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RITO DELLA MESSA |
IL MESSALE ROMANO RIFORMATO PAOLO VESCOVO Il Messale Romano, promulgato nel 1570 dal Nostro Predecessore san
Pio V per ordine del Concilio di Trento1, è per comune
consenso uno dei numerosi e ammirevoli frutti che quel santo Concilio
diffuse in tutta la Chiesa. Per quattro secoli infatti, non solo ha
fornito ai sacerdoti di rito latino la norma per la celebrazione del
Sacrificio eucaristico, ma venne anche diffuso in quasi tutto il mondo
dai predicatori del Vangelo. Inoltre, innumerevoli santi hanno
abbondantemente nutrito la loro pietà verso Dio attingendo da quel
Messale le letture della Sacra Scrittura o le preghiere, la cui
disposizione generale risaliva in gran parte a Gregorio Magno. Ma da
quando si è sviluppato e diffuso nel popolo cristiano il movimento
liturgico che, secondo l'espressione del Nostro Predecessore Pio XII, di
venerata memoria, deve essere considerato come un segno della
provvidenziale disposizione di Dio per gli uomini del nostro tempo, un
passaggio salutare dello Spirito Santo nella sua Chiesa2, si
è sentita l'esigenza che le formule del Messale Romano fossero rivedute
e arricchite. Primo passo di tale riforma è stata l'opera del Nostro
Predecessore Pio XII, con la riforma della Veglia Pasquale e dell'Orda
della Settimana Santa3, che costituì il primo passo
dell'adattamento del Messale Romano alla mentalità
contemporanea.
Dato a Roma,
presso San Pietro, il 3 aprile
1969, giovedì nella Cena del Signore, sesto anno del
Nostro Pontificato. PAOLO PP. VI ______________ 1) Cf Cost. ap.
Quo primum, 14.7.1570. 2) Cf Pio XII, Allocuzione
ai partecipanti al primo Congresso internazionale di pastorale liturgica
di Assisi, 22.9.1956: AAS 48 (1956), p. 712. 3) Cf S. CONGR.DEI RITI, Decr. Dominicae resurrectionis, 9.2.1951: AAS 43 (1951), pp. 128 ss; Decr. Maxima redemptionis nostrae mysteria, 16.11.1955: AAS 47 (1955), pp. 838 ss. 4) SC 21. 5) SC 50. 6) SC 51. 7) SC 57. 8) Cf SC 50. 9) SC 50. 10) SC 50. 11) Cf SC 52. 12) Cf SC 53. 13) SC 51. 14) Am 8,11. 15) Cf SC 38-40. PRINCIPI E NORME PER L'USO DEL MESSALE ROMANO PROEMIO 1. Appressandosi a celebrare con i suoi discepoli il banchetto
pasquale, nel quale istituì il Sacrificio del suo Corpo e del suo
Sangue, Cristo Signore ordinò di preparare una sala grande e addobbata
(Le 22, 12). Quest'ordine la Chiesa l'ha sempre considerato rivolto a se
stessa quando dettava le norme per preparare gli animi, disporre i
luoghi, fissare i riti e scegliere i testi per la celebrazione
dell'Eucaristia. Anche le presenti norme, stabilite in base alle
decisioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, come anche il nuovo
Messale, che la Chiesa di rito romano userà d'ora innanzi per celebrare
la Messa, sono una prova di questa sollecitudine, della Chiesa, della
sua fede e del suo amore immutato verso il grande mistero eucaristico, e
testimoniano la sua continua e ininterrotta tradizione, nonostante vi
siano state introdotte alcune novità. Testimonianza
di una fede immutata 2. La natura sacrificale della Messa, solennemente affermata dal
Concilio di Trento, in armonia con tutta la tradizione della Chiesa1,
è stata riaffermata dal Concilio Vaticano II, che ha pronunziato, a
proposito della Messa, queste significative parole: «II nostro
Salvatore nell'ultima Cena... istituì il sacrificio eucaristico del suo
Corpo e del suo Sangue, al fine di perpetuare nei secoli, fino al suo
ritorno, il Sacrificio della Croce, e di affidare così alla sua diletta
sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione»2.
3. Anche il mistero mirabile della presenza reale del Signore
sotto le specie eucaristiche è affermato dal Concilio Vaticano II6
e dagli altri documenti del magistero della Chiesa7, nel
medesimo senso e con la medesima dottrina con cui il Concilio di Trento
l'aveva proposto alla nostra fede8. Nella celebrazione della
Messa, questo mistero è posto in luce non soltanto dalle parole stesse
della consacrazione, che rendono il Cristo presente per mezzo della
transustanziazione, ma anche dal senso e dall'espressione esterna di
sommo rispetto e di adorazione di cui è fatto oggetto nel corso della
liturgia eucaristica.
4. Quanto alla natura del sacerdozio ministeriale, che è proprio
del presbitero, in quanto egli offre il sacrificio nella persona di
Cristo e presiede l'assemblea del popolo santo, essa è posta in luce,
nell'espressione stessa del rito, dal posto eminente del sacerdote e
dalla sua funzione. I compiti di questa funzione sono indicati e
ribaditi con molta chiarezza nel prefazio della Messa crismale del
Giovedì Santo, giorno in cui si commemora l'istituzione del sacerdozio.
