessere del mondo
occidentale, ma nella miseria dei Paesi in via di sviluppo, e subiscono una
condizione che è ancora quella del « giogo quasi servile », essa ha sentito e
sente l'obbligo di denunciare tale realtà con tutta chiarezza e franchezza,
benché sappia che questo suo grido non sarà sempre accolto favorevolmente da
tutti.
A
cento anni dalla pubblicazione della Rerum
novarum la Chiesa si trova tuttora davanti a « cose nuove » e a nuove
sfide. Perciò, il centenario deve confermare nell'impegno tutti gli uomini di
buona volontà e, in particolare, i credenti.
62.
Questa mia Enciclica ha voluto guardare al passato, ma soprattutto è protesa
verso il futuro. Come la Rerum novarum,
essa si colloca quasi alla soglia del nuovo secolo ed intende, con l'aiuto di
Dio, prepararne la venuta.
La
vera e perenne « novità delle cose » in ogni tempo viene dall'infinita
potenza divina, che dice: « Ecco, io faccio nuove tutte le cose » (Ap
21,5). Queste parole si riferiscono al compimento della storia, quando Cristo «
consegnerà il regno a Dio Padre ..., perché Dio sia tutto in tutti » (1 Cor 15,24.28). Ma il cristiano sa bene che la novità, che
attendiamo nella sua pienezza al ritorno del Signore, è presente fin dalla
creazione del mondo e, più propriamente, da quando Dio si è fatto uomo in Gesù
Cristo e con lui e per lui ha fatto una « nuova creazione » (2
Cor 5,17; Gal 6,15).
Nel
concludere, ringrazio ancora Dio onnipotente, che ha dato alla sua Chiesa la
luce e la forza di accompagnare l'uomo nel cammino terreno verso il destino
eterno. Anche nel terzo Millennio la Chiesa sarà fedele nel fare
propria la via dell'uomo, consapevole che non procede da sola, ma con
Cristo, suo Signore. È lui che ha fatto propria la via dell'uomo e lo guida
anche quando questi non se ne rende conto.
Maria,
la Madre del Redentore, la quale rimane accanto a Cristo nel suo cammino verso e
con gli uomini, e precede la Chiesa nel pellegrinaggio della fede, accompagni
con materna intercessione l'umanità verso il prossimo Millennio, in fedeltà a
Colui che, « ieri come oggi, è lo stesso e lo sarà sempre » (cf Eb
13,8), Gesù Cristo, nostro Signore, nel cui nome tutti benedico di cuore.
Dato
a Roma, presso San Pietro, il 1° maggio — memoria di San Giuseppe lavoratore
— dell'anno 1991, decimoterzo di pontificato.
|
IOANNES
PAULUS II
NOTE
1 LEONE XIII, lett. enc. Rerum novarum (15 maggio 1891): Leonis
XIII P.M. Acta, XI, Romae 1892, 97-144.
2 Pio XI, lett. enc. Quadragesimo
anno (15 maggio 1931): AAS 23 (1931), 177-228; Pio XII,
Messaggio radiofonico del 1° giugno 1941: AAS 33 ( 1941
),195-205; GIOVANNI XXIII, lett. enc. Mater et Magistra ( 15
maggio 1961): AAS 53 (1961), 401-464; PAOLO VI, epist. ap. Octogesima
adveniens (14 maggio 1971): AAS 63 (1971), 401-441.
3 Cf. Pio XI, lett. enc. Quadragesimo
anno, III, l.c., 228.
4 Lett. enc. Laborem
exercens (14 settembre 1981): AAS 73 (1981), 577-647; Lett.
enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987); AAS 80
(1988): 513-586.
5 Cf. S. IRENEO, Adversus
haereses, I, 10, 1; III, 4, 1: PG 7, 549 s.; 855 s.; S Ch.
264, 154 s.; 211, 44-46.
6 LEONE XIII, lett. enc.
Rerum novarum: l.c., 132.
7 Cf., ad es., LEONE
XIII, epist. enc. Arcanum, divinae sapientiae (10 febbraio 1880):
Leonis XIII P.M. Acta, II, Romae 1882, 10-40; epist. enc. Diuturnum
illud (29 giugno 1881): Leonis XIII P.M. Acta, II, Romae
1882, 269-287; lett. enc. Libertas praestantissimum (20 giugno
1888): Leonis XIII P.M. Acta, VIII, Romae 1889, 212-246; epist.
enc. Graves de communi (18 gennaio 1901): Leonis XIII P.M.
