L'Arcivescovo Ferdinando Lambruschini  - Scritti

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Ferdinando Lambruschini

La Giustizia virtù non facile

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CAPITOLO I

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CONSIDERAZIONI  PRELIMINARI
Giustizia e cristianesimo
Convergenze storiche
La giustizia come virtù morale
La teologia nella giustizia

                                                                 

CAPITOLO I

 

CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

 

Una buona parte di un anno scolastico è consacrata nei corsi teologici allo studio della giustizia; ma di tutti i trattati studiati nella teologia morale è questo il più difficile ad attuarsi nella vita pratica, cui pure a prima vista sembra più vicino.

Mentre infatti per gli altri trattati si può riscontrare al massimo un distacco tra formulazione teorica e prassi di vita, in materia di giustizia si può avere uno « hyatus » anche tra modi diversi e opposti di vita.

   

Giustizia e cristianesimo

   

In nessun altro trattato della nostra morale si hanno interferenze e contrasti così profondi tra la teologia come visione soprannaturale della vita terrena e le attività umane nelle loro finalità immediate.

Chi fermasse la sua attenzione alla superficie potrebbe facilmente essere tentato di concludere ad una inconciliabilità tra la giustizia della morale cattolica e l’organizzazione della vita sociale.

Di fatto gli antichi pensatori che hanno preceduto il cristianesimo, tra le virtù morali, dalle quali separavano la prudenza come puramente intellettuale, ritenevano la giustizia la più importante di tutte, la virtù suprema che presiede al complesso delle relazioni oggettive tra gli uomini. Alcuni pensatori moderni, dei quali in qualche modo si potrebbe dire che hanno fatto seguito al cristianesimo, pur sapendo benissimo che il Vangelo sopravvivrà nella sua totalità immutabile ai loro meschini progetti, vorrebbero saltare i secoli di storia cristiana per collegarsi direttamente ai filosofi del paganesimo, che ignorando la vocazione eterna e divina dell’uomo, miravano a realizzare pienamente gli ideali umani sulla terra, mettendo appunto la giustizia come virtù suprema.

Ci si può chiedere se è possibile per i cristiani difendersi vittoriosamente da un metodo di pensiero che li mette sotto processo.

La risposta non è dubbia, se si approfondisce alquanto l’evoluzione della storia dei rapporti tra il cristianesimo e la giustizia.

Anche in questo campo infatti, si è avverato il principio che il cristianesimo non distrugge, ma piuttosto costruisce sulla natura. S. Ambrogio nei tre libri su i « Doveri » non si fa scrupolo di prendere come modello l’opera omonima di Cicerone, seguendone lo schema, come otto secoli più tardi, S. Alberto M. e S. Tommaso, con una pacatezza che nasconde studi profondi e superamento di lotte vivissime, daranno cittadinanza cristiana con i loro mirabili commenti all’Etica di Aristotele.

S. Ambrogio, che segue lo schema di Cicerone, non ha difficoltà ad accettare, in particolare, che la giustizia consiste nel non far male a nessuno, ma rifiuta energicamente la limitazione ciceroniana « a meno di essere provocati »: il cristiano infatti, anche se provocato, resterà fedele alla consegna di fare sempre del bene a tutti sull’esempio del Maestro divino, venuto a portare il perdono e non la vendetta.

Il Vescovo di Milano non poteva dimenticare che secondo S. Matteo, se facciamo del bene e salutiamo solo coloro che ci ricambiano nel bene e nel saluto, non siamo diversi dai pagani e dai pubblicani.

L’insegnamento e l’esempio di Cristo esige da noi anche l’amore dei nemici osservando la giustizia nei loro confronti.

Nessuno vorrà contestare la superiorità della giustizia del Vangelo su quella dei pagani e senza entrare in questioni difficili, ci basti riferirci ad una espressiva frase di Gandhi, che pur non essendo arrivato al cristianesimo, si ispira abbondantemente alla linea del Vangelo: « la giustizia separata dalla religione è come un cadavere da seppellire al più presto ».

 

Convergenze storiche

 

Riservando ad altro capitolo alcune considerazioni circa i rapporti, benefici e non nefasti, tra giustizia e carità, limitiamoci a guardare un momento la situazione derivata dall’incontro del cristianesimo con il paganesimo e la barbarie.

E’ vero che ne sono seguiti secoli di oscuramento dei valori civili a tutti ben noti, ma non tutti sono in condizione di afferrare l’attivissimo lavorio nelle profondità della storia. La semente di una nuova umanità doveva nascere dal travaglio di un germe alle prese con le forze oscure del sottosuolo.

 

E da questo intimo, lungo e doloroso travaglio è nata la società medioevale, basata sulle aspirazioni alla giustizia e dalla quale si svilupperà la società moderna. Non possiamo pretendere di giudicare le lentezze della storia del passato con la velocità della nostra era atomica, ma non si può non vedere che la giustizia dopo il secolo XI diventa a poco a poco l’ideale anche politico dei popoli e nello stesso tempo si trova in primo piano tra le preoccupazioni della Chiesa.

Nel 1234 le convenzioni stabilite tra il popolo e la nobiltà di Perugia sono scritte su una lapide chiamata « pietra di giustizia ».

La compagnia armata del popolo contro i nobili di Bologna nel 1271 si chiama « compagnia di giustizia » ed a Firenze gli oppressi insorgono contro il despotismo al grido di « giustizia ». La giustizia viene concepita al di sopra dei partiti come fonte di equilibrio dei diritti e dei doveri reciproci e Giano della Bella davanti agli eccessi di coloro stessi che lo avevano portato al potere, grida « Perisca la città, piuttosto che si compiano simili ingiustizie ». Ognuno vede quanto sarebbe di attualità questo monito nelle innumerevoli lotte fratricide dei nostri tempi.

