207. Dignità
dell'Eucaristia desunta dall'istituzione
Fra tutti i sacri misteri che N.S. Gesù Cristo ci ha elargito
quali infallibili strumenti della grazia, non ce n'è uno che possa
paragonarsi al santissimo sacramento dell'Eucaristia; ma appunto perciò
non v'è colpa per cui i fedeli abbiano più a temere di esser puniti da
Dio, che il trattare senza sacro rispetto un mistero cosi pieno di ogni
santità, un mistero, anzi, che contiene lo stesso autore e fonte della
santità. L'Apostolo lo ha sapientemente capito e ci ha chiaramente
ammonito intorno a questo punto, quando dopo aver mostrato l'enorme
delitto di quelli che non distinguono il corpo del Signore, soggiunge:
Per questo molti tra voi sono infermi e senza forze, e molti dormono (1Co
11,30). Pertanto, affinché i fedeli possano ritrarre maggior frutto
e fuggire la giusta ira di Dio, dopo aver ben compreso quali onori
divini si debbano tributare a questo sacramento, i Parroci dovranno con
somma diligenza esporre tutto quanto può meglio illustrare la maestà
dell'Eucaristia.
A questo scopo, seguendo l'esempio di san Paolo che dichiaro di avere
trasmesso ai Corinzi quel che aveva appreso dal Signore, i Parroci
spiegheranno innanzi tutto l'istituzione di questo sacramento, la quale,
secondo la bella testimonianza dell'Evangelista, avvenne come segue.
Avendo il Signore amato i suoi, li amo fino alla fine (Jn 13,1);
e, per dare un pegno mirabilmente divino di questo amore, sapendo giunta
l'ora di passare da questo mondo al Padre, per non allontanarsi mai dai
suoi, compi con ineffabile consiglio un mistero che supera ogni ordine e
limite di natura. Celebrata coi discepoli la cena dell'agnello pasquale,
affinché la figura cedesse il luogo alla verità e l'ombra al corpo,
prese il pane, e dopo aver reso grazie a Dio, lo benedisse, lo spezzo e
lo distribuì ai discepoli dicendo: " Prendete e mangiate: questo è il
mio corpo che sarà immolato per voi. Fate questo in memoria di me ". E
cosi prese il calice, dopo cenato, dicendo: " Questo calice è il nuovo
patto nel sangue mio: fate questo, ogni volta che lo berrete, in memoria
di me " (Mt 26,26 Mc 14,22 Lc 22,19 1Co 11,24).
208.
Vari nomi
dell'Eucaristia
Nome. Gli scrittori ecclesiastici sapendo di non poter riuscire ad
esprimere con una sola parola la dignità e l'eccellenza di questo
mirabile sacramento, hanno tentato di esprimerla con vari nomi. L'hanno
chiamata talora Eucarestia, che si può tradurre: grazia eccellente, o
azione di grazie. E veramente è una grazia eccellente, in quanto
prefigura la vita eterna di cui sta scritto: Grazia di Dio è la vita
eterna (Rm 6,23), e in quanto contiene in sé Gesù Cristo, vera
grazia e fonte di tutti i carismi. Con eguale verità si chiama azione di
grazie, perché, immolando questa purissima ostia, rendiamo ogni giorno
infinite grazie a Dio per tutti i suoi benefici; e innanzi tutto per
l'ottimo beneficio della sua grazia che ci elargisce in questo
sacramento. Ma il nome stesso conviene benissimo anche alle azioni che
Cristo ha compiuto istituendo questo sacramento, quando prese il pane,
lo spezzo e rese grazie (Lc 22,19 1Co 11,24). Anche Davide,
contemplando la grandezza di questo mistero, prima di prorompere nel
verso: " Ha reso memorabili le sue meraviglie il Signore clemente e
misericordioso: egli provvede il cibo a coloro che lo temono ", giudica
opportuno premettere l'azione di grazie col dire: " Ogni sua azione è
gloriosa e magnifica " (Ps 110,3-5).
Questo
sacramento è chiamato spesso anche sacrificio,
e di ciò in seguito parleremo più a lungo.
Ed è chiamato
pure comunione, il quale vocabolo è preso dal passo dell'Apostolo:Il
calice di benedizione, cui noi benediciamo, non è forse comunione del
sangue di Cristo? e il pane che noi spezziamo, non è forse
partecipazione del corpo del Signore? (1Co 10,16). Infatti, come
spiega il Damasceno, questo sacramento ci unisce a Cristo, ci fa
partecipi della sua carne e della sua divinità, e in lui ci concilia e
congiunge, quasi cementandoci in un unico corpo (Della fede ortod.
4,13).
Ecco perché questo sacramento è detto anche sacramento di pace e di
carità, per fare intendere quanto siano indegni del nome cristiano
quelli che alimentano inimicizie, e come si debbano sterminare quale
orribile peste gli odi, i dissidi e le discordie, tanto più che nel
sacrificio quotidiano professiamo di serbare sopra tutto la pace e la
carità.
Spesso è chiamato anche viatico dagli scrittori ecclesiastici, sia
perché è il cibo spirituale che ci sostenta nel pellegrinaggio della
vita, sia perché spiana la via alla gloria e felicità eterna. Per questo
è antica e fedele tradizione della Chiesa cattolica che nessuno dei
fedeli parta da questa vita senza questo sacramento.
I Padri più antichi, seguendo l'Apostolo (1Co 11,20), hanno
talora chiamato l'Eucaristia anche cena, perché fu istituita da Cristo
durante il salutare mistero dell'ultima Cena. Non per questo però si
deve concluderne che sia permesso consacrare o ricevere l'Eucaristia
dopo aver mangiato o bevuto; che anzi, secondo la testimonianza degli
antichi scrittori, gli Apostoli stessi hanno introdotto la salutare
consuetudine che l'Eucaristia sia ricevuta soltanto da chi è digiuno.
209.
L'Eucaristia è
un vero sacramento
Spiegato il valore del nome, si deve insegnare che l'Eucaristia è un
vero sacramento: uno di quei sette, che la santa Chiesa ha sempre
devotamente riconosciuto e venerato: tanto è vero che, alla
consacrazione del calice, è detto mistero della fede. Inoltre, per
omettere le quasi infinite testimonianze di scrittori sacri, che hanno
sempre ritenuto doversi l'Eucaristia porre tra i veri sacramenti,
possiamo dimostrare l'assunto, partendo dalle proprietà e dalla natura
stessa di questo sacramento. Infatti esso consta di segni esterni e
sensibili; significa e produce la grazia, ed è stato istituito da
Cristo, come gli evangelisti e l'Apostolo lo hanno affermato in maniera
indubbia. Ora, essendo questi appunto i requisiti che concorrono a
confermare la verità di un sacramento, è chiaro che non v'è bisogno di
altri argomenti.
Ma i Parroci osserveranno con cura che in questo mistero molte sono le
cose a cui gli scrittori ecclesiastici hanno dato il nome di sacramento.
Talora infatti hanno chiamato sacramento la consacrazione, l'atto della
comunione, e, spesso, lo stesso corpo e sangue del Signore che si
contiene nell'Eucaristia. Dice infatti sant'Agostino che questo
sacramento risulta di due cose: l'apparenza visibile degli elementi e la
carne e sangue invisibili di N.S. Gesù Cristo (vedi in Lanfranco e.
Bereng.; cfr. Grat. p. 3, dist. 2, e. 48). E appunto in questo medesimo
senso noi affermiamo che bisogna adorare questo sacramento, intendendo
cioè il corpo e il sangue del Signore. Ma è chiaro che tutte queste cose
sono dette sacramenti solo impropriamente. Tale nome, invece, in senso
stretto spetta solo alle specie del pane e del vino.
210. In che cosa
l'Eucaristia differisce dagli altri sacramenti
Si rileva facilmente in che cosa l'Eucaristia differisca dagli
altri sacramenti. Questi si compiono con l'uso della materia, cioè
durante il tempo in cui vengono amministrati. Cosi il Battesimo diviene
sacramento proprio nell'istante in cui l'individuo viene lavato; mentre,
per fare l'Eucaristia, basta la consacrazione della materia, che non
cessa di essere sacramento, rimanendo conservata nella pisside. Di più,
nel fare gli altri sacramenti non si verifica mutazione della rispettiva
materia in un'altra sostanza; l'acqua del Battesimo infatti o l'olio
della Cresima non perdono la loro originaria natura di acqua e di olio;
mentre nell'Eucaristia quel che era pane e vino prima della
consacrazione, diviene, dopo quella, la sostanza vera del corpo e del
sangue del Signore.
Ma pur essendo due gli elementi, il pane e il vino, che servono a
costituire il sacramento integrale della Eucaristia, dobbiamo credere,
ammaestrati dall'autorità della Chiesa, che essi formino un solo
sacramento; altrimenti non si potrebbe mantenere il numero settenario
dei sacramenti, com'è stato sempre insegnato e confermato dai concili
Lateranense, Fiorentino e Tridentino. Infatti se la grazia di questo
sacramento fa dei fedeli un solo corpo mistico, bisogna che esso sia uno
in se stesso, appunto, perché armonizzi con l'effetto che produce. Ed è
uno, non perché consta di un solo elemento, ma perché significa una sola
cosa. Come infatti il mangiare e il bere, che sono due cose diverse,
sono adoperati per ottenere un unico effetto, cioè il ristoro delle
forze del corpo, cosi era conveniente che ad essi corrispondessero quei
due elementi materiali del sacramento, i quali significano il cibo
spirituale, che sostenta e ricrea l'anima. Perciò Cristo disse: La mia
carne è davvero cibo, e il sangue mio è davvero bevanda (Jn 6,56).
211.
Triplice
significato dell'Eucaristia
Importa anche spiegare con cura che cosa significhi il sacramento
dell'Eucaristia; affinché i fedeli, guardando con gli occhi del corpo i
sacri misteri, pascano l'animo con la contemplazione delle cose divine.
Tre sono le cose significate da questo sacramento. La prima è un
avvenimento passato: la passione del Signore, come Egli stesso ci ha
insegnato: Fate questo in memoria di me (Lc 22,19); e l'Apostolo
attesta: Ogni volta che mangerete questo pane e berrete questo calice
annunzierete la morte del Signore, fino a quando egli venga (1Co
11,26).
La seconda è una realtà presente, cioè la grazia divina e celeste, che
questo sacramento ci dona per nutrire e conservare le anime nostre. Come
il Battesimo ci genera a nuova vita, e la Cresima ci fortifica perché
possiamo respingere il demonio e confessare apertamente il nome di
Cristo, cosi l'Eucaristia ci nutre e ci sostenta.
