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GIOVANNI
PAOLO II - Lettere Apostoliche:
DIES DOMINI
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LETTERA APOSTOLICA
DIES DOMINI
DEL SANTO PADRE
GIOVANNI PAOLO II
ALL'EPISCOPATO, AL CLERO E AI FEDELI
SULLA SANTIFICAZIONE DELLA DOMENICA
Venerati Fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio,
Carissimi Fratelli e Sorelle!
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INDICE
Introduzione
Capitolo Primo
DIES DOMINI
La celebrazione dell'opera del Creatore
«
Tutto è stato fatto per mezzo di lui » (Gv 1, 3)
«
In principio Dio creò il cielo e la terra » (Gn 1, 1)
Lo
« shabbat »: il gioioso riposo del Creatore
«
Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò » (Gn 2, 3)
«
Ricordare » per « santificare »
Dal
sabato alla domenica
Capitolo Secondo
DIES CHRISTI
Il giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito
La
Pasqua settimanale
Il
primo giorno della settimana
Progressiva
distinzione dal sabato
Il
giorno della nuova creazione
L'ottavo
giorno, figura dell'eternità
Il
giorno di Cristo-luce
Il
giorno del dono dello Spirito
Il
giorno della fede
Un
giorno irrinunciabile!
Capitolo Terzo
DIES ECCLESIAE
L'assemblea eucaristica cuore della domenica
La
presenza del Risorto
L'assemblea
eucaristica
L'Eucaristia
domenicale
Il
giorno della Chiesa
Popolo
pellegrinante
Giorno
della speranza
La
mensa della Parola
La
mensa del Corpo di Cristo
Convito
pasquale e incontro fraterno
Dalla
Messa alla « missione »
Il
precetto domenicale
Celebrazione
gioiosa e canora
Celebrazione
coinvolgente e partecipata
Altri
momenti della domenica cristiana
Assemblee
domenicali in assenza del sacerdote
Trasmissioni
radiofoniche e televisive
Capitolo Quarto
DIES HOMINIS
La domenica giorno di gioia, riposo e solidarietà
La
« gioia piena » di Cristo
Il
compimento del sabato
Il
giorno del riposo
Giorno
di solidarietà
Capitolo Quinto
DIES DIERUM
La domenica festa primordiale, rivelatrice del senso del tempo
Cristo
Alfa ed Omega del tempo
La
domenica nell'anno liturgico
Conclusione
Note
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INTRODUZIONE
1. Il giorno del Signore — come fu definita la domenica fin dai
tempi apostolici (1) — ha avuto sempre, nella storia della Chiesa, una
considerazione privilegiata per la sua stretta connessione col nucleo
stesso del mistero cristiano. La domenica infatti richiama, nella
scansione settimanale del tempo, il giorno della risurrezione di Cristo.
È la Pasqua della settimana, in cui si celebra la vittoria di
Cristo sul peccato e sulla morte, il compimento in lui della prima
creazione, e l'inizio della « nuova creazione » (cfr 2 Cor 5,
17). È il giorno dell'evocazione adorante e grata del primo giorno del
mondo, ed insieme la prefigurazione, nella speranza operosa, dell'«
ultimo giorno », quando Cristo verrà nella gloria (cfr At 1, 11; 1
Ts 4, 13-17) e saranno fatte « nuove tutte le cose » (cfr Ap
21, 5).
Alla domenica, pertanto, ben s'addice l'esclamazione del Salmista:
« Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo
in esso » (Sal 118 [117], 24). Questo invito alla gioia, che la
liturgia di Pasqua fa proprio, porta il segno dello stupore da cui furono
investite le donne che avevano assistito alla crocifissione di Cristo
quando, recatesi al sepolcro « di buon mattino, il primo giorno dopo il
sabato » (Mc 16, 2), lo trovarono vuoto. È invito a rivivere, in
qualche modo, l'esperienza dei due discepoli di Emmaus, che sentirono «
ardere il cuore nel petto » mentre il Risorto si affiancava a loro lungo
il cammino, spiegando le Scritture e rivelandosi nello « spezzare il pane
» (cfr Lc 24, 32.35). È l'eco della gioia, prima esitante e poi
travolgente, che gli Apostoli provarono la sera di quello stesso giorno,
quando furono visitati da Gesù risorto e ricevettero il dono della sua
pace e del suo Spirito (cfr Gv 20, 19-23).
2. La risurrezione di Gesù è il dato originario su cui poggia la
fede cristiana (cfr 1 Cor 15, 14): stupenda realtà, colta
pienamente nella luce della fede, ma storicamente attestata da coloro che
ebbero il privilegio di vedere il Signore risorto; evento mirabile che non
solo si distingue in modo assolutamente singolare nella storia degli
uomini, ma si colloca al centro del mistero del tempo. A Cristo,
infatti, come ricorda, nella suggestiva liturgia della notte di Pasqua, il
rito di preparazione del cero pasquale, « appartengono il tempo e i
secoli ». Per questo, commemorando non solo una volta all'anno, ma ogni
domenica, il giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa intende
additare ad ogni generazione ciò che costituisce l'asse portante della
storia, al quale si riconducono il mistero delle origini e quello del
destino finale del mondo.
C'è ragione dunque per dire, come suggerisce l'omelia di un
autore del IV secolo, che il « giorno del Signore » è il « signore dei
giorni ».(2) Quanti hanno ricevuto la grazia di credere nel Signore
risorto non possono non cogliere il significato di questo giorno
settimanale con l'emozione vibrante che faceva dire a san Girolamo: « La
domenica è il giorno della risurrezione, è il giorno dei cristiani, è
il nostro giorno ».(3) Essa è in effetti per i cristiani la « festa
primordiale »,(4) posta non solo a scandire il succedersi del tempo, ma a
rivelarne il senso profondo.
3. La sua importanza fondamentale, sempre riconosciuta in duemila
anni di storia, è stata ribadita con forza dal Concilio Vaticano II: «
Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dal giorno stesso della
risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto
giorni, in quello che si chiama giustamente giorno del Signore o domenica
».(5) Paolo VI ha sottolineato nuovamente tale importanza nell'approvare
il nuovo Calendario romano generale e le Norme universali che regolano
l'ordinamento dell'Anno liturgico.(6) L'imminenza del terzo millennio,
sollecitando i credenti a riflettere, alla luce di Cristo, sul cammino
della storia, li invita a riscoprire con nuovo vigore il senso della
domenica: il suo « mistero », il valore della sua celebrazione, il suo
significato per l'esistenza cristiana ed umana.
Prendo atto volentieri dei molteplici interventi magisteriali e
delle iniziative pastorali che, in questi anni del post-Concilio, voi,
venerati Fratelli nell'episcopato, sia come singoli sia congiuntamente —
ben coadiuvati dal vostro clero —, avete sviluppato su questo importante
tema. Alle soglie del Grande Giubileo dell'anno 2000, ho voluto offrirvi
questa Lettera apostolica per sostenere il vostro impegno pastorale in un
settore tanto vitale. Ma insieme desidero rivolgermi a voi tutti,
carissimi fedeli, quasi rendendomi presente spiritualmente nelle singole
comunità dove ogni domenica vi raccogliete coi vostri Pastori per
celebrare l'Eucaristia e il « giorno del Signore ». Molte delle
riflessioni e dei sentimenti che animano questa Lettera apostolica sono
maturati durante il mio servizio episcopale a Cracovia e poi, dopo
l'assunzione del ministero di Vescovo di Roma e Successore di Pietro,
nelle visite alle parrocchie romane, effettuate regolarmente proprio nelle
domeniche dei diversi periodi dell'anno liturgico. In questa Lettera mi
sembra così di continuare il dialogo vivo che amo intrattenere con i
fedeli, riflettendo con voi sul senso della domenica, e sottolineando le
ragioni per viverla come vero « giorno del Signore » anche nelle nuove
circostanze del nostro tempo.
4. A nessuno sfugge infatti che, fino ad un passato relativamente
recente, la « santificazione » della domenica era facilitata, nei Paesi
di tradizione cristiana, da una larga partecipazione popolare e quasi
dall'organizzazione stessa della società civile, che prevedeva il riposo
domenicale come punto fermo nella normativa concernente le varie attività
lavorative. Ma oggi, negli stessi Paesi in cui le leggi sanciscono il
carattere festivo di questo giorno, l'evoluzione delle condizioni
socio-economiche ha finito spesso per modificare profondamente i
comportamenti collettivi e conseguentemente la fisionomia della domenica.
Si è affermata largamente la pratica del « week-end », inteso come
tempo settimanale di sollievo, da trascorrere magari lontano dalla dimora
abituale, e spesso caratterizzato dalla partecipazione ad attività
culturali, politiche, sportive, il cui svolgimento coincide in genere
proprio coi giorni festivi. Si tratta di un fenomeno sociale e culturale
che non manca certo di elementi positivi nella misura in cui può
contribuire, nel rispetto di valori autentici, allo sviluppo umano e al
progresso della vita sociale nel suo insieme. Esso risponde non solo alla
necessità del riposo, ma anche all'esigenza di « far festa » che è
insita nell'essere umano. Purtroppo, quando la domenica perde il
significato originario e si riduce a puro « fine settimana », può
capitare che l'uomo rimanga chiuso in un orizzonte tanto ristretto che non
gli consente più di vedere il « cielo ». Allora, per quanto vestito a
festa, diventa intimamente incapace di « far festa ».(7)
Ai discepoli di Cristo è comunque chiesto di non confondere la
celebrazione della domenica, che dev'essere una vera santificazione del
giorno del Signore, col « fine settimana », inteso fondamentalmente come
tempo di semplice riposo o di evasione. È urgente a tal proposito
un'autentica maturità spirituale, che aiuti i cristiani ad « essere se
stessi », in piena coerenza con il dono della fede, sempre pronti a
rendere conto della speranza che è in loro (cfr 1 Pt 3, 15). Ciò
non può non comportare anche una comprensione più profonda della
domenica, per poterla vivere, pure in situazioni difficili, con piena
docilità allo Spirito Santo.
5. La situazione, da questo punto di vista, si presenta piuttosto
variegata. C'è, da una parte, l'esempio di alcune giovani Chiese, le
quali mostrano con quanto fervore si possa animare la celebrazione
domenicale, sia nelle città che nei villaggi più dispersi. Al contrario,
in altre regioni, a causa delle menzionate difficoltà sociologiche, e
forse della mancanza di forti motivazioni di fede, si registra una
percentuale singolarmente bassa di partecipanti alla liturgia domenicale.
Nella coscienza di molti fedeli sembra attenuarsi non soltanto il senso
della centralità dell'Eucaristia, ma persino quello del dovere di rendere
grazie al Signore, pregandolo insieme con gli altri in seno alla comunità
ecclesiale.
A tutto ciò si aggiunge che, non solo nei Paesi di missione, ma
anche in quelli di antica evangelizzazione, per l'insufficienza dei
sacerdoti non si può talvolta assicurare la celebrazione eucaristica
domenicale nelle singole comunità.
6. Di fronte a questo scenario di nuove situazioni e conseguenti
interrogativi, sembra più che mai necessario ricuperare le motivazioni
dottrinali profonde che stanno alla base del precetto ecclesiale,
perché a tutti i fedeli risulti ben chiaro il valore irrinunciabile della
domenica nella vita cristiana. Così facendo, ci muoviamo sulle tracce
della perenne tradizione della Chiesa, vigorosamente richiamata dal
Concilio Vaticano II quando ha insegnato che, nel giorno della domenica,
« i fedeli devono riunirsi in assemblea perché, ascoltando la parola di
Dio e partecipando all'Eucaristia, facciano memoria della passione, della
risurrezione e della gloria del Signore Gesù e rendano grazie a Dio che
li ha rigenerati per una speranza viva per mezzo della risurrezione di Gesù
Cristo dai morti (cfr 1 Pt 1, 3) ».(8)
7. In effetti, il dovere di santificare la domenica, soprattutto
con la partecipazione all'Eucaristia e con un riposo ricco di gioia
cristiana e di fraternità, ben si comprende se si considerano le
molteplici dimensioni di questa giornata, a cui porteremo attenzione nella
presente Lettera.
Essa è un giorno che sta nel cuore stesso della vita cristiana.
Se, fin dall'inizio del mio Pontificato, non mi sono stancato di ripetere:
« Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! »,(9)
in questa stessa linea vorrei oggi invitare tutti con forza a riscoprire
la domenica: Non abbiate paura di dare il vostro tempo a Cristo! Sì,
apriamo a Cristo il nostro tempo, perché egli lo possa illuminare e
indirizzare. Egli è Colui che conosce il segreto del tempo e il segreto
dell'eterno, e ci consegna il « suo giorno » come un dono sempre nuovo
del suo amore. La riscoperta di questo giorno è grazia da implorare, non
solo per vivere in pienezza le esigenze proprie della fede, ma anche per
dare concreta risposta ad aneliti intimi e veri che sono in ogni essere
umano. Il tempo donato a Cristo non è mai tempo perduto, ma piuttosto
tempo guadagnato per l'umanizzazione profonda dei nostri rapporti e della
nostra vita.
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CAPITOLO PRIMO
DIES DOMINI
La celebrazione
dell'opera del Creatore
« Tutto è stato fatto per mezzo di lui »
(Gv 1, 3)
8. Nell'esperienza cristiana, la domenica è prima di tutto una
festa pasquale, totalmente illuminata dalla gloria del Cristo risorto. È
la celebrazione della « nuova creazione ». Ma proprio questo suo
carattere, se compreso in profondità, appare inscindibile dal messaggio
che la Scrittura, fin dalle prime sue pagine, ci offre sul disegno di Dio
nella creazione del mondo. Se è vero, infatti, che il Verbo si è fatto
carne nella « pienezza del tempo » (Gal 4, 4), non è meno vero
che, in forza del suo stesso mistero di Figlio eterno del Padre, egli è
origine e fine dell'universo. Lo afferma Giovanni, nel prologo del suo
Vangelo: « Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è
stato fatto di tutto ciò che esiste » (1, 3). Lo sottolinea ugualmente
Paolo scrivendo ai Colossesi: « Per mezzo di lui sono state create tutte
le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle
invisibili [...]. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in
vista di lui » (1, 16). Questa presenza attiva del Figlio nell'opera
creatrice di Dio si è rivelata pienamente nel mistero pasquale, in cui
Cristo, risorgendo come « primizia di coloro che sono morti » (1 Cor
15, 20), ha inaugurato la nuova creazione ed ha avviato il processo che
egli stesso porterà a compimento al momento del suo ritorno glorioso, «
quando consegnerà il regno a Dio Padre [...], perché Dio sia tutto in
tutti » (1 Cor 15, 24.28).
Già nel mattino della creazione, quindi, il progetto di Dio
implicava questo « compito cosmico » di Cristo. Questa prospettiva
cristocentrica, proiettata su tutto l'arco del tempo, era presente
nello sguardo compiaciuto di Dio quando, cessando da ogni suo lavoro, «
benedisse il settimo giorno e lo santificò » (Gn 2, 3). Nasceva
allora — secondo l'autore sacerdotale del primo racconto biblico della
creazione — il « sabato », che tanto caratterizza la prima Alleanza,
ed in qualche modo preannuncia il giorno sacro della nuova e definitiva
Alleanza. Lo stesso tema del « riposo di Dio » (cfr Gn 2, 2) e
del riposo da lui offerto al popolo dell'Esodo con l'ingresso nella terra
promessa (cfr Es 33, 14; Dt 3, 20; 12, 9; Gs 21, 44; Sal
95 [94], 11) è riletto nel Nuovo Testamento in una luce nuova, quella
del definitivo « riposo sabbatico » (Eb 4, 9) in cui Cristo
stesso è entrato con la sua risurrezione e in cui è chiamato ad entrare
il popolo di Dio, perseverando sulle orme della sua obbedienza filiale
(cfr Eb 4, 3-16). È necessario pertanto rileggere la grande pagina
della creazione e approfondire la teologia del « sabato », per
introdursi alla piena comprensione della domenica.
« In principio Dio creò il cielo e la terra »
(Gn 1, 1)
9. Lo stile poetico del racconto genesiaco della creazione rende
bene lo stupore che l'uomo avverte di fronte all'immensità del creato e
il sentimento di adorazione che ne deriva verso Colui che ha tratto dal
nulla tutte le cose. È una pagina di intenso significato religioso, un
inno al Creatore dell'universo, additato come l'unico Signore di fronte
alle ricorrenti tentazioni di divinizzare il mondo stesso. È insieme un
inno alla bontà del creato, tutto plasmato dalla mano potente e
misericordiosa di Dio.
« Dio vide che era cosa buona » (Gn 1, 10.12, ecc.).
Questo ritornello che scandisce il racconto proietta una luce positiva
su ogni elemento dell'universo, lasciando al tempo stesso intravedere
il segreto per la sua appropriata comprensione e per la sua possibile
rigenerazione: il mondo è buono nella misura in cui rimane ancorato alla
sua origine e, dopo che il peccato lo ha deturpato, ridiventa buono, se
torna, con l'aiuto della grazia, a Colui che lo ha fatto. Questa
dialettica, ovviamente, non riguarda direttamente le cose inanimate e gli
animali, ma gli esseri umani, ai quali è stato concesso il dono
incomparabile, ma anche il rischio, della libertà. La Bibbia, subito dopo
i racconti della creazione, mette appunto in evidenza il drammatico
contrasto tra la grandezza dell'uomo, creato ad immagine e somiglianza di
Dio, e la sua caduta, che apre nel mondo l'oscuro scenario del peccato e
della morte (cfr Gn 3).