Il testo sottolinea la potestà sacerdotale conferita per mezzo
dell'imposizione delle mani, e descrive questa medesima potestà
enumerandone tutti gli uffici: è la continuazione della potestà
sacerdotale di Cristo, Pontefice sommo della Nuova Alleanza. 5. Questa natura del sacerdozio ministeriale mette a sua volta
nella giusta luce un'altra realtà di grande importanza: il sacerdozio
regale dei fedeli, il cui sacrificio spirituale raggiunge la sua
perfezione attraverso il ministero dei presbiteri, in unione con il
sacrificio di Cristo, unico Mediatore9. La celebrazione
dell'Eucaristia è infatti azione di tutta la Chiesa; in essa ciascuno
compie soltanto, ma integralmente, quello che gli rompete, tenuto conto
del posto che egli occupa nel popolo di Dio. E il motivo per cui si
presta ora una maggiore attenzione a certi aspetti della celebrazione
che, nel corso dei secoli, erano stati talvolta alquanto trascurati.
Questo popolo è il popolo di Dio, acquistato dal Sangue di Cristo,
riunito dal Signore, nutrito con la sua Parola; popolo la cui vocazione
è di far salire verso Dio le preghiere di tutta la famiglia umana;
popolo che, in Cristo, rende grazie per il mistero della salvezza,
offrendo il suo Sacrificio; popolo infine che per mezzo della comunione
al Corpo e al Sangue di Cristo, rafforza la sua unità. Questo popolo è
già santo per la sua origine; ma in forza della sua partecipazione
consapevole, attiva e fruttuosa al mistero eucaristico, progredisce
continuamente in santità10. Prova di una
tradizione ininterrotta 6. Nell'enunciare le norme per la revisione del rito della Messa,
il Vaticano II ha ordinato, tra l'altro, che certi riti venissero «riportati
all'antica tradizione dei santi Padri»11: sono le stesse
parole usate da san Pio V nella lettera apostolica Quo
primum con la quale nel 1570 promulgava il Messale di Trento. Anche
da questo incontro verbale è facile rilevare come i due Messali romani,
benché separati da quattro secoli, conservino una medesima e identica
tradizione. Se poi si tengono presenti gli elementi profondi di questa
tradizione, non è difficile rendersi conto come il secondo Messale
completi egregiamente il primo. 7. In tempi davvero difficili, nei quali la fede cattolica era
stata messa in pericolo circa la natura sacrificale della Messa, il
sacerdozio ministeriale, la presenza reale e permanente di Cristo sotto
le specie eucaristiche, a san Pio V premeva anzitutto salvaguardare una
tradizione relativamente recente ingiustamente attaccata, introducendo
il meno possibile di cambiamenti nel sacro rito. E in verità, il
Messale del 1570 si differenzia ben poco dal primo Messale stampato nel
1474; e questo, a sua volta, riprende fedelmente il Messale del tempo di
Innocenze III. Inoltre i manoscritti della Biblioteca Vaticana, anche se
avevano permesso di adottare in certi casi delle lezioni migliori, non
consentirono in quella diligente ricerca di «antichi autori fede degni»,
di andare al di là di quanto s'era fatto con i commentari liturgici del
Medioevo. 8. Attualmente, al contrario, questo «ordinamento dei santi Padri»
tenuto presente dai revisori responsabili del Messale di san Pio V, si
è arricchito di innumerevoli studi di eruditi. Dopo la prima edizione
del Sacramentario Gregoriano nel 1571, gli antichi sacramentari romani e
ambrosiani sono stati oggetto di numerose edizioni critiche; lo stesso
si dica degli antichi libri liturgici spagnoli e gallicani, che han
fatto riscoprire un buon numero di preghiere fino allora ignorate, ma di
non poca importanza sotto l'aspetto spirituale.
9. La «tradizione dei santi Padri» esige dunque che non solo si
conservi la tradizione trasmessa dai nostri predecessori immediati, ma
che si tenga presente e si approfondisca fin dalle origini tutto il
passato della Chiesa e si faccia un'accurata indagine sui modi
molteplici con cui l'unica fede si è manifestata in forme di cultura
umana e profana così diverse tra loro, quali erano quelle in uso nelle
regioni abitate da semiti, greci e latini. Questo approfondimento più
vasto ci permette di constatare come lo Spirito Santo accordi al popolo
di Dio un'ammirevole fedeltà nel conservare immutato il deposito della
fede, per grande che sia la varietà delle preghiere e dei riti. Adattamento
alle nuove condizioni 10. Il nuovo Messale mentre attesta la lex orandi della Chiesa romana e salvaguarda il deposito della fede
trasmesso dai recenti Concili, segna a sua volta una tappa di grande
importanza nella tradizione liturgica.
11. Il Concilio di Trento aveva già riconosciuto il grande valore
catechetico contenuto nella celebrazione della Messa, ma non poteva
trame tutte le conseguenze pratiche. In realtà si chiedeva da molti che
venisse concesso l'uso della lingua volgare nella celebrazione del
sacrificio eucaristico. Ma dinanzi a tale richiesta, il Concilio,
considerate le circostanze di allora, riteneva suo dovere riaffermare la
dottrina tradizionale della
12. Convocato perché la Chiesa adattasse ai nostri tempi i
compiti della sua missione apostolica, il Concilio Vaticano II ha, come
quello di Trento, esaminato profondamente la natura didattica e
pastorale della liturgia15. E poiché non v'è ormai nessun
cattolico che neghi la legittimità e l'efficacia del rito compiuto in
lingua latina, il Concilio ha ammesso senza difficoltà che «l'uso
della lingua parlata può riuscire spesso di grande utilità per il
popolo», e l'ha quindi permessa16. L'entusiasmo con cui
questa decisione è stata dappertutto accolta, ha portato, sotto la
guida dei vescovi e della stessa sede apostolica, alla concessione che
tutte le celebrazioni liturgiche con partecipazione di popolo si possano
fare in lingua viva, per rendere più facile l'intelligenza piena del
mistero celebrato. 13. Tuttavia, poiché
l'uso della lingua parlata nella sacra liturgia è soltanto uno
strumento, anche se molto importante, per esprimere più chiaramente la
catechesi del mistero contenuto nella celebrazione, il Concilio Vaticano
II ha insistito perché si mettessero in pratica certe prescrizioni del
Concilio di Trento che non erano state dappertutto osservate, come il
dovere di fare l'omelia nelle domeniche e nei giorni festivi17;
e la possibilità di intercalare ai riti determinate esortazioni18.