La terza è un preannunzio del futuro: cioè il frutto dell'eterna gloria
e felicità, che riceveremo nella patria celeste, secondo la promessa di
Dio. Queste tre cose però riferentisi al passato, al presente e al
futuro, sono espresse cosi bene dal mistero dell'Eucaristia, che tutto
intero il sacramento, pur constando di due specie diverse, serve a
indicare ciascuna di esse quale distinti significati di un'unica realtà.
212. Materia dell'Eucaristia: "il pane di grano"
I parroci dovranno prima di tutto ben conoscere la materia
di questo sacramento, sia per effettuarlo debitamente, sia per
illustrarne il simbolismo ai fedeli, onde accenderli allo studio e al
desiderio della sua sacrosanta realtà. La materia di questo sacramento,
dunque, è duplice: la prima di cui parliamo subito è il pane di grano,
dell'altra si dirà poi. Gli evangelisti Matteo, Marco e Luca narrano che
Cristo prese in mano il pane, lo benedisse e lo spezzo dicendo: Questo è
il mio corpo (Mt 26,26 Mc 14,22 Lc 22,19). In san Giovanni il
Redentore chiama sé stesso pane dicendo: Io sono il pane vivo, disceso
dal cielo (Jn 6,41).
Vi sono varie specie di pane, sia che differiscano nella materia: pane
di grano, pane di orzo, pane di legumi o d'altri prodotti della terra,
sia che differiscano nella qualità: pane fermentato, pane senza lievito.
Le parole del Salvatore mostrano che il pane deve essere di grano,
giacché nel linguaggio ordinario la parola pane indica senz'altro quello
di grano. Ciò viene confermato anche da una figura del vecchio
Testamento, dove il Signore ordina che i pani di proposizione, che
prefiguravano l'Eucaristia, fossero fatti di fior di frumento (Lv
24,5).
Ma come il solo pane di grano deve esser considerato materia
dell'Eucaristia, conforme alla tradizione apostolica e all'insegnamento
della Chiesa, cosi è facile convincersi, da quanto Gesù stesso fece, che
questo pane deve essere senza lievito. Egli infatti istitui questo
sacramento nel primo giorno degli azimi, quando non era lecito ai Giudei
tenere in casa nulla di fermentato. Né vale opporre l'autorità di san
Giovanni evangelista, che afferma essere queste cose avvenute prima
della festa di Pasqua (Jn 13,1). La risposta è facile. La festa
degli azimi cominciava la sera della quinta feria; e appunto in questa
sera il Salvatore celebro la Pasqua. Ma mentre gli altri evangelisti
chiamano questo il primo giorno degli azimi, san Giovanni lo chiama
antecedente alla Pasqua, perché considera il giorno naturale che
comincia con il levare del sole. Perciò anche san Giovanni Crisostomo
chiama primo giorno degli azimi quello, alla sera del quale si dovevano
mangiare gli azimi (In Mt omil. 81,1).
Inoltre la consacrazione del pane azzimo conviene assai a
quell'integrità e purezza di cuore, che i fedeli devono recare a questo
sacramento, come insegna l'Apostolo: Purificatevi dal vecchio lievito,
onde siate una pasta nuova, senza lievito, come siete di fatto; poiché
la nostra Pasqua, che è Cristo, è stata immolata. Celebriamo dunque la
festa, non con vecchio lievito né con lievito di malizia e di malvagità,
ma con gli azimi della purità e della verità (1Co 5,7-8).
Tuttavia tale qualità del pane non è cosi necessaria che senza di essa
il sacramento non possa sussistere: poiché tanto l'azimo quanto il
fermentato hanno ugualmente il nome e la natura vera del pane. Ma a
nessuno è lecito, con privata autorità, o piuttosto temerità, mutare il
lodevole rito della Chiesa; molto meno ai sacerdoti Latini, ai quali i
sommi Pontefici hanno ordinato di consacrare il pane azimo.
Basti questo per la prima parte della materia eucaristica. Dobbiamo però
notare che non è stata mai determinata una quantità precisa di pane da
consacrare, non potendosi fissare il numero di coloro, che vogliono e
possono partecipare ai sacri misteri.
213.
Il vino di uva
Veniamo cosi all'altra materia, o elemento dell'Eucaristia: si tratta
del vino spremuto dal frutto della vite, con l'aggiunta di un po'
d'acqua. La Chiesa cattolica ha sempre ritenuto e insegnato che il
nostro Signore e Salvatore nell'istituire questo sacramento uso il vino,
avendo egli stesso detto: Non berrò d'ora in poi di questo frutto della
vite fino a quel giorno (Mt 26,29 Mc 14,25). Si parla di frutto
della vite, dice a questo proposito il Crisostomo, che produce
certamente vino e non acqua (In Mt omilia LXXXII,2), quasi volendo
confutare in antecedenza l'eresia di coloro, che ritennero doversi in
questo sacramento usare soltanto l'acqua.
La Chiesa poi ha sempre mescolata l'acqua al vino; primo, perché ciò fu
fatto da Cristo stesso come si prova con l'autorità dei Concili e la
testimonianza di san Cipriano (Epist. LXIII); secondo, perché con questa
mescolanza si rinnova la memoria del sangue e dell'acqua sgorgati dal
suo costato aperto; terzo, perché le acque significano i popoli (Ap
17,15); perciò l'acqua mescolata al vino significa la congiunzione
del popolo fedele con Cristo suo capo. Quest'uso del resto è di
tradizione apostolica e la Chiesa l'ha sempre osservato.
Ma sebbene i motivi della mescolanza siano tanto gravi che questa non si
può omettere senza peccato mortale, il sacramento può sempre sussistere,
anche senza di essa. Avvertano poi i sacerdoti che devono si infondere
l'acqua nel vino, ma poca; poiché a giudizio degli scrittori
ecclesiastici, essa deve convertirsi in vino. Scrisse papa Onorio: Nel
tuo paese si è introdotto il pernicioso abuso di usare più acqua che
vino nel sacrificio, mentre invece, secondo la ragionevole consuetudine
della Chiesa universale, si deve adoperare molto più vino che acqua
(Decretai. lib. 3, tit. 41, e. 13).
Soltanto due dunque sono gli elementi di questo sacramento; e a buon
diritto la Chiesa ha proibito con molti decreti di offrire altra cosa
che il pane e il vino, come taluni avevano la temerità di fare.
214.
Convenienza
della materia eucaristica
Bisogna ora vedere come i due segni del pane e del vino siano atti ad
esprimere quelle realtà che la fede ci presenta come sacramenti. Innanzi
tutto essi significano Cristo, la vera vita degli uomini, avendo egli
stesso detto: La mia carne è davvero cibo e il mio sangue è davvero
bevanda (Jn 6,55). Se, dunque il corpo di N. S. Gesù Cristo da in
realtà nutrimento di vita eterna a chi con purezza e santità lo riceve,
giustamente l'Eucaristia ha per materia quegli elementi, che servono a
sostenere la vita terrena; cosi i fedeli potranno agevolmente intendere
che, grazie alla Comunione del corpo e del sangue di Cristo, l'anima
loro potrà esser satollata. Secondo, questi elementi servono anche a
convincere gli uomini che nell'Eucaristia c'è realmente il corpo e il
sangue del Signore; giacché vedendo noi ogni giorno, per virtù della
natura, il pane e il vino trasformarsi in carne e sangue umano, più
facilmente siamo condotti a credere che la sostanza del pane e del vino
si converta nella vera carne e nel vero sangue di Cristo, in virtù della
celeste consacrazione. Terzo, questa mirabile mutazione di elementi
aiuta a raffigurarci quello che avviene nell'anima. Come la sostanza del
pane e del vino si cambia realmente nel corpo e nel sangue di Cristo,
sebbene non vi sia alcuna visibile trasmutazione esterna, cosi noi,
ricevendo nell'Eucaristia la vera vita, interiormente sorgiamo a nuova
vita, pur non apparendo in noi mutamento alcuno. Quarto, come l'unione
di molti membri costituisce l'unico corpo della Chiesa, cosi nulla,
degli elementi del pane e del vino può farla meglio risplendere. Come,
infatti, il pane risulta da molti grani di frumento e il vino si sprema
da molti grappoli d'uva, cosi noi, pur essendo molti, per virtù di
questo divino mistero veniamo strettamente collegati e quasi cementati
in un solo corpo.
215.
Forma della
consacrazione del pane
Veniamo ora a trattare della forma per la consacrazione del pane, non
perché si debbano insegnare ai fedeli questi misteri, senza necessità -
che anzi non è necessario istruire in proposito chi non è negli Ordini
sacri -, ma affinché i sacerdoti non errino gravemente nel consacrare,
per ignoranza della forma.
I santi evangelisti Matteo e Luca insieme con l'Apostolo ci insegnano
che la forma è questa: "Questo è il mio corpo". Poiché sta scritto:
Mentre essi cenavano, Gesù prese il pane, e lo benedisse, lo spezzo, e
dandolo ai suoi discepoli, disse: Prendete e mangiate: Questo è il mio
corpo (Mt 26,26 Mc 14,22 Lc 22,19 1Co 11,24). Tale forma, perché
adoperata dal Signore stesso, è stata sempre conservata dalla Chiesa
Cattolica.
Tralasciamo qui le testimonianze dei santi Padri, che sarebbe lungo
citare, e il decreto del Concilio di Firenze a tutti ben noto, tanto più
che le parole del Salvatore: Fate questo in memoria di me (Lc 22,19),
ne sono una conferma. Infatti l'ordine dato dal Signore deve riferirsi
non solo a quel che egli aveva fatto, ma anche a quel che aveva detto, e
specialmente alle parole che aveva pronunciato, sia per produrre, sia
per significare l'effetto del sacramento. Del resto anche il
ragionamento porta alla stessa conclusione. Infatti la forma è la
formula che esprime quel che si opera in questo sacramento. Ora, le
parole in questione significano e dichiarano quel che viene operato,
cioè la conversione del pane nel corpo del Signore. Dunque esse sono la
forma del sacramento. A questa conclusione portano pure le altre parole
dell'evangelista: Benedisse il pane, come se avesse detto: Preso il pane
lo benedisse dicendo: Questo è il mio corpo (Mt 26,26). E sebbene
l'evangelista premetta la frase: Prendete e mangiate, è chiaro che
quest'ultima non riguarda la consacrazione, ma l'uso della materia.
Perciò, pur dovendosi tassativamente pronunciare dal sacerdote, non è
necessaria per operare il sacramento, come non è necessaria la
congiunzione: poiché (enim) nella consacrazione del corpo e del sangue.
Altrimenti l'Eucaristia non si dovrebbe, né si potrebbe consacrare
qualora non ci fosse nessuno cui amministrarla; mentre è certissimo che
il sacerdote, una volta pronunziate secondo l'uso e il rito della Chiesa
le parole del Signore, consacra veramente la materia del pane, anche se
poi non si dovesse amministrare a nessuno.