10. Uscito com'è dalle mani di Dio, il cosmo porta l'impronta
della sua bontà. È un mondo bello, degno di essere ammirato e goduto, ma
destinato anche ad essere coltivato e sviluppato. Il « completamento »
dell'opera di Dio apre il mondo al lavoro dell'uomo. « Allora Dio nel
settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto » (Gn
2, 2). Attraverso questa evocazione antropomorfica del « lavoro »
divino, la Bibbia non soltanto ci apre uno spiraglio sul misterioso
rapporto tra il Creatore e il mondo creato, ma proietta luce anche sul
compito che l'uomo ha verso il cosmo. Il « lavoro » di Dio è in qualche
modo esemplare per l'uomo. Questi infatti non è solo chiamato ad abitare,
ma anche a « costruire » il mondo, facendosi così « collaboratore »
di Dio. I primi capitoli della Genesi, come scrivevo nell'Enciclica Laborem
exercens, costituiscono in certo senso il primo « vangelo
del lavoro ».(10) È una verità sottolineata anche dal Concilio Vaticano
II: « L'uomo, creato a immagine di Dio, ha ricevuto il comando di
sottomettere a sé la terra con tutto quanto essa contiene, e di governare
il mondo nella giustizia e nella santità, e così pure di riportare a Dio
se stesso e l'universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le
cose, in modo che, nella subordinazione di tutte le realtà all'uomo sia
glorificato il nome di Dio su tutta la terra ».(11)
La vicenda esaltante dello sviluppo della scienza, della tecnica,
della cultura nelle loro varie espressioni — sviluppo sempre più
rapido, ed oggi addirittura vertiginoso — è il frutto, nella storia del
mondo, della missione con la quale Dio ha affidato all'uomo e alla donna
il compito e la responsabilità di riempire la terra e di soggiogarla
attraverso il lavoro, nell'osservanza della sua Legge.
Lo « shabbat »: il gioioso riposo del Creatore
11. Se è esemplare per l'uomo, nella prima pagina della Genesi,
il « lavoro » di Dio, altrettanto lo è il suo « riposo »: « Cessò
nel settimo giorno da ogni suo lavoro« (Gn 2, 2). Anche qui
siamo di fronte ad un antropomorfismo ricco di un fecondo messaggio.
Il « riposo » di Dio non può essere banalmente interpretato
come una sorta di « inattività » di Dio. L'atto creatore che è a
fondamento del mondo è infatti di sua natura permanente e Dio non cessa
mai di operare, come Gesù stesso si preoccupa di ricordare proprio in
riferimento al precetto del sabato: « Il Padre mio opera sempre e anch'io
opero » (Gv 5, 17). Il riposo divino del settimo giorno non allude
a un Dio inoperoso, ma sottolinea la pienezza della realizzazione compiuta
e quasi esprime la sosta di Dio di fronte all'opera « molto buona » (Gn
1, 31) uscita dalle sue mani, per volgere ad essa uno sguardo colmo di
gioioso compiacimento: uno sguardo « contemplativo », che non mira
più a nuove realizzazioni, ma piuttosto a godere la bellezza di quanto è
stato compiuto; uno sguardo portato su tutte le cose, ma in modo
particolare sull'uomo, vertice della creazione. È uno sguardo in cui si
può in qualche modo già intuire la dinamica « sponsale » del rapporto
che Dio vuole stabilire con la creatura fatta a sua immagine, chiamandola
ad impegnarsi in un patto di amore. È ciò che egli realizzerà
progressivamente, nella prospettiva della salvezza offerta all'intera
umanità, mediante l'alleanza salvifica stabilita con Israele e culminata
poi in Cristo: sarà proprio il Verbo incarnato, attraverso il dono
escatologico dello Spirito Santo e la costituzione della Chiesa come suo
corpo e sua sposa, ad estendere l'offerta di misericordia e la proposta
dell'amore del Padre all'intera umanità.
12. Nel disegno del Creatore c'è una distinzione, ma anche un
intimo nesso tra l'ordine della creazione e l'ordine della salvezza. Già
l'Antico Testamento lo sottolinea, quando pone il comandamento concernente
lo « shabbat » in rapporto non soltanto col misterioso « riposo » di
Dio dopo i giorni dell'attività creatrice (cfr Es 20, 8-11), ma
anche con la salvezza da lui offerta ad Israele nella liberazione dalla
schiavitù dell'Egitto (cfr Dt 5, 12-15). Il Dio che riposa il
settimo giorno rallegrandosi per la sua creazione, è lo stesso che mostra
la sua gloria liberando i suoi figli dall'oppressione del faraone.
Nell'uno e nell'altro caso si potrebbe dire, secondo un'immagine cara ai
profeti, che egli si manifesta come lo sposo di fronte alla sposa
(cfr Os 2, 16-24; Ger 2, 2; Is 54, 4-8).
Per andare infatti al cuore dello « shabbat », del « riposo »
di Dio, come alcuni elementi della stessa tradizione ebraica
suggeriscono,(12) occorre cogliere l'intensità sponsale che caratterizza,
dall'Antico al Nuovo Testamento, il rapporto di Dio con il suo popolo. Così
la esprime, ad esempio, questa meravigliosa pagina di Osea: « In quel
tempo farò per loro un'alleanza con le bestie della terra e gli uccelli
del cielo e con i rettili del suolo; arco e spada e guerra eliminerò dal
paese; e li farò riposare tranquilli. Ti farò mia sposa per sempre, ti
farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e
nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore
» (2, 20-22).
« Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò
» (Gn 2, 3)
13. Il precetto del sabato, che nella prima Alleanza prepara la
domenica della nuova ed eterna Alleanza, si radica dunque nella profondità
del disegno di Dio. Proprio per questo esso non è collocato accanto ad
ordinamenti semplicemente cultuali, come è il caso di tanti altri
precetti, ma all'interno del Decalogo, le « dieci parole » che delineano
i pilastri della vita morale, inscritta universalmente nel cuore
dell'uomo. Cogliendo questo comandamento nell'orizzonte delle strutture
fondamentali dell'etica, Israele e poi la Chiesa mostrano di non
considerarlo una semplice disposizione di disciplina religiosa
comunitaria, ma un'espressione qualificante e irrinunciabile del
rapporto con Dio annunciato e proposto dalla rivelazione biblica. È
in questa prospettiva che tale precetto va anche oggi riscoperto da parte
dei cristiani. Se esso ha pure una naturale convergenza con il bisogno
umano del riposo, è tuttavia alla fede che bisogna far capo per coglierne
il senso profondo, e non rischiare di banalizzarlo e tradirlo.
14. Il giorno del riposo è dunque tale innanzitutto perché è il
giorno « benedetto » da Dio e da lui « santificato », ossia separato
dagli altri giorni per essere, tra tutti, il « giorno del Signore ».
Per comprendere appieno il senso di questa « santificazione »
del sabato nel primo racconto biblico della creazione, occorre guardare
all'insieme del testo, dal quale emerge con chiarezza come ogni realtà,
senza eccezioni, vada ricondotta a Dio. Il tempo e lo spazio gli
appartengono. Egli non è il Dio di un solo giorno, ma il Dio di tutti i
giorni dell'uomo.
Se dunque egli « santifica » il settimo giorno con una speciale
benedizione e ne fa il « suo giorno » per eccellenza, ciò va inteso
proprio nella dinamica profonda del dialogo di alleanza, anzi del dialogo
« sponsale ». È un dialogo di amore che non conosce interruzioni, e che
tuttavia non è monocorde: si svolge infatti adoperando i diversi registri
dell'amore, dalle manifestazioni ordinarie e indirette a quelle più
intense che le parole della Scrittura e poi le testimonianze di tanti
mistici non temono di descrivere con immagini tratte dall'esperienza
dell'amore nuziale.
15. In realtà, tutta la vita dell'uomo e tutto il tempo
dell'uomo, devono essere vissuti come lode e ringraziamento nei confronti
del Creatore. Ma il rapporto dell'uomo con Dio ha bisogno anche di
momenti di esplicita preghiera, in cui il rapporto si fa dialogo
intenso, coinvolgente ogni dimensione della persona. Il « giorno del
Signore » è, per eccellenza, il giorno di questo rapporto, in cui l'uomo
eleva a Dio il suo canto, facendosi voce dell'intera creazione.
Proprio per questo è anche il giorno del riposo:
l'interruzione del ritmo spesso opprimente delle occupazioni esprime, con
il linguaggio plastico della « novità » e del « distacco », il
riconoscimento della dipendenza propria e del cosmo da Dio. Tutto è di
Dio! Il giorno del Signore torna continuamente ad affermare questo
principio. Il « sabato » è stato perciò suggestivamente interpretato
come un elemento qualificante in quella sorta di « architettura sacra »
del tempo che caratterizza la rivelazione biblica.(13) Esso sta a
ricordare che a Dio appartengono il cosmo e la storia, e l'uomo non
può dedicarsi alla sua opera di collaboratore del Creatore nel mondo,
senza prendere costantemente coscienza di questa verità.
« Ricordare » per « santificare »
16. Il comandamento del Decalogo con cui Dio impone l'osservanza
del sabato ha, nel Libro dell'Esodo, una formulazione caratteristica: «
Ricordati del giorno di sabato per santificarlo » (20, 8). E più oltre
il testo ispirato ne dà la motivazione richiamando l'opera di Dio: «
perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e
quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perché il Signore
ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro » (v. 11).
Prima di imporre qualcosa da fare, il comandamento segnala qualcosa
da ricordare. Invita a risvegliare la memoria di quella grande e
fondamentale opera di Dio che è la creazione. E memoria che deve animare
tutta la vita religiosa dell'uomo, per confluire poi nel giorno in cui
l'uomo è chiamato a riposare. Il riposo assume così una tipica
valenza sacra: il fedele è invitato a riposare non solo come Dio
ha riposato, ma a riposare nel Signore, riportando a lui tutta la
creazione, nella lode, nel rendimento di grazie, nell'intimità filiale e
nell'amicizia sponsale.
17. Il tema del « ricordo » delle meraviglie compiute da Dio, in
rapporto al riposo sabbatico, emerge anche nel testo del Deuteronomio (5,
12-15), dove il fondamento del precetto è colto non tanto nell'opera
della creazione, quanto in quella della liberazione operata da Dio
nell'Esodo: « Ricordati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il
Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso;
perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato » (Dt
5, 15).
Questa formulazione appare complementare alla precedente:
considerate insieme, esse svelano il senso del « giorno del Signore »
all'interno di una prospettiva unitaria di teologia della creazione e
della salvezza. Il contenuto del precetto non è dunque primariamente una
qualunque interruzione del lavoro, ma la celebrazione delle
meraviglie operate da Dio.
Nella misura in cui questo « ricordo », colmo di gratitudine
e di lode verso Dio, è vivo, il riposo dell'uomo, nel giorno del
Signore, assume il suo pieno significato. Con esso, l'uomo entra nella
dimensione del « riposo » di Dio e ne partecipa profondamente,
diventando così capace di provare un fremito di quella gioia che il
Creatore stesso provò dopo la creazione, vedendo che tutto quello che
aveva fatto « era cosa molto buona » (Gn 1, 31).
Dal sabato alla domenica
18. Per questa essenziale dipendenza del terzo comandamento dalla
memoria delle opere salvifiche di Dio, i cristiani, percependo
l'originalità del tempo nuovo e definitivo inaugurato da Cristo, hanno
assunto come festivo il primo giorno dopo il sabato, perché in esso è
avvenuta la risurrezione del Signore. Il mistero pasquale di Cristo
costituisce, infatti, la rivelazione piena del mistero delle origini, il
vertice della storia della salvezza e l'anticipazione del compimento
escatologico del mondo. Ciò che Dio ha operato nella creazione e ciò che
ha attuato per il suo popolo nell'Esodo ha trovato nella morte e
risurrezione di Cristo il suo compimento, anche se questo avrà la sua
espressione definitiva solo nella parusia, con la venuta gloriosa
di Cristo. In lui si realizza pienamente il senso « spirituale » del
sabato, come sottolinea san Gregorio Magno: « Noi consideriamo vero
sabato la persona del nostro Redentore, il Signore nostro Gesù Cristo ».(14)
Per questo la gioia con cui Dio, nel primo sabato dell'umanità, contempla
la creazione tratta dal nulla è ormai espressa da quella gioia con cui
Cristo, nella domenica di Pasqua è apparso ai suoi, portando il dono
della pace e dello Spirito (cfr Gv 20, 19-23). Nel mistero
pasquale, infatti, la condizione umana, e con essa l'intera creazione, «
che geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto » (Rm 8,
22), ha conosciuto il suo nuovo « esodo » verso la libertà dei figli di
Dio che possono gridare, con Cristo, « Abbà, Padre » (Rm 8, 15; Gal
4, 6). Alla luce di questo mistero, il senso del precetto
antico-testamentario sul giorno del Signore viene ricuperato, integrato e
pienamente svelato nella gloria che rifulge sul volto di Cristo Risorto
(cfr 2 Cor 4, 6). Dal « sabato » si passa al « primo giorno dopo
il sabato », dal settimo giorno al primo giorno: il dies Domini
diventa il dies Christi !
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CAPITOLO SECONDO
DIES CHRISTI
Il giorno del Signore
risorto
e del dono dello Spirito
La Pasqua settimanale
19. « Noi celebriamo la domenica a causa della venerabile
risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, non soltanto a Pasqua, ma
anche a ogni ciclo settimanale »: così scriveva, agli inizi del V°
secolo, Papa Innocenzo I,(15) testimoniando una prassi ormai consolidata,
che era andata sviluppandosi a partire già dai primi anni successivi alla
risurrezione del Signore. San Basilio parla della « santa domenica,
onorata dalla risurrezione del Signore, primizia di tutti gli altri giorni
».(16) Sant'Agostino chiama la domenica « sacramento della Pasqua ».(17)
Questo intimo legame della domenica con la risurrezione del
Signore è sottolineato fortemente da tutte le Chiese, in Occidente come
in Oriente. Nella tradizione delle Chiese orientali, in particolare, ogni
domenica è la anastàsimos hemèra, il giorno della
risurrezione,(18) e proprio per questo suo carattere è il centro di tutto
il culto.
Alla luce di questa ininterrotta ed universale tradizione, si vede
chiaramente che, per quanto il giorno del Signore affondi le radici, come
s'è detto, nell'opera stessa della creazione, e più direttamente nel
mistero del biblico « riposo » di Dio, è tuttavia alla risurrezione di
Cristo che bisogna far specifico riferimento per coglierne appieno il
significato. È quanto avviene nella domenica cristiana, la quale
ripropone ogni settimana alla considerazione e alla vita dei fedeli
l'evento pasquale, da cui sgorga la salvezza del mondo.
20. Secondo la concorde testimonianza evangelica, la risurrezione
di Gesù Cristo dai morti avvenne nel « primo giorno dopo il sabato » (Mc
16, 2.9; Lc 24, 1; Gv 20, 1). In quello stesso giorno, il
Risorto si manifestò ai due discepoli di Emmaus (cfr Lc 24, 13-35)
ed apparve agli undici Apostoli riuniti insieme (cfr Lc 24, 36; Gv
20, 19). Otto giorni dopo — come testimonia il Vangelo di Giovanni (cfr
20, 26) — i discepoli si trovavano nuovamente riuniti, quando Gesù
apparve loro e si fece riconoscere da Tommaso, mostrando i segni della sua
passione. Era domenica il giorno della Pentecoste, primo giorno
dell'ottava settimana dopo la pasqua giudaica (cfr At 2, 1), quando
con l'effusione dello Spirito Santo si realizzò la promessa fatta da Gesù
agli Apostoli dopo la risurrezione (cfr Lc 24, 49; At 1,
4-5). Fu quello il giorno del primo annuncio e dei primi battesimi: Pietro
proclamò alla folla riunita che il Cristo era risuscitato e « quelli che
accolsero la sua parola furono battezzati » (At 2, 41). Fu
l'epifania della Chiesa, manifestata come popolo nel quale confluiscono in
unità, al di là di tutte le diversità, i figli di Dio dispersi.
Il primo giorno della settimana
21. È su questa base che, fin dai tempi apostolici, « il primo
giorno dopo il sabato », primo della settimana, cominciò a
caratterizzare il ritmo stesso della vita dei discepoli di Cristo (cfr 1 Cor
16, 2). « Primo giorno dopo il sabato » era anche quello in cui i fedeli
di Troade si trovavano riuniti « per la frazione del pane », quando
Paolo rivolse loro il discorso di addio e compì un miracolo per rianimare
il giovane Eutico (cfr At 20, 7-12). Il Libro dell'Apocalisse
testimonia l'uso di dare a questo primo giorno della settimana il nome di
« giorno del Signore » (1, 10). Ormai ciò sarà una delle
caratteristiche che distingueranno i cristiani dal mondo circostante. Lo
notava, fin dall'inizio del secondo secolo, il governatore della Bitinia,
Plinio il Giovane, constatando l'abitudine dei cristiani « di riunirsi a
giorno fisso prima della levata del sole e di cantare tra di loro un inno
a Cristo come a un dio ».(19) E, in effetti, quando i cristiani dicevano
« giorno del Signore », lo facevano dando a questo termine la pienezza
di senso derivante dal messaggio pasquale: « Gesù Cristo è Signore » (Fil
2, 11; cfr At 2, 36; 1 Cor 12, 3). Si riconosceva con ciò a
Cristo lo stesso titolo col quale i Settanta traducevano, nella
rivelazione dell'Antico Testamento, il nome proprio di Dio, JHWH, che non
era lecito pronunciare.
22. In questi primi tempi della Chiesa, il ritmo settimanale dei
giorni non era generalmente conosciuto nelle regioni in cui il Vangelo si
diffondeva e i giorni festivi dei calendari greco e romano non
coincidevano con la domenica cristiana. Ciò comportava per i cristiani
una notevole difficoltà a osservare il giorno del Signore col suo
carattere fisso settimanale. Si spiega così perché i fedeli fossero
costretti a riunirsi prima del sorgere del sole.(20) La fedeltà al ritmo
settimanale tuttavia si imponeva, in quanto fondata sul Nuovo Testamento e
legata alla rivelazione dell'Antico Testamento. Lo sottolineano volentieri
gli Apologisti ed i Padri della Chiesa nei loro scritti e nella loro
predicazione. Il mistero pasquale veniva illustrato attraverso quei testi
della Scrittura che, secondo la testimonianza di san Luca (cfr 24,
27.44-47), il Cristo risorto stesso doveva aver spiegato ai discepoli.
Alla luce di tali testi, la celebrazione del giorno della risurrezione
acquistava un valore dottrinale e simbolico capace di esprimere tutta la
novità del mistero cristiano.
