L'Arcivescovo Ferdinando Lambruschini  - Scritti

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Ferdinando Lambruschini

La Giustizia virtù non facile

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CAPITOLO V

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LA GIUSTIZIA E LE GIUSTIZIE
Una divisione, caduta in desuetudine della giustizia
Una divisione antica sempre attuale: le tre giustizie
La giustizia sociale
La giustizia sociale nei Documenti pontifici
« Coeli novi et terrae novae »

 

CAPITOLO V

 

LA GIUSTIZIA E LE GIUSTIZIE

 

    Tra le virtù cardinali, i greci, conformemente alla loro indole speculativa, assegnavano il primo posto alla prudenza o saggezza o sapienza, mentre i romani, conformemente alla loro mentalità pratica, assegnavano il primato alla giustizia. Questa ha un indiscutibile primato anche nel nostro tempo fondato sulla preminenza dei valori sociali, perché esprime più compiutamente la perfezione delle relazioni tra gli uomini, ossia della socialità, ma non si può dire che la giustizia abbia minore importanza nel pensiero cristiano, che pure la subordina alla carità. Se non abusassimo della pazienza dei lettori, potremmo attardarci su un paradosso, in certo senso: mentre la tradizione cristiana, pur esaltando la carità ha sviluppato la giustizia, il razionalismo moderno, per esaltare la giustizia, pretende di cancellare la carità dal novero delle virtù umane. Ora sappiamo che il pensiero cristiano ha portato alle magnifiche realizzazioni della società moderna, ma dubitiamo assai che il razionalismo moderno spalanchi le porte ad un vero progresso umano o all’involuzione dell’umanità. Non vogliamo essere profeti di malaugurio, ma nutriamo i nostri bravi dubbi in proposito.

 

Una divisione, caduta in desuetudine, della giustizia.

 

    Secondo il pensiero cristiano, la giustizia mette ogni uomo in rapporto non soltanto con tutti gli altri amici o nemici, parenti o estranei, ma anche con Dio.

    La terminologia scolastica, un po’ ostica alla orecchiabilità del nostro tempo, ma ricca di contenuto profondo, distingue le parti integrali e potenziali della giustizia. Le prime sono indicate in due aspetti generali del principio universalmente accettato, di fare il bene ed evitare il male, nelle relazioni con gli altri.

    Non si tratta di una considerazione cervellotica e arbitraria, perché la via alla giustizia, nella sua realizzazione negativa di non fare male a nessuno ed in quella positiva di fare del bene a tutti, viene posta nell’ambito della moralità, che ci fa vedere negli altri uomini delle persone che hanno dei diritti nei nostri confronti, come noi ne abbiamo verso di loro, con la reciprocità di conseguenti doveri. La cosiddetta giustizia integrale in fondo potrebbe intendersi, come l’anticipata formulazione, anche se involuta ancora, del pensiero di Kant, che invita a considerare gli altri uomini come fini e non come mezzi o strumenti dei nostri interessi particolari.

Si chiamano invece dagli scolastici parti potenziali della giustizia quelle virtù, che pur rientrando nell’ambito della giustizia come virtù cardinale, non ne realizzano pienamente la definizione.

Poiché l’essenza della giustizia consiste nel rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo un criterio di uguaglianza dei rapporti, l’incompletezza delle virtù potenziali si può verificare o nell’assenza di un diritto stretto o nella mancanza di una vera uguaglianza tra le parti. Sotto il primo aspetto si pongono l’amicizia e la liberalità, che pur non trovandosi sulla linea dello stretto dovere, hanno tanta importanza nella convivenza umana, mentre sotto il secondo rispetto rientrano nell’ambito della giustizia, sia pure imperfettamente, la religione, la pietà filiale e l’obbedienza alle autorità costituite.