216. Forma della
consacrazione del vino
Per
la medesima ragione, sopra ricordata, è necessario che il sacerdote
conosca bene anche quanto si riferisce alla consacrazione del vino, che
è l'altra materia di questo sacramento. Si deve ritener per fede che
essa è costituita dalle parole (Decretai, lib. 3, tit. 41, e. 6): "
Questo è il calice del sangue mio, della nuova ed eterna Alleanza
(mistero della fede!) il quale per voi e per molti sarà sparso a
remissione dei peccati ". Molte di queste parole sono prese dalla
Scrittura; le altre la Chiesa le ha ricevute dalla tradizione
apostolica. Infatti, Questo è il calice, si trova in san Luca (Lc
22,20) e in san Paolo (1Co 11,25); del sangue mio, o il mio
sangue della nuova Alleanza, che per voi e per molti sarà sparso in
remissione dei peccati, si trovano in san Luca (ivi) e in san Matteo (Mt
26,28); le parole: eterno e mistero della fede, ci vengono dalla
tradizione, interprete e custode della cattolica verità. Qualora si
richiami quel che abbiamo detto sopra a proposito della consacrazione
del pane, nessuno potrà dubitare di questa forma. Essa consta di quelle
parole che significano il cambiamento della sostanza del vino nel sangue
del Signore. Ma poiché le parole ricordate esprimono appunto questo, è
chiaro che non vi può essere altra forma per la consacrazione del vino.
Esse esprimono, inoltre, taluni mirabili frutti del sangue del Signore,
sparso nella passione; frutti che appartengono in modo tutto particolare
a questo sacramento. Il primo è l'accesso all'eredità eterna a cui ci da
diritto il nuovo ed eterno Testamento. Il secondo è l'accesso alla
giustizia mediante il mistero della fede. Infatti Dio ha preordinato
Gesù propiziatore mediante la fede nel suo sangue, per mostrare insieme
che egli è giusto ed è fonte di giustizia, per chi ha fede in Gesù
Cristo (Rm 3,25-26). Il terzo è la remissione dei peccati.
Ma occorre esaminare con più diligenza le parole della consacrazione del
vino, che sono piene di misteri e convengono perfettamente al loro
soggetto. Le parole: Questo è il calice del sangue mio, significano:
questo è il mio sangue contenuto in questo calice. Ed è con ragione che
mentre si consacra il sangue in quanto è bevanda dei fedeli, viene
menzionato il calice; poiché il sangue di per sé non significherebbe una
bevanda, se non fosse presentato in una coppa. Seguono le parole: della
nuova Alleanza, per farci intendere che il sangue del Signore viene
offerto agli uomini nella nuova Alleanza, ma in realtà non in figura,
come nella vecchia Alleanza, di cui san Paolo scrivendo agli Ebrei ha
detto che non fu stipulata senza sangue (He 9,18). Perciò
l'Apostolo ha scritto: Gesù Cristo è mediatore della nuova Alleanza,
affinché avvenuta la sua morte per riscattare le trasgressioni commesse
sotto la prima Alleanza, i chiamati ricevano l'eterna eredità, loro
promessa (He 9,15).
L'aggettivo eterna si riferisce all'eterna eredità, che a buon diritto
ci è pervenuta per la morte del Cristo eterno testatore. Mentre le
parole, mistero della fede, non tendono a escludere la verità della
cosa, ma indicano che bisogna credere con ferma fede quel che rimane
occulto e remotissimo agli occhi nostri.
Il senso di questa frase è diverso qui da quello che riveste applicata
al Battesimo. Qui infatti diciamo mistero di fede in quanto vediamo solo
cogli occhi della fede il sangue di Gesù Cristo, nascosto sotto le
specie del vino; mentre il Battesimo è chiamato sacramento di fede, e
dai Greci mistero di fede, in quanto comprende l'intera professione
della fede cristiana. Chiamiamo il sangue del Signore mistero di fede,
anche perché la ragione umana trova molta difficoltà e grande fatica ad
ammettere quel che le propone la fede: che cioè N.S. Gesù Cristo, vero
figlio di Dio, vero Dio e vero uomo, abbia per noi sofferto la morte, la
quale viene appunto significata dal sacramento del sangue. Ecco perché,
a preferenza che nella consacrazione del corpo, viene fatta qui menzione
della passione del Signore con le parole: che sarà sparso in remissione
dei peccati. Il sangue infatti, consacrato separatamente, ha più forza
ed efficacia per mettere sotto gli occhi di tutti la passione del
Signore, la sua morte e la natura delle sue sofferenze.
Le parole: per voi e per molti, prese separatamente da Matteo (Mt
26,28) e da Luca (Lc 22,20), sono riunite dalla santa Chiesa,
ispirata da Dio, per esprimere il frutto e l'utilità della passione.
Infatti se consideriamo l'efficace virtù della passione, dobbiamo
ammettere che il sangue del Signore è stato sparso per la salute di
tutti; ma se esaminiamo il frutto che gli uomini ne hanno ritratto,
ammetteremo facilmente che ai vantaggi della passione partecipano non
tutti, ma soltanto molti. Perciò dicendo: per v o i, ha voluto
significare i presenti, con cui parlava, eccetto Giuda, oppure gli
eletti del popolo Ebreo, quali erano i discepoli. Ed aggiungendo: per
molti, ha voluto intendere gli altri eletti, Ebrei e i Gentili. Con
ragione dunque non è stato detto: per tutti, trattandosi qui soltanto
dei frutti della passione, la quale apporta salute soltanto agli eletti.
In questo senso bisogna intendere anche le parole dell'Apostolo: Gesù
Cristo fu offerto una sola volta per togliere i peccati di molti (He
9,28); e quelle del Signore: Prego per loro; non prego per il mondo,
ma per quelli che mi hai dati, perché sono tuoi (Jn 17,9).
Molti altri misteri sono ancora nascosti in queste parole della
consacrazione: i Pastori li scopriranno da sé, con l'aiuto di Dio,
mediante un'assidua e diligente meditazione delle cose divine.
217. Tre cose da
distinguere nell'Eucaristia
È
tempo di riprendere la spiegazione di taluni punti di dottrina, che i
fedeli non devono in nessun modo ignorare. E poiché l'Apostolo insegna
che coloro che non distinguono il corpo del Signore (1Co 11,29)
commettono un grave delitto, i Parroci dovranno innanzi tutto esortare i
fedeli a fare ogni sforzo per elevare il loro spirito e la loro mente al
di sopra dei sensi. Se i fedeli pensassero che nel mistero
dell'Eucaristia si contiene solo ciò che vi scorgono i sensi,
commetterebbero fatalmente la grande empietà di credere che in questo
sacramento c'è soltanto il pane e il vino; perché cogli occhi, col
tatto, con l'odorato e col gusto non si scorge altro che l'apparenza del
pane e del vino. Bisogna che la loro mente, per quanto è possibile,
astragga dal giudizio dei sensi e si ecciti a contemplare l'immensa
virtù e potenza di Dio.
Tre sono sopratutto le cose mirabili e degne di considerazione, che in
questo sacramento avvengono in forza della consacrazione, come la fede
Cattolica senza alcun dubbio crede e confessa. La prima è che
nell'Eucaristia si contiene il vero corpo di N. S. Gesù Cristo; quello
medesimo che nacque dalla vergine Maria e ora siede in cielo alla destra
del Padre. La seconda è che non resta in essa nulla della sostanza degli
elementi, sebbene ciò sembri opposto e contrario alla testimonianza dei
sensi. La terza, che si ricava facilmente dalle due precedenti e che
viene positivamente espressa dalle parole della consacrazione, si è che,
per una disposizione inesplicabile e miracolosa, gli accidenti che si
vedono con gli occhi o che si percepiscono con gli altri sensi,
rimangono senza il loro sostrato o soggetto. Certo, si vedono tutti gli
accidenti del pane e del vino; ma essi non si appoggiano ad alcuna
sostanza, ma sussistono da sé: essendosi la sostanza del pane e del vino
mutata nel corpo e nel sangue del Signore, la stessa sostanza cessa di
esistere.
218.
La presenza
reale dimostrata dalla Scrittura
Prima di tutto i Parroci spieghino quanto siano chiare e perspicue le
parole del Signore, che dimostrano la reale presenza del suo corpo
nell'Eucaristia: Questo è il mio corpo; Questo è il mio sangue. Nessuno,
che sia sano di mente, può fraintendere il loro significato, massime
trattandosi qui della natura umana, che fu reale in Cristo, come la fede
ci impone di credere. Tanto che il santo e dottissimo Ilario ha scritto
in proposito non esservi luogo al dubbio, avendo Gesù Cristo medesimo
dichiarato, e la fede ce lo conferma, che la sua carne è veramente cibo
(Della Trinità, 8,14).
Dovranno qui i Pastori spiegare un altro passo, da cui chiaramente si
deduce che nell'Eucaristia sono contenuti il vero corpo e sangue del
Signore. L'Apostolo infatti, ricordata la consacrazione del pane e del
vino da parte di Cristo e la distribuzione dei sacri misteri agli
apostoli, soggiunge: Provi perciò l'uomo se stesso, e cosi mangi quel
pane e beva quel calice. Poiché chi mangia e beve indegnamente, mangia e
beve la sua condanna, perché non riconosce il corpo del Signore (1Co
11,28). Se in questo sacramento, come pretendono gli eretici, non vi
fosse da venerare che la memoria e il simbolo della passione del
Signore, perché ammonire si gravemente i fedeli a esaminare se stessi?
Invece, con la terribile parola: condanna, ha voluto l'Apostolo
dichiarare che è nefando crimine quello di chi, ricevendo indegnamente
il corpo del Signore, latente nell'Eucaristia, mostra di non
distinguerlo dalle altre specie di cibo. Egli stesso più ampiamente lo
spiega nella medesima lettera: Il calice di benedizione che noi
benediciamo, non è una comunione del sangue di Cristo? E il pane che
spezziamo, non è una partecipazione del corpo di Cristo? (1Co 10,16).
Parole che mostrano chiaramente la vera sostanza del corpo e del sangue
del Signore.
219. Dalla dottrina
dei Padri
I
Pastori spieghino tutti questi passi scritturali e rilevino prima di
tutto che in essi non c'è nulla di dubbio o d'incerto, massime dopo
l'interpretazione della sacrosanta autorità della Chiesa di Dio, a
conoscere la quale possiamo giungere in due modi.
Primo, interrogando i Padri fioriti nella Chiesa in tutte le epoche fin
dai suoi primordi, e che sono i migliori testimoni della sua dottrina.