Progressiva distinzione dal sabato
23. È proprio su questa novità che insiste la catechesi dei
primi secoli, impegnata a caratterizzare la domenica rispetto al sabato
ebraico. Di sabato cadeva per gli ebrei il dovere della riunione nella
sinagoga e andava praticato il riposo prescritto dalla Legge. Gli
Apostoli, e in particolare san Paolo, continuarono dapprima a frequentare
la sinagoga per potervi annunciare Gesù Cristo commentando « le parole
dei profeti che si leggono ogni sabato » (At 13, 27). In alcune
comunità si poteva registrare la coesistenza dell'osservanza del sabato
con la celebrazione domenicale. Ben presto, però, si iniziò a
distinguere i due giorni in modo sempre più netto, soprattutto per
reagire alle insistenze di quei cristiani che, provenendo dal giudaismo,
erano inclini a conservare l'obbligo dell'antica Legge. Sant'Ignazio di
Antiochia scrive: « Se coloro che vivevano nell'antico ordine di cose
sono venuti a una nuova speranza, non osservando più il sabato ma vivendo
secondo il giorno del Signore, giorno in cui la nostra vita è sorta
attraverso lui e la sua morte [...], mistero dal quale abbiamo ricevuto la
fede e nel quale perseveriamo per essere trovati discepoli di Cristo,
nostro solo Maestro, come potremmo vivere senza di lui, che anche i
profeti attendevano come maestro, essendo suoi discepoli nello Spirito? ».(21)
E sant'Agostino a sua volta osserva: « Perciò anche il Signore ha
impresso il suo sigillo al suo giorno, che è il terzo dopo la passione.
Esso però, nel ciclo settimanale, è l'ottavo dopo il settimo cioè dopo
il sabato, e il primo della settimana ».(22) La distinzione della
domenica dal sabato ebraico si consolida sempre più nella coscienza
ecclesiale, ma in certi periodi della storia, per l'enfasi data
all'obbligo del riposo festivo, si registrerà una certa tendenza alla «
sabbatizzazione » del giorno del Signore. Non sono mancati inoltre
settori della cristianità in cui il sabato e la domenica sono stati
osservati come « due giorni fratelli ».(23)
Il giorno della nuova creazione
24. Il confronto della domenica cristiana con la prospettiva
sabbatica, propria dell'Antico Testamento, suscitò anche approfondimenti
teologici di grande interesse. In particolare, fu posta in luce la
singolare connessione esistente tra la risurrezione e la creazione. Fu
infatti spontaneo per la riflessione cristiana collegare la risurrezione
avvenuta « il primo giorno della settimana » con il primo giorno di
quella settimana cosmica (cfr Gn 1, 1-2.4) secondo cui il libro
della Genesi scandisce l'evento della creazione: il giorno della creazione
della luce (cfr 1, 3-5). Tale nesso invitava a comprendere la risurrezione
come l'inizio di una nuova creazione, della quale il Cristo glorioso
costituisce la primizia, essendo egli, « generato prima di ogni creatura
» (Col 1, 15), anche « il primogenito di coloro che risuscitano
dai morti » (Col 1, 18).
25. La domenica è, in effetti, il giorno in cui, più che in ogni
altro, il cristiano è chiamato a ricordare la salvezza che gli è stata
offerta nel battesimo e che lo ha reso uomo nuovo in Cristo. « Con lui
infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui siete anche
stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha
risuscitato dai morti » (Col 2, 12; cfr Rm 6, 4-6). La
liturgia sottolinea questa dimensione battesimale della domenica, sia
esortando a celebrare i battesimi, oltre che nella Veglia pasquale, anche
in questo giorno settimanale « in cui la Chiesa commemora la risurrezione
del Signore »,(24) sia suggerendo, quale opportuno rito penitenziale
all'inizio della Messa, l'aspersione con l'acqua benedetta, che richiama
appunto l'evento battesimale in cui nasce ogni esistenza cristiana.(25)
L'ottavo giorno, figura dell'eternità
26. D'altra parte, il fatto che il sabato risulti settimo giorno
della settimana fece considerare il giorno del Signore alla luce di un
simbolismo complementare, molto caro ai Padri: la domenica, oltre che
primo giorno, è anche « giorno ottavo », posto cioè, rispetto alla
successione settenaria dei giorni, in una posizione unica e trascendente,
evocatrice non solo dell'inizio del tempo, ma anche della sua fine nel «
secolo futuro ». San Basilio spiega che la domenica significa il giorno
veramente unico che seguirà il tempo attuale, il giorno senza termine che
non conoscerà né sera né mattino, il secolo imperituro che non potrà
invecchiare; la domnenica è il preannuncio incessante della vita senza
fine, che rianima la speranza dei cristiani e li incoraggia nel loro
cammino.(26) Nella prospettiva del giorno ultimo, che invera pienamente il
simbolismo anticipatore del sabato, sant'Agostino conclude le Confessioni
parlando dell'eschaton come « pace del riposo, pace del sabato,
pace senza sera ».(27) La celebrazione della domenica, giorno « primo »
e insieme « ottavo », proietta il cristiano verso il traguardo della
vita eterna.(28)
Il giorno di Cristo-luce
27. In questa prospettiva cristocentrica, si comprende un'altra
valenza simbolica che la riflessione credente e la pratica pastorale
attribuirono al giorno del Signore. Un'accorta intuizione pastorale,
infatti, suggerì alla Chiesa di cristianizzare, per la domenica, la
connotazione di « giorno del sole », espressione con cui i romani
denominavano questo giorno e che ancora emerge in alcune lingue
contemporanee,(29) sottraendo i fedeli alle seduzioni di culti che
divinizzavano il sole e indirizzando la celebrazione di questo giorno a
Cristo, vero « sole » dell'umanità. San Giustino, scrivendo ai pagani,
utilizza la terminologia corrente per annotare che i cristiani facevano la
loro adunanza « nel giorno detto del sole »,(30) ma il riferimento a
questa espressione assume ormai per i credenti un senso nuovo,
perfettamente evangelico.(31) Cristo è infatti la luce del mondo (cfr Gv
9, 5; cfr anche 1, 4-5.9), e il giorno commemorativo della sua
risurrezione è il riflesso perenne, nella scansione settimanale del
tempo, di questa epifania della sua gloria. Il tema della domenica come
giorno illuminato dal trionfo di Cristo risorto trova spazio nella
Liturgia delle Ore (32) ed ha una particolare enfasi nella veglia notturna
che, nelle liturgie orientali, prepara e introduce la domenica.
Radunandosi in questo giorno, la Chiesa fa suo, di generazione in
generazione, lo stupore di Zaccaria, quando volge lo sguardo verso Cristo
annunciandolo come « sole che sorge per rischiarare quelli che stanno
nelle tenebre e nell'ombra della morte » (Lc 1, 78-79), e vibra in
sintonia con la gioia provata da Simeone nel prendere tra le braccia il
Bimbo divino venuto come « luce per illuminare le genti » (Lc 2,
32).
Il giorno del dono dello Spirito
28. Giorno di luce, la domenica potrebbe dirsi anche, in
riferimento allo Spirito Santo, giorno del « fuoco ». La luce di Cristo,
infatti, è intimamente connessa col « fuoco » dello Spirito, e ambedue
le immagini indicano il senso della domenica cristiana.(33) Apparendo agli
Apostoli la sera di Pasqua, Gesù alitò su di loro e disse: « Ricevete
lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non
li rimetterete, resteranno non rimessi » (Gv 20, 22-23).
L'effusione dello Spirito fu il grande dono del Risorto ai suoi discepoli
la domenica di Pasqua. Era ancora domenica, quando, cinquanta giorni dopo
la risurrezione, lo Spirito scese con potenza, come « vento gagliardo »
e « fuoco » (At 2, 23) sugli Apostoli riuniti con Maria. La
Pentecoste non è solo evento originario, ma mistero che anima
permanentemente la Chiesa.(34) Se tale evento ha il suo tempo liturgico
forte nella celebrazione annuale con cui si chiude la « grande domenica
»,(35) esso rimane inscritto, proprio per la sua intima connessione col
mistero pasquale, anche nel senso profondo di ogni domenica. La « Pasqua
della settimana » si fa così, in qualche modo, « Pentecoste della
settimana », nella quale i cristiani rivivono l'esperienza gioiosa
dell'incontro degli Apostoli col Risorto, lasciandosi vivificare dal
soffio del suo Spirito.
Il giorno della fede
29. Per tutte queste dimensioni che la contraddistinguono, la
domenica appare il giorno della fede per eccellenza. In esso lo Spirito
Santo, « memoria » viva della Chiesa (cfr Gv 14, 26), fa della
prima manifestazione del Risorto un evento che si rinnova nell'« oggi »
di ciascuno dei discepoli di Cristo. Posti davanti a lui, nell'assemblea
domenicale, i credenti si sentono interpellati come l'apostolo Tommaso: «
Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila
nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente! » (Gv
20, 27). Sì, la domenica è il giorno della fede. Lo sottolinea il fatto
che la liturgia eucaristica domenicale, come peraltro quella delle
solennità liturgiche, prevede la professione di fede. Il « Credo »,
recitato o cantato, evidenzia il carattere battesimale e pasquale della
domenica, facendone il giorno in cui, a titolo speciale, il battezzato
rinnova la propria adesione a Cristo ed al suo Vangelo nella ravvivata
consapevolezza delle promesse battesimali. Accogliendo la Parola e
ricevendo il Corpo del Signore, egli contempla Gesù risorto presente nei
« santi segni » e confessa con l'apostolo Tommaso: « Mio Signore e mio
Dio! » (Gv 20, 28).
Un giorno irrinunciabile!
30. Si comprende allora perché, anche nel contesto delle
difficoltà del nostro tempo, l'identità di questo giorno debba essere
salvaguardata e soprattutto profondamente vissuta. Un autore orientale
dell'inizio del III secolo riferisce che in ogni regione i fedeli già
allora santificavano regolarmente la domenica.(36) La prassi spontanea è
divenuta poi norma giuridicamente sancita: il giorno del Signore ha
scandito la storia bimillenaria della Chiesa. Come potrebbe pensarsi che
esso non continui a segnare il suo futuro? I problemi che, nel nostro
tempo, possono rendere più difficile la pratica del dovere domenicale non
mancano di trovare la Chiesa sensibile e maternamente attenta alle
condizioni dei singoli suoi figli. In particolare, essa si sente chiamata
ad un nuovo impegno catechetico e pastorale, perché nessuno di essi,
nelle normali condizioni di vita, resti privo dell'abbondante flusso di
grazia che la celebrazione del giorno del Signore porta con sé. Nello
stesso spirito, prendendo posizione su ipotesi di riforma del calendario
ecclesiale in rapporto a variazioni dei sistemi di calendario civile, il
Concilio Ecumenico Vaticano II ha dichiarato che la Chiesa « non si
oppone a quelli soltanto che conservano e tutelano la settimana di sette
giorni con la domenica ».(37) Alle soglie del terzo millennio, la
celebrazione della domenica cristiana, per i significati che evoca e le
dimensioni che implica, in rapporto ai fondamenti stessi della fede,
rimane un elemento qualificante dell'identità cristiana.
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CAPITOLO TERZO
DIES ECCLESIAE
L'assemblea
eucaristica
cuore della domenica
La presenza del Risorto
31. « Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo »
(Mt 28, 20). Questa promessa di Cristo continua a risuonare nella
Chiesa, che in essa coglie il segreto fecondo della sua vita e la sorgente
della sua speranza. Se la domenica è il giorno della risurrezione, essa
non è solo la memoria di un evento passato: è celebrazione della viva
presenza del Risorto in mezzo ai suoi.
Perché tale presenza sia annunciata e vissuta in modo adeguato,
non basta che i discepoli di Cristo preghino individualmente e ricordino
interiormente, nel segreto del cuore, la morte e la risurrezione di
Cristo. Quanti infatti hanno ricevuto la grazia del battesimo, non sono
stati salvati solo a titolo individuale, ma come membra del Corpo mistico,
entrati a far parte del Popolo di Dio.(38) È importante perciò che si
radunino, per esprimere pienamente l'identità stessa della Chiesa, la ekklesía,
l'assemblea convocata dal Signore risorto, il quale ha offerto la sua vita
« per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi » (Gv 11,
52). Essi sono diventati « uno » in Cristo (cfr Gal 3, 28),
attraverso il dono dello Spirito. Questa unità si manifesta esteriormente
quando i cristiani si riuniscono: prendono allora viva coscienza e
testimoniano al mondo di essere il popolo dei redenti composto da «
uomini di ogni tribù, lingua, popolo, nazione » (Ap 5, 9).
Nell'assemblea dei discepoli di Cristo si perpetua nel tempo l'immagine
della prima comunità cristiana disegnata con intento esemplare da Luca
negli Atti degli Apostoli, quando riferisce che i primi battezzati «
erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione
fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere » (2, 42).
L'assemblea eucaristica
32. Questa realtà della vita ecclesiale ha nell'Eucaristia non
solo una particolare intensità espressiva, ma in certo senso il suo luogo
« sorgivo ».(39) L'Eucaristia nutre e plasma la Chiesa: « Poiché c'è
un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti
partecipiamo dell'unico pane » (1 Cor 10, 17). Per tale suo
rapporto vitale con il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, il
mistero della Chiesa è in modo supremo annunciato, gustato e vissuto
nell'Eucaristia.(40)
L'intrinseca dimensione ecclesiale dell'Eucaristia si realizza
ogni volta che essa viene celebrata. Ma a maggior ragione si esprime nel
giorno in cui tutta la comunità è convocata per fare memoria della
risurrezione del Signore. Significativamente il Catechismo della Chiesa
Cattolica insegna che « la celebrazione domenicale del Giorno e
dell'Eucaristia del Signore sta al centro della vita della Chiesa ».(41)
33. È proprio nella Messa domenicale, infatti, che i cristiani
rivivono in modo particolarmente intenso l'esperienza fatta dagli Apostoli
la sera di Pasqua, quando il Risorto si manifestò ad essi riuniti insieme
(cfr Gv 20, 19). In quel piccolo nucleo di discepoli, primizia
della Chiesa, era in qualche modo presente il Popolo di Dio di tutti i
tempi. Attraverso la loro testimonianza, rimbalza su ogni generazione di
credenti il saluto di Cristo, ricco del dono messianico della pace,
acquistata col suo sangue e offerta insieme col suo Spirito: « Pace a
voi! ». Nel ritorno di Cristo tra loro « otto giorni dopo » (Gv
20, 26) può vedersi raffigurato in radice l'uso della comunità cristiana
di riunirsi ogni ottavo giorno, nel « giorno del Signore » o domenica, a
professare la fede nella sua risurrezione ed a raccogliere i frutti della
beatitudine da lui promessa: « Beati quelli che pur non avendo visto
crederanno! » (Gv 20, 29). Quest'intima connessione tra la
manifestazione del Risorto e l'Eucaristia è adombrata dal Vangelo di Luca
nella narrazione riguardante i due discepoli di Emmaus, ai quali Cristo
stesso si accompagnò, guidandoli alla comprensione della Parola e
sedendosi infine a mensa con loro. Essi lo riconobbero quando egli «
prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro » (24,
30). I gesti di Gesù in questo racconto sono i medesimi da lui compiuti
nell'Ultima Cena, con la chiara allusione alla « frazione del pane »,
come è denominata l'Eucaristia nella prima generazione cristiana.
L'Eucaristia domenicale
34. Certo, l'Eucaristia domenicale non ha, in sé, uno statuto
diverso da quella celebrata in ogni altro giorno, né è separabile
dall'intera vita liturgica e sacramentale. Questa è per sua natura una
epifania della Chiesa,(42) che trova il suo momento più significativo
quando la comunità diocesana si raduna in preghiera col proprio Pastore:
« La principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione
piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni
liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera,
al medesimo altare cui presiede il Vescovo circondato dal suo presbiterio
e dai ministri ».(43) Il rapporto col Vescovo e con l'intera comunità
ecclesiale è insito in ogni celebrazione eucaristica, anche non
presieduta dal Vescovo, in qualunque giorno della settimana essa venga
celebrata. Ne è espressione la menzione del Vescovo nella preghiera
eucaristica.
L'Eucaristia domenicale, tuttavia, con l'obbligo della presenza
comunitaria e la speciale solennità che la contraddistinguono proprio
perché celebrata « nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte e ci ha
resi partecipi della sua vita immortale »,(44) manifesta con un'ulteriore
enfasi la propria dimensione ecclesiale, ponendosi come paradigmatica
rispetto alle altre celebrazioni eucaristiche. Ogni comunità, radunando
tutti i suoi membri per la « frazione del pane », si sperimenta quale
luogo in cui il mistero della Chiesa concretamente si attua. Nella stessa
celebrazione la comunità si apre alla comunione con la Chiesa
universale,(45) implorando il Padre perché si ricordi « della Chiesa
diffusa su tutta la terra », e la faccia crescere, nell'unità di tutti i
fedeli col Papa e coi Pastori delle singole Chiese, fino alla perfezione
dell'amore.
