L'Arcivescovo Ferdinando Lambruschini  - Scritti

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Ferdinando Lambruschini

La Giustizia virtù non facile

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CAPITOLO II

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GIUSTIZIA E CARITA'
Diffidenze verso la carità
Attenzione ad un equivoco
Giustizia e carità
Non c'è carità senza giustizia
Non c'è giustizia senza carità
La legge della vita morale

 

CAPITOLO II

 

GIUSTIZIA E CARITA'

   

Un confronto tra la virtù morale della giustizia e quella teologica della carità si impone per chi vuole costruire la teologia della giustizia, ossia inserire la giustizia nella teologia morale. Riteniamo opportuno illustrare questo confronto, prima ancora di fare la presentazione della giustizia nei termini che la definiscono e la inquadrano come virtù morale.

Il confronto tra la giustizia e la carità si impone, perché come la prima è la principale tra le virtù morali, che presiedono alle attività umane, la seconda è la principale tra le virtù teologiche, che orientano le stesse attività umane all’ordine soprannaturale.

Indicando la giustizia come prevalente tra le virtù morali, non dimentichiamo che la tradizione più ortodossa riserva il primo posto alla prudenza, la quale entra come una diretta componente nella definizione stessa della virtù in genere, perché tocca ad essa precisare il giusto mezzo di ogni virtù, secondo la classica definizione di Aristotele. Ma tutti conoscono la teoria della connessione delle virtù cardinali in grado perfetto, ognuna delle quali può essere ritenuta il tessuto connettivo delle altre tre, anche se una certa prevalenza viene riservata alla prudenza per la sua importanza teoretica.

Cicerone, ad esempio, nei Tre Libri dei Doveri, pur accettando l’enumerazione dei greci, dalla prudenza alla giustizia, alla forza e alla temperanza, istituendo un confronto tra le prime due, non ha alcuna esitazione, da buon romano, a dare maggiore importanza alla giustizia per i suoi riflessi sociali. Senza alcun pregiudizio della priorità dei valori teoretici, possiamo accettare il punto di vista di Cicerone, per due ragioni, in rapporto al presente studio. In primo luogo, la giustizia e la carità hanno in comune la direzione dei comportamenti umani non in ordine a se stessi, ma agli altri, Secondo la cosiddetta proprietà essenziale dell’alterità, che tuttavia nell’ambito della carità non è così rigida. In secondo luogo la giustizia, per sè limitata a realizzarsi in questo mondo, sembra meno facilmente riducibile alla carità, che si realizza pienamente soltanto nelle chiarezze della visione beatifica.

Si potrebbe osservare in proposito, che la subordinazione della prudenza alla Rivelazione nell’ordine della Sapienza divina, può già considerarsi perfetta in S. Agostino, mentre la piena subordinazione della giustizia alla carità non é stata raggiunta neppure dalla più matura Scolastica. Potrebbero esserne prova le diffidenze dei moderni verso la carità.

 

Diffidenze verso la carità

 

Non ci proponiamo qui di polemizzare con i marxisti e altri, che dal secolo scorso combattono il valore della carità nell’organizzazione della società moderna: la cosa del resto non sarebbe neppure possibile, perché a parte le differenze di posizione sulla giustizia, essi hanno idee così manifestamente false sulla carità, che non possono trovarsi su un piano comune di discussione con noi. Infatti considerano la carità cristiana come un pretesto per sottrarsi agli obblighi della giustizia, per nascondere sotto il manto dell’amore di Dio lo sfruttamento del prossimo. Nulla si potrebbe dire di più falso e balordo. Nel Vangelo i comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo sono così strettamente legati, anzi unificati, nell’unico precetto della carità, che S. Giovanni chiama bugiardo e mentitore chi osasse dire di amare Dio invisibile e di fatto non amasse i fratelli vicini a lui. Quella unificazione non è venuta meno oggi e senza tema di smentite possiamo rovesciare l’espressione dell’Apostolo della carità per dichiarare bugiardo e mentitore Colui che dice di amare gli uomini come fratelli, se di fatto non ama Dio, Padre comune di tutti gli uomini.

La carità del prossimo si trova ad ogni pagina del Vangelo: si ricorda sempre, è vero, che bisogna amare il prossimo per amore di Dio e questo non per svuotare di contenuto l’amore del prossimo, ma piuttosto per renderlo più vero, più efficace e, in definitiva, più umano. E non si prescinda dallo spirito di sacrificio, che pure si trova in ogni pagina del Vangelo e che è necessario proprio per promuovere l’amore del prossimo. Come potrei infatti interessarmi ai bisogni del prossimo, se non avessi una buona dose di spirito di sacrificio?