Essi con unanime consenso hanno insegnato chiaramente la verità di
questo dogma. E poiché sarebbe troppo lungo addurne le singole
testimonianze, basterà notarne poche, o meglio additare quelle, da cui
più facilmente si potrà giudicare le altre. Venga primo sant'Ambrogio,
che nella sua opera sugli Iniziandi ai Misteri attesta, come articolo
incontestabile di fede, che nell'Eucaristia si riceve il vero corpo di
Cristo, come realmente fu formato nel seno di Maria Vergine (Dei
Misteri, 9); e altrove insegna che prima della consacrazione vi è il
pane, ma dopo, vi è la carne di Cristo (Dei Sacram. 4,4). Venga il
Crisostomo, teste di non minore fede e gravita. Egli professa ed insegna
in molti luoghi la medesima verità, ma specialmente nell'Omilia 60 su
quelli che partecipano indegnamente ai misteri, e nelle Omelie 44 e 45
su san Giovanni, dove dice: Obbediamo a Dio; né osiamo contradirgli
anche quando sembri dire cose contrarie alla ragione o ai sensi; la sua
parola è infallibile, mentre il nostro senso facilmente c'inganna.
Con essi concorda in tutto e sempre sant'Agostino, propugnatore
validissimo della fede cattolica, ma specialmente nel commento al titolo
del Salmo 33: Portare se stesso nelle proprie mani è impossibile
all'uomo; può competere solo a Cristo, il quale si portava nelle sue
stesse mani quando offrendo il suo corpo disse: Questo è il mio corpo
(Nel Ps 33,1,10). E san Cirillo (omettiamo Giustino e Ireneo) afferma
cosi apertamente, nel libro 4 su san Giovanni, la verità della carne di
Cristo nell'Eucaristia, che le sue parole non possono esser volte ad
interpretazioni capziose e fallaci. Desiderando i Parroci altre
testimonianze, potranno citare i santi Dionigi, Ilario, Girolamo, il
Damasceno ed altri innumerevoli, le cui gravissime sentenze intorno a
questo argomento si possono leggere dovunque, essendo state raccolte
insieme dall'industre lavoro di uomini dotti e pii.
220. Dalla proscrizione degli eretici
Altra via per conoscere la
dottrina della Chiesa in materia di fede è la condanna di dottrine e
opinioni contrarie. Ora è noto a tutti che la realtà del corpo di Cristo
nell'Eucaristia è stata sempre cosi diffusa in tutta la Chiesa e
accettata concordemente da tutti i fedeli, che quando, or sono
cinquecento anni, Berengario oso negarla, affermando non esservi che un
simbolo, fu subito condannato per unanime sentenza nel concilio di
Vercelli convocato per ordine di Leone 9, ed egli medesimo lancio
anatema alla propria eresia. Quando più tardi ricadde nello stesso empio
errore, fu di nuovo condannato da tre altri concili, uno a Tours e due a
Roma; questi ultimi convocati rispettivamente da Nicolo II e Gregorio
VII.
Queste decisioni furono confermate da Innocenzo III nel concilio
ecumenico Lateranense: in seguito i concili generali di Firenze e di
Trento più apertamente hanno dichiarato e stabilito la fede di tale
verità.
Se i Pastori esporranno tutto ciò con diligenza, potranno, non diciamo
far rinsavire coloro che accecati dall'errore nulla odiano più della
luce della verità, ma confermare i deboli e riempire di grandissima
letizia le anime dei buoni; tanto più che la fede in questo dogma, come
deve essere evidente per tutti i fedeli, è connessa con gli altri
articoli della dottrina Cristiana. Perché chiunque crede e confessa che
Dio è onnipotente, deve anche credere che a lui non manca il potere di
operare l'immenso prodigio che ammiriamo e adoriamo nell'Eucaristia. E
chi crede la santa Chiesa cattolica deve anche ammettere la verità di
questo sacramento nel senso spiegato.
221.
Dignità dell'Eucaristia
Quel che mette il colmo alla letizia e all'edificazione delle anime pie
è il contemplare la dignità sublime di questo sacramento. Esse intendono
innanzi tutto quanto sia grande la perfezione della legge Evangelica,
cui è stato concesso di possedere nella realtà quel che era stato solo
adombrato in simboli e figure nella legge Mosaica. A tale proposito fu
detto mirabilmente da san Dionigi che la nostra Chiesa sta in mezzo tra
la Sinagoga e la Gerusalemme celeste, partecipando dell'una e dell'altra
(Della Gerarch. eccl. 5,1). E certo mai i fedeli ammireranno abbastanza
la perfezione della santa Chiesa e l'altezza della sua gloria, poiché un
solo gradino la separa dalla beatitudine celeste. Infatti, con i beati
abbiamo in comune la presenza di Cristo, Dio e uomo; mentre ne
differiamo per il fatto che essi, come a lui presenti, godono della
visione beata; noi invece veneriamo, con ferma e costante fede, Cristo
presente, ma invisibile agli occhi e coperto dal mirabile velame dei
sacri misteri.
Inoltre i fedeli, in grazia di questo sacramento, sperimentano l'immenso
amore di Cristo Salvatore nostro. Infatti conveniva assai alla sua bontà
il non privarci mai di quella natura, che da noi aveva assunta, ma anzi
rimanere, per quanto possibile, con noi, affinché si avverassero quelle
parole: E mia delizia stare coi figli degli uomini (Pr 8,31).
222. Cristo tutto
intero è contenuto nell'Eucaristia
I
Parroci devono spiegare che nell'Eucaristia si contiene non soltanto il
vero corpo di Cristo e tutto quanto appartiene a un vero corpo, come le
ossa e i nervi, ma Cristo tutto intero; ed insegnare che Cristo è un
termine che indica insieme Dio e l'uomo, cioè una sola persona in cui
sono unite le nature divina ed umana; perciò possiede entrambe le
sostanze e tutto quello che a queste consegue, cioè la divinità e la
natura umana tutta intiera: l'anima, le varie parti del corpo, e il
sangue. Dobbiamo credere che nell'Eucaristia sono contenute tutte queste
realtà. In cielo l'umanità di Cristo è unita alla divinità in una sola
persona ed ipostasi; sarebbe pertanto empio supporre che il corpo di
Cristo, presente nell'Eucaristia, sia separato dalla divinità.
Ma i Pastori avvertiranno che non tutte le realtà sopra accennate sono
contenute nell'Eucaristia allo stesso modo e per lo stesso motivo.
Alcune vi si trovano in virtù della consacrazione. Si sa che le parole
della consacrazione producono quel che significano, e i teologi dicono
che una cosa è contenuta nel sacramento in forza del sacramento, quando
è espressa dalla forma; di guisa che se potesse avvenire (per ipotesi)
che una cosa fosse del tutto separata dalle altre, si ritroverebbe nel
sacramento soltanto quella espressa dalla forma e non il resto. Altre vi
si trovano in quanto sono congiunte realmente con quanto è espresso
dalla forma. Cosi, poiché la forma adoperata per la consacrazione del
pane significa il corpo del Signore secondo le parole: " Questo è il mio
corpo ", in virtù del sacramento, sarà nell'Eucaristia il corpo stesso
di Cristo. Ma poiché al corpo sono congiunti il sangue, l'anima e la
divinità, anche queste si ritroveranno nel sacramento, non in forza
della consacrazione, ma in quanto sono in realtà inseparabilmente
congiunte al corpo di Cristo; cioè, in altre parole, per concomitanza.
Dal che segue che il Cristo è tutto intero nell'Eucaristia, perché data
una unione di questo genere tra due cose, dov'è l'una è necessario che
sia anche l'altra. Dunque il Cristo è contenuto tutto intero nelle
specie del pane e del vino; di modo che come la specie del pane contiene
non solo il corpo, ma anche il sangue e il Cristo tutto intiero, cosi
nella specie del vino si contiene non solo il sangue, ma anche il corpo
e tutto intero Gesù Cristo.
Sebbene i fedeli debbano esser certi e persuasi che questa è la verità,
giustamente è stato stabilito di fare separatamente le due
consacrazioni; primo, per meglio esprimere la passione del Signore,
nella quale il sangue fu separato dal corpo, ed è per questo che nella
consacrazione si menziona l'effusione del sangue; secondo, perché era
convenientissimo che questo sacramento, destinato a nutrir le anime,
fosse istituito sotto forma di cibo e di bevanda, poiché queste due cose
costituiscono l'alimento completo del nostro corpo.
Né si dimentichi che il Cristo si trova tutto intero non solo in
ciascuna specie del pane e del vino, ma anche nella minima particella di
ciascuna specie. Al quale proposito ha scritto sant'Agostino: Ciascuno
riceve il Signore Cristo, il quale è tutto intero nelle singole
particelle, né si fraziona nei singoli, ma si offre intero a ciascuno
(Della Consecr. dist. 2). Ciò si ricava facilmente anche dai testi
evangelici. Poiché non si deve credere che il Signore abbia
separatamente consacrato ciascuno dei pezzi di pane, che distribui agli
apostoli: che anzi egli con un'unica consacrazione consacro tutto il
pane necessario per fare il sacramento e per distribuirlo agli apostoli.
Ciò appare evidentemente a proposito del calice, quando disse: Prendete
e dividetelo tra voi (Lc 22,17). Quanto è stato detto fin qui
serve ai Pastori per dimostrare al popolo che nel sacramento
dell'Eucaristia si contiene il vero corpo e sangue di Cristo.
223. Prove della
transustanziazione: dalla Sacra Scrittura
Come secondo punto, i Pastori insegneranno che dopo la
consacrazione nulla resta della sostanza del pane e del vino
nell'Eucaristia. Per quanto ciò possa sembrare prodigioso, è una
necessaria conseguenza di quanto è stato più sopra spiegato. Perché, se
dopo la consacrazione si trova sotto le specie del pane e del vino il
vero corpo di Gesù Cristo, che prima non c'era, bisogna che ciò avvenga
o per mutazione di luogo, o per creazione, o per cambiamento di
sostanza. Ora, non può essere che il corpo di Cristo venga a trovarsi
nel sacramento per mutazione di luogo, perché ne seguirebbe che non si
trova più in cielo; infatti nulla può muoversi da un luogo all'altro,
senza allontanarsi dal luogo da cui muove. Né può ammettersi, anzi
neppure è lecito pensarlo, che il corpo di Cristo vi sia creato. Rimane
dunque che esso si trovi nell'Eucaristia per cambiamento di sostanza, e
perciò nulla più vi resti della sostanza del pane.
