L'Arcivescovo Ferdinando Lambruschini  - Scritti

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Ferdinando Lambruschini

La Giustizia virtù non facile

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CAPITOLO VI

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LA GIUSTIZIA E IL BENE COMUNE
Che cosa è il bene comune
Ampiezza del bene comune
Tutti e ciascuno al servizio di tutti e di ciascuno
La posizione dei cattolici

  

CAPITOLO VI

 

LA GIUSTIZIA E IL BENE COMUNE

 

Chi ha avuto la pazienza di leggere i precedenti capitoli, troverà logico che dedichiamo qualche considerazione al bene comune, intimamente legato alla nozione stessa di giustizia nella sua accezione più generale. Se è vero che nella tradizione medioevale si è data maggiore evidenza alla giustizia commutativa, è pure vero che l’affermazione di essa non si è mai compresa prescindendo dal bene comune, la cui formulazione è già chiara sufficientemente nel pensiero greco-romano.

Per il medioevo basterà citare un testo lucido di S. Tommaso: « E' fuori discussione che quanti vivono in una comunità rimangono ad essa subordinati, come parti alla totalità. L’essenza stessa della parte consiste in detta subordinazione e quindi ogni bene della parte deve essere ordinato al bene della comunità. Sotto questo aspetto il fine di qualunque virtù morale, anche se ordinata al perfezionamento della persona in sè o nei riguardi di altre persone, deve essere riferito al bene comune che è proprio della giustizia. Ne segue che tutte le virtù rientrano nell’ambito della giustizia generale, in quanto sono ordinate al bene comune ».

Leone XIII aveva certamente presente questo testo quando affermava che il bene comune, dopo Dio, è la prima e ultima ragione della convivenza umana.

 

Che cosa è il bene comune

 

Pio XII indica il bene comune nella duratura realizzazione di tutte le condizioni esteriori necessarie all’insieme dei cittadini, per lo sviluppo delle loro qualità materiali, intellettuali e morali.

L’espressione di bene comune viene dalla tradizione più antica e non se ne può accettare come equivalente quella di interesse generale, che pure è preferita da molti politici oggi. Infatti la stessa parola « bene » richiama la presenza della volontà, che vi tende naturalmente e quindi della moralità, in quanto implica un perfezionamento nella linea dell’umanità.

Per fare qualche esempio la fabbricazione degli alcoolici, lo sfruttamento degli schiavi, la prostituzione ecc. possono rispondere ad un interesse generale della società, ma nessuno potrebbe inserirle nel quadro del bene comune, che esclude la degradazione della persona umana, qualunque siano i vantaggi che ne ricavano altri uomini o la stessa comunità.

Non si può prescindere dagli interessi generali, ma essi devono restare subordinati ad una ragione di perfezionamento reale e quindi spirituale, che si concreta nella linea del progresso umano.

In nome del bene comune possono essere richiesti ed attuati i più grandi sacrifici nell’ordine temporale, fino a quello della vita stessa, ma sempre nel quadro di esaltazione dei valori umani, mai in vista di un benessere puramente materiale, come ha sempre avvertito il senso innato dei popoli, che esalta il medico, il soldato, lo scienziato e il missionario, nell’affrontare i rischi più gravi per gli ideali più alti dell’umanità.

Il bene comune non può essere dato da una semplice addizione di interessi dei singoli: esso riveste un aspetto di totalità, volta al bene di tutta la collettività, per discenderne poi ad arricchire i singoli cittadini, le famiglie e le altre organizzazioni particolaristiche.

Non si dimentichi mai la dimensione umana del bene comune, che avendo lo scopo di perfezionare l’uomo, deve essere considerato prima di tutto come un bene morale, da preferirsi agli interessi particolari di persone o di gruppi parziali. La sua prima funzione è quella di concorrere all’istaurazione delle condizioni più favorevoli alla prosperità dei popoli.

 

Ampiezza del bene comune

 

Gli elementi indicati sono sufficienti a dare una idea amplissima del bene comune, cui deve tendere l’economia sociale, che, ammonisce Pio XII, deve mettere alla portata di tutti i cittadini, in modo stabile, le condizioni materiali necessarie per lo sviluppo ordinato della loro vita culturale e spirituale. Tale stabilità non può prescindere da un sano ordine pubblico, che assicuri il rispetto della libertà e dei diritti umani, la protezione dei cittadini e dei loro beni e l’esercizio imparziale della giustizia.

