Praenotanda Libri Liturgici

RITO DELLA MESSA

  
COSTITUZIONE APOSTOLICA
CON LA QUALE SI PROMULGA

IL MESSALE ROMANO RIFORMATO
A NORMA DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II

 

PAOLO VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO - A PERPETUA MEMORIA

   

 

Il Messale Romano, promulgato nel 1570 dal Nostro Predecessore san Pio V per ordine del Concilio di Trento1, è per comune consenso uno dei numerosi e ammirevoli frutti che quel santo Concilio diffuse in tutta la Chiesa. Per quattro secoli infatti, non solo ha fornito ai sacerdoti di rito latino la norma per la celebrazione del Sacrificio eucaristico, ma venne anche diffuso in quasi tutto il mondo dai predicatori del Vangelo. Inoltre, innumerevoli santi hanno abbondantemente nutrito la loro pietà verso Dio attingendo da quel Messale le letture della Sacra Scrittura o le preghiere, la cui disposizione generale risaliva in gran parte a Gregorio Magno. Ma da quando si è sviluppato e diffuso nel popolo cristiano il movimento liturgico che, secondo l'espressione del Nostro Predecessore Pio XII, di venerata memoria, deve essere considerato come un segno della provvidenziale disposizione di Dio per gli uomini del nostro tempo, un passaggio salutare dello Spirito Santo nella sua Chiesa2, si è sentita l'esigenza che le formule del Messale Romano fossero rivedute e arricchite. Primo passo di tale riforma è stata l'opera del Nostro Predecessore Pio XII, con la riforma della Veglia Pasquale e dell'Orda della Settimana Santa3, che costituì il primo passo dell'adattamento del Messale Romano alla mentalità contemporanea.


Il recente Concilio Ecumenico Vaticano II, promulgando la costituzione Sacrosanctum concilium, ha posto le basi della riforma generale del Messale Romano, stabilendo che: «L'ordinamento dei testi e dei riti deve essere condotto in modo che le sante realtà, da essi significate, siano espresse più chiaramente»4; che: «L'ordinamento rituale della Messa sia riveduto in modo che apparisca più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la pia e attiva partecipazione dei fedeli»5; e inoltre: «Perché la mensa della parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia»6; e infine che: «Venga redatto un nuovo rito della concelebrazione da inserirsi nel Pontificale e nel Messale Romano»7.


Non bisogna tuttavia pensare che tale revisione del Messale Romano sia stata improvvisata: le hanno, senza dubbio, aperta la via i progressi che la scienza liturgica ha compiuto negli ultimi quattro secoli.


Se infatti, dopo il Concilio di Trento, molto ha contribuito alla revisione del Messale Romano lo studio degli «antichi manoscritti della Biblioteca Vaticana e di altri, raccolti da ogni parte», come dice la Costituzione apostolica Quo primum del Nostro Predecessore san Pio V, da allora sono state scoperte e pubblicate le più antiche fonti liturgiche, e nello stesso tempo sono state meglio conosciute le formule liturgiche della Chiesa Orientale; e così molti hanno insistito perché tali ricchezze dottrinali e insieme spirituali non rimanessero nell'oscurità delle biblioteche, ma venissero invece messe in luce per rischiarare e nutrire la mente e l'animo dei cristiani. Presentiamo ora, a grandi linee, la nuova composizione del Messale Romano. Anzitutto, nella Institutio Generalis, che serve come introduzione al libro, sono esposte le nuove norme
per la celebrazione del Sacrificio eucaristico, sia per ciò che riguarda i riti e le funzioni di ciascuno dei partecipanti, sia per ciò che concerne la suppellettile e i luoghi sacri. L'innovazione maggiore riguarda la Preghiera eucaristica. Mentre nel rito romano, la prima parte di tale preghiera, il prefazio, ha assunto lungo i secoli formulari diversi, l'altra parte invece, chiamata Canon Actionis, ha assunto, tra il IV e il V secolo, una forma invariabile, al contrario delle liturgie orientali, che ammettevano una certa varietà nelle loro anafore. In tale opera, oltre ad avere arricchita la Preghiera eucaristica di un gran numero di prefazi, presi dall'antica tradizione della Chiesa romana, o composti ex novo, al fine di mettere in luce i diversi aspetti del mistero della salvezza e di offrire più ricchi motivi di azione di grazie, abbiamo deciso di aggiungere alla medesima Preghiera tre nuovi Canoni. Tuttavia, per motivi di ordine pastorale, e al fine di facilitare la concelebrazione, abbiamo stabilito che le parole del Signore siano uguali in ciascun formulario del Canone. Stabiliamo pertanto che in ciascuna delle Preghiere eucaristiche, esse siano così espresse: sul pane: Accipite et manducate ex hoc omnes: Hoc est enim Corpus meum, quod pro vobis tradetur; e sul calice: Accipite et bibite ex eo omnes: Hic est enim calix Sanguinis mei novi et aeterni testamenti, qui pro vobis et pro multis effundetur in remissionem peccatorum. Hoc facite in meam commemorationem.


L'espressione Mysterium fidei, tolta dal contesto delle parole del Signore, e detta dal sacerdote, serve come da introduzione all'acclamazione dei fedeli.


Per ciò che riguarda l'Ordinario della Messa, i riti, pur conservandone fedelmente la sostanza, sono stati semplificati8. Si sono pure tralasciati «quegli elementi che con il passare dei secoli furono duplicati o meno utilmente aggiunti»9, soprattutto nei riti dell'offerta del pane e del vino e in quelli della frazione del pane e della comunione.


Si sono pure «ristabiliti, secondo la tradizione dei Padri, alcuni elementi che con il tempo erano andati perduti»10; per esempio l'omelia11, la preghiera universale o preghiera dei fedeli12, l'atto penitenziale, cioè l'atto di riconciliazione con Dio e con i fratelli, all'inizio della Messa, che giustamente è stato rivalutato.


Secondo la prescrizione del Concilio Vaticano II, che stabiliva: «In un determinato numero di anni, si leggano al popolo le parti più importanti della Sacra Scrittura»13, tutto il complesso delle letture delle domeniche è suddiviso in un ciclo di tre anni. Inoltre in tutti i giorni festivi, le letture dell'Epistola e del Vangelo sono precedute da un'altra lettura tratta dall'Antico Testamento oppure, nel Tempo pasquale, dagli Atti degli Apostoli. In tal modo è messo più chiaramente in luce lo sviluppo del mistero della salvezza, a partire dallo stesso testo della rivelazione.


Tale larghissima abbondanza di letture bibliche, che propone ai fedeli nei giorni festivi la parte più importante della Sacra Scrittura, viene completata da altre parti dei Libri Santi letti nei giorni feriali. Tutto ciò è ordinato in modo da far aumentare sempre più nei fedeli «quella fame... d'ascoltare la parola del Signore»14 che, sotto la guida dello Spirito Santo, spinga il popolo della Nuova Alleanza alla perfetta unità della Chiesa. Con queste disposizioni nutriamo viva speranza che sacerdoti e fedeli prepareranno più santamente il loro animo alla Cena del Signore, e nello stesso tempo, meditando più profondamente le Sacre Scritture, si nutriranno ogni giorno di più delle parole del Signore. Secondo quanto è detto dal Concilio Vaticano II, le Sacre Scritture saranno così per tutti una sorgente perenne di vita spirituale, un mezzo di prim'ordine per trasmettere la dottrina cristiana e infine l'essenza stessa di tutta la teologia.


In questo rinnovamento del Messale Romano oltre ai tre cambiamenti, di cui si è parlato sopra, e cioè la Preghiera eucaristica, L'Ordo Missae e l'Ordo lectionum Missae anche altre parti sono state rivedute e considerevolmente modificate: il Temporale, il Santorale, il Comune dei santi, le Messe rituali e le Messe votive. Un'attenzione particolare è stata dedicata alle orazioni, che non solo sono state aumentate di numero, perché le nuove orazioni rispondessero meglio alle nuove necessità dei tempi, ma anche quelle più antiche sono state riportate alla fedeltà degli antichi testi. Per ciascuna feria dei tempi liturgici principali, Avvento, Natale, Quaresima e Pasqua, si è provveduto a un'orazione propria.