Persuasi i Padri di questa verità, l'hanno chiaramente confermata nei
concili ecumenici Lateranense e Fiorentino; e il Tridentino l'ha più
formalmente definita in questi termini: Se qualcuno dirà che nel
sacramento dell'Eucaristia rimane la sostanza del pane e del vino
insieme col corpo e col sangue di Cristo, sia scomunicato (Conc. Trid.
sess. 13,4).
E' facile dimostrare questo assunto con testi scritturali. Prima di
tutto con quello che il Signore stesso disse istituendo il Sacramento: "
Questo è il mio corpo ". La forza della parola questo consiste appunto
nell'indicare tutta intera la sostanza della cosa presente; tanto che se
la sostanza del pane ancora rimanesse, il Signore non avrebbe potuto
dire con verità: Questo è il mio corpo. Di più, il Signore medesimo in
san Giovanni dice:Il pane che io darò è la mia carne per la vita del
mondo (Jn 6,52); ove chiama sua carne il pane. E poco dopo
aggiunge: Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete
il suo sangue, non avrete in voi la vita (ibid., 54); e ancora:
La mia carne è davvero cibo, e il sangue mio è davvero bevanda (ibid.,
56). Chiamando quindi con parole si chiare e formali la sua carne
vero pane e vero cibo, e il suo sangue vera bevanda, ha voluto
certamente dichiarare che nel sacramento non rimane sostanza alcuna del
pane e del vino.
224.
Dal consenso
dei Padri
Percorrendo i santi Padri sarà facile rilevare che questa è sempre stata
la loro dottrina. Sant'Ambrogio scrive: Tu forse dirai: Questo è il mio
solito pane; ma io ti rispondo, che è certamente pane prima della
consacrazione, però dopo diviene carne di Cristo (De Sacrarti. 4,4). E a
meglio chiarirlo adduce vari esempi e similitudini. Altrove, commentando
il versetto:Il Signore ha fatto tutte le cose che ha voluto, cosi in
cielo come in terra (Ps 134,6), osserva: Quantunque si veda la
figura del pane e del vino, si deve credere che, dopo la consacrazione,
vi è solo la carne e il sangue di Cristo. Sant'Ilario ha adoperato quasi
le medesime parole per illustrare la stessa verità, insegnando che
nell'Eucaristia ci sono realmente il corpo e il sangue del Signore,
sebbene all'esterno non si veda che il pane e il vino (Della consacr.
dist. 2).
Qui i Pastori avvertano i fedeli di non meravigliarsi se si è conservato
il nome di pane anche dopo la consacrazione, poiché con questo nome si
uso di chiamare l'Eucaristia. Infatti esso conserva le apparenze ed
anche la naturale proprietà del pane, che è di nutrire e cibare il
corpo. E del resto consuetudine della S. Scrittura chiamare talora le
cose secondo le loro esteriori apparenze. Per esempio nella Genesi è
detto che apparvero ad Abramo tre uomini, mentre invece erano tre angeli
(Gn 18,2); e negli Atti i due angeli, che apparvero agli apostoli
subito dopo l'ascensione di Cristo al cielo, sono pure detti uomini (Ac
1,10).
225. Spiegazione
della transustanziazione
La spiegazione di questo mistero è difficilissima. Ma i Parroci
tenteranno di far capire a quelli che sono più avanzati nella cognizione
delle verità della fede e delle Scritture (per i più deboli v'è a temere
che restino oppressi dalla sublimità dell'argomento), come si opera
questa meravigliosa conversione. Per essa tutta la sostanza del pane si
converte, per divina virtù, in tutta la sostanza del corpo di Cristo; e
tutta la sostanza del vino in tutta la sostanza del sangue di Cristo,
senza alcuna mutazione del Signore. Infatti Cristo non è generato, non
si muta né si accresce, ma rimane intatto nella sua sostanza.
Sant'Ambrogio, illustrando questo mistero, ha scritto: Osserva come sia
operativa la parola di Cristo. Se essa è stata tanto efficace da
chiamare all'esistenza quel che non era, cioè il mondo, quanto più non
sarà efficace nel far si che le cose già esistenti abbiano un nuovo
essere e siano tramutate in altre? (Dei Sacram. 4,4). Nel medesimo senso
hanno scritto altri Padri antichi e di grande autorità. Sant'Agostino:
Fedelmente confessiamo che prima della consacrazione vi sono il pane e
il vino che la natura ha formati; ma dopo vi sono la carne e il sangue
di Cristo, che la benedizione ha consacrato. E il Damasceno:Il corpo di
Cristo, quello medesimo che è nato dalla S. Vergine, è veramente unito
nell'Eucaristia alla divinità; non che discenda dal cielo a cui è
salito, ma perché il pane e il vino sono trasmutati nel corpo e nel
sangue del Signore (Della fede ortod. 4,13).
Con molta ragione ed esattezza, dunque, la santa Chiesa cattolica chiama
questa mirabile conversione col nome di transustanziazione, secondo
l'insegnamento del sacro concilio di Trento. Come infatti la generazione
naturale può giustamente esser detta trasformazione, perché si ha un
cambiamento nella forma, cosi la parola transustanziazione assai
propriamente è stata foggiata dai Padri, per esprimere il cambiamento di
una sostanza tutta intera in un'altra, qual'è appunto quello che si
opera nell'Eucaristia.
226. Non si deve con
troppa curiosità
investigare intorno alla transustanziazione
Come spesso i nostri santi Padri ripetono, si dovranno
avvertire i fedeli di non ricercare con troppa curiosità come possa
avvenire un tale cambiamento. Ci è impossibile comprenderlo; né possiamo
trovarne immagine alcuna, né esempi nei cambiamenti della natura o nella
creazione degli esseri. La fede ci insegna solo la realtà della cosa: né
dobbiamo curiosamente investigare come avvenga. I Parroci useranno
grande cautela nello spiegare come il corpo di Gesù Cristo
nell'Eucaristia si trovi tutto intero in ogni minima particella del
pane. Per quanto è possibile bisogna evitare queste disquisizioni; ma,
ove la carità cristiana lo richiedesse, richiamino innanzi tutto alla
mente dei fedeli quel detto: Niente è impossibile a Dio (Lc 1,37).
E poi insegnino che N. S. Gesù Cristo non è in questo sacramento come in
un luogo, giacché le cose in tanto sono situate in un luogo, in quanto
sono estese. Ora, noi diciamo che Gesù Cristo è nell'Eucaristia non in
quanto è grande o piccolo, cioè in rapporto alla quantità: ma in quanto
è sostanza, nel senso cioè che la sostanza del pane si converte nella
sostanza di Cristo, non nella grandezza o quantità. Ora nessuno dubiterà
che la sostanza può trovarsi in uno spazio piccolo o grande. Cosi la
sostanza dell'aria è tutta intera in uno spazio grande o piccolo; la
sostanza dell'acqua è la medesima in un recipiente piccolo e nel fiume.
E poiché il corpo del Signore subentra alla sostanza del pane, ne segue
che esso sarà nel sacramento nello stesso modo in cui vi si trovava la
sostanza del pane prima della consacrazione. Ora, che questa vi si trovi
in grande o piccola quantità è cosa che non ha alcuna importanza, per la
realtà della sostanza stessa.
227.
Le specie
sacramentali
Resta ora da vedere una terza meraviglia di questo sacramento, quale più
agevolmente potrà essere spiegata dai Parroci, dopo le due sopra
trattate: e cioè che nell'Eucaristia le specie del pane e del vino
sussistono senza essere sostenute da alcun soggetto. Infatti abbiamo
mostrato che il corpo e il sangue di Gesù Cristo sono realmente presenti
in questo sacramento, talché non vi resta più alcuna sostanza del pane e
del vino. Ma poiché le specie, o accidenti, del pane e del vino non
possono essere inerenti al corpo e al sangue di Cristo, ne segue di
necessità, che, al di sopra di ogni ordine della natura, essi si
sostengano da sé e non si appoggino ad altra sostanza. Questa è stata
sempre la costante dottrina della Chiesa cattolica; dottrina che si può
agevolmente confermare con l'autorità di quelle testimonianze, con le
quali abbiam provato non rimanere nell'Eucaristia sostanza alcuna del
pane o del vino.
Ma alla pietà dei fedeli sopratutto conviene che, poste da parte queste
difficili questioni, si onori e si adori la maestà di questo mirabile
sacramento, ammirando la somma Provvidenza di Dio, la quale ha voluto
che cosi santi misteri ci venissero amministrati sotto la specie del
pane e del vino; poiché, siccome alla natura umana ripugna in genere
mangiare carne umana e bere sangue, con grande sapienza ha stabilito che
il corpo e il sangue di Cristo ci venissero offerti sotto le specie del
pane e del vino, che sono il nostro cibo giornaliero più comune e
gradito. Altri due vantaggi si aggiungono: primo, che siamo al coperto
dalla calunnia degli infedeli, difficilmente evitabile, se noi avessimo
mangiato nostro Signore sotto la sua propria specie; secondo, che il
ricevere il corpo e il sangue del Signore, senza che i nostri sensi
possano cogliere la realtà loro, ci offre un efficace mezzo di aumentare
la fede nelle anime nostre; poiché, come vuole la nota sentenza di san
Gregorio Magno, la fede non ha merito quando la ragione dimostra
sperimentalmente (Omil. 26 in Ev. I). Tutte le cose trattate fin qui è
necessario spiegarle con grande cautela, secondo la capacità degli
uditori e a tempo opportuno.
228.
Effetti
dell'Eucaristia
Invece le virtù e gli effetti di questo mirabile sacramento non v'è
classe di fedeli che non debba conoscerli e apprezzarli come necessarie
alla salvezza. Del resto, tutta la dottrina esposta fin qui ha l'unico
scopo di far conoscere ai fedeli l'utilità dell'Eucaristia. Ma poiché
l'utilità e i frutti immensi che questa racchiude non possono essere
spiegati con un solo discorso, i Parroci dovranno trattar l'uno o
l'altro punto, per mostrare quanto abbondante copia di beni si contenga
in questi sacrosanti misteri.
Potranno raggiungere in parte il fine se, dopo aver mostrata la virtù e
la natura di tutti i sacramenti, assomiglieranno l'Eucaristia alla
sorgente, gli altri ai canali. Infatti l'Eucaristia è davvero la
sorgente di tutte le grazie, perché racchiude in maniera mirabile Gesù
Cristo, fonte delle grazie e dei doni celesti, e autore di tutti i
sacramenti; da Lui come da fonte, deriva agli altri sacramenti tutto
quello che hanno di buono e di perfetto. Da questo punto di vista sarà
facile considerare i doni eccelsi della grazia divina, a noi concessi da
questo sacramento.
