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EX DECRETO S.O. CONCILII VATICANI II INSTAURATUM AUCTORITATE PAULI Pp. VI PROMULGATUM JOANNIS PAULI Pp. II CURA RECOGNITUM
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Il Rito di Paolo VI (o Rito Ordinario) del Missale Romanum è chiamato anche con il titolo di Messa di Paolo VI o anche Messa Paolina.
La Prima Riforma Liturgica:
Con la sessione XXII del Concilio Tridentino i Padri Conciliari davano inizio a quella che sarebbe passata alla storia come il fulcro della prima e grande riforma liturgica. Da quelle indicazioni Conciliari, consegnate poi ai Papi, derivò il culto cristiano da allora contenuto inalterabilmente nei Libri Liturgici che furono editati da San Pio V fino al XVII secolo.
Quale Liturgia offrivano i nuovi libri liturgici di Trento? La riforma dei libri liturgici di Trento non crea, per così dire, una nuova liturgia, ma attinge alle fonti più antiche e mette ordine nelle cerimonie che fino ad allora si erano svolte nella Chiesa senza un principio ordinatore ed uniforme. Quindi lavora su materiale antico, venerabile ed il più delle volte inutilizzato o spesso gravemente travisato. Per secoli la liturgia Tridentina si è “modificata” rettificata, ampliata e riformata ad opera dei Pontefici Romani, da quelli immediatamente successivi a Pio V fino a Giovanni XXIII; tali interventi non hanno mai intaccato la struttura della Liturgia ma l’hanno sempre arricchita.
La Seconda Riforma Liturgica:
Con il Missale Romanum edito da Sua Santità Paolo VI, il mondo ha assistito ad una “riforma” che ha utilizzato alcuni elementi presenti nel rito Tridentino.
La Nuova Liturgia fu la risposta del Santo Padre Paolo VI che, ascoltando le istanze del mondo contemporaneo, volle fermamente che a tutti gli uomini fosse data la possibilità di accostarsi con fiducia e semplicità a quel “tesoro espresso dalla bellezza liturgica, fonte e culmine della vita di ogni battezzato”!
Non nascondiamo che ciò che auspicava rettamente il Paolo VI non ha coinciso con una sua fedele attuazione anzi, ha suscitato fraintendimenti ed abusi che ne hanno macchiato profondamente le intenzioni sane ed autentiche.
Questo ha scandalizzato e ferito il popolo di Dio!
Come fare per riportare la Liturgia al giusto orientamento? La soluzione non si trova nel ripudio o nel ripiegarsi verso il Rito di San Pio V del Missale Romanum quasi per contrasto. La forma Piana del Missale Romanum sussiste nella sua imperitura bellezza e nella sua essenza, la quale va certamente conosciuta, valorizzata e divulgata ma non presa a pretesto.
L’unica strada autenticamente retta, consiste nello spronare tutti indistintamente ad un impegno maggiore verso l’attuazione fedele ed autentica di ciò che la Chiesa ha trasmesso nel suo aspetto più nobile, quello liturgico.
Discutere quindi su quale Liturgia sia migliore, se quella Piana o quella Paolina non aiuta nessuna delle due forme del Rito Romano, né tanto meno il fedele che sarà portato a schierarsi e non ad abbracciare con semplicità e purezza di cuore Colui che è misticamente presente nelle Sacrosante azioni liturgiche e realmente vivo nel Suo santo e vivificante Corpo e Sangue.
Accedere alla liturgia proposta da Paolo VI significa comunicare ad un culto di ampio respiro, aperto alla creatività ma non all’inventiva ed alla dittatura del soggettivismo, fondato su testi e tradizioni di antichità certa, espressa in forme “nuove” ma sempre fedeli al Deposito della Fede; esso è la garanzia ed il fondamento dell’esperienza evangelizzatrice e cultuale della Chiesa: il Mistero Pasquale di nostro Signore Gesù Cristo Morto e Risorto, Sacrificio compiuto per la salvezza dell’uomo che si converte a Lui nell’amore e nella sequela zelante.
Il Latino veicolo di universalità liturgica!
La liturgia del Rito Romano, a partire dal IV secolo si è diffusa in Europa e prima ancora in Africa, solo ed esclusivamente in lingua Latina. Per secoli questa è stata la lingua del colloquio con il Signore. Nel XXI secolo forse il latino non può più trovare il suo posto nella Liturgia?