Il giorno della Chiesa
35. Il dies Domini si rivela così anche dies Ecclesiae. Si
comprende allora perché la dimensione comunitaria della celebrazione
domenicale debba essere, sul piano pastorale, particolarmente
sottolineata. Come ho avuto modo, in altra occasione, di ricordare, tra le
numerose attività che una parrocchia svolge, « nessuna è tanto vitale o
formativa della comunità quanto la celebrazione domenicale del giorno del
Signore e della sua Eucaristia ».(46) In questo senso il Concilio
Vaticano II ha richiamato la necessità di adoperarsi perché « il senso
della comunità parrocchiale fiorisca soprattutto nella celebrazione
comunitaria della Messa domenicale ».(47) Nella stessa linea si pongono i
successivi orientamenti liturgici, chiedendo che, nella domenica e nei
giorni festivi, le celebrazioni eucaristiche fatte normalmente in altre
chiese ed oratori siano coordinate con la celebrazione della chiesa
parrocchiale, e ciò proprio per « fomentare il senso della comunità
ecclesiale, che è alimentato ed espresso in modo speciale nella
celebrazione comunitaria della domenica, sia intorno al Vescovo,
soprattutto nella cattedrale, sia nell'assemblea parrocchiale, il cui
pastore fa le veci del Vescovo ».(48)
36. L'assemblea domenicale è luogo privilegiato di unità: vi si
celebra infatti il sacramentum unitatis che caratterizza
profondamente la Chiesa, popolo adunato « dalla » e « nella » unità
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.(49) In essa le famiglie
cristiane vivono una delle espressioni più qualificate della loro identità
e del loro « ministero » di « chiese domestiche », quando i genitori
partecipano con i loro figli all'unica mensa della Parola e del Pane di
vita.(50) Va ricordato a tal proposito che spetta innanzitutto ai genitori
educare i loro figli alla partecipazione alla Messa domenicale, aiutati in
ciò dai catechisti, che devono preoccuparsi di inserire l'iniziazione
alla Messa nel cammino formativo dei ragazzi loro affidati, illustrando il
motivo profondo dell'obbligatorietà del precetto. A questo contribuirà
anche, quando le circostanze lo consiglino, la celebrazione di Messe per
fanciulli, secondo le varie modalità previste dalle norme liturgiche.(51)
Nelle Messe domenicali della parrocchia, in quanto « comunità
eucaristica »,(52) è normale poi che si ritrovino i vari gruppi,
movimenti, associazioni, le stesse piccole comunità religiose in essa
presenti. Questo consente loro di fare esperienza di ciò che è ad essi
più profondamente comune, al di là delle specifiche vie spirituali che
legittimamente li caratterizzano, in obbedienza al discernimento
dell'autorità ecclesiale.(53) È per questo che di domenica, giorno
dell'assemblea, le Messe dei piccoli gruppi non sono da incoraggiare: non
si tratta solo di evitare che le assemblee parrocchiali manchino del
necessario ministero dei sacerdoti, ma anche di fare in modo che la vita e
l'unità della comunità ecclesiale vengano pienamente salvaguardate e
promosse.(54) Spetta all'oculato discernimento dei Pastori delle Chiese
particolari autorizzare eventuali e ben circoscritte deroghe a questo
orientamento, in considerazione di specifiche esigenze formative e
pastorali, tenendo conto del bene di singoli o di gruppi, e specialmente
dei frutti che possono derivarne all'intera comunità cristiana.
Popolo pellegrinante
37. Nella prospettiva poi del cammino della Chiesa nel tempo, il
riferimento alla risurrezione di Cristo e la scadenza settimanale di tale
solenne memoria aiutano a ricordare il carattere pellegrinante e la
dimensione escatologica del Popolo di Dio. Di domenica in domenica,
infatti, la Chiesa procede verso l'ultimo « giorno del Signore », la
domenica senza fine. In realtà, l'attesa della venuta di Cristo è
inscritta nel mistero stesso della Chiesa (55) ed emerge in ogni
celebrazione eucaristica. Ma il giorno del Signore, con la sua specifica
memoria della gloria del Cristo risorto, richiama con maggior intensità
anche la gloria futura del suo « ritorno ». Ciò fa della domenica il
giorno in cui la Chiesa, manifestando più chiaramente il suo carattere «
sponsale », anticipa in qualche modo la realtà escatologica della
Gerusalemme celeste. Raccogliendo i suoi figli nell'assemblea eucaristica
ed educandoli all'attesa dello « Sposo divino », essa fa come un «
esercizio del desiderio »,(56) in cui pregusta la gioia dei cieli nuovi e
della terra nuova, quando la città santa, la nuova Gerusalemme, scenderà
dal cielo, da Dio, « pronta come una sposa adorna per il suo sposo » (Ap
21, 2).
Giorno della speranza
38. Da questo angolo visuale, se la domenica è il giorno della
fede, essa non è meno il giorno della speranza cristiana. La
partecipazione alla « cena del Signore » è infatti anticipazione del
banchetto escatologico per le « nozze dell'Agnello » (Ap 19, 9).
Celebrando il memoriale di Cristo, risorto e asceso al cielo, la comunità
cristiana si pone « nell'attesa che si compia la beata speranza e venga
il nostro salvatore Gesù Cristo ».(57) Vissuta e alimentata con questo
intenso ritmo settimanale, la speranza cristiana si fa lievito e luce
della stessa speranza umana. Per questo, nella preghiera « universale »,
si raccolgono i bisogni non della sola comunità cristiana, ma dell'intera
umanità; la Chiesa, radunata per la Celebrazione eucaristica, testimonia
in questo modo al mondo di far sue « le gioie e le speranze, le tristezze
e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro
che soffrono ».(58) Coronando poi con l'offerta eucaristica domenicale la
testimonianza che, in tutti i giorni della settimana, i suoi figli,
immersi nel lavoro e nei vari impegni della vita, si sforzano di offrire
con l'annuncio del Vangelo e la pratica della carità, la Chiesa manifesta
in modo più evidente il suo essere « come sacramento, ossia segno e
strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere
umano ».(59)
La mensa della Parola
39. Nell'assemblea domenicale, come del resto in ogni Celebrazione
eucaristica, l'incontro col Risorto avviene mediante la partecipazione
alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita. La prima continua a
dare quell'intelligenza della storia della salvezza e, in particolare, del
mistero pasquale che lo stesso Gesù risorto procurò ai discepoli: è lui
che parla, presente com'è nella sua parola « quando nella Chiesa si
legge la Sacra Scrittura ».(60) Nella seconda si attua la reale,
sostanziale e duratura presenza del Signore risorto attraverso il
memoriale della sua passione e della sua risurrezione, e viene offerto
quel pane di vita che è pegno della gloria futura. Il Concilio Vaticano
II ha ricordato che « la liturgia della parola e la liturgia eucaristica
sono congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di
culto ».(61) Lo stesso Concilio ha anche stabilito che « la mensa della
parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, aprendo più
largamente i tesori della Bibbia ».(62) Ha poi ordinato che nelle Messe
della domenica, come in quelle delle feste di precetto, l'omelia non sia
omessa se non per grave causa.(63) Queste felici disposizioni hanno
trovato fedele espressione nella riforma liturgica, a proposito della
quale Paolo VI, commentando la più abbondante offerta di letture bibliche
nelle domeniche e nei giorni festivi, scriveva: « Tutto ciò è stato
ordinato in modo da far aumentare sempre più nei fedeli "quella fame
di ascoltare la parola del Signore" (Am 8, 11) che, sotto la
guida dello Spirito Santo, spinga il popolo della nuova alleanza alla
perfetta unità della Chiesa ».(64)
40. A distanza di oltre trent'anni dal Concilio, mentre
riflettiamo sull'Eucaristia domenicale, è necessario verificare come la
Parola di Dio venga proclamata, nonché l'effettiva crescita, nel Popolo
di Dio, della conoscenza e dell'amore della Sacra Scrittura.(65) L'uno e
l'altro aspetto, quello della celebrazione e quello dell'esperienza
vissuta, stanno in intima relazione. Da una parte, la possibilità
offerta dal Concilio di proclamare la Parola di Dio nella lingua propria
della comunità partecipante deve portarci a sentire una « nuova
responsabilità » verso di essa, facendo risplendere, « fin dal modo
stesso di leggere o di cantare, il carattere peculiare del testo sacro ».(66)
Dall'altra, occorre che l'ascolto della Parola di Dio proclamata sia ben
preparato nell'animo dei fedeli da una conoscenza appropriata della
Scrittura e, ove pastoralmente possibile, da specifiche iniziative di
approfondimento dei brani biblici, specie di quelli delle Messe
festive. Se infatti la lettura del testo sacro, compiuta in spirito di
preghiera e in docilità all'interpretazione ecclesiale,(67) non anima
abitualmente la vita dei singoli e delle famiglie cristiane, è difficile
che la sola proclamazione liturgica della Parola di Dio possa portare i
frutti sperati. Sono dunque molto lodevoli quelle iniziative con cui le
comunità parrocchiali, attraverso il coinvolgimento di quanti partecipano
all'Eucaristia — sacerdote, ministri e fedeli — (68) preparano la
liturgia domenicale già nel corso della settimana, riflettendo in
anticipo sulla Parola di Dio che sarà proclamata. L'obiettivo a cui
tendere è che tutta la celebrazione, in quanto preghiera, ascolto, canto,
e non solo l'omelia, esprima in qualche modo il messaggio della liturgia
domenicale, così che esso possa incidere più efficacemente su quanti vi
prendono parte. Ovviamente molto è affidato alla responsabilità di
coloro che esercitano il ministero della Parola. Ad essi incombe il dovere
di preparare con particolare cura, nello studio del testo sacro e nella
preghiera, il commento alla parola del Signore, esprimendone fedelmente i
contenuti e attualizzandoli in rapporto agli interrogativi e alla vita
degli uomini del nostro tempo.
41. Occorre peraltro non dimenticare che la proclamazione
liturgica della Parola di Dio, soprattutto nel contesto dell'assemblea
eucaristica, non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma è
il dialogo di Dio col suo popolo, dialogo in cui vengono proclamate le
meraviglie della salvezza e continuamente riproposte le esigenze
dell'Alleanza. Da parte sua, il Popolo di Dio si sente chiamato a
rispondere a questo dialogo di amore ringraziando e lodando, ma al tempo
stesso verificando la propria fedeltà nello sforzo di una continua «
conversione ». L'assemblea domenicale si impegna così all'interiore
rinnovamento delle promesse battesimali, che sono in qualche modo
implicite nella recita del Credo, e che la liturgia espressamente prevede
nella celebrazione della veglia pasquale o quando viene amministrato il
battesimo durante la Messa. In questo quadro, la proclamazione della
Parola nella Celebrazione eucaristica della domenica acquista il tono
solenne che già l'Antico Testamento prevedeva per i momenti di
rinnovamento dell'Alleanza, quando veniva proclamata la Legge e la comunità
di Israele era chiamata, come il popolo del deserto ai piedi del Sinai
(cfr Es 19, 7-8; 24, 3.7), a ribadire il suo « sì », rinnovando
la scelta di fedeltà a Dio e di adesione ai suoi precetti. Dio infatti,
nel comunicare la sua Parola, attende la nostra risposta: risposta che
Cristo ha già dato per noi con il suo « Amen » (cfr 2 Cor 1,
20-22), e che lo Spirito Santo fa risuonare in noi in modo che ciò che si
è udito coinvolga profondamente la nostra vita.(69)
La mensa del Corpo di Cristo
42. La mensa della Parola sfocia naturalmente nella mensa del Pane
eucaristico e prepara la comunità a viverne le molteplici dimensioni, che
assumono nell'Eucaristia domenicale un carattere particolarmente solenne.
Nel tono festoso del convenire di tutta la comunità nel « giorno del
Signore », l'Eucaristia si propone in modo più visibile che negli altri
giorni come la grande « azione di grazie », con cui la Chiesa, colma
dello Spirito, si rivolge al Padre, unendosi a Cristo e facendosi voce
dell'intera umanità. La scansione settimanale suggerisce di raccogliere
in grata memoria gli eventi dei giorni appena trascorsi, per rileggerli
alla luce di Dio, e rendergli grazie per i suoi innumerevoli doni,
glorificandolo « per Cristo, con Cristo e in Cristo, nell'unità dello
Spirito Santo ». La comunità cristiana prende così rinnovata coscienza
del fatto che tutte le cose sono state create per mezzo di Cristo (cfr Col
1, 16; Gv 1, 3) e in lui, venuto in forma di servo a condividere e
redimere la nostra condizione umana, esse sono state ricapitolate (cfr Ef
1, 10), per essere offerte a Dio Padre, dal quale ogni cosa prende origine
e vita. Aderendo infine con il suo « Amen » alla dossologia eucaristica,
il Popolo di Dio si proietta nella fede e nella speranza verso il
traguardo escatologico, quando Cristo « consegnerà il regno a Dio Padre
[...] perché Dio sia tutto in tutti » (1 Cor 15, 24.28).
43. Questo movimento « ascendente » è insito in ogni
celebrazione eucaristica e ne fa un evento gioioso, intriso di
riconoscenza e di speranza, ma è particolarmente sottolineato, nella
Messa domenicale, dalla sua speciale connessione con la memoria della
risurrezione. D'altra parte, la gioia « eucaristica » che porta « in
alto i nostri cuori » è frutto del « movimento discendente » che Dio
ha operato verso di noi, e che resta perennemente inscritto nell'essenza
sacrificale dell'Eucaristia, suprema espressione e celebrazione del
mistero della kénosis, ossia dell'abbassamento mediante il quale
Cristo « umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla
morte di croce » (Fil 2, 8).
La Messa infatti è viva ripresentazione del sacrificio della
Croce. Sotto le specie del pane e del vino, su cui è stata invocata
l'effusione dello Spirito, operante con efficacia del tutto singolare
nelle parole della consacrazione, Cristo si offre al Padre nel medesimo
gesto di immolazione con cui si offrì sulla croce. « In questo divino
sacrificio che si compie nella Messa, è contenuto e immolato in modo
incruento lo stesso Cristo, che si offrì una sola volta in modo cruento
sull'altare della croce ».(70) Al suo sacrificio Cristo unisce quello
della Chiesa: « Nell'Eucaristia il sacrificio di Cristo diviene pure il
sacrificio delle membra del suo corpo. La vita dei fedeli, la loro lode,
la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro, sono uniti a quelli
di Cristo e alla sua offerta totale, e in questo modo acquistano un valore
nuovo ».(71) Questa partecipazione dell'intera comunità assume una
particolare evidenza nel convenire domenicale, che consente di portare
all'altare la settimana trascorsa con l'intero carico umano che l'ha
segnata.
Convito pasquale e incontro fraterno
44. Questa coralità s'esprime poi specialmente nel carattere di
convito pasquale che è proprio dell'Eucaristia, nella quale Cristo stesso
si fa nutrimento. Infatti « a questo scopo Cristo affidò alla Chiesa
questo sacrificio: perché i fedeli partecipassero ad esso, sia
spiritualmente, con la fede e la carità, sia sacramentalmente, con il
banchetto della santa comunione. La partecipazione alla cena del Signore
è sempre comunione con il Cristo, che si offre per noi in sacrificio al
Padre ».(72) Per questo la Chiesa raccomanda ai fedeli di fare la
comunione quando partecipano all'Eucaristia, purché siano nelle debite
disposizioni e, se consapevoli di peccati gravi, abbiano ricevuto il
perdono di Dio nel sacramento della Riconciliazione,(73) nello spirito di
quanto san Paolo ricordava alla comunità di Corinto (cfr 1 Cor 11,
27-32). L'invito alla comunione eucaristica si fa particolarmente
insistente, com'è ovvio, in occasione della Messa in giorno di domenica e
negli altri giorni festivi.
È importante inoltre che si prenda coscienza viva di quanto la
comunione con Cristo sia profondamente legata alla comunione con i
fratelli. L'assemblea eucaristica domenicale è un evento di fraternità,
che la celebrazione deve mettere bene in evidenza, pur nel rispetto dello
stile proprio dell'azione liturgica. A ciò contribuiscono il servizio
dell'accoglienza e il tono della preghiera, attenta ai bisogni dell'intera
comunità. Lo scambio del segno della pace, significativamente posto nel
Rito romano prima della comunione eucaristica, è un gesto particolarmente
espressivo, che i fedeli sono invitati a fare come manifestazione del
consenso dato dal popolo di Dio a tutto ciò che si è compiuto nella
celebrazione (74) e dell'impegno di vicendevole amore che si assume
partecipando all'unico pane, nel ricordo dell'esigente parola di Cristo:
« Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo
fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti
all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad
offrire il tuo dono » (Mt 5, 23-24).
Dalla Messa alla « missione »
45. Ricevendo il Pane di vita, i discepoli di Cristo si dispongono
ad affrontare, con la forza del Risorto e del suo Spirito, i compiti che
li attendono nella loro vita ordinaria. In effetti, per il fedele che ha
compreso il senso di ciò che ha compiuto, la celebrazione eucaristica non
può esaurirsi all'interno del tempio. Come i primi testimoni della
risurrezione, i cristiani convocati ogni domenica per vivere e confessare
la presenza del Risorto sono chiamati a farsi nella loro vita quotidiana evangelizzatori
e testimoni. L'orazione dopo la comunione e il rito di conclusione —
benedizione e congedo — vanno, sotto questo profilo, riscoperti e meglio
valorizzati, perché quanti hanno partecipato all'Eucaristia sentano più
profondamente la responsabilità ad essi affidata. Dopo lo scioglimento
dell'assemblea, il discepolo di Cristo torna nel suo ambiente abituale con
l'impegno di fare di tutta la sua vita un dono, un sacrificio spirituale
gradito a Dio (cfr Rm 12, 1). Egli si sente debitore verso i
fratelli di ciò che nella celebrazione ha ricevuto, non diversamente dai
discepoli di Emmaus i quali, dopo aver riconosciuto « alla frazione del
pane » il Cristo risuscitato (cfr Lc 24, 30-32), avvertirono
l'esigenza di andare subito a condividere con i loro fratelli la gioia
dell'incontro con il Signore (cfr Lc 24, 33-35).
Il precetto domenicale
46. Essendo l'Eucaristia il vero cuore della domenica, si
comprende perché, fin dai primi secoli, i Pastori non abbiano cessato di
ricordare ai loro fedeli la necessità di partecipare all'assemblea
liturgica. « Lasciate tutto nel giorno del Signore — dichiara per
esempio il trattato del III° secolo intitolato Didascalia degli
Apostoli — e correte con diligenza alla vostra assemblea, perché è
la vostra lode verso Dio. Altrimenti, quale scusa avranno presso Dio
quelli che non si riuniscono nel giorno del Signore per ascoltare la
parola di vita e nutrirsi dell'alimento divino che rimane eterno? ».(75)
L'appello dei Pastori ha generalmente incontrato nell'anima dei fedeli
un'adesione convinta e, se non sono mancati tempi e situazioni in cui è
calata la tensione ideale nell'adempimento di questo dovere, non si può
però non ricordare l'autentico eroismo con cui sacerdoti e fedeli hanno
ottemperato a quest'obbligo in tante situazioni di pericolo e di
restrizione della libertà religiosa, come è possibile costatare dai
primi secoli della Chiesa fino al nostro tempo.