Il testo del Graduale romano, almeno per quanto riguarda il canto, non è stato cambiato. Ma, per una migliore comprensione, è stato restaurato il salmo responsoriale, a cui spesso si riferiscono sant'Agostino e san Leone Magno, e sono state adattate le antifone d'ingresso e di comunione per le Messe lette. Infine, vogliamo qui riassumere efficacemente quanto abbiamo finora esposto sul nuovo Messale Romano. Il Nostro Predecessore san Pio V, promulgando l'edizione ufficiale del Messale Romano, lo presentò al popolo cristiano come fattore di unità liturgica e segno della purezza del culto della Chiesa. Allo stesso modo noi abbiamo accolto nel nuovo Messale legittime varietà e adattamenti, secondo le norme del Concilio Vaticano II15; tuttavia confidiamo che questo Messale sarà accolto dai fedeli come mezzo per testimoniare e affermare l'unità di tutti, e che per mezzo di esso, in tanta varietà di lingue, salirà al Padre celeste, per mezzo del nostro Sommo Sacerdote Gesù Cristo, nello Spirito Santo, più fragrante di ogni incenso, una sola e identica preghiera.


Le prescrizioni di questa Costituzione andranno in vigore il 30 novembre del corrente anno, prima domenica di Avvento. Quanto abbiamo qui stabilito e ordinato vogliamo che rimanga valido ed efficace, ora e in futuro, nonostante quanto vi possa essere di contrario nelle Costituzioni e negli Ordinamenti Apostolici dei Nostri Predecessori e in altre disposizioni, anche degne di particolare menzione e deroga.

 

Dato a Roma, presso San Pietro,

il 3 aprile 1969, giovedì nella Cena del Signore,

sesto anno del Nostro Pontificato.

 

PAOLO PP. VI

 

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1) Cf Cost. ap. Quo primum, 14.7.1570.

2) Cf Pio XII, Allocuzione ai partecipanti al primo Congresso internazionale di pastorale liturgica di Assisi, 22.9.1956: AAS 48 (1956), p. 712.

3) Cf S. CONGR.DEI RITI, Decr. Dominicae resurrectionis, 9.2.1951: AAS 43 (1951), pp. 128 ss; Decr. Maxima redemptionis nostrae mysteria, 16.11.1955: AAS 47 (1955), pp. 838 ss.

4) SC 21.

5) SC 50.

6) SC 51.

7) SC 57.

8) Cf SC 50.

9) SC 50.

10) SC 50.

11) Cf SC 52.

12) Cf SC 53.

13) SC 51.

14) Am 8,11.

15) Cf SC 38-40.

 

 


 

PRINCIPI E NORME

PER L'USO DEL MESSALE ROMANO

 

 

PROEMIO

 

 

1. Appressandosi a celebrare con i suoi discepoli il banchetto pasquale, nel quale istituì il Sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue, Cristo Signore ordinò di preparare una sala grande e addobbata (Le 22, 12). Quest'ordine la Chiesa l'ha sempre considerato rivolto a se stessa quando dettava le norme per preparare gli animi, disporre i luoghi, fissare i riti e scegliere i testi per la celebrazione dell'Eucaristia. Anche le presenti norme, stabilite in base alle decisioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, come anche il nuovo Messale, che la Chiesa di rito romano userà d'ora innanzi per celebrare la Messa, sono una prova di questa sollecitudine, della Chiesa, della sua fede e del suo amore immutato verso il grande mistero eucaristico, e testimoniano la sua continua e ininterrotta tradizione, nonostante vi siano state introdotte alcune novità.

 

Testimonianza di una fede immutata

 

2. La natura sacrificale della Messa, solennemente affermata dal Concilio di Trento, in armonia con tutta la tradizione della Chiesa1, è stata riaffermata dal Concilio Vaticano II, che ha pronunziato, a proposito della Messa, queste significative parole: «II nostro Salvatore nell'ultima Cena... istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, al fine di perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il Sacrificio della Croce, e di affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione»2.


Questo insegnamento del Concilio lo si ritrova costantemente nelle formule della Messa. Dice il Sacramentario Leoniano: «Ogni volta che celebriamo il memoriale di questo sacrificio, si compie l'opera della nostra redenzione»3; ebbene, la dottrina espressa con precisione in questa frase è sviluppata con chiarezza e con cura nelle Preghiere eucaristiche: in queste Preghiere, quando il sacerdote fa l'anamnesi, rivolgendosi a Dio in nome di tutto il popolo, gli rende grazie e gli offre il sacrificio vivo, santo, cioè l'oblazione della Chiesa e la vittima per la cui immolazione Dio ha voluto essere placato4, e prega perché il Corpo e il Sangue di Cristo siano un sacrificio accetto al Padre per la salvezza del mondo intero5. Così, nel nuovo Messale, la regola della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua costante regola di fede; questa ci dice che, fatta eccezione per il modo di offrire, e che è differente, vi è piena identità tra il sacrificio della Croce e la sua rinnovazione sacramentale nella Messa, che Cristo Signore ha istituito nell'ultima Cena e ha ordinato agli Apostoli di celebrare in memoria di lui; e per conseguenza, la Messa è insieme sacrificio di lode, d'azione di grazie, di propiziazione e di espiazione.

 

3. Anche il mistero mirabile della presenza reale del Signore sotto le specie eucaristiche è affermato dal Concilio Vaticano II6 e dagli altri documenti del magistero della Chiesa7, nel medesimo senso e con la medesima dottrina con cui il Concilio di Trento l'aveva proposto alla nostra fede8. Nella celebrazione della Messa, questo mistero è posto in luce non soltanto dalle parole stesse della consacrazione, che rendono il Cristo presente per mezzo della transustanziazione, ma anche dal senso e dall'espressione esterna di sommo rispetto e di adorazione di cui è fatto oggetto nel corso della liturgia eucaristica.


Per lo stesso motivo, al Giovedì Santo, nella Cena del Signore, e nella solennità del Corpo e del Sangue del Signore, il popolo cristiano è chiamato a onorare in modo particolare, con l'adorazione, questo ammirabile sacramento.

 

4. Quanto alla natura del sacerdozio ministeriale, che è proprio del presbitero, in quanto egli offre il sacrificio nella persona di Cristo e presiede l'assemblea del popolo santo, essa è posta in luce, nell'espressione stessa del rito, dal posto eminente del sacerdote e dalla sua funzione. I compiti di questa funzione sono indicati e ribaditi con molta chiarezza nel prefazio della Messa crismale del Giovedì Santo, giorno in cui si commemora l'istituzione del sacerdozio. Il testo sottolinea la potestà sacerdotale conferita per mezzo dell'imposizione delle mani, e descrive questa medesima potestà enumerandone tutti gli uffici: è la continuazione della potestà sacerdotale di Cristo, Pontefice sommo della Nuova Alleanza.

 

5. Questa natura del sacerdozio ministeriale mette a sua volta nella giusta luce un'altra realtà di grande importanza: il sacerdozio regale dei fedeli, il cui sacrificio spirituale raggiunge la sua perfezione attraverso il ministero dei presbiteri, in unione con il sacrificio di Cristo, unico Mediatore9. La celebrazione dell'Eucaristia è infatti azione di tutta la Chiesa; in essa ciascuno compie soltanto, ma integralmente, quello che gli rompete, tenuto conto del posto che egli occupa nel popolo di Dio. E il motivo per cui si presta ora una maggiore attenzione a certi aspetti della celebrazione che, nel corso dei secoli, erano stati talvolta alquanto trascurati. Questo popolo è il popolo di Dio, acquistato dal Sangue di Cristo, riunito dal Signore, nutrito con la sua Parola; popolo la cui vocazione è di far salire verso Dio le preghiere di tutta la famiglia umana; popolo che, in Cristo, rende grazie per il mistero della salvezza, offrendo il suo Sacrificio; popolo infine che per mezzo della comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, rafforza la sua unità. Questo popolo è già santo per la sua origine; ma in forza della sua partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa al mistero eucaristico, progredisce continuamente in santità10.