Già Leone XIII insegnava nella Rerum novarum che mettendo al servizio di tutti l’economia, i governanti devono fare in modo che attraverso le leggi e le istituzioni venga assicurata la prosperità pubblica e privata.

L’autorità infatti non è tanto qualificata dall’idea del dominio e della costrizione, quanto da quella di un pubblico servizio. Sarà sua cura provvedere i beni di ordine materiale ed economico, organizzando la produzione, procurando abbondanza di derrate e di ricchezze, attraverso una sana circolazione dei beni facilitata dalle vie di comunicazione, nel giusto equilibrio dell’industria e del commercio, dell’agricoltura e dell’artigianato, in modo da favorire una equa partecipazione di tutti ai beni del paese.

E' anche naturale che gli sforzi dei governanti siano orientati al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini più disagiati, per mezzo di una fiscalità moderata e giusta, e la difesa del potere di acquisto della moneta. Nel quadro del bene comune le autorità metteranno in primo piano la possibilità di un lavoro conveniente per tutti. Non è qui il caso di affrontare la dibattuta questione del diritto al lavoro, ma anche senza difendere un diritto dei cittadini al lavoro da parte dello Stato, sono innegabili le responsabilità delle autorità riguardo al lavoro nell’ambito del bene comune. Basti pensare alle conseguenze della disoccupazione nei giovanissimi, che vi troverebbero un coefficiente di educazione, nei giovani, che rientrando dal servizio militare non hanno un lavoro per affrontare la vita, la scelta dello stato e l’avvenire, le tristi prospettive nei padri di famiglia disoccupati o con salario del tutto insufficiente alle necessità della vita o comunque viventi in condizioni di instabilità e di insicurezza.

Ma questi elementi essenziali ed altri, che si potrebbero aggiungere, nell’ambito della prosperità materiale, non possono essere che la base di un benessere più alto.

Il dominio della natura per mezzo della tecnica può dare un grandissimo contributo alla prosperità generale, se non resta prigioniero di schemi puramente tecnici e materialistici. L’istruzione deve essere accessibile alle masse popolari come mezzo fondamentale per la loro elevazione, ma non è meno necessaria la disciplina morale, che difende i valori dell’interiorità, della volontà e della personalità. La tecnica non deve rappresentare una scissione dell’uomo, diminuendo i valori più schiettamente umani dell’intelligenza e dell’amore, che si affermano soprattutto nella vita morale. Una prosperità materiale, che prescinde dallo sforzo morale, dal dominio delle passioni, dall’amore del vero, del bello e del buono, dallo spirito di sacrificio a vantaggio di tutti, non potrebbe che ingenerare superficialità ed egoismo, degradazione ed arbitrio, avvilendo l’umanità invece che innalzarla.

Disse giustamente Pio XII che le riforme sociali imperiosamente richieste dai tempi moderni, esigono dagli uni spirito di rinunzia e di sacrificio, dagli altri senso di responsabilità e costanza, da tutti un lavoro duro e impegnativo.

Nella vita morale ha una parte preponderante il culto divino e la pratica religiosa, che entrano così nell’ambito del bene comune.

L’uomo, sia come individuo, sia come comunità, non può non riconoscere i suoi limiti e prescindere da Dio, autore insieme dei singoli uomini e della società, per la realizzazione di quei valori più universali, che i singoli sarebbero incapaci di raggiungere.

Sarebbe tragico che l’uomo si valesse di alcuni doni del Creatore, come l’esistenza e la vita sociale, per negare i doni più alti, apportati dalla Rivelazione. Come la prosperità materiale deve essere aperta a quella superiore dello spirito, così questa deve saper guardare al di là dei propri confini, verso Dio: né da ciò si deve temere una diminuzione dello sforzo umano.

Tutto ciò che apre e arricchisce l’apertura verso Dio é la più grande ricchezza dell’uomo. Come non avrebbe significato una prosperità materiale che compromettesse la dimensione umana, così non avrebbe senso una prosperità umana, ma chiusa, che compromettesse la dimensione divina, componente necessaria dell’umanità, dopo la Rivelazione di Cristo.

A buon diritto Leone XIII dichiara che procurare il bene comune significa fare in modo che la stima della religione sia superiore a qualunque altra cosa e che la fede cristiana possa e debba estendere la sua naturale e mirabilmente salutare influenza agli interessi politici, domestici ed economici.