San Giustino, nella sua prima Apologia indirizzata all'imperatore
Antonino e al Senato, poteva descrivere con fierezza la prassi cristiana
dell'assemblea domenicale, che riuniva insieme nello stesso luogo i
cristiani delle città e quelli delle campagne.(76) Quando, durante la
persecuzione di Diocleziano, le loro assemblee furono interdette con la più
grande severità, furono molti i coraggiosi che sfidarono l'editto
imperiale e accettarono la morte pur di non mancare alla Eucaristia
domenicale. E il caso di quei martiri di Abitine, in Africa proconsolare,
che risposero ai loro accusatori: « È senza alcun timore che abbiamo
celebrato la cena del Signore, perché non la si può tralasciare; è la
nostra legge »; « Noi non possiamo stare senza la cena del Signore ». E
una delle martiri confessò: « Sì, sono andata all'assemblea e ho
celebrato la cena del Signore con i miei fratelli, perché sono cristiana
».(77)
47. Quest'obbligo di coscienza, fondato in una esigenza interiore
che i cristiani dei primi secoli sentivano con tanta forza, la Chiesa non
ha cessato di affermarlo, anche se dapprima non ha ritenuto necessario
prescriverlo. Solo più tardi, davanti alla tiepidezza o alla negligenza
di alcuni, ha dovuto esplicitare il dovere di partecipare alla Messa
domenicale: il più delle volte lo ha fatto sotto forma di esortazioni, ma
talvolta ha dovuto ricorrere anche a precise disposizioni canoniche. È
quanto ha fatto in diversi Concili particolari a partire dal IV secolo
(così nel Concilio di Elvira del 300, che non parla di obbligo ma di
conseguenze penali dopo tre assenze) (78) e soprattutto dal VI secolo in
poi (come è avvenuto nel Concilio di Agde del 506).(79) Questi decreti di
Concili particolari sono sfociati in una consuetudine universale di
carattere obbligante, come cosa del tutto ovvia.(80)
Il Codice di Diritto Canonico del 1917 per la prima volta
raccoglieva la tradizione in una legge universale.(81) L'attuale Codice la
ribadisce, dicendo che « la domenica e le altre feste di precetto, i
fedeli sono tenuti all'obbligo di partecipare alla Messa ».(82) Una tale
legge è stata normalmente intesa come implicante un obbligo grave: è
quanto insegna anche il Catechismo della Chiesa Cattolica,(83) e ben se ne
comprende il motivo, se si considera la rilevanza che la domenica ha per
la vita cristiana.
48. Oggi, come nei tempi eroici degli inizi, in molte regioni del
mondo si ripropongono situazioni difficili per tanti che intendono vivere
con coerenza la propria fede. L'ambiente è a volte dichiaratamente
ostile, altre volte — e più spesso — indifferente e refrattario al
messaggio evangelico. Il credente, se non vuole essere sopraffatto, deve
poter contare sul sostegno della comunità cristiana. È perciò
necessario che egli si convinca dell'importanza decisiva che per la sua
vita di fede ha il riunirsi la domenica con gli altri fratelli per
celebrare la Pasqua del Signore nel sacramento della Nuova Alleanza.
Spetta, poi, in modo particolare ai Vescovi di adoperarsi « per far sì
che la domenica venga da tutti i fedeli riconosciuta, santificata e
celebrata come vero "giorno del Signore", nel quale la Chiesa si
raduna per rinnovare la memoria del suo mistero pasquale con l'ascolto
della parola di Dio, con l'offerta del sacrificio del Signore, con la
santificazione del giorno mediante la preghiera, le opere di carità e
l'astensione dal lavoro ».(84)
49. E dal momento che per i fedeli partecipare alla Messa è un
obbligo, a meno che non abbiano un impedimento grave, ai Pastori s'impone
il corrispettivo dovere di offrire a tutti l'effettiva possibilità di
soddisfare al precetto. In questa linea si muovono le disposizioni del
diritto ecclesiastico, quali per esempio la facoltà per il sacerdote,
previa autorizzazione del Vescovo diocesano, di celebrare più di una
Messa di domenica e nei giorni festivi,(85) l'istituzione delle Messe
vespertine (86) ed infine l'indicazione secondo cui il tempo utile per
l'adempimento dell'obbligo comincia già il sabato sera, in coincidenza
con i primi Vespri della domenica.(87) Dal punto di vista liturgico,
infatti, il giorno festivo ha inizio con tali Vespri.(88) Conseguentemente
la liturgia della Messa detta talvolta « prefestiva », ma che in realtà
è a tutti gli effetti « festiva », è quella della domenica, con
l'impegno per il celebrante di tenere l'omelia e di recitare con i fedeli
la preghiera universale.
I pastori inoltre ricorderanno ai fedeli che, in caso di assenza
dalla loro residenza abituale in giorno di domenica, essi devono
preoccuparsi di partecipare alla Messa là dove si trovano, arricchendo
così la comunità del luogo con la loro testimonianza personale. Allo
stesso tempo, bisognerà che queste comunità esprimano un caldo senso di
accoglienza per i fratelli venuti da fuori, particolarmente nei luoghi che
attirano numerosi turisti e pellegrini, per i quali sarà spesso
necessario prevedere iniziative particolari di assistenza religiosa.(89)
Celebrazione gioiosa e canora
50. Dato il carattere proprio della Messa domenicale e
l'importanza che essa riveste per la vita dei fedeli, è necessario
prepararla con speciale cura. Nelle forme suggerite dalla saggezza
pastorale e dagli usi locali in armonia con le norme liturgiche, bisogna
assicurare alla celebrazione quel carattere festoso che s'addice al giorno
commemorativo della Risurrezione del Signore. A tale scopo è importante
dedicare attenzione al canto dell'assemblea, poiché esso è
particolarmente adatto ad esprimere la gioia del cuore, sottolinea la
solennità e favorisce la condivisione dell'unica fede e del medesimo
amore. Ci si preoccupi pertanto della sua qualità, sia per quanto
riguarda i testi che le melodie, affinché quanto si propone oggi di nuovo
e creativo sia conforme alle disposizioni liturgiche e degno di quella
tradizione ecclesiale che vanta, in materia di musica sacra, un patrimonio
di inestimabile valore.
Celebrazione coinvolgente e partecipata
51. È necessario inoltre fare ogni sforzo perché tutti i
presenti — ragazzi e adulti — si sentano interessati, favorendo il
loro coinvolgimento in quelle espressioni di partecipazione che la
liturgia suggerisce e raccomanda.(90) Certo, spetta soltanto a quelli che
esercitano il sacerdozio ministeriale a servizio dei loro fratelli di
compiere il Sacrificio eucaristico e di offrirlo a Dio a nome dell'intero
popolo.(91) Ha qui il suo fondamento la distinzione, che è ben più che
disciplinare, tra il compito proprio del celebrante e quello che è
attribuito ai diaconi e ai fedeli non ordinati.(92) I fedeli tuttavia
devono essere consapevoli che, in virtù del sacerdozio comune ricevuto
nel battesimo, « concorrono ad offrire l'Eucaristia ».(93) Pur nella
distinzione dei ruoli, essi « offrono a Dio la vittima divina e se stessi
con essa. Offrendo il sacrificio e ricevendo la santa comunione, prendono
parte attivamente all'azione liturgica »,(94) attingendovi luce e forza
per vivere il loro sacerdozio battesimale con la testimonianza di una vita
santa.
Altri momenti della domenica cristiana
52. Se la partecipazione all'Eucaristia è il cuore della
domenica, sarebbe tuttavia limitativo ridurre solo ad essa il dovere di «
santificarla ». Il giorno del Signore è infatti vissuto bene, se è
tutto segnato dalla memoria grata ed operosa dei gesti salvifici di Dio.
Questo impegna ciascuno dei discepoli di Cristo a dare anche agli altri
momenti della giornata, vissuti al di fuori del contesto liturgico —
vita di famiglia, relazioni sociali, occasioni di svago — uno stile che
aiuti a far emergere la pace e la gioia del Risorto nel tessuto ordinario
della vita. Il più tranquillo ritrovarsi dei genitori e dei figli può
essere, ad esempio, occasione non solo per aprirsi all'ascolto reciproco,
ma anche per vivere insieme qualche momento formativo e di maggior
raccoglimento. E perché poi non mettere in programma, anche nella vita
laicale, quando è possibile, speciali iniziative di preghiera — quali,
in particolare, la celebrazione solenne dei Vespri —, come pure
eventuali momenti di catechesi, che nella vigilia della domenica o
nel pomeriggio di essa preparino e completino nell'animo cristiano il dono
proprio dell'Eucaristia?
Questa forma abbastanza tradizionale di « santificazione della
domenica » è diventata forse, in molti ambienti, più difficile; ma la
Chiesa manifesta la sua fede nella forza del Risorto e nella potenza dello
Spirito Santo mostrando, oggi più che mai, di non accontentarsi di
proposte minimali o mediocri sul piano della fede, e aiutando i cristiani
a compiere quanto è più perfetto e gradito al Signore. Del resto,
accanto alle difficoltà, non mancano segnali positivi ed incoraggianti.
Grazie al dono dello Spirito, in molti ambienti ecclesiali si avverte una
nuova esigenza di preghiera nella molteplicità delle sue forme. Vengono
riscoperte anche espressioni antiche della religiosità, come il
pellegrinaggio, e spesso i fedeli approfittano del riposo domenicale per
recarsi in Santuari dove vivere, magari con l'intera famiglia, qualche ora
di più intensa esperienza di fede. Sono momenti di grazia che occorre
nutrire con una adeguata evangelizzazione ed orientare con vera sapienza
pastorale.
Assemblee domenicali in assenza del sacerdote
53. Resta il problema delle parrocchie per le quali non è
possibile godere del ministero di un sacerdote che celebri l'Eucaristia
domenicale. Ciò avviene spesso nelle giovani Chiese, dove un solo
sacerdote ha la responsabilità pastorale di fedeli dispersi su un vasto
territorio. Situazioni di emergenza possono verificarsi anche nei Paesi di
secolare tradizione cristiana, quando la rarefazione del clero impedisce
di assicurare la presenza del sacerdote in ogni comunità parrocchiale. La
Chiesa, considerando il caso di impossibilità della celebrazione
eucaristica, raccomanda la convocazione di assemblee domenicali in assenza
del sacerdote,(95) secondo le indicazioni e le direttive date dalla Santa
Sede e affidate, per la loro applicazione, alle Conferenze Episcopali.(96)
Tuttavia, l'obiettivo deve rimanere la celebrazione del sacrificio della
Messa, sola vera attuazione della Pasqua del Signore, sola realizzazione
completa dell'assemblea eucaristica che il sacerdote presiede in
persona Christi, spezzando il pane della Parola e quello
dell'Eucaristia. Si prenderanno dunque, a livello pastorale, tutte le
misure necessarie perché i fedeli che ne sono abitualmente privi possano
beneficiarne il più spesso possibile, sia favorendo la periodica presenza
di un sacerdote, sia valorizzando tutte le opportunità per organizzare il
raduno in un luogo centrale, accessibile a diversi gruppi lontani.
Trasmissioni radiofoniche e televisive
54. Infine, i fedeli che, a causa di malattia, infermità o per
qualche altra grave ragione, ne sono impediti, avranno a cuore di unirsi
da lontano nel modo migliore alla celebrazione della Messa domenicale,
preferibilmente con le letture e preghiere previste dal Messale per quel
giorno, come pure attraverso il desiderio dell'Eucaristia.(97) In molti
Paesi, la televisione e la radio offrono la possibilità di unirsi ad una
Celebrazione eucaristica nel momento in cui essa si svolge in un luogo
sacro.(98) Ovviamente questo genere di trasmissioni non permette in sé di
soddisfare al precetto domenicale, che esige la partecipazione
all'assemblea dei fratelli mediante la riunione in un medesimo luogo e la
conseguente possibilità della comunione eucaristica. Ma per coloro che
sono impediti dal partecipare all'Eucaristia e sono perciò scusati
dall'adempiere il precetto, la trasmissione televisiva o radiofonica
costituisce un aiuto prezioso, soprattutto se integrato dal generoso
servizio dei ministri straordinari che portano l'Eucaristia ai malati,
recando ad essi il saluto e la solidarietà dell'intera comunità. In tal
modo, anche per questi cristiani, la Messa domenicale produce abbondanti
frutti ed essi possono vivere la domenica come vero « giorno del Signore
» e « giorno della Chiesa ».
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CAPITOLO QUARTO
DIES HOMINIS
La domenica giorno di
gioia,
riposo e solidarietà
La « gioia piena » di Cristo
55. « Sia benedetto Colui che ha elevato il grande giorno della
domenica sopra tutti i giorni. Il cielo e la terra, gli angeli e gli
uomini s'abbandonano alla gioia ».(99) Questi accenti della liturgia
maronita ben rappresentano le intense acclamazioni di gaudio che da
sempre, nella liturgia occidentale e in quella orientale, hanno
caratterizzato la domenica. Del resto, storicamente, prima ancora che come
giorno di riposo — oltre tutto allora non previsto dal calendario civile
— i cristiani vissero il giorno settimanale del Signore risorto
soprattutto come giorno di gioia. « Il primo giorno della settimana,
siate tutti lieti » si legge nella Didascalia degli Apostoli. (100) E
questo era ben sottolineato anche nella prassi liturgica, attraverso la
scelta di gesti appropriati. (101) Sant'Agostino, facendosi interprete
della diffusa coscienza ecclesiale, mette appunto in evidenza tale
carattere della Pasqua settimanale: « Si tralasciano i digiuni e si prega
stando in piedi come segno della risurrezione; per questo inoltre tutte le
domeniche si canta l'alleluia ». (102)
56. Al di là delle singole espressioni rituali, che possono
variare nel tempo secondo la disciplina ecclesiale, rimane il dato che la
domenica, eco settimanale della prima esperienza del Risorto, non può non
portare il segno della gioia con cui i discepoli accolsero il Maestro: «
I discepoli gioirono al vedere il Signore » (Gv 20, 20). Si
realizzava per loro, come poi si attuerà per tutte le generazioni
cristiane, la parola detta da Gesù prima della passione: « Voi sarete
afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia » (Gv 16,
20). Non aveva forse pregato egli stesso perché i discepoli avessero «
la pienezza della sua gioia » (cfr Gv 17, 13)? Il carattere
festoso dell'Eucaristia domenicale esprime la gioia che Cristo trasmette
alla sua Chiesa attraverso il dono dello Spirito. La gioia è appunto uno
dei frutti dello Spirito Santo (cfr Rm 14, 17; Gal 5, 22).
57. Per cogliere dunque in pienezza il senso della domenica,
occorre riscoprire questa dimensione dell'esistenza credente. Certamente,
essa deve caratterizzare tutta la vita, e non solo un giorno della
settimana. Ma la domenica, in forza del suo significato di giorno del
Signore risorto, nel quale si celebra l'opera divina della creazione e
della « nuova creazione », è giorno di gioia a titolo speciale, anzi
giorno propizio per educarsi alla gioia, riscoprendone i tratti autentici
e le radici profonde. Essa non va infatti confusa con fatui sentimenti di
appagamento e di piacere, che inebriano la sensibilità e l'affettività
per un momento, lasciando poi il cuore nell'insoddisfazione e magari
nell'amarezza. Cristianamente intesa, è qualcosa di molto più duraturo e
consolante; sa resistere persino, come attestano i santi, (103) alla notte
oscura del dolore, e, in certo senso, è una « virtù » da coltivare.
58. Non c'è tuttavia alcuna opposizione tra la gioia cristiana e
le vere gioie umane. Queste anzi vengono esaltate e trovano il loro
fondamento ultimo proprio nella gioia di Cristo glorificato (cfr At 2,
24-31), immagine perfetta e rivelazione dell'uomo secondo il disegno di
Dio. Come scrisse nell'Esortazione sulla gioia cristiana il mio venerato
predecessore Paolo VI, « per essenza, la gioia cristiana è
partecipazione alla gioia insondabile, insieme divina e umana, che è nel
cuore di Gesù Cristo glorificato ». (104) E lo stesso Pontefice
concludeva la sua Esortazione chiedendo che, nel giorno del Signore, la
Chiesa testimoniasse fortemente la gioia provata dagli Apostoli nel vedere
il Signore la sera di Pasqua. Invitava pertanto i Pastori ad insistere «
sulla fedeltà dei battezzati a celebrare nella gioia l'Eucaristia
domenicale. Come potrebbero essi trascurare questo incontro, questo
banchetto che Cristo ci prepara nel suo amore? Che la partecipazione ad
esso sia insieme degnissima e gioiosa! È il Cristo, crocifisso e
glorificato, che passa in mezzo ai suoi discepoli, per trascinarli insieme
nel rinnovamento della sua risurrezione. È il culmine, quaggiù,
dell'alleanza d'amore tra Dio e il suo popolo: segno e sorgente di gioia
cristiana, tappa per la festa eterna ». (105) In questa prospettiva di
fede, la domenica cristiana è un autentico « far festa », un giorno da
Dio donato all'uomo per la sua piena crescita umana e spirituale.
Il compimento del sabato
59. Questo aspetto della domenica cristiana ne evidenzia in modo
speciale la dimensione di compimento del sabato veterotestamentario. Nel
giorno del Signore, che l'Antico Testamento, come s'è detto, lega
all'opera della creazione (cfr Gn 2, 1-3; Es 20, 8-11) e
dell'Esodo (cfr Dt 5, 12-15), il cristiano è chiamato ad
annunciare la nuova creazione e la nuova alleanza compiute nel mistero
pasquale di Cristo. La celebrazione della creazione, lungi dall'essere
annullata, è approfondita in prospettiva cristocentrica, ossia alla luce
del disegno divino « di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del
cielo come quelle della terra » (Ef 1, 10). A sua volta, è dato
senso pieno anche al memoriale della liberazione compiuta nell'Esodo, che
diventa memoriale dell'universale redenzione compiuta da Cristo morto e
risorto. La domenica, pertanto, più che una « sostituzione » del
sabato, è la sua realizzazione compiuta, e in certo senso la sua
espansione e la sua piena espressione, in ordine al cammino della storia
della salvezza, che ha il suo culmine in Cristo.
60. In quest'ottica la teologia biblica dello « shabbat », senza
recare pregiudizio al carattere cristiano della domenica, può essere
pienamente recuperata. Essa ci riconduce sempre nuovamente e con stupore
mai attenuato a quel misterioso inizio, in cui l'eterna Parola di Dio, con
libera decisione d'amore, trasse dal nulla il mondo. Sigillo dell'opera
creatrice fu la benedizione e consacrazione del giorno in cui Dio cessò
« da ogni lavoro che egli creando aveva fatto » (Gn 2, 3). Da
questo giorno del riposo di Dio prende senso il tempo, assumendo, nella
successione delle settimane, non soltanto un ritmo cronologico, ma, per
così dire, un respiro teologico. Il costante ritorno dello « shabbat »
sottrae infatti il tempo al rischio del ripiegamento su di sé, perché
resti aperto all'orizzonte dell'eterno, attraverso l'accoglienza di Dio e
dei suoi kairoì, ossia dei tempi della sua grazia e dei suoi
interventi di salvezza.