Arriveremo agevolmente al medesimo fine, se considereremo bene la natura
del pane e del vino, che sono i segni di questo sacramento; poiché quel
che il pane e il vino arrecano al corpo, lo produce l'Eucaristia a
salute e giocondità dell'anima, e in modo più perfetto. Infatti non è il
sacramento che si converte, come il pane e il vino, nella nostra
sostanza; ma siamo noi che, in qualche modo, ci convertiamo nella sua
natura; sicché bene a proposito si può citare qui il passo di
sant'Agostino: Io sono il cibo dei grandi; cresci e mi mangerai. Né tu
mi muterai in te, come fai per il cibo del tuo corpo, ma piuttosto tu ti
muterai in me (Confess. 7,10).
Se da Gesù Cristo sono venute la verità e la grazia (Jn 1,17)
deve questa necessariamente diffondersi nell'anima quando si riceve con
cuore puro e santo Colui che ha detto di sé: Chi mangia la mia carne e
beve il mio sangue rimane in me ed io in lui (Jn 6,57). Nessuno,
infatti, può dubitare che quelli che partecipano a questo sacramento con
sensi di fede e di pietà, riceveranno il Figlio di Dio in maniera da
trovarsi in qualche modo innestati sul suo corpo, quasi membra vive;
poiché sta scritto: Chi mangia di me, vivrà per me (Jn 6,58); e
ancora:Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo (Jn
6,52). Al qual proposito san Cirillo scrive:Il Verbo di Dio,
unendosi alla sua propria carne, l'ha resa vivificante. Era pertanto
conveniente che egli si unisse ai nostri corpi in maniera ammirabile,
per mezzo della sua sacratissima carne e del suo sangue prezioso, che
riceviamo nella vivificante benedizione del pane e del vino (In Jn
4,3).
Ma i Pastori avvertano i fedeli che, quando si dice che l'Eucaristia
dona la grazia, non si deve intendere che non sia necessario essere già
in grazia per ricevere con frutto questo sacramento; poiché come ai
cadaveri non giova il cibo naturale, cosi all'anima, morta nello
spirito, non giovano i sacri misteri. Questi presentano le specie del
pane e del vino appunto per significare che sono stati istituiti, non
per dare, ma per conservare la vita dell'anima. Si dice tuttavia che
l'Eucaristia dona la grazia, perché anche la prima grazia (necessaria
per ricevere sulle labbra l'Eucaristia, senza il pericolo di mangiare e
bere la propria condanna) non si da se non a chi riceve questo
sacramento col desiderio e con l'aspirazione. L'Eucaristia, infatti, è
il fine di tutti i sacramenti e il simbolo dell'unità associativa dei
membri della Chiesa, fuori della quale nessuno può conseguire la grazia.
Inoltre, come il cibo naturale non solo conserva ma anche accresce il
corpo e gli fa ogni giorno gustare nuova dolcezza e nuovo piacere, cosi
il sacrosanto cibo dell'Eucaristia non solo sostenta l'anima, ma ancora
le accresce le forze e fa si che lo spirito sia ogni giorno maggiormente
preso dal diletto delle cose divine. Ecco perché giustamente abbiamo
detto che l'Eucaristia da la grazia, potendosi a buon diritto paragonare
alla mamma, nella quale si trovava la delizia di tutti i sapori.
Nessuno poi deve dubitare che l'Eucaristia rimetta i peccati leggeri, o
veniali. Tutto quello che l'anima, trascinata dall'ardore della
concupiscenza, aveva perduto in materia lieve, le viene reso da questo
sacramento, che cancella i peccati minori; come appunto, per servirci
sempre della medesima similitudine, noi sentiamo che il cibo corporale
accresce e ripara quel che ogni giorno si perde e viene sottratto dal
calore naturale. Perciò sant'Ambrogio ha giustamente scritto
dell'Eucaristia: Questo pane quotidiano ogni giorno si riceve come
rimedio delle quotidiane infermità (De' Sacram. 4,4). S'intende che
tutto ciò va riferito a quei peccati il cui diletto non travolge
l'anima.
Un altro effetto dell'Eucaristia è di conservarci puri ed integri dal
peccato e di salvarci da ogni impeto di tentazione, immunizzando, quasi
celeste farmaco, l'anima, affinché non abbia ad infettarsi o corrompersi
per il veleno di mortifere passioni. Perciò, come attesta san Cipriano (Epist.
LIV), quando gli antichi cristiani erano condannati dai tiranni ai
tormenti e alla morte per la confessione della fede, la Chiesa volle che
i Vescovi amministrassero loro il sacramento del corpo e del sangue del
Signore, affinché non cedessero in quel supremo cimento, vinti
dall'acerbità dei dolori. Inoltre l'Eucaristia raffrena e reprime la
libidine della carne, poiché da una parte accende gli animi col fuoco
della carità, dall'altra necessariamente raffredda gli ardori della
concupiscenza.
Finalmente, per compendiare in una sola parola tutti i vantaggi e
benefici di questo sacramento, basta dire che esso possiede una virtù
somma per procurarci l'eterna gloria, avendo detto Gesù: Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e io lo risusciterò
nell'ultimo giorno (Jn 6,55). Ed invero per virtù dell'Eucaristia
i fedeli, fin da questa vita, godono di una somma pace e tranquillità di
coscienza; e, al momento della morte, ricreati dalla sua virtù, se ne
volano verso la gloria e beatitudine eterna come Elia, il quale, per
virtù del pane cotto sotto la cenere, andò fino sull'Oreb, che era il
monte di Dio (3 Re, XIX,8).
Sarà agevole ai Parroci spiegare più a lungo tutti questi benefici
dell'Eucaristia, sia commentando ai fedeli il cap. 6 di san Giovanni,
che manifesta molti effetti di questo sacramento, sia percorrendo la
mirabile serie delle opere di Cristo. Vi potranno far rilevare che se a
buon diritto stimiamo beati coloro che ospitarono Gesù mortale nelle
loro case, o ricuperarono la sanità toccando le sue vesti, quanto più
siamo beati e fortunati noi che lo riceviamo nelle anime nostre,
rivestito di gloria immortale, affinché ne risani le ferite ed a sé le
unisca, dopo averle ornate di ricchissimi doni.
229. Tre modi di
ricevere l'Eucaristia
Si
deve poi insegnare chi siano quelli che sono in grado di ricevere i
grandi frutti dell'Eucaristia ora ricordati. Ed è necessario prima di
tutto spiegare che ci sono varie maniere di comunicarsi, affinché i
fedeli desiderino la migliore. Sapientemente i Padri nostri, come
leggiamo nel Tridentino, hanno distinto tre modi di ricevere questo
divino sacramento.
Taluni, e cioè i peccatori, ricevono soltanto sacramentalmente i sacri
misteri, in quanto non hanno terrore di riceverli con labbra e cuore
impuri. Di costoro l'Apostolo ha detto che mangiano e bevono
indegnamente il corpo e il sangue del Signore (1Co 11,29). E
sant'Agostino ha scritto che colui, il quale non si trova in Cristo e
Cristo in lui, non mangia certo spiritualmente la sua carne, sebbene in
modo carnale e visibile stringa con i denti il sacramento del suo corpo
e del suo sangue (In Jn tratt. 26,18). Coloro pertanto che, cosi mal
disposti, ricevono i sacri misteri, non solo non ne traggono frutto, ma,
per sentenza di san Paolo, mangiano e bevono la propria condanna (1Co
11,29).
Altri ricevono l'Eucaristia solo spiritualmente; e sono quelli che,
animati dalla fede viva che opera per mezzo della carità (Ga 5,6),
si nutrono di questo pane celeste con i desideri e i voti ardenti,
riportandone se non tutti, certo i più grandi vantaggi.
Vi sono infine altri che ricevono l'Eucaristia sacramentalmente e
spiritualmente: e sono quelli che, seguendo l'avviso dell'Apostolo,
hanno prima provato se stessi e indossato la veste nuziale, per poi
avvicinarsi alla sacra mensa, riportandone tutti i copiosi e utilissimi
benefici sopra ricordati. E evidente però che si privano di beni immensi
e celesti coloro che, pur potendosi preparare a ricevere il sacramento
del corpo del Signore, si contentano di riceverlo solo spiritualmente.
230. Preparazione
per ben ricevere l'Eucaristia
È
tempo di dire come si debbano preparare i fedeli a ricevere il
sacramento dell'Eucaristia. Prima di tutto, a rilevare la necessità di
questa preparazione, giova l'esempio del nostro Salvatore; il quale,
prima di dare agli apostoli il sacramento del suo corpo e del suo sangue
prezioso, sebbene già fossero mondi, pure lavo loro i piedi, per
mostrare che si deve adoperare ogni diligenza perché siano in noi una
somma integrità e innocenza d'animo, quando ci appressiamo a ricevere
questo sacramento. Di più, devono ben capire i fedeli che, come
ricevendo con animo ben disposto l'Eucaristia, se ne riporta
l'abbondanza dei doni celesti, cosi, ricevendola mal preparati, non solo
non se ne ritrae alcun vantaggio, ma ne derivano danni gravissimi.
Giacché è proprietà delle cose ottime e salutari produrre il più gran
giovamento, se vengono usate a tempo opportuno, mentre riescono
perniciose se sono usate malamente. Non c'è quindi da meravigliarsi, se
questi immensi e ricchissimi doni di Dio, qualora siano ricevuti con
buone disposizioni, giovino assai a conseguire la gloria celeste; mentre
apportano la morte eterna se li riceviamo indegnamente. Abbiamo una
prova di questa verità nell'arca dell'alleanza, la cosa più santa che
gli Israeliti possedessero, e di cui Dio s'era spesso servito per
accordare loro grandi ed innumerevoli benefici. Avendola una volta i
Filistei rubata, essa attiro su loro un terribile flagello, non meno
pernicioso che disonorevole (1S 5); cosi il cibo ricevuto per
bocca, se scende in uno stomaco ben preparato, nutre e sostenta il
corpo; ma quello che entra in uno stomaco pieno di umori morbosi,
cagiona gravissime infermità.
Perciò la prima preparazione che faranno i fedeli, sarà di distinguere
mensa da mensa, cioè questo convito sacro da quelli profani, questo pane
celeste dal pane comune. Ciò si ottiene credendo fermamente che
nell'Eucaristia è presente il vero corpo e sangue del Signore, che in
cielo gli angeli adorano, al cui cenno tremano le colonne del cielo,
della cui gloria sono pieni il cielo e la terra. Questo significa
discernere il corpo del Signore, come vuole san Paolo: Bisogna cioè
contentarsi di adorare la profonda grandezza di questo mistero,
piuttosto che ricercare con curiose disquisizioni la sua altissima
verità.