Nella religione infatti rendiamo a Dio il culto che gli é dovuto; ma chi potrebbe illudersi di rendere tutto il culto dovuto, secondo una linea di uguaglianza, quando sappiamo che tra Dio e l’uomo si ha un abisso, in quanto l’uomo che tutto ha ricevuto da Dio, rende a Dio solo qualche briciola di ciò che ha ricevuto e può perfino giungere a ribellarsi al suo benefico Creatore con l’irreligione? Sia pure in forma minore non si verifica la linea dell’uguaglianza neppure nella pietà verso i genitori o verso la patria: dai genitori abbiamo ricevuto la vita, che non possiamo restituire, mentre spesso alla patria sacrifichiamo la nostra vita, senza ricavarne uguali vantaggi.

L’obbedienza infine ed il rispetto nei confronti dei superioni, costituiti in autorità, per la stessa natura delle cose, si basa più sull’ineguaglianza che sull’uguaglianza.

Quando si parla delle divisioni della giustizia, si fa appena cenno di queste forme di giustizia integrale o potenziale, di cui parlavano invece tanto volentieri gli scolastici. Troppe e troppo profonde differenze di metodologia e di didattica separano i nostri tempi da quelli di S. Tommaso e tuttavia non ci stancheremo di ripetere che, dietro metodologie divenute pressoché incomprensibili, si nascondono tesori di sapienza e di riflessione umana che, debitamente compresi, farebbero cadere molti equivoci e molte prevenzioni. Certamente le Somme del medioevo non si possono leggere come giornali o come settimanali illustrati, ma devono essere studiate e meditate con amore e passione per rivelare ricchezze nascoste e impenetrabili all’attenzione dei nostri contemporanei, spesso così superficiali e distolti dai più profondi problemi dello Spirito, perché chiusi in una falsa problematica, che si esaurisce in schermaglie più o meno retoriche. Anche alle cattedrali gotiche del 300 i superficiali preferiscono le nostre chiese moderne, più funzionali e ricche di luce, mentre lo studio e l’ammirazione dei cultori di arte ne proclamano gli altissimi pregi di fede e di umanità.

 

Una divisone antica sempre attuale: le tre giustizie

 

La divisione invece più accessibile e di sempre viva attualità pure nella formulazione antica e originaria é quella che ci presenta la giustizia commutativa, la giustizia distributiva e la giustizia legale.

Lasciando da parte le discussioni su i criteri teorici che danno origine alla divisione, possiamo accettarla come triplice espressione delle relazioni intrasubiettive, che caratterizzano la giustizia. Gli uomini infatti, che nelle reciproche relazioni devono essere guidati dalla giustizia, si possono considerare nella loro esistenza fisica, concreta e personale e nell’ambito della società, civile od ecclesiastica, cui appartengono. Ne sorgono tre specie di relazioni, quelle da persona a persona, regolate dalla giustizia commutativa che impone reciproci doveri e riconosce reciproci diritti, quelle dalla comunità alle persone, che ne fanno parte, regolate dalla giustizia distributiva ed infine quelle dalla persona-cittadino alla comunità, che lo protegge, regolate dalla giustizia legale.

Non sarà difficile ammettere che la definizione della giustizia data da Ulpiano come volontà ferma e perpetua di dare a ciascuno il suo, trova la piena attuazione nella giustizia commutativa. Questa é detta giustizia a rigore di diritto: solo infatti nelle relazioni da persona a persona si trova la perfezione dell’alterità secondo un criterio di uguaglianza assoluta.

Invece nella giustizia distributiva e legale non si  verifica né la perfetta alterità né la piena uguaglianza. La persona singolare, pur contrapponendosi alla comunità nell’esercizio dei diritti ad essa riconosciuti, non è del tutto estranea ad una società, di cui é parte e pertanto non se ne distingue secondo una perfetta alterità. Così per lo meno pensano vari Autori.