61. Lo « shabbat », il giorno settimo benedetto e consacrato da
Dio, mentre chiude l'intera opera della creazione, si lega immediatamente
all'opera del sesto giorno, in cui Dio fece l'uomo « a sua immagine e
somiglianza » (cfr Gn 1, 26). Questa relazione più immediata tra
il « giorno di Dio » e il « giorno dell'uomo » non sfuggì ai Padri
nella loro meditazione sul racconto biblico della creazione. Dice a tal
proposito Ambrogio: « Grazie dunque al Signore Dio nostro che fece
un'opera ove egli potesse trovare riposo. Fece il cielo, ma non leggo che
ivi abbia riposato; fece le stelle, la luna, il sole, e neppure qui leggo
che abbia in essi riposato. Leggo invece che fece l'uomo e che allora si
riposò, avendo in lui uno al quale poteva perdonare i peccati ». (106)
Il « giorno di Dio » avrà così per sempre un collegamento diretto con
il « giorno dell'uomo ». Quando il comandamento di Dio recita: «
Ricordati del giorno di sabato per santificarlo » (Es 20, 8), la
sosta comandata per onorare il giorno a lui dedicato non è affatto, per
l'uomo, un'imposizione onerosa, ma piuttosto un aiuto perché egli avverta
la sua vitale e liberante dipendenza dal Creatore, e insieme la vocazione
a collaborare alla sua opera e ad accogliere la sua grazia. Onorando il «
riposo » di Dio, l'uomo ritrova pienamente se stesso, e così il giorno
del Signore si manifesta profondamente segnato dalla benedizione divina
(cfr Gn 2, 3) e si direbbe dotato, in forza di essa, al pari degli
animali e degli uomini (cfr Gn 1, 22.28), di una sorta di «
fecondità ». Essa si esprime soprattutto nel ravvivare e, in certo
senso, « moltiplicare » il tempo stesso, accrescendo nell'uomo, col
ricordo del Dio vivente, la gioia di vivere e il desiderio di promuovere e
donare la vita.
62. Il cristiano dovrà allora ricordare che, se per lui sono
cadute le modalità del sabato giudaico, superate dal « compimento »
domenicale, restano validi i motivi di fondo che impongono la
santificazione del « giorno del Signore », fissati nella solennità del
Decalogo, ma da rileggere alla luce della teologia e della spiritualità
della domenica: « Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il
Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni
lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare
lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo,
né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue
bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo
schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato
schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di
là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina
di osservare il giorno di sabato » (Dt 5, 12-15). L'osservanza del
sabato appare qui intimamente legata all'opera di liberazione compiuta da
Dio per il suo popolo.
63. Cristo è venuto a realizzare un nuovo « esodo », a rendere
la libertà agli oppressi. Egli ha operato molte guarigioni il giorno di
sabato (cfr Mt 12, 9-14 e paralleli), non certo per violare il
giorno del Signore, ma per realizzarne il pieno significato: « Il sabato
è stato fatto per l'uomo, e non l'uomo per il sabato » (Mc 2,
27). Opponendosi all'interpretazione troppo legalistica di alcuni suoi
contemporanei, e sviluppando l'autentico senso del sabato biblico, Gesù,
« Signore del sabato » (Mc 2, 28), riconduce l'osservanza di
questo giorno al suo carattere liberante, posto insieme a salvaguardia dei
diritti di Dio e dei diritti dell'uomo. Si comprende così perché i
cristiani, annunciatori della liberazione compiuta nel sangue di Cristo,
si sentissero autorizzati a trasporre il senso del sabato nel giorno della
risurrezione. La Pasqua di Cristo ha infatti liberato l'uomo da una
schiavitù ben più radicale di quella gravante su un popolo oppresso: la
schiavitù del peccato, che allontana l'uomo da Dio, lo allontana anche da
se stesso e dagli altri, ponendo nella storia sempre nuovi germi di
cattiveria e di violenza.
Il giorno del riposo
64. Per alcuni secoli i cristiani vissero la domenica solo come
giorno del culto, senza potervi annettere anche il significato specifico
del riposo sabbatico. Solo nel IV secolo, la legge civile dell'Impero
Romano riconobbe il ritmo settimanale, facendo in modo che nel « giorno
del sole » i giudici, le popolazioni delle città e le corporazioni dei
vari mestieri cessassero di lavorare. (107) I cristiani si rallegrarono di
veder così tolti gli ostacoli che fino ad allora avevano reso talvolta
eroica l'osservanza del giorno del Signore. Essi potevano ormai dedicarsi
alla preghiera comune senza impedimenti. (108)
Sarebbe quindi un errore vedere nella legislazione rispettosa del
ritmo settimanale una semplice circostanza storica senza valore per la
Chiesa e che essa potrebbe abbandonare. I Concili non hanno cessato di
conservare, anche dopo la fine dell'Impero, le disposizioni relative al
riposo festivo. Nei Paesi poi dove i cristiani sono in piccolo numero e
dove i giorni festivi del calendario non corrispondono alla domenica,
quest'ultima rimane pur sempre il giorno del Signore, il giorno in cui i
fedeli si riuniscono per l'assemblea eucaristica. Ciò però avviene a
prezzo di non piccoli sacrifici. Per i cristiani non è normale che la
domenica, giorno di festa e di gioia, non sia anche giorno di riposo e
resta comunque per essi difficile « santificare » la domenica, non
disponendo di un tempo libero sufficiente.
65. D'altra parte, il legame tra il giorno del Signore e il giorno
del riposo nella società civile ha una importanza e un significato che
vanno al di là della prospettiva propriamente cristiana. L'alternanza
infatti tra lavoro e riposo, inscritta nella natura umana, è voluta da
Dio stesso, come si rileva dal brano della creazione nel Libro della
Genesi (cfr 2, 2-3; Es 20, 8-11): il riposo è cosa « sacra »,
essendo per l'uomo la condizione per sottrarsi al ciclo, talvolta
eccessivamente assorbente, degli impegni terreni e riprendere coscienza
che tutto è opera di Dio. Il potere prodigioso che Dio dà all'uomo sulla
creazione rischierebbe di fargli dimenticare che Dio è il Creatore, dal
quale tutto dipende. Tanto più urgente è questo riconoscimento nella
nostra epoca, nella quale la scienza e la tecnica hanno incredibilmente
esteso il potere che l'uomo esercita attraverso il suo lavoro.
66. Infine, non bisogna perdere di vista che, anche nel nostro
tempo, per molti il lavoro è una dura servitù, sia in ragione delle
miserevoli condizioni in cui si svolge e degli orari che impone, specie
nelle regioni più povere del mondo, sia perché sussistono, nelle stesse
società economicamente più evolute, troppi casi di ingiustizia e di
sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. Quando la Chiesa nel corso dei
secoli ha legiferato sul riposo domenicale, (109) ha considerato
soprattutto il lavoro dei servi e degli operai, non certo perché esso
fosse un lavoro meno dignitoso rispetto alle esigenze spirituali della
pratica domenicale, ma piuttosto perché più bisognoso di una
regolamentazione che ne alleggerisse il peso, e consentisse a tutti di
santificare il giorno del Signore. In questa chiave il mio predecessore
Leone XIII nell'Enciclica Rerum
novarum additava il riposo festivo come un diritto del
lavoratore che lo Stato deve garantire. (110)
Resta anche nel nostro contesto storico l'obbligo di adoperarsi
perché tutti possano conoscere la libertà, il riposo e la distensione
che sono necessari alla loro dignità di uomini, con le connesse esigenze
religiose, familiari, culturali, interpersonali, che difficilmente possono
essere soddisfatte, se non viene salvaguardato almeno un giorno
settimanale in cui godere insieme della possibilità di riposare e
di far festa. Ovviamente, questo diritto del lavoratore al riposo
presuppone il suo diritto al lavoro e, mentre riflettiamo su questa
problematica connessa con la concezione cristiana della domenica, non
possiamo non ricordare con intima partecipazione il disagio di tanti
uomini e donne che, per la mancanza di posti di lavoro, sono costretti
anche nei giorni lavorativi all'inattività.
67. Attraverso il riposo domenicale, le preoccupazioni e i compiti
quotidiani possono ritrovare la loro giusta dimensione: le cose materiali
per le quali ci agitiamo lasciano posto ai valori dello spirito; le
persone con le quali viviamo riprendono, nell'incontro e nel dialogo più
pacato, il loro vero volto. Le stesse bellezze della natura — troppe
volte sciupate da una logica di dominio che si ritorce contro l'uomo —
possono essere riscoperte e profondamente gustate. Giorno di pace
dell'uomo con Dio, con se stesso e con i propri simili, la domenica
diviene così anche momento in cui l'uomo è invitato a gettare uno
sguardo rigenerato sulle meraviglie della natura, lasciandosi coinvolgere
in quella stupenda e misteriosa armonia che, al dire di sant'Ambrogio, per
una « legge inviolabile di concordia e di amore », unisce i diversi
elementi del cosmo in un « vincolo di unione e di pace ». (111) L'uomo
si fa allora più consapevole, secondo le parole dell'Apostolo, che «
tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi,
quando lo si prende con rendimento di grazie, perché esso viene
santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera » (1 Tm 4, 4-5).
Se dunque, dopo sei giorni di lavoro — ridotti in verità già per molti
a cinque — l'uomo cerca un tempo di distensione e di migliore cura di
altri aspetti della propria vita, ciò risponde ad un bisogno autentico,
in piena armonia con la prospettiva del messaggio evangelico. Il credente
è chiamato perciò a soddisfare questa esigenza, armonizzandola con le
espressioni della sua fede personale e comunitaria, manifestata nella
celebrazione e santificazione del giorno del Signore.
Per questo è naturale che i cristiani si adoperino perché, anche
nelle circostanze speciali del nostro tempo, la legislazione civile tenga
conto del loro dovere di santificare la domenica. È comunque un loro
obbligo di coscienza quello di organizzare il riposo domenicale in modo
che sia loro possibile partecipare all'Eucaristia, astenendosi dai lavori
ed affari incompatibili con la santificazione del giorno del Signore, con
la sua tipica gioia e con il necessario riposo dello spirito e del corpo.
(112)
68. Dato poi che il riposo stesso, per non risolversi in vacuità
o divenire fonte di noia, deve portare arricchimento spirituale, più
grande libertà, possibilità di contemplazione e di comunione fraterna, i
fedeli sceglieranno, tra i mezzi della cultura e i divertimenti che la
società offre, quelli che si accordano meglio con una vita conforme ai
precetti del Vangelo. In questa prospettiva, il riposo domenicale e
festivo acquista una dimensione « profetica », affermando non solo il
primato assoluto di Dio, ma anche il primato e la dignità della persona
rispetto alle esigenze della vita sociale ed economica, e anticipando in
certo modo i « cieli nuovi » e la « terra nuova », dove la liberazione
dalla schiavitù dei bisogni sarà definitiva e totale. In breve, il
giorno del Signore diventa così, nel modo più autentico, anche il giorno
dell'uomo.
Giorno di solidarietà
69. La domenica deve anche dare ai fedeli l'occasione di dedicarsi
alle attività di misericordia, di carità e di apostolato. La
partecipazione interiore alla gioia di Cristo risorto implica la
condivisione piena dell'amore che pulsa nel suo cuore: non c'è gioia
senza amore! Gesù stesso lo spiega, ponendo in rapporto il «
comandamento nuovo » con il dono della gioia: « Se osserverete i miei
comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti
del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia
gioia sia con voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio
comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati » (Gv
15, 10-12).
L'Eucaristia domenicale, dunque, non solo non distoglie dai doveri
di carità, ma al contrario impegna maggiormente i fedeli « a tutte le
opere di carità, di pietà, di apostolato, attraverso le quali divenga
manifesto che i fedeli di Cristo non sono di questo mondo e tuttavia sono
luce del mondo e rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini ». (113)
70. Di fatto, fin dai tempi apostolici, la riunione domenicale è
stata per i cristiani un momento di condivisione fraterna nei confronti
dei più poveri. « Ogni primo giorno della settimana ciascuno metta da
parte ciò che gli è riuscito di risparmiare » (1 Cor 16, 2). Qui
si tratta della colletta organizzata da Paolo per le Chiese povere della
Giudea: nell'Eucaristia domenicale il cuore credente si allarga alle
dimensioni della Chiesa. Ma occorre cogliere in profondità l'invito
dell'Apostolo, che lungi dal promuovere un'angusta mentalità dell'«
obolo », fa piuttosto appello a una esigente cultura della
condivisione, attuata sia tra i membri stessi della comunità che in
rapporto all'intera società. (114) Sono più che mai da riascoltare i
severi moniti che egli rivolge alla comunità di Corinto, colpevole di
aver umiliato i poveri nell'agape fraterna che accompagnava la « cena del
Signore »: « Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un
mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla
cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è
ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete
gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e far vergognare chi non ha
niente? » (1 Cor 11, 20-22). Altrettanto vigorosa è la parola di
Giacomo: « Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un
anello d'oro al dito, vestito splendidamente, e entri anche un povero con
un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e
gli dite: "Tu siediti qui comodamente" e al povero dite:
"Tu mettiti in piedi lì", oppure "Siediti qui ai piedi del
mio sgabello", non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici
dai giudizi perversi? » (2, 2-4).
71. Le indicazioni degli Apostoli trovarono pronta eco fin dai
primi secoli e suscitarono vibrati accenti nella predicazione dei Padri
della Chiesa. Parole di fuoco rivolgeva sant'Ambrogio ai ricchi che
presumevano di assolvere ai loro obblighi religiosi frequentando la chiesa
senza condividere i loro beni con i poveri e magari opprimendoli: «
Ascolti, o ricco, cosa dice il Signore? E tu vieni in chiesa non per dare
qualcosa a chi è povero ma per prendere ». (115) Non meno esigente san
Giovanni Crisostomo: « Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo
quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di
seta, per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità. Colui che
ha detto: "Questo è il mio corpo", è il medesimo che ha detto:
"Voi mi avete visto affamato e non mi avete nutrito", e
"Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l'avete
fatto a me" [...]. A che serve che la tavola eucaristica sia
sovraccarica di calici d'oro, quando lui muore di fame? Comincia a saziare
lui affamato, poi con quello che resterà potrai ornare anche l'altare ».
(116)
Sono parole che ricordano efficacemente alla comunità cristiana
il dovere di fare dell'Eucaristia il luogo dove la fraternità diventi
concreta solidarietà, dove gli ultimi siano i primi nella considerazione
e nell'affetto dei fratelli, dove Cristo stesso, attraverso il dono
generoso fatto dai ricchi ai più poveri, possa in qualche modo continuare
nel tempo il miracolo della moltiplicazione dei pani. (117)
72. L'Eucaristia è evento e progetto di fraternità. Dalla Messa
domenicale parte un'onda di carità, destinata ad espandersi in tutta la
vita dei fedeli, iniziando ad animare il modo stesso di vivere il resto
della domenica. Se essa è giorno di gioia, occorre che il cristiano dica
con i suoi concreti atteggiamenti che non si può essere felici « da soli
». Egli si guarda attorno, per individuare le persone che possono aver
bisogno della sua solidarietà. Può accadere che nel suo vicinato o nel
suo raggio di conoscenze vi siano ammalati, anziani, bambini, immigrati
che proprio di domenica avvertono in modo ancora più cocente la loro
solitudine, le loro necessità, la loro condizione di sofferenza.
Certamente l'impegno per loro non può limitarsi ad una sporadica
iniziativa domenicale. Ma posto un atteggiamento di impegno più globale,
perché non dare al giorno del Signore un maggior tono di condivisione,
attivando tutta l'inventiva di cui è capace la carità cristiana?
Invitare a tavola con sé qualche persona sola, fare visita a degli
ammalati, procurare da mangiare a qualche famiglia bisognosa, dedicare
qualche ora a specifiche iniziative di volontariato e di solidarietà,
sarebbe certamente un modo per portare nella vita la carità di Cristo
attinta alla Mensa eucaristica.
73. Vissuta così, non solo l'Eucaristia domenicale, ma l'intera
domenica diventa una grande scuola di carità, di giustizia e di pace. La
presenza del Risorto in mezzo ai suoi si fa progetto di solidarietà,
urgenza di rinnovamento interiore, spinta a cambiare le strutture di
peccato in cui i singoli, le comunità, talvolta i popoli interi sono
irretiti. Lungi dall'essere evasione, la domenica cristiana è piuttosto
« profezia » inscritta nel tempo, profezia che obbliga i credenti a
seguire le orme di Colui che è venuto « per annunciare ai poveri un
lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi
la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di
grazia del Signore » (Lc 4, 18-19). Mettendosi alla sua scuola,
nella memoria domenicale della Pasqua, e ricordando la sua promessa: « Vi
lascio la pace, vi dò la mia pace » (Gv 14, 27), il credente
diventa a sua volta operatore di pace.
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CAPITOLO QUINTO
DIES DIERUM
La domenica festa
primordiale,
rivelatrice del senso del tempo
Cristo Alfa e Omega del tempo
74. « Nel cristianesimo il tempo ha un'importanza fondamentale.