Soprattutto però il Concilio Vaticano II, nel consigliare «quella
partecipazione perfetta alla Messa per la quale i fedeli dopo la
comunione del sacerdote ricevono il Corpo del Signore dal medesimo
sacrificio»19, ha portato al compimento di un altro voto dei
Padri Tridentini, che, cioè, per partecipare più pienamente
all'Eucaristia «nelle singole Messe i presenti si comunicassero non
solo con l'intimo fervore dell'anima, ma anche con la recezione
sacramentale dell'Eucaristia»20. 14. Indotto dal
medesimo spirito e dallo stesso zelo pastorale, il Concilio Vaticano II
ha potuto riesaminare le decisioni di Trento a proposito della comunione
sotto le due specie. Poiché attualmente nessuno mette in dubbio i
principi dottrinali sul pieno valore della comunione sotto la sola
specie del pane, il Concilio ha permesso in alcuni casi la comunione
sotto le due specie, con la quale, grazie a una presentazione più
chiara del segno sacramentale, si ha modo di penetrare più
profondamente il mistero al quale i fedeli partecipano21. 15. In questo modo,
mentre la Chiesa rimane fedele al suo compito di maestra di verità
conservando «ciò che è vecchio» cioè il deposito della Tradizione,
assolve pure il suo compito di esaminare e adottare con prudenza «ciò
che è nuovo» (cf Mt 13, 52). Una parte del nuovo Messale adegua più visibilmente le preghiere
della Chiesa ai bisogni del nostro tempo; tali sono specialmente le Messe rituali e quelle per varie necessità, nelle quali si
fondono felicemente tradizione e novità. Pertanto, mentre sono rimaste
intatte molte espressioni attinte alla più antica tradizione della
Chiesa e rese familiari dallo stesso Messale Romano nelle sue varie
edizioni, molte altre sono state adattate alle esigenze e alle
condizioni attuali. Altre infine, come le orazioni per la Chiesa, per i
laici, per la santificazione del lavoro umano, per l'unione di tutti i
popoli, e per certe necessità proprie del nostro tempo, sono state
interamente composte ex novo, traendo
i pensieri e spesso anche i termini dai recenti documenti conciliari.
______________ 1) Sess. XXII, Doctrina de ss. Missae sacrificio: DS 1738-1759. 2) SC 47; cf LG 3, 28; PO 2, 4, 5. 3) Cf Sacramentarium
veronense, ed. L.C. MOHLBERG, n. 93. 5) Cf Preghiera eucaristica IV. 6) SC 7, 47; PO 5, 18. 7) Cf Pio XII, Lett.
enc. Humani generis: AAS 42
(1950), pp. 570-571; MF: EV II, 421-432;
PAOLO VI, Sollemnis professio
fidei, 30.6.1968, nn. 24-26: EV III, 560-562; EM 3f, 9. 8) Cf Sess.
XIII, Decretum de ss. Eucaristia:
DS 1635-1661. 9) Cf PO 2. 10) Cf SC 11. 11) Cf SC 50. 12) Conc. TRIO., sess. XXII, Doctrina de ss. Missae sacrificio, cap.
8:
DS 1749. 13) Ibid.,
cap. 9: DS 1750. 14) Ibid.,
cap. 8: DS 1749. 15) Cf SC 33. 16) SC 36. 17) SC 52. 18) SC 35, 3. 19) SC 55. 20) Sess. XXII, Doctrina
de ss. Missae
sacrificio, cap.
6: DS 1747. Capitolo I IMPORTANZA E
DIGNITÀ DELLA
CELEBRAZIONE EUCARISTICA 1. La celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e del
popolo di Dio gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta
la vita cristiana per la Chiesa universale, per quella locale, e per i
singoli fedeli1. Nella Messa infatti si ha il culmine sia
dell'azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che
gli uomini rendono al Padre, adorandolo per mezzo di Cristo Figlio di
Dio2. In essa inoltre la Chiesa commemora, nel corso
dell'anno, i misteri della redenzione, in modo da renderli in certo modo
presenti3. Tutte le altre azioni sacre e ogni attività della
vita cristiana sono in stretta relazione con la Messa, da essa derivano
e ad essa sono ordinate4. 2. È perciò di somma importanza che la celebrazione della Messa,
o Cena del Signore, sia ordinata in modo che i ministri e i fedeli,
partecipandovi ciascuno secondo il proprio ordine e grado, traggano
abbondanza di quei frutti5, per il conseguimento dei quali
Cristo Signore ha istituito il sacrificio eucaristico del suo Corpo e
del suo Sangue e lo ha affidato, come memoriale della sua passione e
risurrezione, alla Chiesa, sua dilettissima sposa6. 3. Si potrà ottenere davvero questo risultato, se, tenuto conto
della natura e delle altre caratteristiche di ogni assemblea, tutta la
celebrazione verrà ordinata in modo tale da portare i fedeli a una
partecipazione consapevole, attiva e piena, esterna ed interna, ardente
di fede, speranza e carità; partecipazione vivamente desiderata dalla
Chiesa e richiesta dalla natura stessa della celebrazione, e alla quale
il popolo cristiano ha diritto e dovere in forza del Battesimo7. 4. Non sempre si può avere la presenza e l'attiva partecipazione
dei fedeli, che manifestano più chiaramente la natura ecclesiale
dell'azione liturgica8; sempre però la celebrazione
eucaristica ha l'efficacia e la dignità che le sono proprie, in quanto
è azione di Cristo e della Chiesa9, e il sacerdote vi agisce
sempre per la salvezza del popolo.