 

Prova di una tradizione ininterrotta

 

6. Nell'enunciare le norme per la revisione del rito della Messa, il Vaticano II ha ordinato, tra l'altro, che certi riti venissero «riportati all'antica tradizione dei santi Padri»11: sono le stesse parole usate da san Pio V nella lettera apostolica Quo primum con la quale nel 1570 promulgava il Messale di Trento. Anche da questo incontro verbale è facile rilevare come i due Messali romani, benché separati da quattro secoli, conservino una medesima e identica tradizione. Se poi si tengono presenti gli elementi profondi di questa tradizione, non è difficile rendersi conto come il secondo Messale completi egregiamente il primo.

 

7. In tempi davvero difficili, nei quali la fede cattolica era stata messa in pericolo circa la natura sacrificale della Messa, il sacerdozio ministeriale, la presenza reale e permanente di Cristo sotto le specie eucaristiche, a san Pio V premeva anzitutto salvaguardare una tradizione relativamente recente ingiustamente attaccata, introducendo il meno possibile di cambiamenti nel sacro rito. E in verità, il Messale del 1570 si differenzia ben poco dal primo Messale stampato nel 1474; e questo, a sua volta, riprende fedelmente il Messale del tempo di Innocenze III. Inoltre i manoscritti della Biblioteca Vaticana, anche se avevano permesso di adottare in certi casi delle lezioni migliori, non consentirono in quella diligente ricerca di «antichi autori fede degni», di andare al di là di quanto s'era fatto con i commentari liturgici del Medioevo.

 

8. Attualmente, al contrario, questo «ordinamento dei santi Padri» tenuto presente dai revisori responsabili del Messale di san Pio V, si è arricchito di innumerevoli studi di eruditi. Dopo la prima edizione del Sacramentario Gregoriano nel 1571, gli antichi sacramentari romani e ambrosiani sono stati oggetto di numerose edizioni critiche; lo stesso si dica degli antichi libri liturgici spagnoli e gallicani, che han fatto riscoprire un buon numero di preghiere fino allora ignorate, ma di non poca importanza sotto l'aspetto spirituale.


Data poi la scoperta di un buon numero di documenti liturgici, sono pure, attualmente, meglio conosciute le tradizioni dei primi secoli, anteriori alla formazione dei riti d'Oriente e d'Occidente. Inoltre, il progresso degli studi patristici ha permesso di appurare la teologia del mistero eucaristico attraverso l'insegnamento di Padri eminenti nell'antichità cristiana, come sant'Ireneo, sant'Ambrogio, san Crillo di Gerusalemme, san Giovanni Crisostomo.

 

9. La «tradizione dei santi Padri» esige dunque che non solo si conservi la tradizione trasmessa dai nostri predecessori immediati, ma che si tenga presente e si approfondisca fin dalle origini tutto il passato della Chiesa e si faccia un'accurata indagine sui modi molteplici con cui l'unica fede si è manifestata in forme di cultura umana e profana così diverse tra loro, quali erano quelle in uso nelle regioni abitate da semiti, greci e latini. Questo approfondimento più vasto ci permette di constatare come lo Spirito Santo accordi al popolo di Dio un'ammirevole fedeltà nel conservare immutato il deposito della fede, per grande che sia la varietà delle preghiere e dei riti.

 

Adattamento alle nuove condizioni

 

10. Il nuovo Messale mentre attesta la lex orandi della Chiesa romana e salvaguarda il deposito della fede trasmesso dai recenti Concili, segna a sua volta una tappa di grande importanza nella tradizione liturgica.


Quando i Padri del Concilio Vaticano II ripresero le formulazioni dogmatiche del Concilio di Trento, le loro parole risuonarono in un'epoca ben diversa nella vita del mondo; è per questo che nel campo pastorale essi hanno potuto dare dei suggerimenti e dei consigli, che sarebbero stati impensabili quattro secoli prima.

 

11. Il Concilio di Trento aveva già riconosciuto il grande valore catechetico contenuto nella celebrazione della Messa, ma non poteva trame tutte le conseguenze pratiche. In realtà si chiedeva da molti che venisse concesso l'uso della lingua volgare nella celebrazione del sacrificio eucaristico. Ma dinanzi a tale richiesta, il Concilio, considerate le circostanze di allora, riteneva suo dovere riaffermare la dottrina tradizionale della


Chiesa, secondo la quale il sacrificio eucaristico è anzitutto azione di Cristo stesso: per conseguenza, la sua efficacia non dipende affatto dal modo di partecipazione dei fedeli. Ecco perché si espresse con queste parole decise e misurate insieme: «Benché la Messa contenga un ricco insegnamento per il popolo dei fedeli, i Padri non hanno ritenuto opportuno, che venga celebrata indistintamente in lingua volgare»12. E condannò chi osasse affermare che «non si deve ammettere il rito della Chiesa romana, in forza del quale una parte del canone e le parole della consacrazione vengono dette a bassa voce; o che la Messa si debba celebrare in lingua volgare»13. Nondimeno, se da un lato proibì l'uso della lingua parlata nella Messa, dall'altro ordinò ai pastori di supplirvi con un'opportuna catechesi: «Perché il gregge di Cristo non soffra la fame... il santo Concilio ordina ai pastori e a tutti quelli che hanno cura d'anime di soffermarsi frequentemente, nel corso della celebrazione della Messa, o personalmente o per mezzo di altri, su questo o quel testo della Messa, e di spiegare, tra l'altro, il mistero di questo santissimo Sacrificio, specialmente nelle domeniche e nei giorni festivi»14.

 

12. Convocato perché la Chiesa adattasse ai nostri tempi i compiti della sua missione apostolica, il Concilio Vaticano II ha, come quello di Trento, esaminato profondamente la natura didattica e pastorale della liturgia15. E poiché non v'è ormai nessun cattolico che neghi la legittimità e l'efficacia del rito compiuto in lingua latina, il Concilio ha ammesso senza difficoltà che «l'uso della lingua parlata può riuscire spesso di grande utilità per il popolo», e l'ha quindi permessa16. L'entusiasmo con cui questa decisione è stata dappertutto accolta, ha portato, sotto la guida dei vescovi e della stessa sede apostolica, alla concessione che tutte le celebrazioni liturgiche con partecipazione di popolo si possano fare in lingua viva, per rendere più facile l'intelligenza piena del mistero celebrato.

 

13. Tuttavia, poiché l'uso della lingua parlata nella sacra liturgia è soltanto uno strumento, anche se molto importante, per esprimere più chiaramente la catechesi del mistero contenuto nella celebrazione, il Concilio Vaticano II ha insistito perché si mettessero in pratica certe prescrizioni del Concilio di Trento che non erano state dappertutto osservate, come il dovere di fare l'omelia nelle domeniche e nei giorni festivi17; e la possibilità di intercalare ai riti determinate esortazioni18. Soprattutto però il Concilio Vaticano II, nel consigliare «quella partecipazione perfetta alla Messa per la quale i fedeli dopo la comunione del sacerdote ricevono il Corpo del Signore dal medesimo sacrificio»19, ha portato al compimento di un altro voto dei Padri Tridentini, che, cioè, per partecipare più pienamente all'Eucaristia «nelle singole Messe i presenti si comunicassero non solo con l'intimo fervore dell'anima, ma anche con la recezione sacramentale dell'Eucaristia»20.

 

14. Indotto dal medesimo spirito e dallo stesso zelo pastorale, il Concilio Vaticano II ha potuto riesaminare le decisioni di Trento a proposito della comunione sotto le due specie. Poiché attualmente nessuno mette in dubbio i principi dottrinali sul pieno valore della comunione sotto la sola specie del pane, il Concilio ha permesso in alcuni casi la comunione sotto le due specie, con la quale, grazie a una presentazione più chiara del segno sacramentale, si ha modo di penetrare più profondamente il mistero al quale i fedeli partecipano21.

 

15. In questo modo, mentre la Chiesa rimane fedele al suo compito di maestra di verità conservando «ciò che è vecchio» cioè il deposito della Tradizione, assolve pure il suo compito di esaminare e adottare con prudenza «ciò che è nuovo» (cf Mt 13, 52).