Dentro la sua dimensione viene creato il mondo, al suo interno si svolge
la storia della salvezza, che ha il suo culmine nella "pienezza del
tempo" dell'Incarnazione e il suo traguardo nel ritorno glorioso del
Figlio di Dio alla fine dei tempi. In Gesù Cristo, Verbo incarnato, il
tempo diventa una dimensione di Dio, che in se stesso è eterno ». (118)
Gli anni dell'esistenza terrena di Cristo, alla luce del Nuovo
Testamento, costituiscono realmente il centro del tempo. Questo
centro ha il suo culmine nella risurrezione. Se è vero, infatti, che egli
è Dio fatto uomo fin dal primo istante del concepimento nel grembo della
Vergine Santa, è anche vero che solo con la risurrezione la sua umanità
è totalmente trasfigurata e glorificata, rivelando così pienamente la
sua identità e gloria divina. Nel discorso tenuto nella sinagoga di
Antiochia di Pisidia (cfr At 13, 33), Paolo applica appunto alla
risurrezione di Cristo l'affermazione del Salmo 2: « Mio figlio sei tu,
oggi ti ho generato » (v. 7). Proprio per questo, nella celebrazione
della Veglia pasquale, la Chiesa presenta il Cristo risorto come «
Principio e Fine, Alfa e Omega ». Queste parole, pronunciate dal
celebrante nella preparazione del cero pasquale, sul quale è incisa la
cifra dell'anno in corso, mettono in evidenza il fatto che « Cristo è il
Signore del tempo; è il suo principio e il suo compimento; ogni anno,
ogni giorno ed ogni momento vengono abbracciati nella sua incarnazione e
risurrezione, per ritrovarsi in questo modo nella "pienezza del
tempo" ». (119)
75. Essendo la domenica la Pasqua settimanale, in cui è rievocato
e reso presente il giorno nel quale Cristo risuscitò dai morti, essa è
anche il giorno che rivela il senso del tempo. Non c'è parentela con i
cicli cosmici, secondo cui la religione naturale e la cultura umana
tendono a ritmare il tempo, indulgendo magari al mito dell'eterno ritorno.
La domenica cristiana è altra cosa! Sgorgando dalla Risurrezione, essa
fende i tempi dell'uomo, i mesi, gli anni, i secoli, come una freccia
direzionale che li attraversa orientandoli al traguardo della seconda
venuta di Cristo. La domenica prefigura il giorno finale, quello della Parusía,
già in qualche modo anticipata dalla gloria di Cristo nell'evento della
Risurrezione.
In effetti, tutto quanto avverrà, fino alla fine del mondo, non
sarà che una espansione e una esplicitazione di ciò che è avvenuto nel
giorno in cui il corpo martoriato del Crocifisso è risuscitato per la
potenza dello Spirito ed è diventato a sua volta la sorgente dello
Spirito per l'umanità. Il cristiano sa, perciò, di non dover attendere
un altro tempo di salvezza, giacché il mondo, quale che sia la sua durata
cronologica, vive già nell'ultimo tempo. Dal Cristo glorificato
non solo la Chiesa, ma il cosmo stesso e la storia sono continuamente
retti e guidati. E questa energia di vita a spingere la creazione, che «
geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto » (Rm 8, 22),
verso la meta del suo pieno riscatto. Di questo cammino l'uomo non può
avere che un oscuro intuito; i cristiani ne hanno la cifra e la certezza,
e la santificazione della domenica è una testimonianza significativa che
essi sono chiamati a dare, perché i tempi dell'uomo siano sempre sorretti
dalla speranza.
La domenica nell'anno liturgico
76. Se il giorno del Signore, con la sua cadenza settimanale, è
radicato nella tradizione più antica della Chiesa ed è di vitale
importanza per il cristiano, un altro ritmo non ha tardato ad affermarsi:
il ciclo annuale. Corrisponde in effetti alla psicologia umana celebrare
gli anniversari, associando al ritorno delle date e delle stagioni il
ricordo di avvenimenti passati. Quando poi si tratta di avvenimenti
decisivi per la vita di un popolo, è normale che la loro ricorrenza
susciti un clima di festa che viene a rompere la monotonia dei giorni.
Ora i principali eventi di salvezza su cui poggia la vita della
Chiesa furono, per disegno di Dio, strettamente legati alla Pasqua e alla
Pentecoste, feste annuali dei giudei, e in esse profeticamente
prefigurati. Dal secondo secolo, la celebrazione da parte dei cristiani
della Pasqua annuale, aggiungendosi a quella della Pasqua settimanale, ha
permesso di dare più ampiezza alla meditazione del mistero di Cristo
morto e risorto. Preceduta da un digiuno che la prepara, celebrata nel
corso di una lunga veglia, prolungata con i cinquanta giorni che portano
alla Pentecoste, la festa di Pasqua, « solennità delle solennità », è
divenuta il giorno per eccellenza dell'iniziazione dei catecumeni. In
effetti, se attraverso il battesimo essi muoiono al peccato e risuscitano
a una vita nuova, è perché Gesù « è stato messo a morte per i nostri
peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione » (Rm
4, 25; cfr 6, 3-11). Intimamente connessa col mistero pasquale, acquista
rilievo speciale la solennità di Pentecoste, in cui si celebrano la
venuta dello Spirito Santo sugli Apostoli, riuniti con Maria, e l'inizio
della missione verso tutti i popoli. (120)
77. Una simile logica commemorativa ha presieduto alla
strutturazione di tutto l'anno liturgico. Come ricorda il Concilio
Vaticano II, la Chiesa ha voluto distribuire nel corso dell'anno « tutto
il mistero di Cristo, dall'Incarnazione e Natività fino all'Ascensione,
al giorno di Pentecoste e all'attesa della beata speranza e del ritorno
del Signore. Ricordando in questo modo i misteri della redenzione, essa
apre ai fedeli i tesori di potenza e di meriti del suo Signore, così che
siano resi in qualche modo presenti in ogni tempo, perché i fedeli
possano venirne a contatto ed essere ripieni della grazia di salvezza ».
(121)
Celebrazione solennissima, dopo la Pasqua e la Pentecoste, è
indubbiamente la Natività del Signore, nella quale i cristiani meditano
il mistero dell'Incarnazione e contemplano il Verbo di Dio che si degna di
assumere la nostra umanità per renderci partecipi della sua divinità.
78. Ugualmente, « nella celebrazione di questo ciclo annuale dei
misteri di Cristo, la santa Chiesa venera con speciale amore la beata
Maria Madre di Dio, congiunta indissolubilmente con l'opera salvifica del
Figlio suo ». (122) Allo stesso modo, introducendo nel ciclo annuale, in
occasione dei loro anniversari, le memorie dei Martiri e di altri Santi,
« la Chiesa predica il mistero pasquale nei Santi che hanno sofferto con
Cristo e con lui sono glorificati ». (123) Il ricordo dei Santi,
celebrato nell'autentico spirito della liturgia, non oscura la centralità
di Cristo, ma al contrario la esalta, mostrando la potenza della sua
redenzione. Come canta san Paolino di Nola, « tutto passa, la gloria dei
Santi dura in Cristo, che tutto rinnova, mentre egli rimane lo stesso ».
(124) Questo intrinseco rapporto della gloria dei Santi a quella di Cristo
è inscritto nello statuto stesso dell'anno liturgico, e trova proprio nel
carattere fondamentale e dominante della domenica, quale giorno del
Signore, la sua espressione più eloquente. Seguendo i tempi dell'anno
liturgico, nell'osservanza della domenica che interamente lo scandisce,
l'impegno ecclesiale e spirituale del cristiano viene profondamente
incardinato in Cristo, nel quale trova la sua ragion d'essere e dal quale
trae alimento e stimolo.
79. La domenica appare così il naturale modello per comprendere e
celebrare quelle solennità dell'anno liturgico, il cui valore per
l'esistenza cristiana è così grande che la Chiesa ha stabilito di
sottolinearne l'importanza facendo obbligo ai fedeli di partecipare alla
Messa e di osservare il riposo, benché cadano in giorni variabili della
settimana. (125) Il numero di queste feste è cambiato nelle diverse
epoche, tenuto conto delle condizioni sociali ed economiche, come del loro
radicamento nella tradizione, oltre che dell'appoggio della legislazione
civile. (126)
L'attuale ordinamento canonico-liturgico prevede la possibilità
che ogni Conferenza Episcopale, in ragione di circostanze proprie di
questo o quell'altro Paese, riduca la lista dei giorni di precetto.
L'eventuale decisione in tal senso ha bisogno di essere confermata da una
speciale approvazione della Sede Apostolica, (127) ed in questo caso, la
celebrazione di un mistero del Signore, come l'Epifania, l'Ascensione o la
solennità del Corpo e del Sangue di Cristo, dev'essere rinviata alla
domenica, secondo le norme liturgiche, perché i fedeli non siano privati
della meditazione del mistero. (128) I Pastori avranno altresì a cuore di
incoraggiare i fedeli a partecipare alla Messa anche in occasione delle
feste di una certa importanza che cadono nel corso della settimana. (129)
80. Uno specifico discorso pastorale va affrontato in rapporto
alle frequenti situazioni in cui tradizioni popolari e culturali tipiche
di un ambiente rischiano di invadere la celebrazione delle domeniche e
delle altre feste liturgiche, mescolando allo spirito dell'autentica fede
cristiana elementi che le sono estranei e potrebbero sfigurarla. Occorre
in questi casi far chiarezza, con la catechesi e opportuni interventi
pastorali, respingendo quanto è inconciliabile col Vangelo di Cristo. Non
bisogna tuttavia dimenticare che spesso tali tradizioni — ciò vale
analogamente per nuove proposte culturali della società civile — non
mancano di valori che si coniugano senza difficoltà con le esigenze della
fede. Spetta ai Pastori operare un discernimento che salvi i valori
presenti nella cultura di un determinato contesto sociale e soprattutto
nella religiosità popolare, facendo in modo che la celebrazione
liturgica, specie quella delle domeniche e delle feste, non ne soffra, ma
piuttosto ne sia avvantaggiata. (130)
|
CONCLUSIONE
81. Veramente grande è la ricchezza spirituale e pastorale della
domenica, quale la tradizione ce l'ha consegnata. Colta nella totalità
dei suoi significati e delle sue implicazioni, essa è, in qualche modo,
sintesi della vita cristiana e condizione per viverla bene. Si comprende
dunque perché l'osservanza del giorno del Signore stia particolarmente a
cuore alla Chiesa e resti un vero e proprio obbligo all'interno della
disciplina ecclesiale. Tale osservanza, tuttavia, prima ancora che come
precetto, deve essere sentita come un'esigenza inscritta nella profondità
dell'esistenza cristiana. È davvero di capitale importanza che ciascun
fedele si convinca di non poter vivere la sua fede, nella piena
partecipazione alla vita della comunità cristiana, senza prendere
regolarmente parte all'assemblea eucaristica domenicale. Se
nell'Eucaristia si realizza quella pienezza del culto che gli uomini
devono a Dio, e che non ha paragone con nessun'altra esperienza religiosa,
ciò si esprime con particolare efficacia proprio nel convenire domenicale
di tutta la comunità, obbediente alla voce del Risorto che la convoca,
per donarle la luce della sua Parola e il nutrimento del suo Corpo come
perenne sorgente sacramentale di redenzione. La grazia che sgorga da
questa sorgente rinnova gli uomini, la vita, la storia.
82. È con questa forte convinzione di fede, accompagnata dalla
consapevolezza del patrimonio di valori anche umani insiti nella pratica
domenicale, che i cristiani di oggi devono porsi di fronte alle
sollecitazioni di una cultura che ha beneficamente acquisito le esigenze
di riposo e di tempo libero, ma le vive spesso in modo superficiale, e
talvolta è sedotta da forme di divertimento che sono moralmente
discutibili. Il cristiano si sente certo solidale con gli altri uomini nel
godere il giorno di riposo settimanale; al tempo stesso, però, egli ha
viva coscienza della novità e originalità della domenica, giorno in cui
è chiamato a celebrare la salvezza sua e dell'intera umanità. Se essa è
giorno di gioia e di riposo, ciò scaturisce proprio dal fatto che è il
« giorno del Signore », il giorno del Signore risorto.
83. Percepita e vissuta così, la domenica diventa in qualche modo
l'anima degli altri giorni, e in questo senso si può richiamare la
riflessione di Origene, secondo il quale il cristiano perfetto « è
sempre nel giorno del Signore, celebra sempre la domenica ». (131) La
domenica è un'autentica scuola, un itinerario permanente di pedagogia
ecclesiale. Pedagogia insostituibile, specie nelle condizioni dell'odierna
società, segnata sempre più fortemente dalla frammentazione e dal
pluralismo culturale, che mettono continuamente alla prova la fedeltà dei
singoli cristiani alle esigenze specifiche della loro fede. In molte parti
del mondo si profila la condizione di un cristianesimo della « diaspora
», provato cioè da una situazione di dispersione, in cui i discepoli di
Cristo non riescono più a mantenere facilmente i contatti fra loro né
sono aiutati da strutture e tradizioni proprie della cultura cristiana. In
questo contesto problematico, la possibilità di ritrovarsi la domenica
con tutti i fratelli di fede, scambiandosi i doni della fraternità, è un
aiuto irrinunciabile.
84. Posta a sostegno della vita cristiana, la domenica acquista
naturalmente anche un valore di testimonianza e di annuncio. Giorno di
preghiera, di comunione, di gioia, essa si riverbera sulla società,
irradiando energie di vita e motivi di speranza. Essa è l'annuncio che il
tempo, abitato da Colui che è il Risorto e il Signore della storia, non
è la bara delle nostre illusioni, ma la culla di un futuro sempre nuovo,
l'opportunità che ci viene data per trasformare i momenti fugaci di
questa vita in semi di eternità. La domenica è invito a guardare in
avanti, è il giorno in cui la comunità cristiana grida a Cristo il suo
« Marána tha: vieni, o Signore! » (1 Cor 16, 22). In
questo grido di speranza e di attesa, essa si fa compagnia e sostegno
della speranza degli uomini. E di domenica in domenica, illuminata da
Cristo, cammina verso la domenica senza fine della Gerusalemme celeste,
quando sarà compiuta in tutti i suoi lineamenti la mistica Città di Dio,
che « non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché
la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello » (Ap
21, 23).
85. In questa tensione verso il traguardo la Chiesa è sostenuta e
animata dallo Spirito. Egli ne risveglia la memoria e attualizza per ogni
generazione di credenti l'evento della Risurrezione. E il dono interiore
che ci unisce al Risorto e ai fratelli nell'intimità di un unico corpo,
ravvivando la nostra fede, effondendo nel nostro cuore la carità,
rianimando la nostra speranza. Lo Spirito è presente senza interruzione
ad ogni giorno della Chiesa, irrompendo imprevedibile e generoso con la
ricchezza dei suoi doni, ma nel raduno domenicale per la celebrazione
settimanale della Pasqua la Chiesa si mette in speciale ascolto di lui, e
si protende con lui verso Cristo, nel desiderio ardente del suo ritorno
glorioso: « Lo Spirito e la sposa dicono: "Vieni"! » (Ap
22, 17). Proprio in considerazione del ruolo dello Spirito ho desiderato
che questa esortazione a riscoprire il senso della domenica cadesse in
quest'anno che, nella preparazione immediata al Giubileo, è dedicato
appunto allo Spirito Santo.
86. Affido l'accoglimento operoso di questa Lettera apostolica, da
parte della comunità cristiana, all'intercessione della Vergine Santa.
Ella, senza nulla detrarre alla centralità di Cristo e del suo Spirito,
è presente in ogni domenica della Chiesa. E lo stesso mistero di Cristo
che lo esige: come potrebbe infatti, Lei che è la Mater Domini e
la Mater Ecclesiae, non essere presente a titolo speciale, nel
giorno che è insieme dies Domini e dies Ecclesiae?
Alla Vergine Maria guardano i fedeli che ascoltano la Parola
proclamata nell'assemblea domenicale, imparando da lei a custodirla e
meditarla nel proprio cuore (cfr Lc 2, 19). Con Maria essi imparano
a stare ai piedi della croce, per offrire al Padre il sacrificio di Cristo
ed unire ad esso l'offerta della propria vita. Con Maria vivono la gioia
della risurrezione, facendo proprie le parole del Magnificat che
cantano l'inesauribile dono della divina misericordia nell'inesorabile
fluire del tempo: « Di generazione in generazione la sua misericordia si
stende su quelli che lo temono » (Lc 1, 50). Di domenica in
domenica, il popolo pellegrinante si pone sulle orme di Maria, e la sua
intercessione materna rende particolarmente intensa ed efficace la
preghiera che la Chiesa eleva alla Santissima Trinità.
87. L'imminenza del Giubileo, carissimi Fratelli e Sorelle, ci
invita ad approfondire il nostro impegno spirituale e pastorale. È
questo, infatti, il suo vero scopo. Nell'anno in cui verrà celebrato,
molte iniziative lo caratterizzeranno e daranno ad esso il timbro
singolare che non può non avere la conclusione del secondo millennio e
l'inizio del terzo dall'Incarnazione del Verbo di Dio. Ma questo anno e
questo tempo speciale passeranno, in attesa di altri giubilei e di altre
scadenze solenni. La domenica, con la sua ordinaria « solennità »,
resterà a scandire il tempo del pellegrinaggio della Chiesa, fino alla
domenica senza tramonto.
Vi esorto, perciò, cari Fratelli nell'episcopato e nel
sacerdozio, ad operare instancabilmente, insieme con i fedeli, perché il
valore di questo giorno sacro sia sempre meglio riconosciuto e vissuto. Ciò
recherà frutti alle comunità cristiane e non mancherà di esercitare
benefici influssi sull'intera società civile.
Gli uomini e le donne del terzo millennio, incontrando la Chiesa
che ogni domenica celebra gioiosamente il mistero da cui attinge tutta la
sua vita, possano incontrare lo stesso Cristo risorto. E i suoi discepoli,
rinnovandosi costantemente nel memoriale settimanale della Pasqua, siano
annunciatori sempre più credibili del Vangelo che salva e costruttori
operosi della civiltà dell'amore.
A tutti la mia Benedizione!
Dal Vaticano, il 31 maggio, solennità di Pentecoste, dell'anno
1998, ventesimo di Pontificato.
GIOVANNI PAOLO SECONDO
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NOTE
(1) Cfr Ap 1,10: « Kyriake heméra »; cfr anche Didachè
14,1; s. Ignazio di Antiochia, Ai cristiani di Magnesia 9, 1-2: SC
10, 88-89.
(2) Pseudo Eusebio di Alessandria, Sermone 16: PG
86, 416.
(3) In die dominica Paschae II, 52: CCL 78, 550.
(4) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium,
106.
(5) Ibid.
(6) Cfr Motu proprio Mysterii
paschalis (14 febbraio 1969): AAS 61 (1969), 222-226.
(7) Cfr Nota pastorale della Conferenza Episcopale Italiana «
Il giorno del Signore » (15 luglio 1984), 5: Ench. CEI 3,
1938.