5. Poiché inoltre la celebrazione dell'Eucaristia, come tutta la
liturgia, si compie per mezzo di segni sensibili, mediante i quali la
fede si alimenta, s'irrobustisce e si esprime10, si deve
avere la massima cura nello scegliere e nel disporre quelle forme e
quegli elementi che la Chiesa propone, e che, considerate le circostanze
di persone e di luoghi, possono favorire più intensamente la
partecipazione attiva e piena e rispondere più adeguatamente al bene
dei fedeli. 6. Pertanto questa «Istruzione» si propone di esporre i principi
generali per l'ordinamento della celebrazione dell'Eucaristia, e
presentare le norme per regolare le singole forme di celebrazione11.
Le Conferenze Episcopali, secondo la Costituzione sulla Sacra Liturgia,
possono prescrivere, per il loro territorio, delle norme che tengano
conto delle tradizioni e della cultura propria dei loro popoli, delle
regioni e delle diverse comunità12. Capitolo II STRUTTURA,
ELEMENTI E PARTI DELLA MESSA I. Struttura
generale della Messa 7. Nella Messa o Cena del Signore, il popolo di Dio è chiamato a
riunirsi insieme sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella
persona di Cristo, per celebrare il memoriale del Signore, cioè il
sacrificio eucaristico13.
8. La Messa è costituita da due parti, la «liturgia della Parola»
e la «liturgia eucaristica»; esse son così strettamente congiunte tra
di loro da formare un unico atto di culto16. Nella Messa,
infatti, viene imbandita tanto la mensa della parola di Dio quanto la
mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro17.
Ci sono inoltre alcuni riti che iniziano e altri che concludono la
celebrazione. II. I diversi
elementi della Messa Lettura della
parola di Dio e sua spiegazione 9. Quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso
parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua parola, annunzia il
Vangelo.
Le orazioni e
le altre farti che spettano al sacerdote 10. Tra le parti
proprie del sacerdote, occupa il primo posto la Preghiera eucaristica,
culmine di tutta la celebrazione. Seguono poi le orazioni, cioè:
l'orazione di inizio (o colletta), l'orazione sulle offerte e l'orazione
dopo la comunione. Queste preghiere dette dal sacerdote nella sua qualità
di presidente dell'assemblea nella persona di Cristo, sono rivolte a Dio
a nome dell'intero popolo santo e di tutti i presenti19.
Perciò giustamente si chiamano «orazioni presidenziali». 11. Spetta ugualmente
al sacerdote, per il suo ufficio di presidente dell'assemblea radunata,
formulare alcune monizioni e proporre le formule di introduzione e di
conclusione previste nel rito medesimo. Di loro natura queste monizioni
non esigono di essere pronunziate alla lettera, nella formulazione
presentata nel Messale; per cui potrà essere opportuno l'adattarle in
qualche modo, almeno in alcuni casi, alle vere condizioni della comunità20.
Così pure spetta al sacerdote che presiede annunziare la parola di Dio
e impartire la benedizione finale. Egli può inoltre intervenire con
brevissime parole, all'inizio della celebrazione, per introdurre i
fedeli alla Messa del giorno; alla liturgia della Parola, prima delle
letture; alla Preghiera eucaristica, prima di iniziare il prefazio;
prima del congedo, per concludere l'intera azione sacra. 12. La natura delle
parti «presidenziali» esige che esse siano proferite a voce alta e
chiara e che siano ascoltate da tutti con attenzione21. Perciò
mentre il sacerdote le dice, non si devono sovrapporre altre orazioni o
canti, e l'organo e altri strumenti musicali devono tacere. 13. Il sacerdote
formula preghiere non soltanto come presidente a nome di tutta la
comunità, ma talvolta anche a titolo personale, per poter compiere il
proprio ministero con maggior attenzione e pietà. Tali preghiere si
dicono sottovoce. Altre formule
che ricorrono nella celebrazione 14. Poiché la
celebrazione della Messa, per sua natura, ha carattere «comunitario»22,
grande rilievo assumono i dialoghi tra il celebrante e l'assemblea dei
fedeli, e le acclamazioni23. Infatti questi elementi non sono
soltanto segni esteriori della celebrazione comunitaria, ma favoriscono
ed effettuano la comunione tra il sacerdote e il popolo. 15. Le acclamazioni e
le risposte dei fedeli al saluto del sacerdote e alle orazioni,
costituiscono quel grado di partecipazione attiva che i fedeli riuniti
devono porre in atto in ogni forma di Messa per esprimere e ravvivare
l'azione di tutta la comunità24. 16. Altre parti, assai
utili per manifestare e favorire la partecipazione attiva dei fedeli,
spettano all'intera assemblea: sono soprattutto l'atto penitenziale, la
professione di fede, la preghiera universale (detta anche preghiera dei
fedeli) e la preghiera del Signore (cioè il Padre nostro). 17. Infine, tra le
altre formule:
In qual modo
proclamare i vari testi 18. Nei testi che devono esser pronunziati
a voce alta e chiara dal sacerdote, dai ministri, o da tutti, la voce
deve corrispondere al genere del testo secondo che si tratti di una
lettura, di un'orazione, di una monizione, di un'acclamazione, di un
canto; deve anche corrispondere alla forma di celebrazione e alla
solennità della riunione liturgica. Inoltre si tenga conto delle
caratteristiche delle diverse lingue e della cultura specifica di ogni
popolo.