Una parte del nuovo Messale adegua più visibilmente le preghiere della Chiesa ai bisogni del nostro tempo; tali sono specialmente le Messe rituali e quelle per varie necessità, nelle quali si fondono felicemente tradizione e novità. Pertanto, mentre sono rimaste intatte molte espressioni attinte alla più antica tradizione della Chiesa e rese familiari dallo stesso Messale Romano nelle sue varie edizioni, molte altre sono state adattate alle esigenze e alle condizioni attuali. Altre infine, come le orazioni per la Chiesa, per i laici, per la santificazione del lavoro umano, per l'unione di tutti i popoli, e per certe necessità proprie del nostro tempo, sono state interamente composte ex novo, traendo i pensieri e spesso anche i termini dai recenti documenti conciliari.


Così pure, in vista di una presa di coscienza della situazione nuova del mondo contemporaneo, è sembrato che non si recasse offesa alcuna al venerabile tesoro della Tradizione modificando alcune espressioni dei testi antichi, allo scopo di meglio armonizzare la lingua con quella della teologia attuale e perché esprimessero in verità la presente situazione della disciplina della Chiesa.


Per questo motivo sono stati cambiati alcuni modi di esprimersi, che risentivano di una certa mentalità sull'apprezzamento e sull'uso dei beni terrestri, e altri ancora che mettevano in rilievo una forma di penitenza esteriore propria della Chiesa di altri tempi.


Le norme liturgiche del Concilio di Trento sono state, dunque, su molti punti, completate e integrate dalle norme del Concilio Vaticano II; il Concilio ha così condotto a termine gli sforzi fatti per accostare i fedeli alla liturgia, sforzi condotti per quattro secoli e con più intensità in un'epoca recente, grazie soprattutto allo zelo liturgico promosso da san Pio X e dai suoi successori.

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1) Sess. XXII, Doctrina de ss. Missae sacrificio: DS 1738-1759.

2) SC 47; cf LG 3, 28; PO 2, 4, 5.

3) Cf Sacramentarium veronense, ed. L.C. MOHLBERG, n. 93. 4) Cf Preghiera eucaristica III.

5) Cf Preghiera eucaristica IV.

6) SC 7, 47; PO 5, 18.

7) Cf Pio XII, Lett. enc. Humani generis: AAS 42 (1950), pp. 570-571; MF: EV II, 421-432; PAOLO VI, Sollemnis professio fidei, 30.6.1968, nn. 24-26: EV III, 560-562; EM 3f, 9.

8) Cf Sess. XIII, Decretum de ss. Eucaristia: DS 1635-1661.

9) Cf PO 2.

10) Cf SC 11.

11) Cf SC 50.

12) Conc. TRIO., sess. XXII, Doctrina de ss. Missae sacrificio, cap.  

  8: DS 1749.

13) Ibid., cap. 9: DS 1750.

14) Ibid., cap. 8: DS 1749.

15) Cf SC 33.

16) SC 36.

17) SC 52.

18) SC 35, 3.

19) SC 55.

20) Sess. XXII, Doctrina de ss. Missae sacrificio, cap. 6: DS 1747. 21) Cf SC 55.

 

 

Capitolo I

 

IMPORTANZA E DIGNITÀ

DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

 

 

1. La celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa universale, per quella locale, e per i singoli fedeli1. Nella Messa infatti si ha il culmine sia dell'azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono al Padre, adorandolo per mezzo di Cristo Figlio di Dio2. In essa inoltre la Chiesa commemora, nel corso dell'anno, i misteri della redenzione, in modo da renderli in certo modo presenti3. Tutte le altre azioni sacre e ogni attività della vita cristiana sono in stretta relazione con la Messa, da essa derivano e ad essa sono ordinate4.

 

2. È perciò di somma importanza che la celebrazione della Messa, o Cena del Signore, sia ordinata in modo che i ministri e i fedeli, partecipandovi ciascuno secondo il proprio ordine e grado, traggano abbondanza di quei frutti5, per il conseguimento dei quali Cristo Signore ha istituito il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue e lo ha affidato, come memoriale della sua passione e risurrezione, alla Chiesa, sua dilettissima sposa6.

 

3. Si potrà ottenere davvero questo risultato, se, tenuto conto della natura e delle altre caratteristiche di ogni assemblea, tutta la celebrazione verrà ordinata in modo tale da portare i fedeli a una partecipazione consapevole, attiva e piena, esterna ed interna, ardente di fede, speranza e carità; partecipazione vivamente desiderata dalla Chiesa e richiesta dalla natura stessa della celebrazione, e alla quale il popolo cristiano ha diritto e dovere in forza del Battesimo7.

 

4. Non sempre si può avere la presenza e l'attiva partecipazione dei fedeli, che manifestano più chiaramente la natura ecclesiale dell'azione liturgica8; sempre però la celebrazione eucaristica ha l'efficacia e la dignità che le sono proprie, in quanto è azione di Cristo e della Chiesa9, e il sacerdote vi agisce sempre per la salvezza del popolo.

  

5. Poiché inoltre la celebrazione dell'Eucaristia, come tutta la liturgia, si compie per mezzo di segni sensibili, mediante i quali la fede si alimenta, s'irrobustisce e si esprime10, si deve avere la massima cura nello scegliere e nel disporre quelle forme e quegli elementi che la Chiesa propone, e che, considerate le circostanze di persone e di luoghi, possono favorire più intensamente la partecipazione attiva e piena e rispondere più adeguatamente al bene dei fedeli.

 

6. Pertanto questa «Istruzione» si propone di esporre i principi generali per l'ordinamento della celebrazione dell'Eucaristia, e presentare le norme per regolare le singole forme di celebrazione11. Le Conferenze Episcopali, secondo la Costituzione sulla Sacra Liturgia, possono prescrivere, per il loro territorio, delle norme che tengano conto delle tradizioni e della cultura propria dei loro popoli, delle regioni e delle diverse comunità12.  

 

 

Capitolo II

 

STRUTTURA, ELEMENTI E PARTI

DELLA MESSA

 

 

I. Struttura generale della Messa

 

7. Nella Messa o Cena del Signore, il popolo di Dio è chiamato a riunirsi insieme sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella persona di Cristo, per celebrare il memoriale del Signore, cioè il sacrificio eucaristico13.


Per questa riunione locale della santa Chiesa vale perciò in modo eminente la promessa di Cristo: «Là dove sono due o tre radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20). Infatti nella celebrazione della Messa, nella quale si perpetua il sacrificio della Croce14, Cristo è realmente presente nell'assemblea dei fedeli riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua Parola e in modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche15.

 

8. La Messa è costituita da due parti, la «liturgia della Parola» e la «liturgia eucaristica»; esse son così strettamente congiunte tra di loro da formare un unico atto di culto16. Nella Messa, infatti, viene imbandita tanto la mensa della parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro17. Ci sono inoltre alcuni riti che iniziano e altri che concludono la celebrazione.

 

 

II. I diversi elementi della Messa

 

Lettura della parola di Dio e sua spiegazione

 

9. Quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua parola, annunzia il Vangelo.


Per questo, le letture della parola di Dio, che costituiscono un elemento importantissimo della Liturgia, si devono ascoltare da tutti con venerazione. E benché la parola di Dio nelle letture della sacra Scrittura sia rivolta a tutti gli uomini di ogni epoca e sia da essi intelligibile, tuttavia la sua efficacia viene
accresciuta da un'esposizione viva e attuale, cioè dall'omelia, che è considerata parte dell'azione liturgica18.

 

Le orazioni e le altre farti che spettano al sacerdote

 

10. Tra le parti proprie del sacerdote, occupa il primo posto la Preghiera eucaristica, culmine di tutta la celebrazione. Seguono poi le orazioni, cioè: l'orazione di inizio (o colletta), l'orazione sulle offerte e l'orazione dopo la comunione. Queste preghiere dette dal sacerdote nella sua qualità di presidente dell'assemblea nella persona di Cristo, sono rivolte a Dio a nome dell'intero popolo santo e di tutti i presenti19. Perciò giustamente si chiamano «orazioni presidenziali».