Decisamente rispondiamo no! E lo diciamo con la Chiesa.
Il Codice di Diritto Canonico che regola l’attività liturgica e legislativa di tutta la Chiesa Cattolica Occidentale e quindi di rito Latino, emanato nell’anno 1983 decreta: “La Celebrazione Eucaristica venga compiuta in lingua latina o in altra lingua, purché i testi liturgici siano stati legittimamente approvati” (Canone 928).
Ecco quindi che la prima opzione rimane il Latino, cui possono seguire le lingue moderne. Una Messa celebrata in Latino secondo il rito di Paolo VI e con le letture nella propria lingua di appartenenza linguistica aiuta a capire il senso “universale” di ciò che la Chiesa compie all’Altare! Del resto se analizzassimo il Messale Romano in lingua Italiana (ed. 1983) troveremmo che esso contiene comunque testi in latino che possono essere cantati dal Sacerdote e dall’assemblea in latino: il Gloria, il Credo, l’Agnus Dei ed il Padre nostro e volendo tutte le Antifone del Messale: canto di ingresso, offertorio e comunione).
Del resto fu il Concilio Ecumenico Vaticano II a illuminare la mente del legislatore canonico. Nelle intenzioni dei Padri Conciliari era presente il desiderio dell’introduzione delle lingue moderne nella Liturgia (soprattutto nella prima parte del Rito: la Liturgia della Parola o Parte Didattica della Santa Messa), desiderio già espresso da Pio XII, e nei secoli precedenti da numerosi tentativi di riforma. L’introduzione delle lingue nazionali però non doveva estendersi a tutta la Messa. Infatti non si doveva, secondo i Padri del Concilio, snaturare la seconda parte del Rito Romano vigente (la Parte Sacrificale) che rimaneva così come era stata ordinata da sempre: in latino. [Si confronti al riguardo, il Missale Romanum del 12 marzo 1965, edito, per la prima volta in versione bilingue, a conclusione e a “sigillo” del Concilio Ecumenico Vaticano II, e rimasto in uso fino al 2 aprile del 1969].
Ma perché il latino? Perché con esso si è espresso per secoli il patrimonio liturgico e di preghiera della Chiesa innanzitutto, e poi dei singoli.
L’opportunità di conservare questa lingua non risiede in un cammino a ritroso che porta il fedele a trovarsi nella difficoltà di non comprendere ciò che ascolta o ciò che dice. Oggi come allora la Chiesa afferma la necessità del Latino per creare una comunità di fede e di orazione che loda e benedice il Signore in modo uniforme e universale, nel rispetto delle proprie tradizioni culturali e religiose.
In un mondo governato dalla frammentazione e da una distorta globalizzazione che non valorizza le identità ma le annienta, la preghiera del cristiano di qualsivoglia nazione, che si rivolge all’unico Padre nella medesima lingua e nell’unica preghiera comunitaria, rappresenta una risposta chiara ed eloquente di unità nella diversità propria di coloro che hanno deciso di seguire Cristo e il suo Vangelo.
Dall’ultimo Sinodo sull’Eucaristia suggellato dal Santo Padre Benedetto XVI si è individuata la necessità che negli Incontri Internazionali, specie quelli che coinvolgono i giovani, sia utilizzata nei momenti liturgici la lingua latina.
L’Istruzione Redemptionis Sacramentum afferma: La Messa si celebra o in lingua latina o in altra lingua, purché si faccia ricorso a testi liturgici approvati a norma del diritto. Salvo le celebrazioni della Messa che devono essere svolte nella lingua del popolo secondo gli orari e i tempi stabiliti dall’autorità ecclesiastica, è consentito sempre e ovunque ai Sacerdoti celebrare in latino (n.112). Ciò fa comprendere bene che, chi celebra la Messa in Latino, segue quanto il Magistero afferma e consiglia.
Il compito dei Sacerdoti è sempre quello di formare ed aiutare il popolo che gli è affidato. In questo impegno c’è anche quello oneroso e spesso tralasciato della formazione liturgica dei fedeli. In questo contesto dovrebbe allora trovare posto una diffusione della lingua latina nei limiti del possibile da concretizzare con la scelta di introdurre Messe o altre preghiere, se non completamente in latino ma almeno nelle parti più importanti.
Per fare questo bisogna ascoltare l’invito che il Papa stesso fa ai Sacerdoti perché: “fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la Santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano”. (Sacramentum Caritatis n.62).