Che manchi poi la piena e assoluta uguaglianza nella reciprocità di doveri e di diritti è ancora più evidente, perché i cittadini non si possono trovare su un piede di uguaglianza nel portare il loro contributo alla comunità o nell’esigerne assistenza.

Nell’ambito della giustizia distributiva onori e oneri non sono partecipati ai cittadini secondo un criterio di uguaglianza, ma secondo i meriti e le possibilità dei singoli: d’altra parte i cittadini non saranno chiamati a dare un identico contributo alla vita della comunità: saranno invece tenuti a dare una prestazione proporzionata alle loro condizioni di vita, di beni, di professione, di impegno sociale ecc.

 

La giustizia sociale

 

Da qualche tempo anche i cattolici hanno cominciato a parlare di un’altra specie di giustizia, quella sociale. Questa espressione, dopo una prolungata quarantena di attesa e di purificazione, è entrata nei documenti del Magistero ecclesiastico e precisamente a partire dall’Enciclica « Quadragesimo Anno », nella quale Pio XI, se non andiamo errati, ne fa uso otto volte. Ritroviamo l’espressione nell’Enciclica « Divini Redemptoris » dello stesso Pontefice e con frequenza nei discorsi di Pio XII. Nessuna meraviglia dunque che essa goda di una grande fortuna nei nostri ambienti, che non sempre sono riusciti a dominare i propri entusiasmi e non sempre si sono resi conto dei limiti tra demagogia e realtà sociale.

D’altra parte i Documenti pontifici non definiscono i criteri, che qualifichino perfettamente la giustizia sociale e nonostante i loro molteplici riferimenti riesce assai difficile agli Autori cattolici accordarsi sulla classificazione e l’inquadramento definitivo della giustizia sociale.

Alcuni la ritengono semplicemente l’insieme delle tre specie surriferite, commutativa, distributiva e legale, viste sotto un nuovo aspetto, imposto dal dinamismo della vita moderna nell’economia del lavoro, dell’industria, del commercio e delle professioni, che si esprimono con modalità così diverse da quelle dei tempi precedenti. La giustizia sociale non sarebbe altro che l’armonizzazione e la sintesi dei nuovi orientamenti della vita pubblica, nelle quali si affermano nuove strutture, bisognose di essere moralizzate.

Altri invece vedono coincidere la giustizia sociale con la giustizia distributiva e legale, in quanto lo Stato nella vita moderna di tutti i popoli, sotto regime collettivo o liberale, va sempre maggiormente estendendo la sua influenza in tutti i settori della vita pubblica e non solo pubblica.

Non mancano poi Autori che identificano la giustizia sociale con quella legale soltanto, in quanto basata sul bene comune e affermata come del tutto prevalente sulle altre forme di giustizia basate sul bene privato. Per completare il quadro, aggiungeremo che, secondo altri Autori, la giustizia sociale costituisce una specie a sé stante, irriducibile alle precedenti e consisterebbe nella protezione e promozione del benessere comune, inteso soprattutto in senso economico, armonizzando i diritti e i doveri dei singoli cittadini, delle famiglie e delle cosiddette società intermedie nella socialità e nello Stato.

Né si deve dimenticare infine che nel quadro di ognuna delle quattro impostazioni indicate, si hanno delle differenze di orientamenti e di tendenze che non sono soltanto di tono o di sfumatura.

 

La giustizia sociale nei Documenti pontifici

 

Si sente spesso muovere alla dottrina tradizionale della Chiesa l’appunto di avere polarizzato l’interesse degli studiosi sulla giustizia commutativa, incentrata particolarmente nel rispetto della vita e della proprietà privata, mentre oggi predomina la tendenza a polarizzare gli studi sulla giustizia sociale, anche da parte di coloro che non arrivano a considerare, con il marxismo, la proprietà privata come un furto.

Torneremo su questo discorso mentre ora ci limitiamo a indicare alcune applicazioni della giustizia sociale fatte dalla « Quadragesimo Anno » e dalla « Divini Redemptoris », e poi riprese dagli interventi di Pio XII.