 

11. Spetta ugualmente al sacerdote, per il suo ufficio di presidente dell'assemblea radunata, formulare alcune monizioni e proporre le formule di introduzione e di conclusione previste nel rito medesimo. Di loro natura queste monizioni non esigono di essere pronunziate alla lettera, nella formulazione presentata nel Messale; per cui potrà essere opportuno l'adattarle in qualche modo, almeno in alcuni casi, alle vere condizioni della comunità20. Così pure spetta al sacerdote che presiede annunziare la parola di Dio e impartire la benedizione finale. Egli può inoltre intervenire con brevissime parole, all'inizio della celebrazione, per introdurre i fedeli alla Messa del giorno; alla liturgia della Parola, prima delle letture; alla Preghiera eucaristica, prima di iniziare il prefazio; prima del congedo, per concludere l'intera azione sacra.

 

12. La natura delle parti «presidenziali» esige che esse siano proferite a voce alta e chiara e che siano ascoltate da tutti con attenzione21. Perciò mentre il sacerdote le dice, non si devono sovrapporre altre orazioni o canti, e l'organo e altri strumenti musicali devono tacere.

 

13. Il sacerdote formula preghiere non soltanto come presidente a nome di tutta la comunità, ma talvolta anche a titolo personale, per poter compiere il proprio ministero con maggior attenzione e pietà. Tali preghiere si dicono sottovoce.

 

 

Altre formule che ricorrono nella celebrazione

 

14. Poiché la celebrazione della Messa, per sua natura, ha carattere «comunitario»22, grande rilievo assumono i dialoghi tra il celebrante e l'assemblea dei fedeli, e le acclamazioni23. Infatti questi elementi non sono soltanto segni esteriori della celebrazione comunitaria, ma favoriscono ed effettuano la comunione tra il sacerdote e il popolo.

 

15. Le acclamazioni e le risposte dei fedeli al saluto del sacerdote e alle orazioni, costituiscono quel grado di partecipazione attiva che i fedeli riuniti devono porre in atto in ogni forma di Messa per esprimere e ravvivare l'azione di tutta la comunità24.

 

16. Altre parti, assai utili per manifestare e favorire la partecipazione attiva dei fedeli, spettano all'intera assemblea: sono soprattutto l'atto penitenziale, la professione di fede, la preghiera universale (detta anche preghiera dei fedeli) e la preghiera del Signore (cioè il Padre nostro).

 

17. Infine, tra le altre formule:


a) alcune costituiscono un rito o un atto a sé stante, come l'inno Gloria, il salmo responsoriale, l'Alleluia e il versetto prima del Vangelo (canto al Vangelo), il Santo (Sanctus), l'acclamazione dell'anamnesi e il canto dopo la comunione;


b) altre, invece, accompagnano qualche rito, come i canti d'ingresso, di offertorio, quelli che accompagnano la «frazione» o atto di spezzare il pane (Agnello di Dio - Agnus Dei) e la comunione.

 

In qual modo proclamare i vari testi

 

18. Nei testi che devono esser pronunziati a voce alta e chiara dal sacerdote, dai ministri, o da tutti, la voce deve corrispondere al genere del testo secondo che si tratti di una lettura, di un'orazione, di una monizione, di un'acclamazione, di un canto; deve anche corrispondere alla forma di celebrazione e alla solennità della riunione liturgica. Inoltre si tenga conto delle caratteristiche delle diverse lingue e della cultura specifica di ogni popolo.


Nelle rubriche e nelle norme che seguono, le parole «dire» oppure «proclamare» devono essere intese in riferimento sia al canto che alla recita, tenuto conto dei principi sopra esposti.

 

Importanza del canto

 

19. I fedeli che si radunano nell'attesa della venuta del loro Signore, sono esortati dall'Apostolo a cantare insieme salmi, inni e cantici spirituali (cf Col 3, 16). Infatti il canto è segno della gioia del cuore (cf At 2, 46). Perciò dice molto bene sant'Agostino: «Il cantare è proprio di chi ama»25, e già dall'antichità si formò il detto: «Chi canta bene, prega due volte». Nelle celebrazioni si dia quindi grande importanza al canto, tenuto conto della diversità culturale delle popolazioni e della capacità di ciascun gruppo anche se non è sempre necessario cantare tutti i testi che per loro natura sono destinati al canto. Nella scelta delle parti destinate al canto, si dia la preferenza a quelle di maggior importanza, e soprattutto a quelle che devono essere cantate dal sacerdote o dai ministri con la risposta del popolo, o dal sacerdote e dal popolo insieme26. Poiché sono sempre più frequenti le riunioni di fedeli di diverse nazionalità, è opportuno che sappiano cantare insieme, in lingua latina, e nelle melodie più facili, almeno le parti dell'Ordinario della Messa, specialmente il Simbolo della fede e la preghiera del Signore (Padre nostro)27.
 

Gesti e atteggiamenti del corpo

 

20. L'atteggiamento comune del corpo, che tutti i partecipanti al rito sono invitati a prendere, è il segno della comunità e dell'unità dell'assemblea: esso esprime e favorisce l'intenzione e i sentimenti dell'animo dei partecipanti28.

 

21. Per ottenere l'uniformità nei gesti e negli atteggiamenti, i fedeli seguano le indicazioni che vengono date dal diacono, o dal sacerdote, o da un altro ministro, durante la celebrazione. Inoltre, in tutte le Messe, salvo indicazioni in contrario, i fedeli stiano in piedi dall'inizio del canto di ingresso, o mentre il sacerdote si reca all'altare, fino alla conclusione dell'orazione di inizio (o colletta), durante il canto dell'Alleluia prima del Vangelo; durante la proclamazione del Vangelo; durante la professione di fede e la preghiera universale (o preghiera dei fedeli); dall'orazione sulle offerte fino al termine della Messa, fatta eccezione di quanto è detto in seguito. Stiano invece seduti durante la proclamazione delle letture prima del Vangelo e durante il salmo responsoriale; all'omelia e durante la preparazione dei doni all'offertorio; se lo si ritiene opportuno, durante il sacro silenzio dopo la comunione. S'inginocchino poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano o la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri motivi ragionevoli.


Spetta però alle Conferenze Episcopali adattare i gesti e gli atteggiamenti del corpo, descritti nel Rito della Messa romana, alla cultura dei vari popoli29. Nondimeno si faccia in modo che tali adattamenti corrispondano al senso e al carattere di ciascuna parte della celebrazione.

 

22. Fra i gesti sono comprese anche le azioni e gli atteggiamenti del sacerdote nel recarsi all'altare, quelle per la presentazione dei doni e per la comunione dei fedeli. Conviene che queste azioni siano fatte in modo decoroso, mentre si eseguono canti appropriati, secondo le norme stabilite per i singoli movimenti.

Il silenzio

 

23. Si deve anche osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione30. La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l'atto penitenziale e dopo l'invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l'omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di ringraziamento.

 

III. Le singole parti della Messa

 

A) RITI DI INTRODUZIONE

 

24. Le parti che precedono la liturgia della Parola, cioè l'introito, il saluto, l'atto penitenziale, il Kyrie eleison, il Gloria e l'orazione (o colletta), hanno un carattere di inizio, di introduzione e di preparazione.


Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l'Eucaristia.

 

 

L'introito

 

25. Quando il popolo è riunito, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con i ministri, si inizia il canto d'ingresso. La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l'unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri.

 

26. Il canto viene eseguito alternativamente dalla schola e dal popolo, o dal cantore e dal popolo, oppure tutto quanto dal popolo o dalla sola schola. Si può utilizzare sia l'antifona con un suo canto, quale si trova nel Graduale romanum o nel Graduale simplex, oppure un altro canto adatto all'azione sacra,

al carattere del giorno o del tempo, e il cui testo sia stato approvato dalla Conferenza Episcopale.

Se all'introito non ha luogo il canto, l'antifona proposta dal Messale Romano viene letta o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, o anche dallo stesso sacerdote dopo il saluto.

 

Saluto all'altare e al popolo radunato

 

27. Giunti in presbiterio, il sacerdote e i ministri salutano l'altare. In segno di venerazione, il sacerdote e il diacono lo baciano e il sacerdote lo può incensare secondo l'opportunità.