Importanza del
canto 19. I fedeli che si radunano nell'attesa della venuta del loro
Signore, sono esortati dall'Apostolo a cantare insieme salmi, inni e
cantici spirituali (cf Col 3, 16). Infatti il canto è segno della gioia
del cuore (cf At 2, 46). Perciò dice molto bene sant'Agostino: «Il
cantare è proprio di chi ama»25, e già dall'antichità si
formò il detto: «Chi canta bene, prega due volte». Nelle celebrazioni
si dia quindi grande importanza al canto, tenuto conto della diversità
culturale delle popolazioni e della capacità di ciascun gruppo anche se
non è sempre necessario cantare tutti i testi che per loro natura sono
destinati al canto. Nella scelta delle parti destinate al canto, si dia
la preferenza a quelle di maggior importanza, e soprattutto a quelle che
devono essere cantate dal sacerdote o dai ministri con la risposta del
popolo, o dal sacerdote e dal popolo insieme26. Poiché sono
sempre più frequenti le riunioni di fedeli di diverse nazionalità, è
opportuno che sappiano cantare insieme, in lingua latina, e nelle
melodie più facili, almeno le parti dell'Ordinario della Messa,
specialmente il Simbolo della fede e la preghiera del Signore (Padre
nostro)27. Gesti e
atteggiamenti del corpo 20. L'atteggiamento
comune del corpo, che tutti i partecipanti al rito sono invitati a
prendere, è il segno della comunità e dell'unità dell'assemblea: esso
esprime e favorisce l'intenzione e i sentimenti dell'animo dei
partecipanti28. 21. Per ottenere
l'uniformità nei gesti e negli atteggiamenti, i fedeli seguano le
indicazioni che vengono date dal diacono, o dal sacerdote, o da un altro
ministro, durante la celebrazione. Inoltre, in tutte le Messe, salvo
indicazioni in contrario, i fedeli stiano in piedi dall'inizio del canto
di ingresso, o mentre il sacerdote si reca all'altare, fino alla
conclusione dell'orazione di inizio (o colletta), durante il canto
dell'Alleluia prima del Vangelo; durante la proclamazione del Vangelo;
durante la professione di fede e la preghiera universale (o preghiera
dei fedeli); dall'orazione sulle offerte fino al termine della Messa,
fatta eccezione di quanto è detto in seguito. Stiano invece seduti
durante la proclamazione delle letture prima del Vangelo e durante il
salmo responsoriale; all'omelia e durante la preparazione dei doni
all'offertorio; se lo si ritiene opportuno, durante il sacro silenzio
dopo la comunione. S'inginocchino poi alla consacrazione, a meno che lo
impediscano o la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti,
o altri motivi ragionevoli.
22. Fra i gesti sono comprese anche le azioni e gli atteggiamenti
del sacerdote nel recarsi all'altare, quelle per la presentazione dei
doni e per la comunione dei fedeli. Conviene che queste azioni siano
fatte in modo decoroso, mentre si eseguono canti appropriati, secondo le
norme stabilite per i singoli movimenti. Il silenzio 23. Si deve anche
osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione30.
La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole
celebrazioni. Così, durante l'atto penitenziale e dopo l'invito alla
preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o
l'omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato;
dopo la comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di
ringraziamento. III. Le
singole parti della Messa A) RITI DI INTRODUZIONE 24. Le parti che precedono la liturgia della Parola, cioè
l'introito, il saluto, l'atto penitenziale, il Kyrie eleison, il Gloria
e l'orazione (o colletta), hanno un carattere di inizio, di introduzione
e di preparazione.
L'introito 25. Quando il popolo è
riunito, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con i ministri, si
inizia il canto d'ingresso. La funzione propria di questo canto è
quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l'unione dei fedeli
riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o
della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei
ministri. 26. Il canto viene eseguito alternativamente dalla schola e dal popolo, o dal cantore e dal popolo, oppure tutto quanto dal popolo o dalla sola schola. Si può utilizzare sia l'antifona con un suo canto, quale si trova nel Graduale romanum o nel Graduale simplex, oppure un altro canto adatto all'azione sacra, al carattere del giorno o del tempo, e il cui testo sia stato approvato dalla Conferenza Episcopale. Se all'introito non ha luogo il canto, l'antifona proposta dal
Messale Romano viene letta o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal
lettore, o anche dallo stesso sacerdote dopo il saluto. Saluto
all'altare e al popolo radunato 27. Giunti in presbiterio, il sacerdote e i ministri salutano
l'altare. In segno di venerazione, il sacerdote e il diacono lo baciano
e il sacerdote lo può incensare secondo l'opportunità. 28. Terminato il canto d'ingresso, il sacerdote e tutta
l'assemblea si segnano col segno di croce. Poi il sacerdote con il
saluto annunzia alla comunità riunita la presenza del Signore. Il
saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della
Chiesa radunata. Atto
penitenziale 29. Salutato il popolo, il sacerdote, o un altro ministro che ne
sia capace, può fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno.