(8) Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 106.
(9) Omelia per il solenne inizio del Pontificato (22 ottobre
1978), 5: AAS 70 (1978), 947.
(10) N. 25: AAS 73 (1981), 639.
(11) Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium
et spes, 34.
(12) Il sabato è vissuto dai nostri fratelli ebrei con una
spiritualità « sponsale », come emerge, ad esempio, in testi di Genesi
Rabbah X, 9 e XI, 8 (cfr J. Neusner, Genesis Rabbah, vol. I,
Atlanta 1985, p. 107 e p. 117). Di tonalità nuziale è pure il canto Leka
dôdi: « Sarà felice di te il tuo Dio, come è felice lo sposo con
la sposa. In mezzo ai fedeli del tuo popolo prediletto vieni o sposa, shabbat
regina » (Preghiera serale del sabato, a cura di A. Toaff, Roma
1968-69, p. 3).
(13) Cfr A. J. Heschel, The
sabbath. Its meaning for modern man (22a ed. 1995), pp. 3-24.
(14) « Verum autem sabbatum ipsum
redemptorem nostrum Iesum Christum Dominum habemus »: Epist. 13, 1: CCL 140A, 992.
(15) Epist. ad Decentium
XXV, 4, 7: PL 20, 555.
(16) Homiliae in Hexaemeron II, 8: SC 26, 184.
(17) Cfr In Io. ev. tract. XX, 20, 2: CCL 36, 203; Epist.
55, 2: CSEL 34, 170-171.
(18) Questo riferimento alla risurrezione è particolarmente
visibile nella lingua russa, dove la domenica si dice appunto «
risurrezione » (voskresén'e).
(19) Epist. 10, 96, 7.
(20) Cfr ibid. In riferimento alla lettera di Plinio, anche
Tertulliano ricorda i coetus antelucani in Apologeticum 2,
6: CCL 1, 88; De corona 3, 3: CCL 2, 1043.
(21) Ai cristiani di Magnesia 9, 1-2: SC 10, 88-89.
(22) Sermo 8 in octava Paschalis 4: PL 46, 841.
Questo carattere di « primo giorno » della domenica è ben evidente nel
calendario liturgico latino, dove il lunedì è denominato feria
secunda, il martedì feria tertia ecc. Una simile denominazione
dei giorni della settimana si ritrova nella lingua portoghese.
(23) S. Gregorio di Nissa, De castigatione: PG 46,
309. Anche nella liturgia maronita è sottolineato il nesso fra il sabato
e la domenica, a partire dal « mistero del Sabato Santo » (cfr M. Hayek,
Maronite [Eglise], Dictionnaire de spiritualité, X [1980],
632-644).
(24) Rito del Battesimo dei bambini, n. 9; cfr Rito
dell'iniziazione cristiana degli adulti, n. 59.
(25) Cfr Messale Romano, Rito dell'aspersione domenicale
dell'acqua benedetta.
(26) Cfr s. Basilio, Sullo Spirito Santo 27, 66: SC
17, 484-485. Cfr anche Epistola di Barnaba 15, 8-9: SC 172,
186-189; s. Giustino, Dialogo con Trifone 24.138: PG 6,
528.793; Origene, Comm. sui Salmi, Salmo 118 (119), 1: PG
12, 1588.
(27) « Domine, praestitisti nobis pacem quietis, pacem sabbati,
pacem sine vespera »: Confess. 13, 50: CCL 27, 272.
(28) Cfr s. Agostino, Epist. 55,17: CSEL 34, 188: «
Ita ergo erit octavus, qui primus, ut prima vita sed aeterna reddatur
».
(29) Così nell'inglese Sunday e nel tedesco Sonntag.
(30) Apologia I, 67: PG 6, 430.
(31) Cfr s. Massimo di Torino, Sermo 44, 1: CCL 23,
178; Id., Sermo 53, 2: CCL 23, 219; Eusebio di Cesarea, Comm.
in Ps. 91: PG 23, 1169-1173.
(32) Si veda, ad esempio, l'inno per l'Ufficio delle Letture: « Dies
aetasque ceteris octava splendet sanctior in te quam, Iesu, consecras
primitiae surgentium » (I sett.); ed anche: « Salve dies, dierum
gloria dies felix Christi victoria, dies digna iugi laetitia dies prima. Lux divina caecis irradiat, in qua Christus
infernum spoliat, mortem vincit et reconciliat summis ima » (II sett.). Analoghe
espressioni si ritrovano in inni adottati nella Liturgia delle Ore in
diverse lingue moderne.
(33) Cfr s. Clemente Alessandrino Stromati VI, 138, 1-2: PG
9, 364.
(34) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et vivificantem
(18 maggio 1986), 22-26: AAS 78 (1986), 829-837.
(35) Cfr s. Atanasio di Alessandria, Lettere domenicali 1,
10: PG 26, 1366.
(36) Cfr Bardesane, Dialogo sul destino 46: PS 2,
606-607.
(37) Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium,
Appendice: Dichiarazione circa la riforma del calendario.
(38) Cfr Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 9.
(39) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. Dominicae Cenae (24
febbraio 1980), 4: AAS 72 (1980), 120; Lett. enc. Dominum et
vivificantem (18 maggio 1986), 62-64: AAS 78 (1986), 889-894.
(40) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus (4 dicembre 1988), 9: AAS 81 (1989), 905-906.
(41) N. 2177.
(42) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus (4 dicembre 1988), 9: AAS 81 (1989), 905-906.
(43) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum
Concilium, 41; cfr Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella
Chiesa Christus Dominus, 15.
(44) Sono le parole dell'embolismo, formulato con questa o
analoghe espressioni all'interno di alcuni canoni eucaristici in diverse
lingue. Esse sottolineano efficacemente il carattere « pasquale » della
domenica.
(45) Cfr Congr. per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi
della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa come comunione Communionis
notio (28 maggio 1992), 11-14: AAS 85 (1993), 844-847.
(46) Discorso al terzo gruppo di Vescovi degli Stati Uniti
d'America (17 marzo 1998), 4: L'Osservatore Romano 18 marzo 1998,
p. 4.
(47) Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 42.
(48) S. Congr. dei Riti, Istr. sul culto del mistero eucaristico Eucharisticum
mysterium (25 maggio 1967), 26: AAS 59 (1967), 555.
(49) Cfr s. Cipriano, De Orat. Dom.
23: PL 4, 553; Id. De cath. Eccl. unitate, 7: CSEL 3-1,
215; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium,
4; Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 26.
(50) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio
(22 novembre 1981), 57; 61: AAS 74 (1982), 151; 154.
(51) Cfr S. Congr. per il Culto Divino, Direttorio per le Messe
dei fanciulli (1 novembre 1973): AAS 66 (1974), 30-46.
(52) Cfr S. Congr. dei Riti, Istr. sul culto del mistero
eucaristico Eucharisticum mysterium (25 maggio 1967), 26: AAS
59 (1967), 555-556; S. Congr. per i Vescovi, Direttorio per il ministero
pastorale dei Vescovi Ecclesiae imago (22 febbraio 1973), 86 c: Ench.
Vat., 4, 2071.
(53) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles
laici (30 dicembre 1988), 30: AAS 81 (1989), 446-447.
(54) Cfr S. Congr. per il Culto Divino, Istr. Le messe per
gruppi particolari (15 maggio 1969), 10: AAS 61 (1969), 810.
(55) Cfr Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 48-51.
(56) « Haec est vita nostra, ut desiderando exerceamur »:
S. Agostino, In prima Ioan. tract. 4, 6: SC 75, 232.
(57) Messale Romano, Embolismo dopo il Padre Nostro.
(58) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo, Gaudium et spes, 1.
(59) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen
gentium, 1; cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et
vivificantem (18 maggio 1986), 61-64: AAS 78 (1986), 888-894.
(60) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum
Concilium, 7; cfr 33.
(61) Ibid., 56; cfr Ordo Lectionum Missae, Praenotanda,
n. 10.
(62) Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 51.
(63) Cfr ibid., 52; Codice di Diritto Canonico,
can. 767 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 614.
(64) Cost. ap. Missale Romanum (3 aprile 1969): AAS
61 (1969), 220.
(65) Nella Cost. conciliare Sacrosanctum Concilium, 24, si
parla di « suavis et vivus Sacrae Scripturae affectus ».
(66) Giovanni Paolo II, Lett. Dominicae Cenae (24 febbraio
1980), 10: AAS 72 (1980), 135.
(67) Cfr Conc. Ecum Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 25.
(68) Cfr Ordo lectionum Missae, Praenotanda, cap.
III.
(69) Cfr Ordo Lectionum Missae, Praenotanda, cap. I, n. 6.
(70) Conc. Ecum. Tridentino, Sess. XXII, Dottrina e canoni sul
santissimo sacrificio della Messa, II: DS, 1743; cfr Catechismo
della Chiesa Cattolica, 1366.
(71) Catechismo della Chiesa Cattolica, 1368.
(72) S. Congr. dei Riti Istr. sul culto del mistero eucaristico Eucharisticum
mysterium (25 maggio 1967), 3 b: AAS 59 (1967), 541; cfr Pio
XII, Lett. enc. Mediator Dei (20 novembre 1947), II: AAS 39
(1947), 564-566.
(73) Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1385; cfr anche
Congr. per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa
cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di
fedeli divorziati risposati (14 settembre 1994): AAS 86 (1994),
974-979.
(74) Cfr Innocenzo I, Epist. 25, 1 a Decenzio di Gubbio: PL
20, 553.
(75) II, 59, 2-3: ed. F. X. Funk, 1905, 170-171.
(76) Cfr Apologia I, 67, 3-5: PG 6, 430.
(77) Acta SS. Saturnini, Dativi et aliorum plurimorum martyrum
in Africa 7, 9, 10: PL 8, 707.709-710.
(78) Cfr can. 21, Mansi, Conc. II, col. 9.
(79) Cfr can. 47, Mansi, Conc. VIII, col. 332.
(80) Cfr la proposizione contraria, condannata da Innocenzo XI nel
1679, riguardante l'obbligo morale della santificazione della festa: DS
2152.
(81) Can. 1248: « Festis de praecepto diebus Missa audienda
est »; can. 1247 § 1: « Dies festi sub praecepto in universa
Ecclesia sunt... omnes et singuli dies dominici ».
(82) Codice di Diritto Canonico, can. 1247; il Codice
dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 881 § 1, prescrive che « i
fedeli cristiani sono tenuti all'obbligo, nelle domeniche e nelle feste di
precetto, di partecipare alla Divina Liturgia oppure, secondo le
prescrizioni o la legittima consuetudine della propria Chiesa sui iuris,
alla celebrazione delle lodi divine ».
(83) « Coloro che deliberatamente non ottemperano a questo
obbligo commettono un peccato grave ». N. 2181.
(84) S. Congr. per i Vescovi, Direttorio per il ministero
pastorale dei vescovi Ecclesiae imago (22 febbraio 1973), 86 a: Ench.
Vat. 4, 2069.
(85) Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 905 § 2.
(86) Cfr Pio XII, Cost.
ap. Christus Dominus
(6 gennaio 1953): AAS 45 (1953), 15-24; Motu proprio Sacram
Communionem (19 marzo 1957): AAS 49 (1957), 177-178. Congr. S.
Uffizio, Istr. sulla disciplina circa il digiuno eucaristico (6 gennaio
1953): AAS 45 (1953), 47-51.
(87) Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1248 § 1; Codice
dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 881 § 2.
(88) Cfr Missale Romanum, Normae universales de Anno
liturgico et de Calendario, 3.
(89) Cfr S. Congr. per i vescovi, Direttorio per il ministero
pastorale dei vescovi Ecclesiae imago (22 febbraio 1973), 86: Ench.
Vat. 4, 2069-2073.
(90) Cfr Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. sulla sacra liturgia, Sacrosanctum Concilium, 14.26; Giovanni
Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus
annus (4 dicembre 1988), 4.6.12:
AAS 81 (1989), 900-901; 902; 909-910.
(91) Cfr Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 10.
(92) Cfr Istr. interdicasteriale su alcune questioni circa la
collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti Ecclesiae de
mysterio (15 agosto 1997), 6.8: AAS 89 (1997), 869.870-872.
(93) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen
gentium, 10: « in oblationem Eucharistiae concurrunt ».
(94) Ibid., 11.
(95) Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1248 § 2.
(96) Cfr S. Congr. per il Culto Divino, Direttorio per le
celebrazioni domenicali in assenza del sacerdote Christi Ecclesia
(2 giugno 1988): Ench. Vat. 11, 442-468; Istr. interdicasteriale su
alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei
sacerdoti Ecclesiae de mysterio (15 agosto 1997): AAS 89
(1997), 852-877.
(97) Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1248 § 2; Congr. per la
Dottrina della Fede, Lettera Sacerdotium ministeriale (6 agosto
1983), III: AAS 75 (1983), 1007.
(98) Cfr Pont. Commissione per le Comunicazioni Sociali, Istr. Communio
et progressio (23 maggio 1971), 150-152.157: AAS 63 (1971),
645-646.647.
(99) Proclamazione diaconale in onore del giorno del Signore: cfr
il testo siriaco nel Messale secondo il rito della Chiesa di Antiochia dei
Maroniti (edizione in siriaco e arabo), Jounieh (Libano) 1959, p. 38.
(100) V, 20, 11: ed. F. X. Funk, 1905, 298; cfr Didachè
14, 1: ed. F. X. Funk, 1901, 32; Tertulliano, Apologeticum 16, 11: CCL
1, 116. Si veda, in particolare, l'Epistola di Barnaba 15, 9: SC
172, 188-189: « Ecco perché celebriamo come una festa gioiosa
l'ottavo giorno nel quale Gesù è risuscitato dai morti e, dopo essere
apparso, è salito al cielo ».
(101) Tertulliano, ad esempio, ci informa che nelle domeniche era
vietato l'inginocchiarsi, in quanto questa posizione, essendo allora colta
soprattutto come gesto penitenziale, sembrava poco opportuna nel giorno
della gioia: cfr De corona 3, 4: CCL 2, 1043.
(102) Epist. 55, 28: CSEL 342, 202.
(103) Cfr S. Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, Derniers
entretiens, 5-6 Juillet 1897, in: Oeuvres complètes, Cerf-Desclée
de Brouwer, Paris 1992, pp. 1024-1025.
(104) Esort. ap. Gaudete in Domino (9 maggio 1975), II: AAS
67 (1975), 295.
(105) Ibid., VII,
l.c., 322.
(106) Hex. 6, 10, 76: CSEL 321, 261.
(107) Cfr editto di Costantino, 3 luglio 321: Codex Theodosianus
II, tit. 8, 1, ed. Th. Mommsen, 12, 87; Codex Iustiniani 3, 12, 2,
ed. P. Krueger, 248.
(108) Cfr Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino 4, 18: PG
20, 1165.
(109) Il più antico documento ecclesiastico sull'argomento è il
can. 29 del Concilio di Laodicea (2a metà del IV sec.): Mansi, II, col.
569-570. Dal VI al IX secolo molti Concili proibirono le « opera
ruralia ». La legislazione sui lavori proibiti, sostenuta anche da
leggi civili, diventò progressivamente più dettagliata.
(110) Cfr Lett. enc. Rerum
novarum (15 maggio 1891): Acta Leonis XIII 11
(1891), 127-128.
(111) Hex. 2, 1, 1: CSEL 321, 41.
(112) Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1247; Codice
dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 881 §§ 1.4.
(113) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum
Concilium, 9.
(114) Cfr anche s. Giustino, Apologia I, 67, 6: « Quelli
che sono nell'abbondanza e che vogliono dare, danno liberamente ciascuno
ciò che vuole, e ciò che è raccolto è consegnato a colui che presiede
e egli assiste gli orfani, le vedove, i malati, gli indigenti, i
prigionieri, gli ospiti stranieri, in una parola, soccorre tutti quelli
che sono nel bisogno »: PG 6, 430.
(115) De Nabuthae 10, 45: « Audis,
dives, quid Dominus Deus dicat? Et tu ad ecclesiam
venis, non ut aliquid largiaris pauperi, sed ut auferas »:
CSEL 322, 492.
(116) Omelie sul Vangelo di Matteo 50, 3-4: PG 58,
508-509.
(117) Cfr s. Paolino di Nola, Epist. 13, 11-12 a Pammachio:
CSEL 29, 92-93. Il senatore romano è lodato appunto per aver quasi
riprodotto il miracolo evangelico, unendo alla partecipazione eucaristica
la distribuzione di cibo ai poveri.
(118) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente
(10 novembre 1994), 10: AAS 87 (1995), 11.
(119) Ibid.
(120) Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 731-732.
(121) Cost. sulla sacra
liturgia Sacrosanctum Concilium, 102.
(122) Ibid., 103.
(123) Ibid., 104.
(124) Carm. XVI, 3-4: « Omnia praetereunt, sanctorum
gloria durat in Christo qui cuncta novat, dum permanet ipse »: CSEL
30, 67.
(125) Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1247; Codice
dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 881 §§ 1.4.
(126) Di diritto comune, nella Chiesa latina, sono di precetto le
feste della Natività del nostro Signore Gesù Cristo, dell'Epifania,
dell'Ascensione, del Corpo e del Sangue di Cristo, di santa Maria Madre di
Dio, della sua Immacolata Concezione e della sua Assunzione, di san
Giuseppe, dei santi Apostoli Pietro e Paolo, di Tutti i Santi: cfr Codice
di Diritto Canonico, can. 1246. Giorni festivi di precetto comuni a
tutte le Chiese orientali sono quelli della Natività di Nostro Signore
Gesù Cristo, dell'Epifania, dell'Ascensione, della Dormizione di santa
Maria Madre di Dio, dei santi Apostoli Pietro e Paolo: cfr Codice dei
Canoni delle Chiese Orientali, can. 880 § 3.
(127) Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1246 § 2; per
le Chiese orientali cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can.
880 § 3.
(128) Cfr S. Congr. der Riti, Normae universales de Anno
liturgico et de Calendario (21 marzo 1969), 5. 7: Ench. Vat. 3,
895. 897.
(129) Cfr Caeremoniale Episcoporum, Ed. typica 1995, n.
230.
(130) Cfr ibid., n.
233.
(131) Contro Celso VIII, 22: SC 150, 222-224.
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