Una seconda disposizione, indispensabile, si è di interrogare noi
stessi, per vedere se siamo in pace con tutti, se amiamo di vero cuore
il prossimo: Se tu per fare l'offerta all'altare e ti viene alla memoria
che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, posa la tua offerta
davanti all'altare, va prima a riconciliarti col tuo fratello, e poi
ritorna a fare la tua offerta (Mt 5,23-24).
Terza disposizione: esaminare diligentemente la nostra coscienza, per
vedere se sia macchiata di qualche peccato mortale, di cui pentirci e
mondarci mediante la contrizione e la Confessione. Il sacro Concilio di
Trento ha dichiarato non essere lecito a chi ha sulla coscienza un
peccato mortale e può avvicinare un confessore, di ricevere la
Comunione, anche se pentito nella maniera più profonda, prima di essersi
purificato mediante la confessione (Sess. XIII, cap. 7, e can. 11).
Quarta disposizione: considerare in silenzio quanto siamo indegni di
ricevere un cosi eccelso beneficio del Signore e ripetere di cuore la
parola del Centurione, del quale il Salvatore stesso affermo di non aver
trovato nemmeno in Israele una fede cosi grande: O Signore, io non sono
degno che tu entri nella mia casa (Mt 8,10).
Quinta disposizione: esaminarci se possiamo far nostre le parole di
Pietro: O Signore, tu sai che io ti amo (Jn 21,17); e ricordare
che colui il quale entro nel convito del Signore senza la veste nuziale,
fu gettato nel carcere tenebroso a scontare pene eterne (Mt 22,11).
Però non l'anima soltanto, ma anche il corpo deve essere preparato alla
sacra mensa: primo, col digiuno, che impone di non mangiare né bere
nulla dalla mezzanotte antecedente fino al momento in cui si riceve
l'Eucaristia; secondo, la dignità di tanto sacramento richiede ancora
che i coniugati si astengano per qualche giorno dalla copula, dietro
l'esempio di Davide il quale, ricevendo dal sacerdote i pani di
proposizione, dichiaro di essersi astenuto per tre giorni, egli ed i
suoi servi, da commercio carnale (1S 21,5).
Queste sono le principali disposizioni che i fedeli dovranno avere per
appressarsi a ricevere con frutto i santi misteri; tutte le altre
potranno facilmente ridursi a quelle sopra elencate.
231. Uso
dell'Eucaristia
Per
evitare che taluni diventino troppo negligenti e tardi a ricevere questo
sacramento, col pretesto che la preparazione al medesimo è troppo grave
e difficile, i fedeli devono essere avvertiti che tutti sono obbligati a
ricevere l'Eucaristia. Anzi la Chiesa ha stabilito che coloro i quali
non si comunicheranno almeno una volta l'anno, a Pasqua, siano espulsi
dalla Chiesa.
Questo non significa che sia sufficiente ubbidire a questo precetto e
perciò basti ricevere una volta all'anno il corpo del Signore; anzi i
fedeli devono frequentare la mensa eucaristica. Non è possibile
prescrivere con regola fissa per tutti se sia meglio comunicarsi ogni
mese, ogni settimana oppure ogni giorno; ma si abbia sempre presente la
norma sicura di S. Agostino: Vivi in maniera da poterti comunicare ogni
giorno.
Toccherà al Parroco esortare spesso i fedeli che, come giudicano
necessario dare cibo al corpo tutti i giorni, cosi curino ogni giorno di
pascere l'anima con questo nutrimento, essendo chiaro che l'alimento
spirituale è necessario all'anima quanto quello materiale al corpo. E
gioverà molto richiamare gli immensi e divini benefizi che, come abbiamo
detto, si acquistano dalla pratica della Comunione. Si può aggiungere
l'esempio della manna, che ogni giorno si raccoglieva per ristorare le
forze del corpo, e riportare l'autorità dei Padri che lodano e approvano
la frequenza di questo sacramento. Non è solo sant'Agostino a dire: Ogni
giorno pecchi; dunque ogni giorno comunicati. Chi vorrà leggere i Padri
che hanno scritto su questo argomento, si convincerà facilmente che
hanno tutti questo medesimo pensiero.
Leggiamo negli Atti (2,42-46) che un tempo i fedeli ricevevano ogni
giorno l'Eucaristia. I Cristiani d'allora erano infiammati da una carità
cosi profonda e sincera, che, dediti com'erano continuamente alle
orazioni e alle opere di carità, si trovavano ognora pronti a ricevere
il santissimo sacramento. Quando la consuetudine sembro indebolirsi, il
santo papa e martire Anacleto la rinnovo in parte, ordinando che tutti i
Ministri che assistevano al sacrificio della Messa, si comunicassero;
affermava che ciò era stato ordinato dagli Apostoli (in Graz. par. IlI,
dist. 2, cap. 10).
Duro a lungo nella Chiesa l'uso che il sacerdote, compiuto il Sacrificio
e presa l'Eucaristia, si rivolgesse al popolo invitandolo alla sacra
mensa con queste parole: Venite, fratelli, alla comunione. Allora quelli
che eran preparati ricevevano i misteri con gran devozione. Essendosi in
seguito tanto raffreddate la devozione e la carità, che i fedeli si
accostavano solo raramente alla Comunione, il papa Fabiano (ib. cap. 16)
decreto che tre volte all'anno, a Natale, Pasqua e Pentecoste, i fedeli
si comunicassero; il che fu poi confermato da molti Concili e
specialmente dal primo di Agda (can. 18). Da ultimo, essendosi giunti a
tanto rilassamento, che non solo non si osservava più un precetto cosi
santo e salutare, ma si differiva di molti anni la Comunione, il
concilio Lateranense quarto stabili che i fedeli si accostassero alla
mensa eucaristica almeno una volta all'anno, a Pasqua, vietando
l'ingresso in chiesa a chi avesse trascurato di ubbidire.
232.
Chi non deve
comunicarsi
Quantunque la legge della frequenza, sancita dall'autorità di Dio e
della Chiesa, obblighi tutti i fedeli, tuttavia ne sono eccettuati
coloro, che per la tenera età non hanno ancora l'uso della ragione. Essi
infatti sono incapaci di distinguere il pane eucaristico da quello
ordinario, né possono avere devozione o riverenza nel riceverlo. Sembra
anche opporvisi l'istituzione stessa fatta da Cristo, il quale disse:
Prendete e mangiate (Mt 26,26). Ora, è chiaro che i bambini non
possono prendere e mangiare. Ci fu, in taluni luoghi l'usanza di
amministrare anche ai fanciullini l'Eucaristia; ma ora è stata, per
ordine della Chiesa e da molto tempo, abolita, per le ragioni sopra
addotte e per molte altre assai conformi alla pietà cristiana. Quanto
all'età per la Comunione dei fanciulli, nessuno potrà deciderla meglio
del loro padre e confessore, cui appartiene verificare se i fanciulli
hanno una qualche conoscenza o gusto di questo mirabile sacramento.
Nemmeno ai pazzi, alieni durante la loro disgrazia da ogni sentimento di
religione, si deve amministrare l'Eucaristia. Ma se prima di cadere in
pazzia avevano mostrato sensi di religiosa pietà, sarà lecito dar loro
in punto di morte la Comunione, secondo il decreto del concilio
Cartaginese (4,76), purché non vi sia da temere pericolo di vomito, o di
altra irriverenza, o indecenza.
233. La Comunione
sotto le due specie
Per
quel che riguarda il rito eucaristico, insegnino i Parroci esser
proibito per legge ecclesiastica che, senza espressa autorizzazione
della Chiesa, i fedeli, all'infuori dei sacerdoti che celebrano il
Sacrificio, ricevano l'Eucaristia sotto entrambe le specie. Infatti,
come spiega il concilio di Trento, sebbene N.S. Gesù Cristo nell'ultima
cena abbia istituito questo augusto sacramento sotto le due specie del
pane e del vino e lo abbia cosi somministrato agli apostoli, non ne
segue che abbia ordinato di dare a tutti i fedeli il sacramento sotto le
due specie. Che anzi il Redentore, quando parla di questo sacramento, il
più sovente fa menzione di una sola specie: Se uno mangia di questo pane
vivrà in eterno;Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo
(Jn 6,51).
Per molte e gravissime ragioni la Chiesa si è decisa non solo ad
approvare, ma anche a sancire con la sua autorità la regola di
comunicare sotto la sola specie del pane. Innanzi tutto bisognava con
grande cura impedire che il sangue del Signore cadesse in terra; cosa
difficile a evitare, se si deve distribuire a una massa di popolo.
Secondo, dovendo l'Eucaristia esser sempre pronta per gl'infermi, c'era
da temere che la specie del vino conservata a lungo s'inacidisse. Terzo,
molti non possono tollerare il gusto e nemmeno l'odore del vino; era
dunque conveniente che la Chiesa ordinasse la comunione sotto la sola
specie del pane, per evitare che quel che si distribuisce per la salute
delle anime, possa nuocere a quella del corpo; quarto, in molti paesi vi
è penuria di vino, il quale vi si può trasportare solo con grandi spese
e attraverso lunghe e malagevoli strade; infine, e questo è il più
importante, bisognava estirpare l'eresia di coloro, che pretendevano che
Gesù Cristo non è tutto intero sotto ciascuna specie, ma che quella del
pane contiene il corpo senza sangue, e quella del vino il sangue senza
il corpo. Affinché, pertanto, la verità della fede Cattolica fosse
meglio palese a tutti, fu con savio consiglio introdotta la comunione
sotto la sola specie del pane. Altre ragioni ancora sono state raccolte
dagli scrittori che han trattato questa materia; i Parroci, ove lo
giudicassero necessario, le potranno addurre.
234.
Il Ministro
dell'Eucaristia
Sebbene nessuno ne sia all'oscuro, trattiamo ora del ministro, tanto per
non tralasciare nulla di quel che si riannoda a questo sacramento.
Insegneranno i Parroci che soltanto i sacerdoti hanno la potestà di
consacrare l'Eucaristia e di distribuirla ai fedeli. Sempre - insegna il
concilio di Trento - è stata nella Chiesa osservata la consuetudine, che
il popolo riceve i sacramenti dai sacerdoti, mentre questi si
comunichino da sé durante la celebrazione; consuetudine che il Concilio
fa risalire agli Apostoli. Esso ordina di osservarla religiosamente (Sess.
XIII, cap. 8, can. 10), massime perché Gesù Cristo ce ne ha lasciato
chiarissimo esempio, avendo egli stesso consacrato il suo corpo per poi
distribuirlo con le sue mani agli apostoli (Mt 26,26 Mc 14,22).