E anche vero che Gesù proclama la beatitudine dei sofferenti, dei poveri, dei piangenti e dei perseguitati, perché il dolore, dopo il peccato originale, è parte integrante della condizione umana, aumentato più che diminuito nella società moderna, ma nello stesso tempo si piega su tutte le forme del dolore umano: consola gli afflitti, asciuga le lacrime, ha compassione dei poveri, guarisce i malati, solleva tutte le miserie umane, di cui le principali, allora come oggi, oggi come domani, sono quelle spirituali, dando l’esempio di ciò che devono fare i suoi seguaci.

L’amore di Gesù per il prossimo è veramente umano, tanto più umano, in quanto soprannaturale ed esteso anche ai nemici. L’amore di Dio, che nella sua infinita bontà fa sorgere il sole e spargere la pioggia benefica sui buoni e i cattivi, trova un riscontro soltanto nella madre, che sa amare anche i figlioli perversi. Ed è questo commovente amore di Dio, che Gesù propone come distintivo ai suoi seguaci.

 

Attenzione ad un equivoco

 

Il cristianesimo per questo amore profondo, che si esprime in tutte le forme, stimolando tutte le iniziative umane, si trova all’origine di tante dottrine moderne, che proclamano l’amore degli uomini oggetto principale, fine immediato e norma ideale di moralità. Non si facciano dunque i cattolici vittime dell’equivoco che il cristianesimo, subordinando l’amore del prossimo alla carità, lo svuoti in contrasto con le ideologie, che dando l’ostracismo a Dio, proclamerebbero più direttamente la validità dell’amore dell’uomo: questo amore infatti diventa spesso inumano e ci dispensiamo dall’esemplificare, mentre la carità del prossimo, per il Signore e nel Signore, resterà sempre nell’ambito dell’amore più autenticamente umano.

Ne si dica che, di fatto, non sempre i cristiani sono stati e sono fedeli all’altissimo programma indicato dal Maestro Divino: se non ci trattenesse il rispetto umano, se potessimo aprire agli altri o soltanto vedere noi stessi il fondo delle nostre tare spirituali, tutti quanti, prima di accusare gli altri, dovremmo denunciare le nostre carenze. Ma per quanto gravi, le deficienze umane che ostacolano la realizzazione della carità cristiana, perché trascurano di costruire sulla giustizia, lasciandone agli avversari l’iniziativa, non potranno mai offuscare la bellezza e la forza del messaggio cristiano, secondo le parole di S. Agostino nel primo libro de mon bus Ecclesiae: « Solo chi vive nella santità della giustizia e sa imparzialmente apprezzare i valori umani, possiede la ordinata carità... ».

Lasciamo dunque agli uomini in rivolta contro Dio gli equivoci, le falsità e le affermazioni blasfeme, che non sono esclusive dei marxisti, perché ne possiamo trovare esempio nell’Autore di « Cosi parlò Zaratustra » e in Alberto Camus: il primo si esprime così: « Vi scongiuro, o fratelli, restate fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze sopraterrene. Lo sappiano o no, sono degli avvelenatori. Disprezzano la vita, sono dei moribondi e degli intossicati, di cui è stanca la terra: vadano dunque alla malora. Bestemmiare Dio era un tempo la peggiore delle bestemmie, ma Dio e ormai morto e, con lui, i suoi bestemmiatori. Ormai il delitto più spregevole sarà il bestemmiare la terra ». Di Camus si legge un dialogo velenoso nel quarto atto del dramma « Les justes »: « Conosci la leggenda di S. Demetrio? Aveva nella steppa un appuntamento con Dio stesso e si stava affrettando, quando incontrò un contadino, il cui carro si era ingolfato nel fango. San Demetrio lo aiutò. La melma era spessa e profonda: la lotta fu dura per un’ora. E quando San Demetrio giunse trafelato all’appuntamento, Dio non lo aveva aspettato ». Il significato della leggenda è trasparente: tra Dio e l’uomo si impone una scelta. Chi vuole servire il Signore, non può attardarsi a servire i fratelli.

