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Urgenze da non sottovalutare per essere cristiani oggi


ATTENTI AL RISCHIO DEL CONCORDISMO
 

Qualsiasi principio-guida che prescinda dai dogmi della fede
per quanto retoricamente sonoro sarebbe teologicamente vano


di Inos Biffi
 

 

Nel clima di confronto di dialogo da parte dei cristiani — e particolarmente dei cattolici — con le altre religioni, appare necessario e urgente richiamare e rienunciare con chiarezza i contenuti propri del Credo. Non è, infatti, da trascurare il rischio di un concordismo, che smussa e attenua quanto è specifico della fede della Chiesa. In tal caso l’identità cattolica si annebbierebbe e si priverebbe della sua rigorosa e lucida coscienza e del suo vigore, con la conseguenza di trovarsi facilmente disponibile ed esposta all’assorbimento e all’appropriazione da parte di una professione religiosa più forte, più consapevole e più attiva.
 
Il richiamo e la rienunciazione dovrebbero partire dal dogma cristiano originario, ossia dalla Santissima Trinità. Il monoteismo cristiano è preciso ed è proclamato quando, recitando il Simbolo, affermiamo: «Credo in un solo Dio, Padre onnipotente (...) e in Gesù Cristo suo unico Figlio, (...) Dio vero da Dio vero (...) e nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio». L’unico Dio — unus Deus (Efesini, 4, 6) — è il Dio che da sempre è Padre, Figlio e Spirito Santo, e quindi che non è mai esistito in una unità solitaria.
 
Il «Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe», del quale è proclamata in Israele l’assoluta unicità (Deuteronomio, 6, 4), contro ogni forma di politeismo e di idolatria, e al quale si riferisce Gesù Cristo (Matteo, 22, 32), è il Dio trinitario del Credo cristiano, il «Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Efesini, 1, 3). Un unico Dio diverso semplicemente non esiste e non è mai esistito. Il Dio che ha creato il cielo e la terra, che ha chiamato Abramo e ha guidato l’esodo; il Dio del tempo del deserto, quindi adorato nel tempio di Gerusalemme, era il Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.
 
Certo, l’«unico Dio» non era conosciuto «in tre Persone divine», prima che ce lo manifestasse «il Figlio unigenito, che è Dio, ed è nel seno del Padre» (Giovanni, 1, 18) e quindi dall’eternità lo vede e lo contempla. Ma Gesù non ha “creato” la Trinità, l’ha rivelata. Ed è la rivelazione neotestamentaria più sorprendente, più meravigliosa e più beatificante. E non è affatto vero che sia la più ardua e “complicata”. A meno di risolvere intellettualisticamente il mistero trinitario e di intenderlo come un’insolubile e astratta questione numerica, invece di avvertire tutta l’esuberante vita che lega intimamente le tre Persone e di considerare la loro presenza e la loro opera nella storia della salvezza specialmente in quella dell’uomo, nel quale, una volta giustificato, la Santa Trinità inabita.
 
«Nel Figlio a noi si svela l’immagine del Padre, nello Spirito risplende il sigillo del Figlio; chi dalla santa Trinità è segnato già vive in terra una vita di cielo» (Liturgia ambrosiana).
 
Conosciamo l’augurio di Paolo, che forse lo attinge da una formula liturgica: «La grazia del Signore Gesù Cristo», «l’amore di Dio» e «la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Corinzi, 13, 13). Il segno, quindi, che radicalmente identifica il cristiano non è un generico monoteismo, ma il monoteismo che riconosce l’unico Dio in tre Persone.
 
Ora, se c’è un tempo in cui importa ridirlo è il nostro; del resto in coerenza e fedeltà con la Parola di Gesù, Figlio di Dio, tutta volta ad annunziare il Padre e lo Spirito mandato da lui e dallo stesso Figlio. La predicazione cristiana deve tornare abitualmente e sapientemente sul tema della Trinità, poiché essa è l’origine e la sostanza di tutto il Vangelo, e anche il fedele più semplice, la vetula — la «vecchietta», come dice san Tommaso — illuminata proprio dallo Spirito Santo, è pronta a riceverne e a gustarne l’annunzio più di quanto si pensi.
 
Un secondo contenuto della fede cristiana che l’attuale situazione cristiana richiede di riaffermare con forza riguarda Gesù Cristo, Figlio di Dio, da sempre unica fonte di grazia, così che nessun uomo mai fu giustificato se non per mezzo di lui. Tommaso d’Aquino definisce Gesù: «La causa della salvezza di tutti» (Summa Theologiae, III, 70, 2, 4m).
 