Acta, XXI, Romae 1902, 3-20.
8 Lett. enc. Rerum
novarum: l.c., 97.
9 Ibid.: l.c., 98.
10 Cf. ibid.: l.c.,
109 s.
11 Cf. ibid.:
descrizione delle condizioni di lavoro; associazioni operaie
anti-cristiane: l..c., 110 s.; 136 s.
12 Ibid.: l.c.,
130; cf. anche 114 s.
13 Ibid.: l.c.,
130.
14 Ibid.: l.c.,
123.
15 Cf. lett. enc. Laborem
exercens, 1, 2, 6: l.c., 578-583; 589-592.
16 Cf. lett. enc. Rerum
novarum: l.c., 99-107.
17 Cf. ibid.: l.c.,
102 s.
18 Cf. ibid.: l.c.,
101-104.
19 Cf. ibid.: l.c.,
134 s.; 137 s.
20 Ibid.: l.c.,
135.
21 Cf. ibid.: l.c.,
128-129.
22 Ibid.: l.c.,
129.
23 Ibid.: l.c.,
129.
24 Ibid.: l.c.,
130 s.
25 Ibid.: l.c.,
131.
26 Cf. Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo.
27 Cf. lett. enc. Rerum
novarum: l.c., 121-123.
28 Cf. ibid.: l.c.,
127.
29 Ibid.: l.c.,
126 s.
30 Cf. Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo; Dichiarazione sull'eliminazione di
ogni forma di intolleranza e discriminazione fondate sulla religione o
sulle convinzioni.
31 Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae;
GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai capi di stato (1° settembre 1980): AAS
72 (1980), 1252-1260; Messaggio per la Giornata mondiale della pace
1988: AAS 80 (1988), 278-286.
32 Cf. lett. enc. Rerum
novarum: l.c., 99-105; 130 s.; 135.
33 Ibid.: l.c.,
125.
34 Cf. lett. enc. Sollicitudo
rei socialis, 38-40: l.c., 564-569; cf. anche GIOVANNI XXIII,
lett. enc. Mater et Magistra, l.c., 407.
35 Cf. LEONE XIII, lett.
enc. Rerum novarum: l.c., 114-116; Pio XI, lett. enc.
Quadragesimo anno, III, l.c., 208; PAOLO VI, Omelia per la
chiusura dell'Anno santo (25 dicembre 1975): AAS 68 (1976), 145;
Messaggio per la Giornata mondiale della pace 1977: AAS 68 (
1976), 709.
36 Lett. enc. Sollicitudo
rei socialis, 42: l.c., 572.
37 Cf. lett. enc. Rerum
novarum: l.c., 101 s.; 104 s.; 130 s.; 136.
38 CONC. ECUM. VAT. II,
cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes,
24.
39 Lett. enc. Rerum
novarum: l.c., 99.
40 Cf. lett. enc. Sollicitudo
rei socialis, 15, 28: l.c., 530; 548 ss.
41 Cf. lett. enc.
Laborem exercens, 11-15: l.c., 602-618.
42 PIO XI, lett. enc. Quadragesimo
anno, III: l.c., 213.
43 Cf. lett. enc. Rerum
novarum: l.c., 121-125.
44 Cf. lett. enc. Laborem
exercens, 20: l.c., 629-632; Discorso all'Organizzazione
internazionale del lavoro (O.I.T.) a Ginevra (15 giugno 1982): Insegnamenti
V/2 (1982), 2250-2266; PAOLO VI, Discorso alla medesima Organizzazione
(10 giugno 1969): AAS 61 (1969), 491-502.
45 Cf. lett. enc. Laborem
exercens, 8: l.c., 594-598.
46 Cf PIO XI, lett. enc. Quadragesimo
anno: l.c., 178-181.
47 Cf. epist. enc. Arcanum
divinae sapientiae (10 febbraio 1880): Leonis XIII P.M. Acta,
II, Romae 1882, 10-40; epist. enc. Diuturnum illud (29 giugno
1881): Leonis XIII P.M. Acta, II, Romae 1882, 269-287; epist. enc.