Non vogliamo lasciare la bocca amara ai lettori con questo apologo, di cui Camus non indica la fonte: ecco un altro apologo russo di Vladimiro Soloviev, attinto alla tradizione russa e più vicino al senso cristiano della vita. San Nicola e San Cassiano, inviati dal cielo a visitare la terra, si imbatterono un giorno in un uomo, il cui carro era sprofondato nel fango. Diamogli una mano, propose San Nicola. Ma San Cassiano ebbe timore di sporcarsi la bianca veste e continuò da solo il cammino del ritorno al paradiso. San Nicola dopo aver assistito lo sconosciuto, aiutandolo a rimettere in strada il carro, raggiunse il compagno proprio mentre stava davanti alla porta di S. Pietro, che vistolo tutto lacero e sporco gliene chiese conto. San Nicola raccontò il fatto con semplicità, senza parlare di San Cassiano. Ma il vigile portinaio del cielo domandò a questi: Non eri anche tu con lui quando incontraste il pover’uomo? Si, rispose San Cassiano, ma non credetti opportuno di sporcarmi la bianca veste dei beati. Ebbene, sentenziò allora San Pietro, tu, San Nicola, che non hai avuto timore di macchiare la veste per soccorrere un fratello, sarai il più grande santo, dopo di me, nella Russia e sarai festeggiato due volte ogni anno. La tua festa invece, o San Cassiano, sarà celebrata solo una volta ogni quattro anni, cioè negli anni bisestili; ma potrai consolarti di aver conservato la tua veste immacolata.

Anche di questa seconda leggenda e trasparentissimo il significato: le realtà umane e terrene, tra le quali primeggia la giustizia, non sono per nulla estranee alla vita del cristiano, che deve essere dominata dalla carità.

 

Giustizia e carità

 

Dopo queste considerazioni generali, cerchiamo di precisare i rapporti delle due virtù: la prima, considerata nell’ordine naturale o soprannaturale, è la virtù cardinale che inclina fermamente e costantemente la volontà a rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto. La seconda invece, come amore del prossimo, è la virtù teologica, che inclina il cristiano ad amare il prossimo come se stesso per amore di Dio.

Esprimiamo sinteticamente le loro relazioni: l’una e l’altra si basano sulle relazioni con il prossimo, anche se in modo diverso. Nella giustizia infatti rendiamo al prossimo ciò che è suo, mentre nella carità gli diamo ciò che è nostro.

La carità é basata sulle comunicazioni da persona a persona, fino a cercare l’identificazione tra colui che ama e colui che è amato: la giustizia invece si fonda principalmente sulla inviolabilità delle singole persone, con tendenza a conservarle opposte nelle reciproche relazioni, secondo la nota correlazione del diritto e del debito.

La carità e superiore alla giustizia come virtù e tuttavia l’obbligo della giustizia è assai più stretto, — secundum aequalitatem —, mentre la carità non obbliga con grave incomodo, secondo formule tradizionali, che non è il caso di commentare. D’altra parte la giustizia obbliga al minimo convenuto tra le parti, mentre la carità spinge a dare al di là del pattuito: chi agisce infatti sotto l’ispirazione della carità rinunzia in qualche modo ai propri diritti, sforzandosi di imitare Dio stesso, che mette a disposizione di tutti gli uomini i suoi doni infiniti.

Sulla base di questo schema alquanto arido, proponiamo qualche riflessione di attualità.

 

Non c’è carità senza giustizia

 

Alcuni cattolici facenti capo alla scuola di Angers, nel secolo scorso, dinanzi alle invadenze di una giustizia di cattivo gusto, si irrigidirono in una reazione che li spingeva ad attendere la soluzione dei problemi sociali dalla carità. Essi vedevano male che l’universalità della carità venisse limitata a vantaggio della giustizia e pur stimando giustamente la carità come virtù perfetta erano caduti nell’equivoco, contro il quale aveva già messo in guardia Aristotele, scrivendo nell’Etica che la giustizia non sarebbe più necessaria, se l’amicizia perfetta regnasse tra gli uomini. Tutti sappiamo che la carità non si realizza perfettamente sulla terra e non proviamo difficoltà di sorta ad ammettere che certi problemi sociali, finora rimasti nell’ambito della carità, siano oggi trattati nell’ambito della giustizia.

Dal punto di vista soggettivo dobbiamo restare fedeli alla universalità della carità, in quanto cioè deve presiedere a tutti i comportamenti umani, ma dal punto di vista oggettivo la carità non può in nessun modo sostituirsi alla giustizia o contrastarne le realizzazioni secondo l’evoluzione dei tempi. La carità supera la giustizia, ma non la distrugge, la suppone senza sostituirla, la dirige senza assorbirla, perché non si può affidare alla sola carità la soluzione dei problemi sociali. E non si creda che questa dottrina sia solo di oggi. S. Agostino già scriveva ai suoi tempi: “Non dobbiamo augurarci che ci siano dei sofferenti, unicamente per esercitare le opere di misericordia. Tu dai del pane a chi ha fame: ma sarebbe meglio che nessuno avesse fame: tu vesti gli ignudi, ma quanto sarebbe meglio che tutti fossero convenientemente vestiti, senza dover ricorrere all’aiuto degli altri” (Tract. VIII, n. 5).

