L'Arcivescovo Ferdinando Lambruschini  - Scritti

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Ferdinando Lambruschini

La Giustizia virtù non facile

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CAPITOLO IV

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GIUSTIZIA E DIRITTO
Diritto oggettivo e diritto soggettivo
Autonomia umana e oggettività del diritto
Il diritto oggettivo fondamento primo della giustizia

 

CAPITOLO IV

 

GIUSTIZIA E DIRITTO

 

    Il diritto è il fondamento della giustizia e perché questa non venga ridotta a semplice arbitrio di una persona o collettività è necessario che tale fondamento sia oggettivo.

    Vorremmo dare qualche nozione più ampia in proposito per non lasciare l’impressione che per restare fedeli alla tradizione scolastica, traguardo nobilissimo, ma non immobile dell’umanità, ignoriamo programmaticamente le conquiste di oggi.

 

Diritto oggettivo e diritto soggettivo 

 

    Il diritto appartiene a quelle realtà e nozioni primordiali, che tutti comprendiamo al volo, di primo acchito, e di cui nessuno, tuttavia, sa presentare una definizione propriamente detta e cattivante. Anche i bambini di pochi anni nei loro giochi sanno benissimo di avere dei diritti, che gli altri devono rispettare, ma nessuno ne chiederebbe loro una spiegazione o giustificazione.

    Lo stesso avviene nelle relazioni degli adulti: tutti siamo assai pronti a percepire i diritti nei confronti degli altri, ma pochi sanno darne una giustificazione piena e forse nessuno sa indicarne la ragione profonda al di là di una costatazione della stessa struttura sociale, fondata in ultima analisi sulla natura dell’uomo.

     Gli studiosi si sforzano naturalmente di indagare e trovare tale ragione profonda; ma poiché essi se ne vanno spesso in direzione opposta e qui ci preoccupiamo solo di esporre il punto di vista, che crediamo comune ai cattolici, ci limiteremo a trattare la cosa sotto un aspetto generale.

    Gli autori antichi preferivano partire dalla considerazione del diritto oggettivo, quasi identificato con il giusto (ius = iustum) secondo un orientamento di conformità adeguata o proporzionale ad altra persona: gli autori moderni, ritenendo ingenua tale impostazione, preferiscono partire dalla considerazione del diritto soggettivo, presentato come un potere inerente ad una persona di avere o di esigere, qualche cosa, di compiere od omettere qualche azione, a proprio vantaggio personale.

    Anche nel campo del diritto si mostra acuito il contrasto tra la mentalità oggettiva degli antichi e quella soggettiva dei moderni, contrasto cominciato nell’ordine della metafisica e passato poi inevitabilmente nell’ordine della morale e del diritto. Alla scuola classica che ha dominato fino al secolo decimosettimo si è così andata sostituendo la scuola positivista, il cui indirizzo oggi appare predominante.

    A torto però si rimprovera ai nostri scolastici di aver ignorato il diritto soggettivo, restando ancorati a quello oggettivo: infatti il diritto come potere esclusivo della persona e come facoltà del soggetto è sempre stato ampiamente riconosciuto, affermato e attuato, anche se non sempre teorizzato.

    D’altra parte l’attaccamento all’oggettività del diritto è irrinunciabile e nella prevalenza odierna della considerazione soggettiva è assai urgente la necessità di restare fedeli alla oggettività, se si vuole distinguere sanamente il diritto come potere e facoltà dal diritto come semplice dato di fatto, costituito dal prevalere di una volontà personale o collettiva, come purtroppo sembrano ammettere alcune tra le scuole positiviste.

    La facoltà di avere o di esigere qualche cosa, di compiere o di omettere una prestazione, deve essere indipendente da qualunque condizione estranea e soprattutto da qualunque arbitrio. Solo in questo senso si può affermare che al diritto di una persona corrisponda un dovere correlativo in altra persona.

    E se il diritto oggettivo viene a confronto con quello soggettivo, il primo deve essere sempre considerato come primario, cioè posto indipendentemente da condizioni soggettive e arbitrarie, rispondendo ad una esigenza obbiettiva di uguaglianza e di proporzione nei rapporti con gli altri. E proprio solo su questa base soggiacente può essere giustificata la preminenza della considerazione soggettiva del diritto stesso è senza pericolo di evadere nel vuoto o nel formalismo.  

 

Autonomia umana e oggettività del diritto

 

    E’ innegabile che il diritto è una facoltà della volontà e quindi rientra nell’affermazione dell’autonomia della persona umana, ma tale autonomia non deve essere spinta fino a immedesimarsi con l’assoluto, fuori di ogni schema razionale, ma deve essere conforme alla sana ragione, la cui rettitudine è vincolata dalla legge naturale, prima che dalla legge positiva.