Immortale Dei (1° novembre 1885): Leonis XIII P.M. Acta, V,
Romae 1886,118-150; lett. enc. Sapientiae Christiane (10 gennaio
1890): Leonis XIII P.M. Acta, X, Romae 1891, 10-41; epist. enc. Quod
apostolici muneris (28 dicembre 1878): Leonis XIII P.M. Acta,
I, Romae 1881, 170-183; lett. enc, Libertas praestantissimum (20
giugno 1888): Leonis XIII P.M. Acta, VIII, Romae 1889, 212-246.
48 Cf. LEONE XIII, lett.
enc. Libertas praestantissimum: l.c., 224-226.
49 Cf. Messaggio per la
Giornata mondiale della pace 1980: AAS 71 ( 1979), 1572-1580).
50 Cf. lett. enc. Sollicitudo
rei socialis, 20: l.c., 536 s.
51 Cf. GIOVANNI XXIII,
lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), III: AAS 55
(1963), 286-289.
52 Cf. Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo, del 1948; GIOVANNI XXIII, lett. enc.
Pacem in terris, IV: l.c., 291-296; «Atto Finale» della
Conferenza sulla sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE), Helsinki
1975.
53 Cf. PAOLO VI, lett.
enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 61-65: AAS 59
(1967), 287-289.
54 Cf. Messaggio per la
Giornata mondiale della pace 1980: 1.c., 1572-1580.
55 Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium
et spes, 36; 39.
56 Cf. esort. ap. Christifideles
laici (30 dicembre 1988), 32-44: AAS 81 (1989), 431-481.
57 Cf. lett. enc. Laborem
exercens, 20: l.c., 629-632.
58 Cf. CONGREGAZIONE PER
LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione sulla libertà cristiana e la
liberazione Libertatis conscientia (22 marzo 1986): AAS 79
(1987), 554-599.
59 Cf. Discorso nella
sede del Consiglio della C.E.A.O. in occasione del X anniversario dell'
«Appello per il Sahel» (Ouagadougou, Burkina Faso 29 gennaio 1990): AAS
82 (1990), 816-821.
60 Cf. GIOVANNI XXIII,
lett. enc. Pacem in Terris, III: l.c., 286-288.
61 Cf. lett. enc.
Sollicitudo rei socialis, 27-28: l.c., 547-550; PAOLO VI,
lett. enc. Populorum progressio, 43-44: l.c., 278 s.
62 Cf. lett. enc. Sollicitudo
rei socialis, 29-31: l.c., 550-556.
63 Cf. Atto di Helsinki e
Accordo di Vienna; LEONE XIII, lett. enc. Libertas praestantissimum:
l.c., 215-217
64 Cf. lett. enc. Redemptoris
missio (7 dicembre 1990), 7: L'Osservatore Romano, 23 gennaio
1991.
65 Cf. lett. enc. Rerum
novarum: l.c., 99-107; 131-133
66 Ibid.: l.c.,
111-113 s.
67 Cf. PIO XI, lett. enc.
Quadragesimo anno, II: l.c., 191; PIO XII, Messaggio
radiofonico del 1° giugno 1941: l.c., 199; GIOVANNI XXIII, lett.
enc. Mater et Magistra: l.c. 428-429; PAOLO VI, lett. enc. Populorum
progressio, 22-24: l.c., 268 s.
68 Cost. past. sulla
chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 69; 71.
69 Cf. Discorso ai
vescovi latino-americani a Puebla (28 gennaio 1979), III, 4: AAS
71 (1979), 199-201; lett. enc. Laborem exercens, 14: l.c.,
612616; lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 42: l.c.,
572-574.
70 Cf. lett. enc.
Sollicitudo rei socialis, 15: l.c., 528-531.
71 Cf. lett. enc. Laborem
exercens, 21: l.c., 632-634.
72 Cf. PAOLO VI, enc.
Populorum progressio; 33-42: l.c., 273-278.
73 Cf. lett. enc. Laborem
exercens, 7: l.c., 592-594.
74 Cf. ibid., l.c.,
594-598.
75 Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, Cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes,
35; PAOLO VI, lett. enc. Populorum progressio, 19: l.c.,
266 s.
76 Cf. lett. enc. Sollicitudo
rei socialis, 34: l.c., 559 ; Messaggio per la Giornata
mondiale della pace 1990: AAS 82 (1990), 147-156.