Una Messa celebrata in Latino da un Sacerdote che ne ha preparato bene il senso ed il contenuto non potrà che aumentare lo zelo e la partecipazione dei fedeli con i quali si è impegnato perché attingano abbondantemente alle fonti della Tradizione della Chiesa e siano innestati nella loro specifica identità.
I principali aspetti del Rito di Paolo VI
Con la Riforma Liturgica la Celebrazione della Messa ha subito diverse modifiche. È cambiato il Calendario, facoltativamente l’orientamento dell’altare, la foggia dei paramenti, la gestualità ed il modo, in generale di celebrare. Tra i cambiamenti si vuole sottolineare che non esiste più la suddivisione mantenuta fino alle riforme del 1962 di una Messa Cantata (Solenne) o Letta (Bassa).
Con la promulgazione del Missale Romanum del 1970 si hanno tre forme di Messa dette: Con il Popolo, Concelebrata, Senza Popolo.
“con il Popolo”
“Per Messa con il popolo si intende quella celebrata con la partecipazione dei fedeli. Soprattutto nelle domeniche e nelle feste di precetto, conviene, per quanto è possibile, che la celebrazione si svolga con il canto e con un congruo numero di ministri; si può fare però anche senza canto e con un solo ministro (cfr. l’Ordinamento Generale del Messale Romano 2004, n° 115).
“Concelebrata”
“È la concelebrazione, nella quale si manifesta assai bene l'unità del sacerdozio, del sacrificio e di tutto il popolo di Dio” (OGMR, n°199). È prescritta nell'Ordinazione del Vescovo e dei Presbiteri, nella benedizione dell'Abate e nella Messa Crismale. Questa forma celebrata dal Vescovo e concelebrata con il suo Presbiterio è detta anche secondo le antiche tradizioni Romane “Stazionale”.
È invece raccomandata in altre Celebrazioni come alla Messa vespertina «Nella Cena del Signore» e alla Messa della Veglia Pasquale, visto che non è permesso celebrare in modo individuale.
“Senza il Popolo”
È la Messa Celebrata dal Sacerdote
con la sola presenza di un ministro che gli risponde pronunciando le
parti che spettano al Popolo. Per Celebrare questa forma si osservi il
Rito della “Messa con il popolo”.
Il Presbitero, così come hanno raccomandato i Sommi Pontefici Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, per la sua “intrinseca natura Sacerdotale”, deve Celebrare la Santa Messa tutti giorni “per il suo bene e per quello di tutta la Santa Chiesa militante, per tutti coloro che si sono raccomandati alle sue preghiere, in modo generale e in modo particolare, come anche per il felice stato della Santa Chiesa Romana” (così come è riportato nella Formula intentionis ante Missam del Missale Romanum). Se un Sacerdote non potesse Celebrare una Santa Messa “ad orario” deve trovare il tempo di Celebrare la Santa Messa anche senza Ministro!
Il Novus Ordo Missæ che proponiamo è del Missale Romanum revisionato da Sua Santità Giovanni Paolo II, edito nel 2003. Contiene delle modifiche rispetto al Messale latino 1975 tra cui l’introduzione di nuove preghiere Eucaristiche (che nel Messale Romano in italiano edito nel 1983 già risultano presenti).
Le Rubriche di spiegazione al Rito di Paolo VI sono impostate nel seguente modo per facilitarne la comprensione e l’utilizzo.
Le parti in corsivo riguardano le rubriche per la Messa Concelebrata e Solenne, affinché il Sacerdote che non vi è interessato possa sorvolarle agevolmente, evitando un surplus di notizie che facilmente gli confonderebbero le idee.
Il grassetto invece è usato per segnalare e mettere in guardia da elementi comuni ma divergenti rispetto alla Messa di San Pio V. ***
Ci permettiamo di deporre, sotto lo sguardo e l'intercessione della
Beata Vergine Maria, l'intero lavoro svolto per la Maggior Gloria di
Dio. Alla Madre della Chiesa affidiamo opere ed intenzioni perché le
orienti e le sostenga e perchè l'uomo nella riscoperta bellezza della
liturgia possa incontrare la Salvezza.
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Lo Spirito e la Sposa dicono: ‘Vieni!’. (Ap 22,17). Maranathà:
Vieni Signore Gesù! |
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SESTRI LEVANTE (Genoa) Italy |