L’insidia ariana non è stata vinta una volta per tutte. Che Gesù di Nazaret sia «Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero » è, senza dubbio, una verità talmente sorprendente ed emozionante, che in certa misura non meravigliano offuscamenti o perplessità; d’altra parte, se c’è una dato che risalta e si impone con inequivocabile evidenza nel Nuovo Testamento è proprio la natura divina di Gesù. Ritengo che oggi quell’insidia rischi d’insinuarsi in certe cristologie cosiddette “dal basso”, che sembrano però dimenticare che Gesù non è l’uomo fatto Dio, ma il Verbo che «era Dio», che «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Giovanni, 1, 1. 14). E sempre in riferimento a Gesù Cristo: parrebbe plausibile, per affermare che la salvezza è possibile agli uomini di tutti i tempi, annetterla anche ad altre, per quanto profonde, esperienze religiose.
 
In realtà, il dogma cristiano, che è urgente riaffermare, non ammette eccezioni. Vale perfettamente quanto ancora scrive Tommaso d’Aquino: «Una sola è la causa della salvezza dell’uomo, il sangue di Cristo» (Summa Theologiae, III, 60, 3, ob. 2).

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Anzi, ancora più perentorie e autorevoli sono le parole dell’apostolo Pietro, secondo il quale in assoluto l’unico Salvatore è Gesù Cristo il Nazareno, messo in croce e risorto: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che siamo salvati» (Atti, 4, 12). Nessuna porzione di tempo o frammento di spazio furono o saranno mai sottratti alla presenza e all’azione salvifica di Colui che è «l’Alfa e l’Omèga, il Primo el’Ultimo, il Principio e la Fine» (Apocalisse, 22, 13); di Colui «che è, che era e che viene, l’Onnipotente» (Apocalisse, 1, 8).

 
Ed è come dire che nel mondo non è mai stata assente la grazia del Crocifisso glorioso, il quale, apparso in una data della storia, non mancò mai di far sentire il suo influsso fin dall’inizio di tutte le cose, create «per mezzo di lui», «in lui» e «in vista di lui» (cfr. Colossesi, 1, 16). Nella santità di tutti i giusti, che soltanto Dio conosce, brilla il riflesso della santità di Gesù Cristo.
 
Un terzo insegnamento dev’essere chiaramente ripreso e concerne i sacramenti, per sottolinearne il carattere “misterico”. Essi non trovano la loro origine e neppure la loro convenienza in motivazioni umane o storiche; non si comprendono a partire dal bisogno religioso dell’uomo, dalla sua necessità di espressioni simboliche e rituali. Per quanto queste siano innegabili, la radice dei sacramenti è, in ogni caso, un’altra: è l’istituzione personale di Gesù Cristo, che li pone con una decisione propria ed esclusiva, assegnando a essi come contenuto la sua grazia, o, meglio, la sua reale e attuale presenza, fonte della grazia, a cominciare dall’Eucaristia, che rappresenta il vertice più inatteso e più originale dell’iniziativa sacramentale del Signore.
 
Possiamo, allora, anche affermare che il terzo contenuto della fede, che è urgente ribadire, attiene all’Eucaristia: l’ortodossia eucaristica è il criterio e il collaudo di tutta l’ortodossia cattolica. In una confessione cristiana, dove la dottrina sul sacramento del Corpo e del Sangue del Signore sia alterata, fatalmente e logicamente appaiono incrinati e compromessi i dogmi fondamentali dello stesso Credo, tra i quali il dogma riguardante la Chiesa, di cui l’Eucaristia occupa il cuore. E, infatti, una quarta verità di fede che domanda d’essere oggetto di rinnovato e sicuro insegnamento è relativa proprio alla Chiesa.
 
Felicemente l’ecumenismo è diventato nel mondo cristiano un diffuso argomento di ricerca e di confronto teologico e un impegno concreto di reciproca conoscenza, contro inaccettabili pregiudizi e diffidenze reciproche. Ma proprio in un simile contesto, contro il pericolo di una specie di concordismo ecclesiologico, diviene quanto mai necessario riproporre un’immagine di Chiesa compiutamente conforme alla fede, e perciò ribadire anzitutto che essa fa parte con Cristo dell’eterno disegno di Dio; che non risulta dall’attività dell’uomo, ma è opera dello Spirito Santo, che la vivifica e la ispira; che è il Corpo di Cristo e quindi la sua Sposa a lui indissolubilmente congiunta.

E, ancora, che la Chiesa di Cristo è «santa » e santificante, anche se ancora i suoi membri terreni sono segnati dal peccato; che è «cattolica e apostolica». E che, pur avverandosi concretamente nella molteplicità delle Chiese particolari, essa è rigorosamente «una» e si identifica esattamente con la Chiesa governata dal collegio episcopale in comunione col successore di Pietro, il vescovo di Roma, riconosciuto nel suo primato di supremo pastore.

Solo sulla ripresa forte di questi dogmi della fede si può fondare e prevedere la possibilità di “essere cristiani oggi”. Qualsiasi principio-guida che ne prescinda, per quanto retoricamente sonoro, sarebbe teologicamente vano.


© L'Osservatore Romano 15 gennaio 2012


 

 

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