Pio XI considera innanzi tutto la giustizia come la base di un ordine economico migliore, nella collaborazione delle forze del lavoro e del capitale, con la loro piena subordinazione morale.

La giustizia sociale é anche presentata come conformazione delle relazioni sociali alle esigenze del bene comune, con il compito di imporre ai nemici della società tutto ciò che è necessario per il bene comune.

La giustizia sociale presiede ancona alla equa ripartizione della ricchezza, in modo che i vantaggi di una classe non tornino a detrimento di un’altra.

Alla giustizia sociale appartengono inoltre i problemi riguardanti la giusta remunerazione del lavoro, attraverso salari sufficienti per la famiglia. Essa deve poi promuovere la massima diffusione possibile della proprietà privata e delle assicurazioni sociali.

A Pio XI fa eco frequentemente Pio XII nei suoi moltiplicati interventi, messaggi e discorsi, notando in particolare che non si può avere una genuina giustizia sociale, che non sia basata sulla moralità pubblica, nella quale il senso del dovere prevalga su interessi particolaristici.

Anche Pio XII ha spesso trattato ampiamente i problemi della proprietà privata, della ricchezza, dei salari, del lavoro, della disoccupazione ecc. nella luce della giustizia sociale.

 

 

“Coeli novi et terrae novae”

 

Le molteplici discordanze a proposito di giustizia sociale, discordanze di metodo più che di dottrina, scompaiono innanzi alla proclamazione di un ondine nuovo, verso il quale siamo incamminati. Ma è proprio a questo riguardo che occorre guardarsi da formulazioni demagogiche, tanto più pericolose, quanto più superficiali.

Tutti siamo concordi circa la necessità di un profondo rinnovamento del mondo, ma non possiamo allinearci con i nemici della fede cristiana, che vantano e progettano la realizzazione del paradiso in terra: si tratta di una sfida lanciata al Creatore e che a suo tempo non potrà non essere raccolta, quando e come a Dio piacerà. Ci saranno certamente cieli nuovi e terre nuove, ma ogni cosa resterà al posto che il  Signore ha scelto, senza alcun adattamento alle confusioni dell’uomo. I marxisti ritengono che basti rinnovane le strutture esteriori, perché automaticamente rimanga rinnovato l’uomo, da esse condizionato, ad esempio attraverso la collettivizzazione, la socializzazione della proprietà.

Questo ideale parte da un presupposto falsissimo dell’asservimento dell’uomo alla materia, mentre noi cristiani possiamo e dobbiamo partire da un principio opposto, quello del dominio dell’uomo sulla materia e sulle forze della natura per mezzo dell’intelligenza e della volontà, ricevute in dono da Dio. Ma perché il nostro principio non rimanga inerte, privo di dinamismo, occorre nella gigantesca crescita delle strutture esteriori, caratteristica del nostro tempo, potenziare la forma interiore dell’uomo.

« E tutto un mondo che occorre rifare dalle fondamenta, che bisogna trasformare da selvatico in umano, da umano in divino, vale a dire secondo il cuore di Dio», ammoniva Pio XII. E ancora: « Alla radice dei mali moderni e delle loro funeste conseguenze (troviamo) i1 letargo dello spirito, l’anemia della volontà, la freddezza dei cuori ».

Il rinnovamento del mondo sarà positivo se basato sul rinnovamento spirituale secondo l’antica preghiera della Chiesa: « Rivestitemi o Signore di un nuovo uomo, creato secondo il cuore di Dio, nella giustizia e nella santità della verità ». Rivestirsi di una veste nuova può significare il rinnovamento esteriore delle strutture, ma quando S. Paolo ci invita a rivestirci dell’uomo nuovo, che è Gesù Cristo stesso (cfr. Rm. 13,14), vuole esprimere il rinnovamento più profondo dell’umanità.

  

 


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