Il grande Dottore continua spiegando che, se si riuscisse a sopprimere la miseria non verrebbe meno la carità; al contrario resterebbe situata su un piano più alto, mentre nell’opera di misericordia si parte da uno stato di minorità. “Desidera e fa piuttosto che il misero sia tuo uguale, perché possiate insieme vivere sottomessi a Colui che non può essere obbligato a nessuno”. Ognuno avverte l’importanza di questa testimonianza.

Da un altro punto di vista, Pio XI, nell’Enc. « Divini Redemptoris », afferma categoricamente che la vera autentica carità deve tener conto della giustizia e prosegue esemplificando: « Una pretesa carità che privasse l’operaio del salario a cui ha stretto diritto, non ha nulla della vera carità, non è altro che un falso titolo, un simulacro di carità. L’operaio non deve ricevere a titolo di elemosina, ciò che gli spetta in linea di giustizia. Non è lecito sottrarsi a gravi obbligazioni, imposte dalla giustizia, per accordare qualche dono a titolo di misericordia ».

 

Non c’è giustizia senza carità

 

Nella stessa Enciclica, dopo aver richiamato che la carità secondo la parola di S. Paolo, vincolo della perfezione, deve presiedere alla giustizia commutativa, aggiunge che è l’anima dell’ordine sociale.

I cattolici devono aiutare tutti gli uomini a riscoprire questa eterna verità del cristianesimo, che pone l’amore come elemento essenziale e centrale di una comunità di persone, non di numeri, nella costituzione di un popolo, non di una massa. E’ l’amore che mette gli uomini in comunicazione tra loro e ne costituisce pertanto la forza di coesione più profonda, mentre senza di esso, si riducono ad un insieme di granelli di sabbia, che sembrano strettamente uniti nel deserto ed invece, al primo soffio di vento, rivelano la loro solitudine e la conseguente debolezza, lasciandosi facilmente separare e trasportare.

Nella società cristiana la sorgente dell’unità è l’amore: il Vangelo ci ha insegnato che siamo tutti fratelli, figli tutti di uno stesso Padre, membri tutti di uno stesso corpo, di cui Cristo è il Capo e la carità è la legge fondamentale. I Cristiani non sono degli isolati: tutt’altro. Sono le pecore di uno stesso gregge, i rami di uno stesso tronco, le pietre di una stessa costruzione, gli ereditieri di una stessa sostanza. La pecora che si separa dal gregge, va verso la morte, il ramo che si stacca dall’albero inaridisce prontamente, la pietra che cade dall’edificio diventa inutile. Tutto ciò che di bene o di male, gettiamo nell’immenso oceano della umanità, vi fa nascere delle onde, che si spandono all’infinito, avvicinandoci a Dio o allontanandoci da Lui, senza mai perdersi nel nulla.

 

La legge della vita morale

 

Se la carità è il compimento della legge, la giustizia è la base.

La carità senza la giustizia è un’ipocrisia, la giustizia senza la carità è un corpo senz’anima.

La giustizia crea l’ordine, la carità crea la vita. La giustizia da sola rimane impersonale e costruisce un mondo rigido e freddo, una casa senza focolare, una macchina senza Spirito. Unita alla carità diventa personale, illumina il mondo, riscalda la casa, vivifica la macchina.

La giustizia è fondata sul diritto, ma se non si lega alla bontà, se non si umanizza nella fraternità, se non si trasforma in carità, si identifica con l'ingiustizia, secondo l’antico aforisma "summum ins, summa iniuria. Pio XII nel notissimo radiomessaggio natalizio del 1942 ha cantato l’unione della giustizia con la carità, che nella concezione cristiana non si trovano in opposizione e non ammettono alternativa di scelta, ma sintesi feconda. Nella loro unione si irradia lo spirito di Dio e si afferma la dignità dell’uomo. Integrandosi a vicenda si sostengono e cooperano alla concordia e alla pacificazione dell’umanità.

S. Agostino ci presta due espressioni felici per riassumere queste modeste considerazioni. La prima riguarda la giustizia, senza la quale la Società sarebbe una truffa colossale: la seconda riguarda la carità, che fa di un gruppo di uomini una società unita nell’amore dello stesso bene.

 

 


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