Quindi il sacerdote invita all'atto penitenziale, che viene compiuto da
tutta la comunità mediante la confessione generale, e si conclude con
l'assoluzione del sacerdote. Kyrie eleison 30. Dopo l'atto penitenziale ha inizio il Kyrie eleison, a meno
che non sia già stato detto durante l'atto penitenziale. Essendo un
canto col quale i fedeli acclamano il Signore e implorano la sua
misericordia, di solito viene eseguito da tutti, in alternanza tra il
popolo e la schola o un cantore. Ogni acclamazione di solito si dice due volte;
ma non si esclude che, in considerazione dell'indole delle diverse
lingue o della composizione musicale o di circostanze particolari, sia
ripetuto un maggior numero di volte, o intercalato da un breve «tropo».
Se il Kyrie eleison non viene cantato, si recita. Gloria in
excelsis 31. Il Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale la
Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e
l'Agnello. Viene cantato da tutta l'assemblea, o dal popolo
alternativamente con la schola oppure
dalla schola. Se non lo si
canta, viene recitato da tutti, insieme o alternativamente.
Orazione
conclusiva dei riti di introduzione (o colletta) 32. Poi il sacerdote invita il popolo a pregare; e tutti insieme
con il sacerdote stanno per qualche momento in silenzio, per prendere
coscienza di essere alla presenza di Dio e per poter formulare nel
proprio cuore la preghiera personale. Quindi il sacerdote dice
l'orazione, chiamata comunemente «colletta». Per mezzo di essa viene
espresso il carattere della celebrazione e con le parole del sacerdote
si rivolge la preghiera a Dio Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito
Santo. Il popolo, unendosi alla preghiera ed esprimendo il suo assenso,
fa sua l'orazione con l'acclamazione Amen. Nella Messa si dice una sola
colletta; la stessa cosa vale anche per l'orazione sulle offerte e dopo
la comunione. La colletta termina con la conclusione lunga, e cioè:
- se è rivolta al Figlio: Tu che sei Dio e vivi e regni con Dio
Padre, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. invece l'orazione sulle offerte e l'orazione dopo la comunione
hanno la conclusione breve, e cioè:
- se è rivolta al Figlio: Tu che vivi e regni nei secoli dei
secoli. B) LITURGIA DELLA PAROLA 33. Le letture scelte dalla sacra Scrittura con i canti che le
accompagnano, costituiscono la parte principale della liturgia della
Parola; l'omelia, la professione di fede e la preghiera universale o
preghiera dei fedeli sviluppano e concludono tale parte. Infatti nelle
letture, che vengono poi spiegate nella omelia, Dio parla al suo popolo31,
gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un
nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente per mezzo della sua
parola, tra i fedeli32. Il popolo fa propria questa parola
divina con i canti e vi aderisce con la professione di fede; così
nutrito, prega nell'orazione universale per le necessità di tutta la
Chiesa e per la salvezza del mondo intero. Le letture
bibliche 34. Con le letture si offre ai fedeli la mensa della parola di Dio
e si aprono loro i tesori della Bibbia33. Poiché secondo la
tradizione l'ufficio di proclamare le letture non spetta al presidente
ma ad uno dei ministri, conviene che, d'ordinario, il diacono, o, in sua
assenza, un altro sacerdote legga il Vangelo; un lettore invece legga le
altre letture. Mancando però il diacono o un altro sacerdote, leggerà
il Vangelo lo stesso sacerdote celebrante34. 35. Alla lettura del Vangelo si deve il massimo rispetto; lo
insegna la liturgia stessa, perché la distingue dalle altre letture con
particolari onori: sia da parte del ministro incaricato di proclamarla
che si prepara con la benedizione o con la preghiera; sia da parte dei fedeli, i quali con le acclamazioni riconoscono e
professano che Cristo è presente e parla a loro, e ascoltano la lettura
stando in piedi; sia per mezzo dei segni di venerazione che si rendono
al libro dei Vangeli. I canti tra le
letture 36. Alla prima lettura segue il salmo responsoriale, o graduale,
che è parte integrante della liturgia della Parola. Il salmo,
d'ordinario, è preso dal Lezionario, perché ogni testo salmodico è
direttamente connesso con la relativa lettura: pertanto la scelta del
salmo dipende dalle letture. Nondimeno, perché il popolo più
facilmente possa ripetere il ritornello, sono stati scelti alcuni testi
comuni di ritornelli e di salmi per i diversi tempi dell'anno e per le
diverse categorie di santi; questi testi si possono utilizzare al posto
di quelli corrispondenti alle letture ogni volta che il salmo viene
cantato.
37. Alla seconda lettura segue l'Alleluia o un altro canto, a
seconda del tempo liturgico.