 

28. Terminato il canto d'ingresso, il sacerdote e tutta l'assemblea si segnano col segno di croce. Poi il sacerdote con il saluto annunzia alla comunità riunita la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata.

 

Atto penitenziale

 

29. Salutato il popolo, il sacerdote, o un altro ministro che ne sia capace, può fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno. Quindi il sacerdote invita all'atto penitenziale, che viene compiuto da tutta la comunità mediante la confessione generale, e si conclude con l'assoluzione del sacerdote.

 

Kyrie eleison

 

30. Dopo l'atto penitenziale ha inizio il Kyrie eleison, a meno che non sia già stato detto durante l'atto penitenziale. Essendo un canto col quale i fedeli acclamano il Signore e implorano la sua misericordia, di solito viene eseguito da tutti, in alternanza tra il popolo e la schola o un cantore. Ogni acclamazione di solito si dice due volte; ma non si esclude che, in considerazione dell'indole delle diverse lingue o della composizione musicale o di circostanze particolari, sia ripetuto un maggior numero di volte, o intercalato da un breve «tropo». Se il Kyrie eleison non viene cantato, si recita.

 

Gloria in excelsis

 

31. Il Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l'Agnello. Viene cantato da tutta l'assemblea, o dal popolo alternativamente con la schola oppure dalla schola. Se non lo si canta, viene recitato da tutti, insieme o alternativamente.


Lo si canta o si recita nelle domeniche fuori del Tempo di Avvento e Quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in particolari celebrazioni più solenni.

 

Orazione conclusiva dei riti di introduzione (o colletta)

 

32. Poi il sacerdote invita il popolo a pregare; e tutti insieme con il sacerdote stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di essere alla presenza di Dio e per poter formulare nel proprio cuore la preghiera personale. Quindi il sacerdote dice l'orazione, chiamata comunemente «colletta». Per mezzo di essa viene espresso il carattere della celebrazione e con le parole del sacerdote si rivolge la preghiera a Dio Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo. Il popolo, unendosi alla preghiera ed esprimendo il suo assenso, fa sua l'orazione con l'acclamazione Amen. Nella Messa si dice una sola colletta; la stessa cosa vale anche per l'orazione sulle offerte e dopo la comunione. La colletta termina con la conclusione lunga, e cioè:


- se è rivolta al Padre: Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli;


- se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell'orazione medesima si fa menzione del Figlio: Egli è Dio (opp. che è Dio) e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli;

- se è rivolta al Figlio: Tu che sei Dio e vivi e regni con Dio Padre, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

invece l'orazione sulle offerte e l'orazione dopo la comunione hanno la conclusione breve, e cioè:


- se è rivolta al Padre: Per Cristo nostro Signore;


- se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell'orazione medesima si fa menzione del Figlio: Egli vive e regna nei secoli dei secoli;

- se è rivolta al Figlio: Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

 

B) LITURGIA DELLA PAROLA

 

33. Le letture scelte dalla sacra Scrittura con i canti che le accompagnano, costituiscono la parte principale della liturgia della Parola; l'omelia, la professione di fede e la preghiera universale o preghiera dei fedeli sviluppano e concludono tale parte. Infatti nelle letture, che vengono poi spiegate nella omelia, Dio parla al suo popolo31, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente per mezzo della sua parola, tra i fedeli32. Il popolo fa propria questa parola divina con i canti e vi aderisce con la professione di fede; così nutrito, prega nell'orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero.

 

Le letture bibliche

 

34. Con le letture si offre ai fedeli la mensa della parola di Dio e si aprono loro i tesori della Bibbia33. Poiché secondo la tradizione l'ufficio di proclamare le letture non spetta al presidente ma ad uno dei ministri, conviene che, d'ordinario, il diacono, o, in sua assenza, un altro sacerdote legga il Vangelo; un lettore invece legga le altre letture. Mancando però il diacono o un altro sacerdote, leggerà il Vangelo lo stesso sacerdote celebrante34.

 

35. Alla lettura del Vangelo si deve il massimo rispetto; lo insegna la liturgia stessa, perché la distingue dalle altre letture con particolari onori: sia da parte del ministro incaricato di proclamarla che si prepara con la benedizione o con la preghiera; sia da parte dei fedeli, i quali con le acclamazioni riconoscono e professano che Cristo è presente e parla a loro, e ascoltano la lettura stando in piedi; sia per mezzo dei segni di venerazione che si rendono al libro dei Vangeli.

 

I canti tra le letture

 

36. Alla prima lettura segue il salmo responsoriale, o graduale, che è parte integrante della liturgia della Parola. Il salmo, d'ordinario, è preso dal Lezionario, perché ogni testo salmodico è direttamente connesso con la relativa lettura: pertanto la scelta del salmo dipende dalle letture. Nondimeno, perché il popolo più facilmente possa ripetere il ritornello, sono stati scelti alcuni testi comuni di ritornelli e di salmi per i diversi tempi dell'anno e per le diverse categorie di santi; questi testi si possono utilizzare al posto di quelli corrispondenti alle letture ogni volta che il salmo viene cantato.


Il salmista o cantore del salmo, canta o recita i versetti del salmo all'ambone o in altro luogo adatto; l'assemblea sta seduta e ascolta, e partecipa di solito con il ritornello, a meno che il salmo non sia cantato o recitato per intero senza ritornello. Se si canta, oltre al salmo designato sul Lezionario, si può utilizzare o il graduale del Graduale romanum, oppure un salmo responsoriale o alleluiatico del Graduale simplex, così come sono indicati in tali libri.

 

37. Alla seconda lettura segue l'Alleluia o un altro canto, a seconda del tempo liturgico.


a) L'Alleluia si canta in qualsiasi Tempo, tranne che in Quaresima. Può essere iniziato o da tutti, o dalla schola, o da un cantore e, se è il caso, lo si ripete. I versetti si scelgono dal Lezionario oppure dal Graduale.


b) L'altro canto è costituito da un versetto prima del Vangelo, oppure da un altro salmo o tratto, come si trovano nel Lezionario o nel Graduale.

 

38. Quando vi è una sola lettura prima del Vangelo:


a) nel Tempo in cui si canta l'Alleluia, si può utilizzare o il salmo alleluiatico, oppure il salmo e l'Alleluia con il suo versetto, o solo il salmo o solo l'Alleluia;


b) nel tempo in cui l'Alleluia non si canta, si può eseguire o il salmo o il versetto prima del Vangelo (cioè il canto al Vangelo).

 

39. Il salmo dopo la lettura, se non viene cantato, deve essere letto ad alta voce; invece l'Alleluia e il versetto prima del Vangelo, se non si cantano, si possono tralasciare.

40. La sequenza è facoltativa, eccetto nei giorni di Pasqua e di Pentecoste.

 

L'omelia

 

41. L'omelia fa parte della liturgia ed è molto raccomandata35: è infatti necessaria per alimentare la vita cristiana. Deve essere la spiegazione o di qualche aspetto delle letture della Sacra Scrittura, o di un altro testo dell'Ordinario o del Proprio della Messa del giorno, tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta36.

 

42. Nelle domeniche e nelle feste di precetto si deve tenere l'omelia in tutte le Messe con partecipazione di popolo; non si può omettere senza una ragione grave. Negli altri giorni è raccomandata specialmente nelle ferie di Avvento, di Quaresima e del Tempo pasquale; così pure nelle altre feste e circostanze nelle quali è più numeroso il concorso del popolo alla chiesa37.

L'omelia di solito sia tenuta personalmente dal sacerdote celebrante.

 

La professione di fede

 

43. Il Simbolo, o professione di fede, nella celebrazione della Messa, ha lo scopo di suscitare nell'assemblea, dopo l'ascolto della parola di Dio nelle letture e nell'omelia, una risposta di assenso, e di richiamare alla mente la regola della fede, prima di incominciare la celebrazione dell'Eucaristia.

 

44. Il Simbolo deve esser recitato dal sacerdote insieme con il popolo nelle domeniche e nelle solennità; si può dire anche in particolari celebrazioni più solenni. Se viene cantato, si canti normalmente da tutti o a cori alterni.