    Tutti possiamo essere e siamo di fatto d’accordo nell’ammettere che l’autonomia della persona nella sua incomunicabilità e inviolabilità è la fonte immediata del diritto. Solo alla persona umana infatti compete la responsabilità del proprio orientamento liberamente scelto verso il fine ultimo o i fini parziali della vita; essa soltanto è padrona dei propri atti, come non sono e non possono essere gli animali, che di fatto non sono considerati soggetto di diritto. L’uomo però non è solo una realtà di ordine morale, ma anche razionale e come tale deve conoscere il suo posto nell’ordine universale senza pretendere di valicarne i confini: consapevole dei suoi limiti di creatura l’uomo deve guardarsi dal pretendere di mettersi al posto di Dio.

    Solo la considerazione astratta dell’uomo come entità morale pura può portare all’affermazione esclusiva del diritto soggettivo a scapito di quello oggettivo, creando una confusione babelica. Chi invece considera l’uomo come realtà concreta, razionale e morale, intellettuale e sensibile non avrà difficoltà a contemperare insieme i diritti della persona con l’esigenza oggettiva del diritto e della giustizia.

 

Il diritto oggettivo fondamento primo della giustizia

 

    Occorre tener presente la nozione primaria del diritto, comune a tutti i popoli civili per poter fronteggiarne le infinite diversità di interpretazione. Essa importa infatti una relazione di più persone sulla base di una uguaglianza (nella giustizia commutativa) o di una proporzione (nella giustizia legale e distributiva), che si trova in un ordine oggettivo, indipendente da ogni volontà. La mediazione tra le persone, che costituiscono gli estremi della relazione giuridica, è esercitata dalle cose e prestazioni, che sono il diritto oggettivo, mentre le persone stesse, cui tali cose e prestazioni sono dovute, sono i soggetti del diritto e del dovere corrispondente.

    Nella relazione giuridica si hanno dunque tre termini: due riguardano le persone, come estremi, dei quali uno ha un diritto, cui corrisponde nell’altro un debito: il terzo termine sta in mezzo ai due estremi come l’oggetto, nel quale le persone si incontrano e si uniscono con relazione reciproca, benché diversa, in quanto al diritto di una corrisponde il dovere dell’altra e viceversa.

    La relazione giuridica non è dunque una relazione disinteressata, diretta e immediata, come l’amicizia, ma interessata, indiretta e mediata proprio nel diritto oggettivo. In tal modo si raggiunge l’equilibrio delle persone e si pongono le basi dei rapporti sociali, che senza escludere il benefico apporto dell’amicizia devono essere improntate alla severità della giustizia.

    Vale la pena di avvertire che il diritto oggettivo non deve essere inteso esclusivamente nel senso materiale, come potrebbe essere una somma di danaro dovuta ad un creditore; anche le persone e l’attività umana è oggetto di diritto, la prestazione di un lavoro o di un servizio.

    Si rende così facile la trascrizione sul piano soggettivo della tradizionale divisione del diritto oggettivo in naturale e positivo, secondo che le cose o le prestazioni in base ad un criterio di uguaglianza o di proporzione, sono dovute e postulate dall’ordine naturale, indipendentemente da qualunque atto di volontà oppure da un intervento di essa.

    Per titolo di natura competono a tutti gli uomini, indipendentemente da ogni arbitrio e antecedentemente a qualunque intervento positivo i cosidetti diritti personali, non sempre distinti dalla persona stessa. Pio XII, infaticabile assertore dei diritti naturali nel nostro tempo che è riuscito a far riflettere anche i positivisti più ostinati, ne ha tracciato un elenco esemplificativo nel radio­messaggio natalizio del 1942: “Chi vuole che la stella della pace spunti... sostenga il rispetto e la pratica attuazione dei seguenti diritti fondamentali della persona: il diritto a mantenere e sviluppare la vita corporale, intellettuale e morale e particolarmente il diritto alla formazione ed educazione religiosa; il diritto al culto di Dio, privato e pubblico, compresa l’azione caritativa religiosa; il diritto, in via di massima, al matrimonio e al conseguimento del suo scopo, il diritto alla società coniugale e domestica; il diritto al lavoro, come mezzo indispensabile al mantenimento della vita familiare; il diritto alla libera scelta dello stato, quindi anche dello stato sacerdotale e religioso; il diritto ad un uso dei beni materiali, cosciente dei suoi doveri e delle limitazioni sociali”.