38. Quando vi è una sola lettura prima del Vangelo:
39. Il salmo dopo la lettura, se non viene cantato, deve essere
letto ad alta voce; invece l'Alleluia e il versetto prima del Vangelo,
se non si cantano, si possono tralasciare. 40. La sequenza è facoltativa, eccetto nei giorni di Pasqua e di
Pentecoste. L'omelia 41. L'omelia fa parte della liturgia ed è molto raccomandata35:
è infatti necessaria per alimentare la vita cristiana. Deve essere la
spiegazione o di qualche aspetto delle letture della Sacra Scrittura, o
di un altro testo dell'Ordinario o del Proprio della Messa del giorno,
tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari
necessità di chi ascolta36. 42. Nelle domeniche e nelle feste di precetto si deve tenere
l'omelia in tutte le Messe con partecipazione di popolo; non si può
omettere senza una ragione grave. Negli altri giorni è raccomandata
specialmente nelle ferie di Avvento, di Quaresima e del Tempo pasquale;
così pure nelle altre feste e circostanze nelle quali è più numeroso
il concorso del popolo alla chiesa37. L'omelia di solito sia tenuta personalmente dal sacerdote
celebrante. La professione
di fede 43. Il Simbolo, o professione di fede, nella celebrazione della
Messa, ha lo scopo di suscitare nell'assemblea, dopo l'ascolto della
parola di Dio nelle letture e nell'omelia, una risposta di assenso, e di
richiamare alla mente la regola della fede, prima di incominciare la
celebrazione dell'Eucaristia. 44. Il Simbolo deve esser recitato dal sacerdote insieme con il
popolo nelle domeniche e nelle solennità; si può dire anche in
particolari celebrazioni più solenni. Se viene cantato, si canti
normalmente da tutti o a cori alterni. La preghiera
universale 45. Nella preghiera universale, o preghiera dei fedeli, il popolo,
esercitando la sua funzione sacerdotale, prega per tutti gli uomini. È
conveniente che nelle Messe con partecipazione di popolo vi sia
normalmente questa preghiera, nella quale si elevino suppliche per la
santa Chiesa, per i governanti, per coloro che si trovano in necessità,
per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo38. 46. La successione delle intenzioni sia ordinariamente questa: a) per le necessità della Chiesa; b) per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo; e) per
quelli che si trovano in difficoltà; d) per la comunità locale. Tuttavia in qualche celebrazione particolare, per esempio nella
Confermazione, nel Matrimonio, nelle Esequie, la successione delle
intenzioni può venire adattata maggiormente alla circostanza
particolare. 47. Spetta al sacerdote celebrante guidare la preghiera, invitare,
con una breve monizione, i fedeli a pregare, e concludere la preghiera
con un orazione. Sarà bene che le intenzioni siano proposte da un
diacono o da un cantore, o da qualche altra persona39. Tutta
l'assemblea esprime la sua preghiera o con un'invocazione comune, dopo
che sono state presentate le intenzioni, oppure pregando in silenzio. C) LITURGIA EUCARISTICA 48. Nell'ultima Cena Cristo istituì il sacrificio e convito
pasquale per mezzo del quale è reso di continuo presente nella Chiesa il sacrificio della Croce, allorché il sacerdote che
rappresenta Cristo Signore, compie ciò che il Signore stesso fece e
affidò ai discepoli perché lo facessero in memoria di lui40.
Cristo infatti prese il pane e il calice, rese grazie, spezzò il pane e
li diede ai suoi discepoli, dicendo: «Prendete, mangiate, bevete;
questo è il mio Corpo; questo è il calice del mio Sangue. Fate questo
in memoria di me». Perciò la Chiesa ha disposto tutta la celebrazione
della liturgia eucaristica in vari momenti, che corrispondono a queste
parole e gesti di Cristo. Infatti: 1. Nella preparazione dei doni, vengono portati all'altare pane e
vino con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue
mani.
La
preparazione dei doni 49. All'inizio della
liturgia eucaristica si portano all'altare i doni, che diventeranno il
Corpo e il Sangue di Cristo. Prima di tutto si prepara l'altare, o mensa
del Signore, che è il centro di tutta la liturgia eucaristica41,
ponendovi sopra il corporale, il purificatoio, il messale e il calice,
se non viene preparato alla credenza.
50. Il canto
all'offertorio accompagna la processione con la quale si portano i doni;
esso si protrae almeno fino a quando i doni sono stati deposti
sull'altare. Le norme che regolano questo canto sono le stesse che per
il canto d'ingresso (n. 26). L'antifona di offertorio, se non si canta,
viene tralasciata. 51. Si può fare l'incensazione
dei doni posti sull'altare stesso, per significare che l'offerta della
Chiesa e la sua preghiera si innalzano come incenso al cospetto di Dio.
Dopo l'incensazione dei doni e dell'altare, anche il sacerdote e il
popolo possono ricevere l'incensazione dal diacono o da un altro
ministro. 52. Quindi il sacerdote
si lava le mani; con questo rito si esprime il desiderio di
purificazione interiore. 53. Deposte le offerte
sull'altare e compiuti i riti che accompagnano questo gesto, il
sacerdote invita i fedeli a unirsi a lui nella preghiera e pronunzia
l'orazione sulle offerte: si conclude così la preparazione dei doni e
si prelude alla Preghiera eucaristica. La Preghiera
eucaristica 54. A questo punto ha inizio il momento centrale e culminante
dell'intera celebrazione, vale a dire la Preghiera eucaristica, cioè la
preghiera di azione di grazie e di santificazione. Il sacerdote invita
il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e
nell'azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che
egli, a nome di tutta la comunità, rivolge al Padre per mezzo di Gesù
Cristo. Il significato di questa preghiera è che tutta l'assemblea si
unisca insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e
nell'offrire il sacrificio. 55. Gli elementi
principali di cui consta la Preghiera eucaristica, si possono
distinguere come segue:
f) Sofferta: nel corso
di questa stessa memoria la Chiesa, in modo particolare quella radunata
in quel momento e in quel luogo, offre al Padre nello Spirito Santo la
vittima immacolata. La Chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la
vittima immacolata, ma anche imparino ad offrire se stessi e così
portino ogni giorno più a compimento, per mezzo di Cristo Mediatore, la
loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto
in tutti42.