E l’ingiustizia che fa nascere contrasti, odi e guerre, mentre la giustizia favorisce la concordia e la pace.

Un movimento così diffuso e imperniato sulla giustizia è con temporaneo all’opera teologica di S. Tommaso e degli altri grandi Scolastici, che hanno impresso un volto ad un mondo in fermento.

Sulle cattedre dei maestri scolastici erano trattati con estrema franchezza tutti i problemi della giustizia riguardanti l’organizzazione del lavoro, l’origine e i limiti della proprietà, il godimento dei beni individualmente e in comune, la promozione del benessere, il compito del danaro e del commercio.

L’audacia del pensiero speculativo non aveva limiti nei canonisti e nei teologi e veniva temperata solo dalla ragione pratica. Se ne accorsero gli ordini mendicanti alla fine del secolo XIII, quando si resero conto che stavano per imboccare le vie dell’anarchismo egualitario.

Anche se S. Tommaso, tenendosi in stretto contatto con la linea aristotelica, vuole accentuare l’importanza dei principi generali che presiedono alle vicende umane, non si può pensare neppure lontanamente che l’evoluzione delle realtà sociali non sia stata nello stesso tempo causa ed effetto della maturazione delle idee dibattute nelle scuole: le reciproche relazioni tra lo sviluppo della storia e la forza delle idee sono assai più profonde di quanto appaiano ad una considerazione superficiale.

 

La giustizia come virtù morale

 

S. Tommaso utilizza ampiamente le raccolte dei canonisti del suo tempo, ma sa elevarsi a più alte considerazioni sulla giustizia come virtù morale, ossia come una disposizione interiore della volontà a dare a ciascuno ciò che gli è dovuto, mentre gli antichi vedevano in essa piuttosto la realizzazione dell’ordine sociale sulla falsariga della legge.

Basta questo accenno per sfatare l’accusa fatta qualche volta a S. Tommaso di essere rimasto ancorato ad un formalismo che risolve la giustizia in un falso giuridicismo, di cui si può piuttosto indicare come responsabile il nominalismo, sviluppatosi posteriormente.

Si dovrà invece dire che S. Tommaso, pur basando l’oggettività della giustizia sul diritto che si deve agli altri, si mette da un punto di vista soggettivo. L’oggetto della giustizia, che è il diritto, deve essere reso a tutti gli uomini e qui si trova la base più vera della socialità, ma prima di tutto la giustizia deve essere concepita come una virtù morale.

Di fatto se le soluzioni alle questioni dogmatiche, sulla SS. Trinità ad esempio, possono formularsi in modo identico per tutti i tempi e tutti i luoghi, le questioni morali relative alla giustizia dipendono in parte da dati esteriori, sociali, essenzialmente variabili, che modificano l’applicazione dei principi e le valutazioni morali del teologo.

S. Tommaso si preoccupa soprattutto di far vedere le convergenze dell’etica e della politica dei pensatori pagani, come gli stoici e Aristotele, con il punto di vista della Rivelazione e dell’insegnamento dei Padri; ma quando Leone XIII e, dopo di lui, Pio XI c Pio XII, vorranno affrontare i problemi imposti in tema di giustizia dall’evoluzione della società moderna e contemporanea, si riferiranno volentieri ai principi della Somma Teologica.

 

La teologia nella giustizia

 

Nel cristianesimo non è sufficiente trattare della giustizia dal punto di vista della morale, ma si richiede anche l’intervento della Teologia ed il riferimento all’ordine soprannaturale.

Non per nulla nella Somma Teologica vicino al grande influsso esercitato dal pensiero di Aristotele giganteggia quello di S. Agostino, il quale pur accettando, a denti un pò stretti, la bontà della linea morale elaborata dagli stoici seguendo gli aristotelici e i neoplatonici, dichiara a piene note che la moralità dei cristiani deve essere misurata prevalentemente dai principi della Rivelazione.

Mentre gli stoici ordinavano la vita morale dell’uomo alla giustizia in quanto realizza sulla terra gli ideali dell’umanità, S. Agostino orienta la vita morale dei cristiani alla carità, che si realizza pienamente nella vita eterna. Così anche la giustizia viene posta nell’ambito della carità. La cosa non era difficile per S. Agostino, per il quale la giustizia è come un piano generale dell’universo, in cui tutte le cose si trovano subordinate gerarchicamente, in modo che tutto il creato serva all’uomo e l’uomo serva a Dio.

S. Tommaso accoglie naturalmente questa grandiosa visuale, ma non gli sfugge una carenza fondamentale, che cioè la giustizia, in senso stretto e diretto, comprende solo le relazioni tra gli uomini sul piano della socialità, mentre le relazioni con Dio sono regolate dalla religione, che non si può ridurre ad una forma di stretta giustizia.

S. Tommaso ha voluto tenere i piedi saldamente sulla terra; senza lasciarsi afferrare dalle altezze, che danno l’incertezza delle vertigini.

Il punto di vista di S. Tommaso, accettato e sviluppato dal grandissimi teologi del secolo d’oro spagnolo, come Molina e Lugo nei monumentali trattati sulla giustizia e il diritto (« De iustitia et june »), si è rivelato di un grande equilibrio, ancora non superato, che possiamo racchiudere nella seguente breve conclusione: la giustizia è subordinata alla carità, ma non in essa assorbita.

 


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