77 Cf. esort. ap. Reconciliatio
et Paenitentia (2 dicembre 1984), 16: AAS 77 (1985), 213-217;
PIO XI, lett. enc. Quadragesimo anno, III, l.c., 219.
78 Lett. enc. Sollicitudo
rei socialis, 25: l.c., 544.
79 Cf. ibid, 34:
l.c., 599 s.
80 Cf. lett. enc. Redemptor
hominis (4 marzo 1979), 15: AAS 71 (1979), 286-289.
81 Cf. CONC. ECUM. VA'T.
II, Cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes,
24.
82 Cf. ibid., 41.
83 Cf. ibid., 26.
84 Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes,
36; PAOLO VI, lett. ap. Octogesima adveniens, 2-5: l.c. ,
402-405 .
85 Cf. lett. enc. Laborem
exercens; 15: l.c., 616-618.
86 Cf. ibid., 10:
l.c., 600-602.
87 Cf. ibid., 14:
l.c., 612-616.
88 Cf. ibid., 18:
l.c., 622-625.
89 Cf. lett. enc. Rerum
novarum: l.c., 126-128.
90 Cf. ibid., l.c.,
121 s.
91 Cf. LEONE XIII, lett.
enc. Libertas praestantissimum: l.c., 224-226.
92 Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes,
76.
93 Cf. ibid., 29;
PIO XII, Radiomessaggio natalizio del 24 dicembre 1944: AAS 37
(1945), 10-20.
94 Cf. CONC. ECUM. VAT.
II, dich. sulla libertà religiosa Dignitatis humanae.
95 Cf. lett. enc. Redemptoris
missio, 11: L'Osservatore Romano, 23 gennaio 1991.
96 Cf. lett. enc. Redemptor
hominis, 17: l.c. 270-272.
97 Cf. Messaggio per la
Giornata mondiale della pace 1988: l.c, 1572-1580: Messaggio per
la Giornata mondiale della pace 1991: L'Osservatore Romano, 19
dicembre 1990; CONC. ECUM. VAT. II, dichiarazione sulla libertà
religiosa Dignitatis humanae, 1-2.
98 CONC. ECUM. VAT. II,
cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes,
26.
99 Cf. ibid., 22.
100 Cf. PIO XI, lett. enc.
Quadragesimo anno, I: l.c., 184-186
101 Cf. esort. ap. Familiaris
consortio (22 novembre 1981), 45: AAS 74 ( 1982), 136 s.
102 Cf. Allocuzione
all'UNESCO (2 giugno 1980): AAS 72 (1980), 735-752.
103 Cf. lett. enc. Redemptoris
missio, 39; 52: L'Osservatore Romano, 23 gennaio 1991.
104 Cf. BENEDETTO XV,
esort. Ubi primum (8 settembre 1914): AAS 6 (1914), 501
s.; PIO XI, Radiomessaggio a tutti i fedeli cattolici e a tutto il mondo
(29 settembre 1938): AAS 30 (1938), 309 s.; PIO XII,
Radiomessaggio a tutto il mondo (24 agosto 1939), 333-335; GIOVANNI
XXIII, lett enc. Pacem in terris, III: l.c., 285-289;
PAOLO VI, Discorso all'ONU (4 ottobre 1965): AAS 57 (1965),
877-885.
105 Cf. PAOLO VI, lett.
enc. Populorum progressio, 76-77: l.c., 294 s.
106 Cf. esort. ap. Familiaris
consortio, 48: l.c., 139 s.
107 Lett. enc. Rerum
novarum: l.c., 107
108 Cf. lett. enc. Redemptor
hominis, 13: l.c., 283.
109 Ibid., 14: l.c.,
284 s.
110 PAOLO VI, Omelia all'
ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II (7 dicembre
1965): AAS 58 (1966), 58.
111 Lett enc. Sollicitudo
rei socialis, 41: l.c., 571.
112 CONC. ECUM. VAT. II,
cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes,
76; cf. GIOVANNI PAOLO II, lett. enc. Redemptor hominis, 13:
l.c., 283
113 Lett. enc. Rerum
novarum: l.c., 143.
114 ibid.: l.c.,
107.
115 Cf. lett. enc. Sollicitudo
rei socialis, 38: l.c., 564-566.
116 ibid., 47:
l.c., 582.
|
|