La Preghiera eucaristica esige che tutti l'ascoltino con rispetto
e in silenzio, e vi partecipino con le acclamazioni previste nel rito. Riti di
comunione 56. Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale,
conviene che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti
ricevano il suo Corpo e il suo Sangue come cibo spirituale43.
D) RITI DI
CONCLUSIONE 57. I riti di conclusione comprendono:
Capitolo III UFFICI E
MINISTERI NELLA MESSA 58. Nell'assemblea, che si riunisce per la Messa, ciascuno ha il
diritto e il dovere di recare la sua partecipazione in diversa misura a
seconda della diversità di ordine e di compiti45. Pertanto
tutti, sia i ministri che i fedeli, compiendo il proprio ufficio,
facciano tutto e soltanto ciò che è di loro competenza46:
così che la stessa disposizione della celebrazione manifesti la Chiesa
costituita nei suoi diversi ordini e ministeri. I. Uffici e
ministeri dell'Ordine sacro 59. Ogni legittima
celebrazione dell'Eucaristia è diretta dal vescovo, o personalmente, o
per mezzo dei presbiteri suoi collaboratori47. Quando il
vescovo è presente a una Messa con partecipazione di popolo, è bene
che presieda lui stesso l'assemblea, e che associ a sé i presbiteri
nella celebrazione, per quanto è possibile concelebrando con loro.
60. Anche il sacerdote
che nella comunità dei fedeli è insignito del potere derivategli
dall'Ordine sacro di offrire il sacrificio nella persona di Cristo49,
presiede l'assemblea riunita, ne dirige la preghiera, annuncia a essa il
messaggio della salvezza, si associa il popolo nell'offerta del
sacrificio a Dio Padre per Cristo nello Spirito Santo, distribuisce ai
fratelli il pane della vita eterna e partecipa con essi al banchetto.
Pertanto, quando celebra l'Eucaristia, deve servire Dio e il popolo con
dignità e umiltà, e nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole
divine, deve far sentire ai fedeli la presenza viva di Cristo. 61. Tra i ministri ha
il primo posto il diacono, il cui ordine già dagli inizi della Chiesa
fu tenuto in grande onore. Nella Messa il diacono ha come ufficio
proprio: l'annunciare il Vangelo e talvolta predicare la parola di Dio,
proporre ai fedeli le intenzioni della preghiera universale, servire il
sacerdote, distribuire ai fedeli l'Eucaristia, specialmente sotto la
specie del vino, ed eventualmente indicare all'assemblea i gesti e gli
atteggiamenti da assumere.
1) Cf SC 41; LG 11; PO 2, 5, 6; CD 30; UR 15; EM 3e, 6. 2) Cf SC 10. 3) Cf SC 102. 4) Cf PO 5; SC 10. 5) Cf SC 14,
19, 26, 28, 30. 6) Cf SC 47. 7) Cf SC 14. 8) Cf SC 41. 9) Cf PO 13. 10) Cf SC 59. 11) Cf per le Messe nei gruppi particolari: AcP; per le Messe con
i fanciulli: PB (cf pp. 286 ss); sul modo di unire le Ore dell'Ufficio
con la Messa: IGLH 93-98 (cf pp. 663-665) 12) SC 37-40. 13) Cf PO 5; SC 33. 14) Cf Conc.
trid., sess. XXII, Doctrina
de ss. Missae
sacrificio, cap.
1: DS 1739-1742; Paolo VI, Sollemnis
professio fidei, 30.6.1968, n. 24: EV III, 560. 15) Cf SC 7;
MF: EV II, 424; EM 9. 16) Cf SC 56;
EM 10 17) Cf SC 48, 51; DV 21; PO 4. 18) Cf SC 7,
33, 52. 19) Cf SC 33. 20) Cf S. congr.
per il culto divino, Lett. circ. Eucharistiae participationem, 27.4.1973, n. 14: EV IV 2492 21) Cf MS 14 22) Cf SC 26,
27; EM 3d. 23) Cf SC 30. 24) Cf MS 16a. 25) Sermo 336, 1: PL 38, 1472. 26) Cf. MS 7, 16; Messale
Romano, Ordinamento dei canti della Messa, ed. tip. 1972, «Premesse»:
EV IV, 1669 ss 27) Cf SC 54;
IOe 59; MS 47. 28) Cf SC 30. 29) Cf SC 39. 30 Cf SC 30; MS
17. 32) Cf SC 7.
33) Cf SC 51. 34) Cf IOe 50. 35) Cf SC 52. 36) Cf IOe 54. 37) Cf IOe 53. 38) Cf SC 53. 39) Cf IOe 56. 40) Cf SC 47;
EM 3a, b. 41) Cf IOe 91;
EM 24. 42) Cf SC 48; PO 5. 45) Cf SC 14,
26. 46) Cf SC 28. 47) Cf LG 26, 28; SC 42. 48) Cf SC 26. 49) Cf PO 2; LG 28. |
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