    Nell’ambito stesso dei diritti patrimoniali la sapiente distinzione tra diritti in re o reali e ad rem o personali dà ancora la massima evidenza al diritto soggettivo: si ha infatti il diritto reale, quando l’oggetto del diritto è già in possesso della persona avente diritto, come la casa, che uno possiede in proprietà o in affitto, mentre nel diritto personale la persona avente diritto può promuovere un’azione per entrare in possesso della cosa, come avviene per ha rivendicazione del credito.

    Lo stesso dominio o possesso patrimoniale non si esaurisce dunque nella realtà oggettiva, ma presupponendola, è costituito dalla facoltà di disporre liberamente delle proprie cose, pur riconoscendo alla società o alla legge titoli sufficienti per limitare tale dominio, inquadrandolo nel bene comune.

    Non é qui è caso di fare una valutazione completa dell’apporto del diritto oggettivo per il valore della giustizia, come virtù morale, che trova in esso il suo profondo contenuto. Basterà dire che è proprio il diritto nella sua oggettività a porre la giustizia al di sopra delle altre virtù morali. Infatti, mentre queste sono ordinate alla rettificazione delle passioni secondo un equilibrio razionale (virtus stat in medio rationis) in rapporto alla propria perfezione morale personale, da cui solo indirettamente ne viene un beneficio alla società, la giustizia tende direttamente a rettificare le azioni esteriori degli uomini nei loro rapporti sociali, secondo un equilibrio oggettivo di uguaglianza reale oltre che razionale (iustitia dicitur iuxta medium rei). Tale rapporto è di perfetta uguaglianza nella giustizia commutativa, di proporzione stretta in quella distributiva e di proporzione ampia in quella legale. A titolo di esempio, non potrà essere soddisfatto un debito di mille lire versandone al creditore solo ottocento (uguaglianza aritmetica): uffici invece ed oneri, onori e benefici devono essere distribuiti ai sudditi in relazione alle loro possibilità e necessità secondo un’uguaglianza di proporzione stretta; infine tutti devono contribuire al buon andamento della vita comune e sociale secondo un’uguaglianza di proporzione semplice delle disponibilità di mezzi e di uffici.

    Non si creda però che è bene comune si realizzi solo nella giustizia distributiva e legale, perché non è meno importante il contributo che vi porta la giustizia commutativa, essendo esso legato al diritto oggettivo e ad un concetto di alterità presente in tutte le tre specie di giustizia.

    S. Tommaso non ha alcuna esitazione nella risposta ad una obbiezione sulla presunta superiorità della liberalità sulla giustizia: é vero che la liberalità spinge a dare del proprio, ma solo in quanto la cosa viene considerata nella linea di un perfezionamento personale e quindi di un profitto privato, mentre ha giustizia spinge a dare a ciascuno ciò che gli spetta in vista del bene comune.

    Perciò la liberalità viene riservata ad alcuni, non potendosi estendere a tutti, mentre la giustizia deve essere osservata nel confronto di tutti. Onde la liberalità, pur distribuendo del suo, si fonda sulla giustizia, che dà a ciascuno il suo e non viceversa.

    Almeno da questo punto di vista l’Angelico accetta la superiorità della giustizia su tutte le altre virtù morali, sottoscrivendo due massime di     Aristotele e di Cicerone, nelle quali il primo, con insospettato lirismo, chiama la giustizia la perla delle virtù, più splendida della stella del mattino e di quella della sera, il secondo la chiama lo splendore più vivo della virtù, che rende veramente buoni gli uomini.

    Da alcuni secoli è cominciato un processo di specializzazione nelle scienze, che nessuno può fermare. Nel campo della teologia la dommatica è stata staccata dalla morale, nel campo filosofico la metafisica dall’etica e nella vita pratica il diritto dalla giustizia. Ammessa l’impossibilità di arrestare questo processo e riconosciuti anche dei lati positivi di esso, non dobbiamo nasconderne i lati nègativi o che possiamo riassumere nel pericolo del frammentarismo.

    Richiamando qualche riflessione sull’interdipendenza fondamentale delle nozioni di diritto e di giustizia cerchiamo di ovviare al pericolo che è diritto, senza la giustizia, diventi una forma vuota di formalismo pratico e che la giustizia senza i1 diritto diventi espressione del giuoco del più forte, contro ogni forma concreta di umanità. Non abbiamo certo la pretesa di riuscirci: ci basta aver suonato un campanello di allarme. Saremmo lieti se qualche lettore volesse trattare a fondo un problema così essenziale per la vita morale e sociale.

 


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