 

Tutti e ciascuno al servizio di tutti e di ciascuno

 

Secondo una profonda considerazione di Pio XII, il bene comune è tanto richiesto dalla natura dell’uomo, materiale e spirituale insieme, quanto dal fine stesso che sorge spontaneamente dalla convivenza umana.

Prescindere da questi due poli, è lo stesso che scuotere le colonne, sulle quali riposa la società, comprometterne la tranquillità, la sicurezza e la stessa esistenza. Risponde infatti al piano di Dio che tutti gli uomini, legati dalla comunanza della natura, non vivano solo gli uni agli altri vicini, ma si mettano anche gli uni al servizio degli altri, tutti e ciascuno al servizio di tutti e di ciascuno. Come c’è un bene comune nell’ambito dei singoli stati, così c’é un bene comune sul piano universale dell’umanità: ne vengono problemi nuovi, formidabili, universalmente sentiti, come quello dell’aiuto ai popoli arretrati.

Finora è più facile determinare, come abbiamo cercato di fare, il bene comune nel quadro dei singoli Stati, perché non si può fare astrazione da un ordine pubblico stabile, permanente, assicurato da una organizzazione di governo e di autorità. Si deve tuttavia ammettere che il mondo cammina velocemente verso forme unitarie, che non possono restare a lungo troppo generiche, legate a sentimentalismi più o meno vaghi.

E' superfluo sottolineare l’attualità di questi problemi immani, nei quali la Chiesa, depositaria di un patrimonio indefettibile di verità e di moralità, deve esercitare un ruolo decisivo e insostituibile per affermare i valori umani più profondi.

I documenti degli ultimi Pontefici, specialmente Leone XIII, Pio XI e Pio XII, cui ci siamo riferiti frequentemente, possono costituire validissime presenze, non soltanto per dotte elucubrazioni speculative o sottili esegesi, ma anche per una realizzazione destinata a incidere profondamente nel cammino dell’umanità verso il progresso materiale, spirituale e soprannaturale. Giudichino pertanto i benevoli lettori quanto siano false le tesi di colono che attribuiscono l’interessamento al bene comune agli ultimi due secoli di storia sociale.

 

La posizione dei cattolici

 

Nella più genuina tradizione cattolica la considerazione del bene comune ha sempre avuto la maggiore evidenza e la Chiesa ha sempre guardato benevola alla elevazione materiale e morale degli umili.

Se non si hanno delle definizioni in proposito da parte della Chiesa, dipende forse dalla grande mobilità degli elementi che costituiscono la natura del bene comune, la cui importanza non è mai stata sottovalutata.

Tra le varie concezioni del bene comune, che anche oggi si disputano la vittoria, dalla presentazione dei marxisti, che sacrificano ad esso, come ad un idolo, i valori delle singole persone, a quella del liberalismo economico, che invece lo subordina completamente al gioco degli interessi personali, la dottrina della Chiesa procede su una via media di equilibrio e di dosatura, che armonizza nel bene comune le esigenze dei singoli cittadini con quelle della società.

Abbiamo tentato di indicare qualche linea della dottrina sociale della Chiesa sulla scorta dell’insegnamento pontificio, che tuttavia lascia larghissimo margine alla riflessione ed iniziativa dei fedeli, impegnati nella realizzazione del programma cristiano.

Nei cattolici si manifestano incertezze e carenze sul piano della concretezza e si dovrebbe, a nostro avviso, studiare la cosa per ovviare a tali inconvenienti: ma le indicazioni del Magistero ecclesiastico sono lineari, in quanto si oppongono alle concezioni marxista e liberale, che presentano un concetto assai mutilato del bene comune, perché entrambe lo restringono erroneamente al livello di un benessere materiale, viziato da egoismi partigiani, che fanno perdere il senso genuino del servizio comune.

    L’edonismo liberale e le mistificazioni marxiste si ritrovano insieme nel presentare il bene comune come un bene generale di ordine puramente economico, falsandone o negandone il significato più profondamente umano e cristiano. Il senso autentico del bene comune comporta la salvaguardia dei diritti intangibili della persona umana, per facilitarle il compimento dei suoi doveri. Ora nessun diritto può essere intangibile e nessun dovere può derivarne in linea di necessità logica, se non si parte dalla spiritualità dell’uomo, ugualmente negata da liberali e marxisti, anche se poi approdano a conclusioni opposte.

 

 


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