Al fine di rilevare con ogni mezzo la dignità di tanto sacramento, non
solo è riservata ai sacerdoti la potestà di amministrarlo, ma è proibito
per legge ecclesiastica, a chi non è negli ordini sacri, di toccare o
trattare i vasi sacri, i corporali e tutta la suppellettile necessaria
per la consacrazione, salvo il caso di grave necessità. Cosi i sacerdoti
e i fedeli intenderanno come debbano essere religiosi e santi coloro cui
spetta di consacrare, amministrare, o ricevere la santissima Eucaristia.
Tuttavia si verifica anche per questo sacramento quel che abbiamo detto
per gli altri; che cioè possono esser validamente amministrati anche da
ministri indegni, purché siano osservate le norme spettanti alla loro
struttura; giacché il loro effetto non dipende dai meriti di chi li
amministra, ma dalla virtù e dalla potestà di Cristo Signor nostro.
Questo è quanto si deve spiegare sull'Eucaristia come sacramento.
235.
L'Eucaristia
come sacrificio
Resta da considerare l'Eucaristia come sacrifizio. E cosi sarà completo
quel che i Pastori, a norma del concilio di Trento, dovranno conoscere e
insegnare al popolo nelle domeniche e nelle altre festività (Sess. 22,
cap. Vili). Infatti l'Eucaristia non è solo il tesoro della ricchezza
celeste, il cui buon uso procura la grazia e l'amore di Dio, ma possiede
anche il mezzo per ringraziare Dio per gl'immensi benefici a noi
elargiti. Volendo comprendere quanto sia grata ed accetta a Dio questa
Vittima, quando viene immolata secondo il legittimo rito, si consideri
che i sacrifici dell'antica Legge - di cui pure era scritto: Di
sacrifici e di offerte tu non prendi diletto (Ps 39,7); e ancora:
A te non piacciono i sacrifizi di animali: potrei offrirtene, ma
l'olocausto non ti diletta (Ps 50,18) - piacquero tanto al
Signore, che secondo la Scrittura Dio senti in quelli come un odore
soavissimo, per significare che gli furono grati ed accetti (Gn 8,21).
Ora che cosa non dobbiamo sperare noi da un sacrifizio, in cui viene
immolato Colui del quale per ben due volte una voce celeste proclamo:
Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto? (Mt
3,17). I Parroci esporranno dunque diligentemente questo mistero,
affinché i fedeli, venendo ad assistere al sacrificio, sappiano meditare
con attenzione e pietà i misteri ai quali partecipano.
Insegneranno innanzi tutto che Cristo ha istituito l'Eucaristia per due
ragioni: primo, per offrire all'anima un alimento celeste, che ne
conservasse la vita spirituale; secondo, affinché la Chiesa avesse un
sacrifizio perpetuo, capace di soddisfare per i nostri peccati, e di
piegare dall'ira alla misericordia, dalla severità di un giusto castigo
alla clemenza, il Padre celeste, spesso gravemente offeso dalle nostre
iniquità. Una figura di ciò la troviamo nell'agnello pasquale, che gli
Ebrei immolavano e mangiavano come sacrifizio e come sacramento. Né
poteva il Redentore, prima di offrire se stesso a Dio Padre sull'altare
della croce, darci più chiaro pegno del suo immenso amore verso di noi,
che lasciandoci questo sacrificio visibile, mediante il quale noi
potessimo rinnovare l'immolazione cruenta, che egli era per consumare
l'indomani, una volta per sempre, sopra la croce; e, in tal modo, la sua
memoria venisse ogni giorno celebrata dalla Chiesa su tutta la terra con
grandissimo frutto, fino alla fine del mondo.
236. Differenza tra
sacrificio e sacramento
Ma
tra i concetti di sacramento e di sacrificio vi è grande differenza. Il
sacramento si effettua mediante la consacrazione, mentre l'essenza del
sacrifizio sta nell'offerta immolatrice. Perciò l'Eucaristia, finché è
conservata nella pisside o è portata a un infermo, ha carattere di
sacramento e non di sacrifizio. Appunto, come sacramento apporta titoli
di merito a coloro che la ricevono, procurando loro i vantaggi sopra
ricordati. Invece, come sacrificio, possiede, oltre alla virtù di
meritare, anche quella di soddisfare. Pertanto come Cristo signor nostro
nella sua passione merito e soddisfece per noi, cosi quelli che offrono
questo sacrificio, per il quale comunicano con noi, meritano di
partecipare ai frutti della passione del Signore e quindi alla sua opera
di soddisfazione.
237. Istituzione e
figure del sacrificio della Messa
Il concilio di Trento ha tolto ogni dubbio circa l'istituzione
di questo sacrificio, dichiarando che fu istituito da Gesù Cristo
nell'ultima cena. Anatematizza poi chi afferma che a Dio non si offre un
vero e proprio sacrificio nella Chiesa, ovvero che offrire non significa
altro che dare in cibo ai fedeli la carne del Signore.
Né tralasciò di spiegare diligentemente che il sacrificio si offre solo
a Dio; e che la Chiesa, pur celebrando messe in memoria e onore dei
santi, offre il sacrificio non ad essi, ma solo a Dio, che ha coronato i
santi di gloria immortale. Il sacerdote non dice mai: Offro il
sacrificio a te, Pietro, o Paolo; ma, mentre immola e sacrifica solo a
Dio, lo ringrazia per le insigni vittorie riportate dai martiri, e
implora il loro patrocinio, affinché si degnino d'intercedere per noi in
cielo, mentre facciamo memoria di loro in terra.
La Chiesa Cattolica ha appreso dalla parola stessa di Cristo quanto Egli
ci ha insegnato circa la realtà del sacrificio eucaristico. Cristo,
infatti, disse agli Apostoli affidando loro nell'ultima cena i sacri
misteri: Fate questo in memoria di me (Lc 22,19 1Co 11,24). In
quel momento li istituì sacerdoti, come insegna il concilio di Trento,
ordinando ad essi e a tutti quelli che sarebbero loro succeduti
nell'ufficio sacerdotale, di immolare e offrire il suo corpo. La stessa
cosa è chiaramente confermata dalle parole di san Paolo ai Corinzi: Non
potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni. Non potete
partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni (1Co 10,20).
Ora, come per mensa dei demoni si deve intendere l'altare su cui questi
ricevevano i sacrifici, cosi per mensa del Signore si deve intendere
l'altare sul quale si sacrifica a Dio; altrimenti non tornerebbe
l'argomentazione dell'Apostolo.
Ricercando nel vecchio Testamento le figure e le profezie intorno al
sacrificio eucaristico, troviamo prima di tutto il chiarissimo vaticinio
di Malachia: Dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le
genti, e in ogni luogo viene sacrificata ed offerta al mio nome
un'oblazione monda, perché grande è il mio nome tra le nazioni, dice il
Signore degli eserciti (Ml 1,11). Questa Vittima era pure
prefigurata da tutti i sacrifici offerti sia prima che dopo la
promulgazione della legge mosaica; perché i benefici espressi da quelli
sono tutti contenuti nell'Eucaristia, che ne è come l'apice e il
compimento. Fra tutte le figure, la più espressiva è quella di
Melchisedec, perché il Redentore medesimo, per ben rilevare che era
stato costituito sacerdote per l'eternità secondo l'ordine di
Melchisedec (He 7,3), offri all'Eterno suo Padre, nell'ultima
cena, il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino.
238.
Natura e valore
del sacrificio della Messa
Si deve dunque riconoscere che il sacrificio della Messa e quello
offerto sulla croce non sono e non devono essere considerati che un solo
e identico sacrificio, come una e identica è la vittima: Cristo signor
nostro, che si è immolato una sola volta sulla croce in modo cruento.
Ora, la vittima cruenta e quella incruenta sono un'unica vittima e non
due, il cui sacrificio, dopo il precetto del Signore: Fate questo in
memoria di me, si rinnova ogni giorno nell'Eucaristia. E anche unico e
identico il sacerdote, cioè Cristo medesimo, poiché i ministri
celebranti non agiscono in nome proprio, ma in persona di Cristo, quando
consacrano il suo corpo e il suo sangue. E provato dalle parole stesse
della consacrazione, nelle quali il sacerdote non dice: Questo è il
corpo di Cristo, ma: Questo è il mio corpo; appunto perché
rappresentando egli, allora, la persona di Cristo, trasforma la sostanza
del pane e del vino nella vera sostanza del corpo e del sangue di Lui.
Posta questa verità, bisogna con fermezza insegnare, insieme con il
sacro Concilio, che l'augusto sacrificio della Messa non è soltanto un
sacrificio di lode e di ringraziamento, né una semplice commemorazione
di quello della croce, ma un vero sacrificio propiziatorio, col quale ci
rendiamo Dio placato e propizio. Perché se con puro cuore, con fede
viva, con intimo dolore dei nostri peccati immoliamo e offriamo questa
Vittima sacrosanta, otterremo infallibilmente dal Signore la
misericordia e la grazia al momento opportuno. Infatti il Signore tanto
si compiace del profumo di questa Vittima, che ci perdona i peccati,
concedendoci il dono della grazia e della penitenza. Perciò la Chiesa
dice in una solenne preghiera: Quante volte si celebra la memoria di
questa Vittima, altrettante si compie l'opera della nostra salvezza
(Dom. 9 dopo Pent.); poiché tutti gli abbondantissimi meriti della
Vittima cruenta si riversano su di noi in grazia di questo sacrificio
incruento.
Insegneranno pure i Parroci che l'efficacia di questo sacrificio è tale
da giovare non solo a chi l'offre e a chi lo riceve, ma a tutti i fedeli
che siano ancora vivi sulla terra, o che, essendo già morti nel Signore,
non siano ancora completamente purificati. Perché è certa tradizione
apostolica che il sacrificio della Messa si offre utilmente anche per i
morti, oltreché per i peccati, le pene, le soddisfazioni, le varie
angustie e calamità dei vivi. Ne segue che tutte le messe sono sempre da
considerarsi comuni, in quanto sono dirette alla comune utilità e salute
di tutti i fedeli.
Il sacrificio della Messa abbraccia molti riti notevoli e solenni,
nessuno dei quali si può giudicare superfluo o vano, perché tutti sono
diretti a far meglio risplendere la maestà di si grande sacrificio, e a
trasportare i fedeli dalla vista di cosi salutiferi misteri alla
contemplazione delle cose divine, in essi celate. In queste cerimonie
non è opportuno trattenerci di più, sia perché a trattare tale materia
ci vorrebbe uno spazio più ampio, sia perché potranno i sacerdoti
facilmente consultare i moltissimi libri e trattati composti da uomini
dotti e pii intorno a questo argomento.
Basti quindi quello che fin qui abbiamo esposto, con l'aiuto di Dio,
intorno ai punti principali che si riferiscono all'Eucaristia, sia come
sacramento, sia come sacrificio.
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