 

La preghiera universale

 

45. Nella preghiera universale, o preghiera dei fedeli, il popolo, esercitando la sua funzione sacerdotale, prega per tutti gli uomini. È conveniente che nelle Messe con partecipazione di popolo vi sia normalmente questa preghiera, nella quale si elevino suppliche per la santa Chiesa, per i governanti, per coloro che si trovano in necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo38.

 

46. La successione delle intenzioni sia ordinariamente questa:

a) per le necessità della Chiesa;

b) per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo; e) per quelli che si trovano in difficoltà; d) per la comunità locale.

Tuttavia in qualche celebrazione particolare, per esempio nella Confermazione, nel Matrimonio, nelle Esequie, la successione delle intenzioni può venire adattata maggiormente alla circostanza particolare.

 

47. Spetta al sacerdote celebrante guidare la preghiera, invitare, con una breve monizione, i fedeli a pregare, e concludere la preghiera con un orazione. Sarà bene che le intenzioni siano proposte da un diacono o da un cantore, o da qualche altra persona39. Tutta l'assemblea esprime la sua preghiera o con un'invocazione comune, dopo che sono state presentate le intenzioni, oppure pregando in silenzio.

 

C) LITURGIA EUCARISTICA

 

48. Nell'ultima Cena Cristo istituì il sacrificio e convito pasquale per mezzo del quale è reso di continuo presente nella Chiesa il sacrificio della Croce, allorché il sacerdote che rappresenta Cristo Signore, compie ciò che il Signore stesso fece e affidò ai discepoli perché lo facessero in memoria di lui40. Cristo infatti prese il pane e il calice, rese grazie, spezzò il pane e li diede ai suoi discepoli, dicendo: «Prendete, mangiate, bevete; questo è il mio Corpo; questo è il calice del mio Sangue. Fate questo in memoria di me». Perciò la Chiesa ha disposto tutta la celebrazione della liturgia eucaristica in vari momenti, che corrispondono a queste parole e gesti di Cristo. Infatti:

 

1. Nella preparazione dei doni, vengono portati all'altare pane e vino con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani.


2. Nella Preghiera eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta l'opera della salvezza, e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo.


3. Mediante la frazione di un unico pane si manifesta l'unità dei fedeli, e per mezzo della comunione i fedeli si cibano del Corpo e del Sangue del Signore, allo stesso modo con il quale gli Apostoli li hanno ricevuti dalle mani di Cristo stesso.

 

La preparazione dei doni

 

49. All'inizio della liturgia eucaristica si portano all'altare i doni, che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo. Prima di tutto si prepara l'altare, o mensa del Signore, che è il centro di tutta la liturgia eucaristica41, ponendovi sopra il corporale, il purificatoio, il messale e il calice, se non viene preparato alla credenza.


Poi si portano le offerte: i fedeli - cosa lodevole - presentano il pane e il vino; il sacerdote, o il diacono, in luogo opportuno e adatto, li riceve e li depone sull'altare, recitando le formule prescritte. Quantunque i fedeli non portino più, come un tempo, il loro proprio pane e vino destinati alla liturgia, tuttavia il rito di presentare questi doni conserva il suo calore e il suo significato spirituale.


Si possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in chiesa. Essi vengono deposti in luogo adatto, fuori della mensa eucaristica.

 

50. Il canto all'offertorio accompagna la processione con la quale si portano i doni; esso si protrae almeno fino a quando i doni sono stati deposti sull'altare. Le norme che regolano questo canto sono le stesse che per il canto d'ingresso (n. 26). L'antifona di offertorio, se non si canta, viene tralasciata.

 

51. Si può fare l'incensazione dei doni posti sull'altare stesso, per significare che l'offerta della Chiesa e la sua preghiera si innalzano come incenso al cospetto di Dio. Dopo l'incensazione dei doni e dell'altare, anche il sacerdote e il popolo possono ricevere l'incensazione dal diacono o da un altro ministro.

 

52. Quindi il sacerdote si lava le mani; con questo rito si esprime il desiderio di purificazione interiore.

 

53. Deposte le offerte sull'altare e compiuti i riti che accompagnano questo gesto, il sacerdote invita i fedeli a unirsi a lui nella preghiera e pronunzia l'orazione sulle offerte: si conclude così la preparazione dei doni e si prelude alla Preghiera eucaristica.

 

La Preghiera eucaristica

 

54. A questo punto ha inizio il momento centrale e culminante dell'intera celebrazione, vale a dire la Preghiera eucaristica, cioè la preghiera di azione di grazie e di santificazione. Il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell'azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge al Padre per mezzo di Gesù Cristo. Il significato di questa preghiera è che tutta l'assemblea si unisca insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell'offrire il sacrificio.

 

55. Gli elementi principali di cui consta la Preghiera eucaristica, si possono distinguere come segue: 

a) L'azione di grazie (che si esprime specialmente nel prefazio): il sacerdote, a nome di tutto il popolo santo, glorifica


Dio Padre e gli rende grazie per tutta l'opera della salvezza o per qualche suo aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno, della festa o del Tempo.


b) L'acclamazione: tutta l'assemblea, unendosi alle creature celesti, canta o recita il Santo (Sanctus). Questa acclamazione, che fa parte della Preghiera eucaristica, è pronunziata da tutto il popolo col sacerdote.


c) L'epiclesi: la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza divina, perché i doni offerti dagli uomini vengano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno.


d) Il racconto dell'istituzione e la consacrazione: mediante le parole e i gesti di Cristo, si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell'ultima Cena, quando offrì il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, lo diede a mangiare e a bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero.


e) L'anamnesi: la Chiesa, adempiendo il comando ricevuto da Cristo Signore per mezzo degli Apostoli, celebra la memoria di Cristo, ricordando soprattutto la sua beata passione, la gloriosa risurrezione e l'ascensione al ciclo.

f) Sofferta: nel corso di questa stessa memoria la Chiesa, in modo particolare quella radunata in quel momento e in quel luogo, offre al Padre nello Spirito Santo la vittima immacolata. La Chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma anche imparino ad offrire se stessi e così portino ogni giorno più a compimento, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti42.


g) Le intercessioni: in esse si esprime che l'Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrestre, e che l'offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti, i quali sono stati chiamati a partecipare alla redenzione e alla salvezza acquistata per mezzo del Corpo e del Sangue di Cristo.


h) La dossologia finale che esprime la glorificazione di Dio: essa viene ratificata e conclusa con l'acclamazione del popolo.

La Preghiera eucaristica esige che tutti l'ascoltino con rispetto e in silenzio, e vi partecipino con le acclamazioni previste nel rito.

 

Riti di comunione

 

56. Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo Sangue come cibo spirituale43.


A questo mirano la frazione del pane e gli altri riti preparatori che dispongono immediatamente i fedeli alla comunione.


a) La preghiera del Signore (o Padre nostro): in essa si chiede il pane quotidiano, nel quale i cristiani scorgono anche un riferimento al pane eucaristico, e si implora la purificazione dei peccati, così che realmente «i santi doni vengano dati ai santi». Il sacerdote rivolge l'invito alla preghiera, che tutti i fedeli dicono insieme con lui; ma soltanto il sacerdote vi aggiunge l'embolismo, che il popolo conclude con la dossologia. L'embolismo, sviluppando l'ultima domanda della preghiera del Signore, chiede per tutta la comunità dei fedeli la liberazione dal potere del male.


L'invito (o monizione), la preghiera del Signore, l'embolismo e la dossologia, con la quale il popolo conclude l'embolismo, si cantano o si dicono ad alta voce.


b) Segue il rito della pace, con il quale i fedeli implorano la pace e l'unità per la Chiesa e per l'intera famiglia umana, ed esprimono fra di loro l'amore vicendevole, prima di partecipare all'unico pane.


Le Conferenze Episcopali stabiliranno il modo di compiere questo gesto di pace secondo l'indole e le usanze delle popolazioni.


c) II gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell'ultima Cena, sin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l'azione eucaristica. Questo rito non ha soltanto una ragione pratica, ma significa che noi, pur essendo molti, diventiamoun solo corpo nella comunione a un solo pane di vita, che è Cristo (1 Cor 10, 17).


d) llimmixtio: il celebrante mette nel calice una piccola porzione dell'ostia.


e) Agnello di Dio (Agnus Dei): mentre si compie la frazione del pane e l'immixtio, si canta dalla schola o dal cantore l'invocazione Agnello di Dio (Agnus Dei), alla quale risponde il popolo; oppure la si dice ad alta voce. Si può ripetere questa invocazione quante volte è necessario per accompagnare la frazione del pane. L'ultima invocazione termina con le parole dona a noi la pace (dona nobis pacem).


f) La preparazione personale del sacerdote: il celebrante si prepara con una preghiera silenziosa a ricevere con frutto il Corpo e il Sangue di Cristo. Lo stesso fanno i fedeli pregando in silenzio.


g) Quindi il celebrante mostra ai fedeli il pane eucaristico che sarà ricevuto nella comunione e li invita al banchetto di Cristo; poi insieme con essi esprime sentimenti di umiltà, servendosi delle parole del Vangelo.


h) Si desidera vivamente che i fedeli ricevano il Corpo del Signore con ostie consacrate nella stessa Messa, e nei casi previsti, facciano la comunione al calice, perché anche per mezzo dei segni, la comunione appaia meglio come partecipazione al sacrificio in atto44.


i) Mentre il sacerdote e i fedeli si comunicano, si esegue il canto di comunione; esso ha lo scopo di esprimere mediante l'accordo delle voci l'unione spirituale di coloro che si comunicano, dimostrare la gioia del cuore e rendere più fraterna la processione di coloro che si accostano a ricevere il Corpo di Cristo. Il canto comincia mentre il sacerdote si comunica, e si protrae per un certo tempo, durante la comunione dei fedeli. Se però è previsto che dopo la comunione si eseguisca un inno, il canto di comunione s'interrompa al momento opportuno. Come canto di comunione si può utilizzare o l'antifona del Graduale romanum, con o senza salmo, o l'antifona col salmo del Graduale simplex, oppure un altro canto adatto, approvato
dalla Conferenza Episcopale. Può essere cantato o dalla sola schola, o dalla schola o dal cantore insieme col popolo. Se invece non si canta, l'antifona di comunione proposta dal Messale viene recitata o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, se no dallo stesso sacerdote dopo che questi si è comunicato, prima di distribuire la comunione ai fedeli.


j) Ultimata la distribuzione della comunione il sacerdote e i fedeli, secondo l'opportunità, pregano per un po' di tempo in silenzio. Si può anche fare cantare da tutta l'assemblea un inno, un salmo o un altro canto di lode.


k) Nell'orazione dopo la comunione, il sacerdote chiede i frutti del mistero celebrato. Il popolo fa sua l'orazione con l'acclamazione Amen.

 

 

D) RITI DI CONCLUSIONE

 

57. I riti di conclusione comprendono:


a) Il saluto e la benedizione del sacerdote, che in alcuni giorni e in certe circostanze si può arricchire e sviluppare con Iterazione sul popolo» o con un'altra formula più solenne.


b) Il congedo propriamente detto, con il quale si scioglie l'assemblea, perché ognuno ritorni alle sue occupazioni lodando e benedicendo il Signore.

 

 

Capitolo III

 

UFFICI E MINISTERI NELLA MESSA

 

 

58. Nell'assemblea, che si riunisce per la Messa, ciascuno ha il diritto e il dovere di recare la sua partecipazione in diversa misura a seconda della diversità di ordine e di compiti45. Pertanto tutti, sia i ministri che i fedeli, compiendo il proprio ufficio, facciano tutto e soltanto ciò che è di loro competenza46: così che la stessa disposizione della celebrazione manifesti la Chiesa costituita nei suoi diversi ordini e ministeri.

 

I. Uffici e ministeri dell'Ordine sacro

 

59. Ogni legittima celebrazione dell'Eucaristia è diretta dal vescovo, o personalmente, o per mezzo dei presbiteri suoi collaboratori47. Quando il vescovo è presente a una Messa con partecipazione di popolo, è bene che presieda lui stesso l'assemblea, e che associ a sé i presbiteri nella celebrazione, per quanto è possibile concelebrando con loro.


Questo si fa non tanto per accrescere la solennità esteriore del rito, ma per esprimere con maggior chiarezza il mistero della Chiesa, sacramento di unità48.


Se il vescovo non celebra l'Eucaristia, ma ne affida il compito a un presbitero, è bene che sia lui a presiedere la liturgia della Parola e a impartire la benedizione alla fine della Messa.

 

60. Anche il sacerdote che nella comunità dei fedeli è insignito del potere derivategli dall'Ordine sacro di offrire il sacrificio nella persona di Cristo49, presiede l'assemblea riunita, ne dirige la preghiera, annuncia a essa il messaggio della salvezza, si associa il popolo nell'offerta del sacrificio a Dio Padre per Cristo nello Spirito Santo, distribuisce ai fratelli il pane della vita eterna e partecipa con essi al banchetto. Pertanto, quando celebra l'Eucaristia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine, deve far sentire ai fedeli la presenza viva di Cristo.

 

61. Tra i ministri ha il primo posto il diacono, il cui ordine già dagli inizi della Chiesa fu tenuto in grande onore. Nella Messa il diacono ha come ufficio proprio: l'annunciare il Vangelo e talvolta predicare la parola di Dio, proporre ai fedeli le intenzioni della preghiera universale, servire il sacerdote, distribuire ai fedeli l'Eucaristia, specialmente sotto la specie del vino, ed eventualmente indicare all'assemblea i gesti e gli atteggiamenti da assumere.


______________

 

1) Cf SC 41; LG 11; PO 2, 5, 6; CD 30; UR 15; EM 3e, 6.

2) Cf SC 10.

3) Cf SC 102.

4) Cf PO 5; SC 10.

5) Cf SC 14, 19, 26, 28, 30.

6) Cf SC 47.

7) Cf SC 14.

8) Cf SC 41.

9) Cf PO 13.

10) Cf SC 59.

11) Cf per le Messe nei gruppi particolari: AcP; per le Messe con i fanciulli: PB (cf pp. 286 ss); sul modo di unire le Ore dell'Ufficio con la Messa: IGLH 93-98 (cf pp. 663-665)

12) SC 37-40.

13) Cf PO 5; SC 33.

14) Cf Conc. trid., sess. XXII, Doctrina de ss. Missae sacrificio, cap. 1: DS 1739-1742; Paolo VI, Sollemnis professio fidei, 30.6.1968, n. 24: EV III, 560.

15) Cf SC 7; MF: EV II, 424; EM 9.

16) Cf SC 56; EM 10

17) Cf SC 48, 51; DV 21; PO 4.

18) Cf SC 7, 33, 52.

19) Cf SC 33.

20) Cf S. congr. per il culto divino, Lett. circ. Eucharistiae participationem, 27.4.1973, n. 14: EV IV 2492

21) Cf MS 14

22) Cf SC 26, 27; EM 3d.

23) Cf SC 30.

24) Cf MS 16a.

25) Sermo 336, 1: PL 38, 1472.

26) Cf. MS 7, 16; Messale Romano, Ordinamento dei canti della Messa, ed. tip. 1972, «Premesse»: EV IV, 1669 ss

27) Cf SC 54; IOe 59; MS 47.

28) Cf SC 30.

29) Cf SC 39.

30 Cf SC 30; MS 17.
31) Cf SC 33.

32) Cf SC 7.   

33) Cf SC 51.

34) Cf IOe 50.

35) Cf SC 52.

36) Cf IOe 54.

37) Cf IOe 53.

38) Cf SC 53.

39) Cf IOe 56.

40) Cf SC 47; EM 3a, b.

41) Cf IOe 91; EM 24.

42) Cf SC 48; PO 5.
43) Cf EM 12, 33a.
44) Cf EM 31, 32; sulla facoltà di comunicarsi due volte nello stesso giorno: cf CIC, c. 917.

45) Cf SC 14, 26.

46) Cf SC 28.

47) Cf LG 26, 28; SC 42.

48) Cf SC 26.

49) Cf PO 2; LG 28.

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